Dott. Andrea Calbi
Medico Chirurgo
Specialista in Medicina Legale
Medico Competente Abilitato
Corso di Aggiornamento ANACI
Sede Provinciale di Varese
Varese, Istituto De Filippi
2-3 luglio 2015
LE AZIONI RISARCITORIE
LE MALATTIE DERIVANTI DALL’ESPOSIZIONE
ALL’AMIANTO
ATTACCO E DIFESA NELLE AZIONI
GIUDIZIARIE
VALUTAZIONI MEDICO LEGALI
AMIANTI: DEFINIZIONE E USI
I termini generici di ASBESTO o AMIANTO, composti
costituiti prevalentemente da silicati “…indicano un gruppo
di sostanze minerali che, in seguito a frammentazione,
danno luogo alla produzione di fibre” (American Thoracic
Society, 2004).
In base alla struttura chimica gli amianti sono suddivisi in
serpentini (tra cui il crisotilo – amianto bianco, 95% della
produzione totale, soffice e costituito da fibre di lunghezza
variabile, dotato di elevata resistenza meccanica) ed
anfiboli (comprendenti amosite, antofillite, crocidolite –
amianto blu e tremolite).
Le principali caratteristiche di interesse commerciale sono:
assenza di infiammabilità ed elevata resistenza al calore,
resistenza agli attacchi da parte di aggressivi chimici, resistenza
elettrica, filabilità, flessibilità, resistenza all’usura e alle
sollecitazioni meccaniche, resistenza a microrganismi ed agenti
biologici (Foà V., Colosio C., 1997).
Per le sue caratteristiche chimico-fisiche l’amianto ha trovato
largo impiego in ambiti civili, industriali e bellici, principalmente
come coibentante di motori a vapore o a combustione interna,
come componente di materiali resistenti all’attrito (freni e
frizioni d’auto), nella produzione di tessuti ignifughi, nella
produzione di materiali filtranti, nella produzione di pannelli
antincendio o fonoassorbenti (largamente impiegati nella
produzione di carrozze ferroviarie e industria nautica/navale), in
isolamenti elettrici, in edilizia come coibentante in tubature,
nella produzione di manufatti in cemento-amianto.
Tra i manufatti contenenti cemento-amianto si segnalano:
 Filati, feltri, stoppini, carta, filo isolante, guarnizioni, freni, lastre, condotti,
materassi, asbesto spray, pavimenti, intonaci, stucchi.
 Tessuti, nastri, dischi, frizioni, filtri per maschere antigas, rivestimenti
conduttori elettrici, spago, coibentazione di tubature.
 Indumenti, guanti, grembiuli, tappezzerie, sipari teatrali, coperture per
tavoli da stiro.
 Isolamento ascustico, imbottiture di pianoforti.
 Rivestimenti, stufe, casseforti, macchine per lavaggio a secco, soffittature,
porte antifiamma.
 Lastre piane, tramezzi, coperture ondulate, condutture.
L’amianto, certamente insostituibile in passato
per Ie sue caratteristiche chimico-fisiche, è
ancora ampiamente utilizzato in gran parte dei
Paesi Industrializzati, mentre in Italia è
ufficialmente bandito a seguito della
applicazione della Legge 257/92 che ne vieta
estrazione, produzione, commercializzazione ed
utilizzo, pur tuttavia essendo ancora presente in
una vasta serie di manufatti.
ESPOSIZIONE AD AMIANTO
Nella II Consensus Conference Italiana sul Mesotelioma Pleurico (Med Lav
2013; 104, 3) sono state schematizzate le principali tipologie di esposizione,
tra le quali, oltre alle esposizioni occupazionali, si segnalano:
Esposizione domestica delle persone conviventi di lavoratori esposti ad
amianto (per pulizia e lavaggio delle tute da lavoro).
Esposizione ambientale in prossimità di miniere di amianto o di aziende che
lavoravano amianto o in luoghi contaminati dall’utilizzo indiscriminato di
materiale contenente amianto (es: Casale Monferrato).
Esposizione ad amianto naturale: vi è evidenza di effetti sulla salute solo in
luoghi dove vi è una notevole abbodanza di fibre e sul terreno avvengono
lavorazioni che le movimentano (es: USA – Libby Montana).
Altre esposizioni: a seguito di diffusione di materiali contenenti amianto
(es: edifici civili con presenza di amianto floccato, pannelli di amianto a
protezione da calore o dal fuoco).
DEPOSITO DI FIBRE NEI TESSUTI
A differenza di altri inquinanti pulverulenti, le
particelle di amianto risultano di forma
allungata.
Disperse nell’aria penetrano nell’organismo
umano per inalazione raggiungendo, in relazione
a forma, dimensioni e diametro delle stesse,
diverse sedi dell’apparato respiratorio, dalle
grandi vie aeree sino agli alveoli polmonari, in
maggior misura a livello delle diramazioni delle
vie aeree.
MECCANISMI DI RIMOZIONE E ASSORBIMENTO
Una volta penetrate nell’apparato respiratorio, le fibre subiscono una
complessa serie di processi, che si concretizzano:
1.Nel trasporto verso l’altro delle fibre da parte del muco che tappezza
le vie aeree con eliminazione finale delle stesse (CLEARANCE
MUCOCILIARE).
1.Nell’azione dei macrofagi alveolari che fagocitano le fibre di
lunghezza <8 micron, con più tempestiva eliminazione.
1.Nella penetrazione delle fibre nelle cellule endoteliali dei capillari
polmonari e quindi nell’interstizio con accumulo delle stesse.
1.Nella penetrazione dal polmone alla pleura (tipica delle fibre ultrafini
di diametro <0.2 micron) ove tendono a concentrarsi.
EFFETTI CELLULARI E TISSUTALI
Le fibre determinano il richiamo nei tessuti dei MACROFAGI, cellule
deputate ad inglobare e neutralizzare gli agenti estranei
nell’organismo.
Le fibre più corte (fino a 2-2.5 micron) vengono fagocitate interamente
contribuendo alla formazione dei cosiddetti corpuscoli dell’asbesto.
Le fibre più lunghe, fagocitate solo parzialmente, avviano una serie di
reazioni tissutali con danneggiamento delle cellule epiteliali polmonari,
attivazione di diverse altre cellule infiammatorie (LINFOCITI ALVEOLARI
e FIBROBLASTI) e deposito di collagene che contribuisce alla fibrosi
polmonare causata dall’asbesto (asbestosi).
In sintesi: le fibre determinano sia un danno diretto ascrivibile
all’azione meccanica di stazionamento delle fibre nell’albero
polmonare, sia un danno immunomediato, ascrivibile all’attivazione
di reazioni infiammatorie tipiche.
AMIANTO: MECCANISMI DI AZIONE
Azione FIBROGENICA: le fibre di amianto
penetrate nell’albero respiratorio producono
danni alle pareti alveolari, microemorragie e
successivo intervento di macrofagi alveolari con
formazione dei corpuscoli dell’asbesto, oltre
all’attivazione della reazione infiammatoria che
determina fibrosi progressiva con ispessimento
dei setti alveolari e dell’interstizio polmonare,
riduzione dell’elasticità del polmone e deficit
degli scambi respiratori.
Azione CANCEROGENA: tale meccanismo d’azione dell’amianto non è
noto, nè è noto se l’amianto causi tumori attraverso un singolo
meccanismo o con più meccanismi in combinazione tra loro.
Nel Consensus Report redatto da IARC nel 1996 sono stati ipotizzati 5
possibili meccanismi d’azione cancerogenica dell’amianto, tutti
caratterizzati da dubbi residui, tali da giudicare debole l’evidenza
complessivamente disponibile sui meccanismi che portano allo
sviluppo del cancro polmonare e del mesotelioma:
1.Alterazione del DNA cellulare mediante radicali liberi;
2.Interferenza con i processi di replicazione cellulare;
3.Stimolo alla proliferazione di cellule bersaglio;
4.Promozione di processi infiammatori cronici che portano ad un
incremento nella liberazione di radicali liberi;
5.Azione co-cancerogena o trasporto ai tessuti target di cancerogeni
chimici.
LE MALATTIE DA AMIANTO
Escludendo gli effetti acuti conseguenti ad esposizione
massiva a concentrazioni elevatissime di fibre disperse
nell’aria è possibile individuare 2 GRUPPI di patologie
asbesto-correlate:
1.MANIFESTAZIONI NON
pleuriche ed asbestosi.
NEOPLASTICHE:
placche
2.MANIFESTAZIONI NEOPLASTICHE MALIGNE: tumori
polmonari e mesotelioma pleurico.
MANIFESTAZIONI PLEURICHE BENIGNE
Note sin dal 1933 come placche pleuriche o ispessimento pleurico diffuso in
relazione alla diversa estensione risultano indicative di una pregressa
esposizione ad amianto.
Nelle forme precoci prevedono una latenza minima (intervallo intercorrente
tra inizio dell’esposizione e insorgenza della manifestazione o malattia) di 1020 anni.
Sono caratterizzate dall’assenza di una precisa correlazione dose-risposta e il
rischio di svilupparle dipende in modo lineare dal tempo intercorso dalla
prima esposizione.
Generalmente non causano alcun sintomo o alterazione funzionale, non
necessitano di specifico controllo seriato non avendo carattere evolutivo, ma
essendo indicative di pregressa esposizione ad asbesto rappresentano un
campanello d’allarme, necessitando di controlli successivi per il rischio di
insorgenza di mesotelioma pleurico (avente latenza sensibilmente più lunga).
E’ tuttora discusso il ruolo delle placche pleuriche nell’induzione del
mesotelioma pleurico: l’opinione prevalente è comunque quella di non
considerarle lesioni preneoplastiche (Foà e Ambrosi, 2003).
ASBESTOSI
Il termine definisce una “fibrosi interstiziale bilaterale
polmonare causata dall’inalazione di polveri di amianto”
(Norbet et al., 2014), definita nosologicamente nel 1924.
Manifestazioni cliniche ed anatomopatologiche non
differiscono da altre fibrosi polmonari: fibrosi intersiziale
polmonare più evidente ai lobi inferiori, spesso
accompagnata da tosse, dispnea e rantoli crepitanti in
quadro respiratorio funzionale di tipo restrittivo.
Un tempo relativamente frequente, oggi evento del tutto
eccezionale grazie alle contromisure adottate nei paesi
industrializzati.
La gravità della fibrosi – intesa come presenza di segni clinici,
radiografici, funzionali e istopatologici – è direttamente proprorzionale
all’entità dell’esposizione cumulativa ad asbesto (ovvero all’intensità e
alla durata di esposizione).
Lo sviluppo della malattia è un processo lento, che richiede non meno
di 10 anni: a livelli di esposizione bassi corrispondono quadri di fibrosi
lieve, tale da non determinare alcun disturbo sino al decesso per altre
cause.
In ogni caso: la quantità di fibre inalate e depositate nel polmone
mostra con l’asbestosi evidenti relazioni dose-risposta (all’aumentare
della dose aumentano i soggetti di una data popolazione che
manifestano la malattia) e dose-effetto (all’aumentare della dose
aumenta la gravità delle manifestazioni cliniche nel singolo soggetto).
Per quanto concerne il LIVELLO DI ESPOSIZIONE individuabile come
soglia per la genesi di una asbestosi clinicamente rilevante i dati
disponibili indicano una esposizione cumulativa minima pari a 25
fibre/ml/anno (Helsinki, 1997). Tale esposizione può quindi ottenersi
in 1 anno a 25 fibre/ml o in 25 anni a 1 fibra/ml.
L’asbestosi, come tutte le fibrosi polmonari, può evolvere in
una sindrome respiratoria di tipo restrittivo o misto
(ostruttivo/restrittivo) sino al cuore polmonare cronico e il
decesso per insufficienza cardiorespiratoria.
Data l’ubiquitaria presenza di amianto nell’ecosistema, casi di
asbestosi di grado minimo o lieve, asintomatica, possono
essere occasionalmente riscontrati da esami radiografici o
autoptici, meramente indicativi di una precedente esposizione
ad asbesto.
Trattasi generalmente di congiunti di lavoratori esposti ad
amianto e/o soggetti caratterizzati da esposizione ambientale
ad asbesto, sia da fonti naturali che antropogeniche.
La diagnosi (American Thoracic Society, 2004) si basa su
criteri: clinici, radiografici, istopatologici (corpuscoli
dell’asbesto),
funzionali
(restrittivo/ostruttivo),
anamnestico-cronologici
(esposizione/latenza)
e
di
esclusione di altre patologie/fattori di rischio correlabili
(fumo).
MALATTIE NEOPLASTICHE
L’associazione tra esposizione professionale ad amianto ed
aumentato rischio di insorgenza di tumori polmonari fu
ipotizzata per la prima volta nel 1935 (Lynch KM et al.) e la
successiva evidenza epidemiologica pubblicata da Doll nel
1955 (data corrispondente alla prima segnalazione italiana
effettuata da Rombolà): le prime segnalazioni riguardavano
casi di neoplasia polmonare insorti come complicanza di
preesistente asbestosi, associate quindi a livelli di
esposizione ad amianto particolarmente elevati.
Nel 1964-65 (New York Accademy of Sciences) venne
raggiunto il consenso unanime sulla cancerogenicità
dell’amianto per il polmone, mentre sulla possibilità che la
malattia potesse manifestarsi anche in assenza di una
preesistente asbestosi – tema parzialmente affrontato nel
Consensus Document di Helsinki – non sono ancora state
raggiunte conclusioni definitive.
Possono essere attribuiti ad esposizione da amianto tutti i tipi istologici di tumore
polmonare: adenocarcinoma, carcinoma a cellule squamose, carcinoma a piccole
cellule, carcinoma a grandi cellule (Helsinki, 1997), anche se il primo rappresenta il
tipo prevalente (IARC, 1987).
La tipologia e la sede polmonare NON sono rilevanti per l’attribuzione o meno della
neoplasia ad asbesto.
Il recente Consensus Report Helsinki Criteria 2014 riconosce altresì l’associazione tra
esposizione ad asbesto e altri due istotipi di tumore polmonare: il carcinoma
adenosquamoso e il sarcomatoide.
La prognosi delle neoplasie polmonari da amianto è sovrapponibile a quella di tutti gli
altri tumori, ovvero ad andamento tendenzialmente infausto.
Il tumore del polmone è il tumore maligno più frequentemente letale nei due sessi
(35% nei maschi e 10% nelle femmine), se ne registrano 35/40000 nuovi casi/anno con
un picco nella 5/6 decade.
Al fumo di sigaretta sono attribuite percentuali tra 83-93% dei tumori polmonari nel
maschio, senza particolari differenze tra diversi istotipi, mentre altri fattori di rischio
risultano la fibrosi polmonare, la pregressa tubercolosi e la BPCO.
Sembra infine sussistere un effetto sinergico (moltiplicatore) tra esposizione ad asbesto
ed esposizione a fumo di tabacco, come espresso da Boffetta (1998) nella formula:
Rrtot = Rrasb * RRfumo
L’analisi dei dati scientifici a disposizione indica l’esistenza di una
relazione dose-risposta tra esposizione ad asbesto e tumori polmonari:
la maggioranza dei casi insorge in lavoratori addetti ad attività
comportanti esposizione elevata e l’insorgenza di neoplasia in assenza
di asbestosi è ancor oggi in discussione.
Secondo Boffetta (1998), l’incremento del rischio di neoplasia aumenta
di circa l’1% per ogni fibra/ml/anno di esposizione, non essendovi
particolari differenze di cancerogenicità tra diverse fibre e
riconoscendo nel fumo di tabacco un effetto moltiplicativo sul rischio.
Il Consensus Document di Helsinki riporta che il rischio relativo per tali
neoplasie aumenta dello 0.5-4% fibra/cm3/anno, quindi una
esposizione a 25 fibre/anno aumenta il rischio di circa due volte.
Lo stesso documento aggiunge che è evidente che a livelli molto bassi
di esposizione, il rischio di neoplasia del polmone è talmente basso
da non essere apprezzabile (Helsinki, 1997): tale ipotesi è confermata
dagli studi recenti.
Per quanto riguarda lavoratori non direttamente coinvolti nella
manifattura o nell’estrazione/lavorazione dell’asbesto, ma a contatto
con manufatti di asbesto, non vi è evidenza di rischio rilevante.
MESOTELIOMA PLEURICO
Tumore altamente maligno che colpisce il tessuto mesoteliale
(pleura, peritoneo), estremamente raro, riconosciuto come
entità nosologica dopo gli anni ‘60 e tipizzato in 3 diverse
forme: epitelioide, sarcomatoide o bifasico (Suzuki, 1981).
La prognosi, invariabilmente infausta, vede una
sopravvivenza del soggetto a 2 anni dalla diagnosi da
considerarsi eccezionale.
La prima segnalazione di un rapporto causale tra esposizione
ad amianto e insorgenza di mesotelioma pleurico risale a studi
del 1960 (Wagner JC et al.), successivamente consolidati sino
a riconoscere nel mesotelioma un evento sentinella di una
pregressa esposizione (Rudstein et al., 1983).
Nel 20-30% dei casi osservati non è tuttavia evidenziabile una
pregressa esposizione ad amianto: tale dato potrebbe suggerire la
possibilità che il mesotelioma possa insorgere anche per cause
indipendenti dall’esposizione.
Tuttavia la nota capacità dell’amianto di causare mesoteliomi anche
per esposizioni a concentrazioni bassissime e la presenza di quantità
misurabili di fibre di amianto nel tessuto polmonare di soggetti non
professionalmente esposti (Todaro et al., 1987) suggeriscono che
almeno una parte di quel 20-30% di casi possa essere attribuibile
ancora all’esposizione ambientale a basse concentrazioni di fibre di
amianto in soggetti ipersuscettibili.
Uno studio condotto dall’ISS evidenzia che la mortalità per
mesotelioma si concentra in aree geografiche nelle quali vi è stato
significativo impiego di amianto (Genova e Livorno), o nei dintorni di
ditte produttrici di manufatti in amianto (Casale Monferrato) o di
insediamenti siderurgici (Bergamo). Qui ad esempio l’incidenza di
mesotelioma e compresa tra 2.7-3 casi/100000 abitanti, mentre a
Genova, Spezia, Gorizia, Alessandria si attesta intorno ai 6 o più (Di
Paola M et al., 1992).
La latenza della malattia è particolarmente protratta, mediamente
intorno ai 35-40 anni; periodi di latenza inferiore ai 20 anni devono
essere considerati eccezionali.
La latenza media individuata dal Sistema Nazionale Italiano di
Sorveglianza delle Malattie da Amianto è di 43.6 anni con una
distribuzione statistica normale (gaussiana).
Tra le diverse tipolgie di amianto, a parità di esposizione, alla
crocidolite (amianto blu) è attribuita potenzialità di determinare
incidenza di mesoteliomi da 4 a 10 volte maggiore rispetto a quella del
crisotilo.
Tra i fattori predisponenti vi è certamente la suscettibilità individuale,
forse mediata da componente familiare: la malattia può infatti colpire
soggetti esposti a concentrazioni molto basse in assenza di soglia,
ovvero di una dose minima di esposizione necessaria a causare la
malattia e le sue manifestazioni (quantomeno non nota e in ogni caso
bassissima).
Soltanto ammettendo l’esistenza di una particolare
predisposizione individuale possono essere spiegati
comportamenti in apparenza capricciosi del mesotelioma
riportati in Letteratura, quali ad esempio il caso del
barbiere che annoverava tra i clienti un gran numero di
operai esposti (Doll R et al., 1985) o quello della moglie di
un operaio di uno zuccherificio deceduta per
mesotelioma dopo esposizione alle polveri rilasciate dal
vestito da lavoro del marito (Panetta A et al., 2003).
La ricerca sull’argomento è ad oggi molto attiva: in una
recente revisione delle nuove teorie sulla genesi del
mesotelioma (2015) viene introdotta anche l’ipotesi della
presenza di biomarkers genetici che potrebbero diventare
utili nella diagnosi precoce.
Gli studi scientifici effettuati sin dal 1960 dimostrarono che
ruolo chiave nella genesi del mesotelioma non è la DOSE di
esposizione, bensì l’INTERVALLO DI TEMPO dalla PRIMA
ESPOSIZIONE: “Il rischio di mesotelioma aumenta in modo
proporzionale alla terza o alla quarta potenza del tempo
intercorso dalla prima esposizione” (Peto et al., 1982).
Ruolo centrale nel processo patogenetico del mesotelioma è
pertanto legato al tempo intercorso dalla prima esposizione
ad asbesto, mentre il ruolo di esposizioni successive è
notevolmente inferiore.
In particolare il rischio non subirebbe alcun incremento
significativo sino ai 25 anni dalla prima esposizione, risultando
circa 10 volte più alto per esposizioni iniziate oltre 40 anni
prima e 100 volte più alto per esposizioni iniziate 50 anni
prima.
Successivi studi effettuati da Boffetta confermarono la
rilevanza dell’effetto TEMPO concludendo che il rischio è
legato alla terza potenza del tempo intercorso dalla prima
esposizione, che la latenza minima è di 10 anni e che gli
anfiboli sono circa 3 VOLTE più efficienti del crisotilo nel
causare la malattia (Boffetta P, 1998).
Il corpo di tali osservazioni portò ad ipotizzare che nella
genesi del mesotelioma ruolo fondamentale è giocato
dalla cosiddetta DOSE SCATENANTE o TRIGGER DOSE
assunta all’inizio dell’esposizione, mentre dubbio è il
ruolo giocato da ulteriori successive esposizioni,
assegnando all’amianto ruolo di INIZIATORE della
neoplasia, che può eventualmente evolvere dopo lungo
intervallo di tempo.
ESPOSIZIONI AMBIENTALI O A BASSE DOSI
 Limiti nel modello di Peto e Boffetta risultarono l’incerta definizione dei
livelli di esposizione per le dosi più basse, visto che i dati, pur limitati,
furono ottenuti da popolazioni esposte a dosi di amianto molto elevate.
 Non vi è quindi alcuna conferma che tale modello possa essere trasferito a
situazioni con livelli di esposizione tipicamente presenti in ambiti ove
l’amianto è o è stato presente a livelli di concentrazione di diversi ordini di
grandezza inferiori (esposizione ambientale).
 Per esposizioni occupazionali o ambientali a basse dosi è evidente che
tanto più ampia e diffusa è l’esposizione, tanto più elevata è la possibilità
che un singolo soggetto sia esposto al rischio di assumere la DOSE
SCATENANTE.
 Per quanto concerne nello specifico le esposizioni ambientali una meta
analisi dell’anno 2000 (Bourdes et al.) evidenziò un significativo
incremento del rischio per esposizioni a dosi relativamente elevate,
mentre non permise di giungere a conclusioni circa il livello di rischio
correlato alle concentrazioni ambientali comunemente evidenziabili nei
paesi industrializzati.
 Una ulteriore revisione di Hillerdal del 1999 concluse che non vi è
evidenza di un limite sotto al quale il rischio di mesotelioma potrebbe
essere escluso.
DIMENSIONE DELLE FIBRE E MESOTELIOMA
In periodi più recenti alcuni autori segnalarono l’importanza della
dimensione delle fibre nella genesi del mesotelioma, attribuendo un
ruolo importante alle fibre più piccole, di lunghezza inferiore a 5
micron (Suzuki, 2002).
In particolare a causare la malattia sarebbero le fibre ultrafini,
caratterizzate da diametro inferiore a 0.2 micron e lunghezza intorno al
micron o di poco superiore (Chiappino, 2005): tali fibre potrebbero
passare la barriera pleuro-polmonare e trasferirsi dai polmoni alla
pleura.
In tale scenario l’efficacia protettiva nei confronti del rischio di
mesotelioma da parte dei DPI (maschere) utilizzati sino agli anni ‘80
era minima, dato che solo a partire dagli anni ‘80 sono state messe in
commercio maschere capaci di evitare l’assorbimento della frazione
ultrafine delle polveri.
In quest’ottica anche i dati ottenuti dalle indagini ambientali
risulterebbero di scarsa utilità, dato che ancor oggi la normativa
prevede il conteggio di fibre di lunghezza superiore ai 5 micron (Casula,
2003).
SV40 E MESOTELIOMA PLEURICO
Recentemente è stato ipotizzato ruolo di cofattore nella genesi del
mesotelioma al virus SV40 (virus della scimmia), essendo le sue
sequenze di DNA evidenziabili con una frequenza elevata in campioni
tissutali di mesotelioma.
Tale virus è stato evidenziato in alcune partite di vaccino
antipoliomielite SALK (prodotto da colture cellulari su rene di scimmia)
e commercializzato negli anni ‘60-’70: nel periodo indicato, quindi,
milioni di persone sono state involontariamente contaminate dal virus
SV40.
Tuttavia, pur essendo argomento di interesse nell’ambito della ricerca,
allo stato attuale non può essere raggiunta alcuna conclusioni solida
sulla possibile correlazione tra esposizione a virus SV40 e rischio di
mesotelioma pleurico.
PATOLOGIA DA AMIANTO: CONCLUSIONI
L’esposizione ad amianto causa due gruppi di patologie, NON NEOPLASTICHE
(placche pleuriche ed asbestosi) e NEOPLASTICHE (tumori polmonari e
mesotelioma).
Per alcune patologie vi è forte evidenza della presenza di una correlazione
dose-risposta tra esposizione ad amianto e sviluppo della malattia.
PLACCHE PLEURICHE: non vi sono evidenze di una correlazione dose-risposta,
essendo le stesse indicatori di mera esposizione pregressa ad amianto in
soggetti predisposti (ipersuscettibilità individuale).
ASBESTOSI: la correlazione dose-risposta è talmente evidente che modifiche
ai cicli produttivi hanno consentito nei paesi industrializzati, alla pressochè
totale scomparsa della malattia.
TUMORI POLMONARI: la correlazione dose-risposta è ad oggi
sufficientemente dimostrata al punto che, in accordo con il Consensus
Document di Helsinki (1997) il rischio per tali patologie, al di sotto di
determinati livelli di esposizione, risulta trascurabile.
MESOTELIOMA: se alcuni studi (Selikoff, 1978; Peto, 1982; Boffetta, 1998) evidenziano
la capacità dell’amianto di indurre il mesotelioma sostenendo che la dose innescante
può essere anche straordinariamente piccola, altri studi (Albin et al., 1990; Roger et
al., 1991) suggeriscono che il rischio di mesotelioma sia proporzionale all’aumento del
carico polmonare di fibre di amianto o all’esposizione cumulativa al silicato.
Nei suoi studi Peto, aumentando l’età di prima esposizione (e riducendo quindi la
latenza) e mantenendo uguale la durata di esposizione osserva ancora un eccesso di
rischio, ma notevolmente inferiore a quello osservato aumentando la durata
dell’esposizione: tali dati suggeriscono che l’incidenza potrebbe essere indipendente
dalla dose cumulativa.
Al contrario la correlazione tra cancro del polmone ed esposizione cumulativa non
cambia, anche riducendo la latenza: sembra quindi che il rischio di cancro del polmone
sia sempre correlato alla durata dell’esposizione, indipendentemente dalla latenza.
Nel caso del mesotelioma l’eventuale sussistenza di relazione tra dose cumulativa e
rischio determinerebbe l’attribuzione di caratteristiche di totipotenza cancerogenica
all’amianto, capace di indurre quindi tutte le fasi (induzione e promozione) del
processo cancerogenetico.
Dal già citato Consensus Document IARC emerge che su tali caratteristiche di
induzione e/o promozione della malattia neoplastica non vi sono conclusioni
univoche e molti punti debbono ancora essere chiariti.
Ad oggi è tuttavia possibile affermare che l’elemento con più forza associato al
rischio di mesotelioma pleurico risulta essere la latenza in assenza di una dose-soglia
caratterizzante il mesotelioma pleurico amianto-correlato.
Mentre una buona pratica di igiene industriale
e la messa in atto di opportuni interventi
preventivi può portare alla scomparsa delle
patologie dose-dipendenti
(asbestosi e
neoplasie polmonari), nessun intervento
preventivo, ad esclusione della completa e
definitiva eliminazione di qualsiasi esposizione,
può portare ad un valore prossimo allo “0” del
rischio
di
manifestazioni
maligne
(mesotelioma) e benigne (placche pleuriche) a
carico della pleura.
EVOLUZIONE NEL TEMPO E VALORI LIMITE DI
ESPOSIZIONE AD AMIANTO
In estrema sintesi, almeno sino alla fine degli anni ‘70 non vi erano metodi
riconosciuti e ufficialmente validati per la misurazione dell’esposizione ad
amianto e i diversi Paesi potevano operare scelte diverse, anche al loro
interno: seguiva che valori ottenuti applicando metodi di misurazione diversi
non potevano essere confrontati tra loro.
Solo nel 1979 l’AIA – Associazione Internazionale Amianto mise a punto e
pubblicò metodi standardizzati a livello internazionale di prelievo e conteggio
di fibre di amianto, metodologia accolta e fatta propria dalla Direttiva CEE
47/83 che rese le misurazioni attendibili e confrontabili tra diversi Paesi.
Seguirono varie rimodulazioni dei valori limite, anche su indicazione
dell’ACGIH – Associazione Igienisti Industriali Americani i cui valori limite sono
usualmente recepiti dall’AIDII – Associazione Igienisti Industriali Italiani, sino
all’entrata in vigore della Legge 257/92.
Tale Legge ridusse la concentrazione accettabile di crisotilo a 0.6 fibre/cc e
quella della crocidolite a 0.2 fibre /cc, prevedendo anche la messa al bando
dell’amianto con un programma di dismissione biennale affidato alle
Regioni e in base al quale (art. 1) dal 28 aprile 1994 sarebbe stata vietata
l’estrazione, l’importazione, la commercializzazione e la produzione di
amianto e di tutti i prodotti contenenti amianto.
In conclusione: almeno sino al 1975, ma
ragionevolmente anche in seguito, I valori limite di
esposizione proposti in Italia e negli USA sono stati
certamente inadeguati a proteggere dall’asbestosi
e anche la più scrupolosa osservanza del limite di 5
ff/cc applicato nel periodo 1976-1979 non avrebbe
protetto i lavoratori dal rischio di asbestosi e
tantomeno dal rischio di mesotelioma, non
abbattuto nemmeno dai limiti proposti negli anni
successivi sino ad oggi, dato che ancora la
normativa non prevede la misurazione della
frazione ultrafine, attualmente indicata come
quella a cui probabilmente è da attribuire la
capacità di causare la malattia.
CRITERI VALUTATIVI MALATTIE DA AMIANTO
L’approccio alla diagnosi/conferma diagnostica nelle malattie da
amianto deve essere realizzato con un approccio graduale e
multidisciplinare rivolto a:
1.Riconoscimento/conferma della patologia: obiettivo di questa fase è
la verifica della corrispondenza tra diagnosi clinica formulata ed
effettivo quadro patologico osservabile nel caso in oggetto.
2.Riconoscimento del nesso di causa: verifica della possibilità che
nelle condizioni di esposizione sofferte dal soggetto in esame la
patologia osservata possa essere eziologicamente attribuita ad una
specifica esposizione (Vi è stata esposizione? E’ stata sufficiente?
L’intervallo tra inizio dell’esposizione ed esordio della malattia (latenza)
è stato congruo?).
3.Valutazione di tutte le informazioni disponibili ed esclusione di
eventuali ipotesi eziologicamente alternative (diagnostica
differenziale): al fine di giungere ad una ipotesi diagnostica che
necessariamente si basa su gradi di probabilità diversi.
PRATICAMENTE…
Accurata raccolta anamnestica finalizzata ad evidenziare e ricostruire
cronologicamente eventuali esposizioni e durata delle stesse al fine di definire
la latenza tra inizio dell’esposizione e insorgenza dell’effetto.
Valutazione clinica: esame obiettivo.
Valutazione strumentale: esecuzione di esami diagnostici (RX, TAC HR, RMN,
prove di funzionalità respiratoria) con refertazione standardizzata mediante
utilizzo della Classificazione ILO (Ufficio Internazionale del Lavoro) su esami
radiografici in proiezione antero-posteriore (concentrazione opacità,
diffusione, forma e dimensioni).
Valutazione laboratoristica: esecuzione di prelievi bioptici/citologici volti alla
ricerca di indicatori di esposizione (fibre di amianto e corpuscoli nell’escreato,
nel liquido di lavaggio bronchiale e campioni tissutali).
Valutazione istopatologica: approfondimento microscopico utile alla
conferma diagnostica.
Valutazione immunoistochimica: mediante utilizzo di markers specifici per
ciascuna neoplasia, al fine di evidenziare analogie e differenze utili a
confermare/escludere la diagnosi originariamente posta.
Nel caso di Paziente non più in vita, come spesso accade, si procede ad
una quanto più accurata ricostruzione storico-anamnestica (libretto
sanitario aziendale, cartelle cliniche di precedenti ricoveri, referti di
esami, verbali autoptici) e al recupero di tutti i dati e campioni biologici
utili ad una conferma/esclusione della diagnosi originariamente posta
in essere, che talora può essere ripetuta alla luce dei progressi
scientifici attuali.
Analogamente si procederà ad una ricostruzione dell’anamnesi
lavorativa e dell’esposizione ambientale/occupazionale evidenziabile
sulla base dei documenti a disposizione.
E’ ovviamente necessario avere consapevolezza dei limiti di tale
approccio e dell’impossibilità di sottoporre a valutazione diretta il
Paziente, o di raccogliere ulteriori informazioni dalla sua viva voce.
Nonostante gli indubbi progressi nell’approccio e nelle tecniche
scientifiche utili alla diagnosi/conferma diagnostica delle patologie
correlate ad amianto in alcuni casi la diagnosi non può essere
posta/confermata con assoluta certezza, ma solo prospettata in
termini probabilistici (Probability of Causation).
CRITERI DIAGNOSTICI
Nel 1997 a Helsinki 19 esperti multidisciplinari provenienti
da 8 Paesi non produttori di amianto, autori
complessivamente di circa 1000 pubblicazioni cumulative
sull’argomento, esaminato l’intero corpo di documentazione
disponibile, giunse alla pubblicazione di conclusioni e
raccomandazioni sotto forma di Consensus Report –
principale
riferimento
disponibile
sull’argomento,
successivamente aggiornato nel 2015 dopo analogo consesso
tenutosi nel 2014 sempre in Helsinki.
Si segnala altresì che per le malattie NON neoplastiche la
American Thoracic Society ha formulato nel 2004 una serie di
criteri diagnostici utili quale linea guida nella valutazione di
casi consimili.
PLACCHE PLEURICHE
Diagnosi:
-Valutazione clinica (ove possibile);
-Valutazione strumentale: RX torace (antero-posteriore, latero-laterale
o obliqua), TAC;
-Valutazione istopatologica: su campioni provenienti da biopsia o
autopsia.
Si sottolinea che la sola variabile realmente correlata alla
manifestazione clinica è rappresetata dal tempo intercorso dalla prima
esposizione, manifestazione non correlata ad affetti di dosedipendenza che può insorgere anche per esposizioni a concentrazioni
estremamente basse di amianto (anche ambientali).
ASBESTOSI
Diagnosi:
-Valutazione clinica (ove possibile);
-Valutazione strumentale: evidenza di patologia alla
valutazione RX e/o TAC secondo criteri ILO;
-Valutazione istopatologica: evidenza di corpuscoli
dell’asbesto, fibre libere di asbesto o placche pleuriche
quali indicatori di pregressa esposizione;
-Diagnosi differenziale: esclusione di qualsiasi altra causa
di pneumopatia cronica di tipo ostruttivo/restrittivo.
TUMORI POLMONARI
Diagnosi:
-Anamnesi: evidenza di almeno 1 anno di esposizione elevata (manifattura di prodotti a base di
amianto) o almeno 5-10 anni di esposizione moderata (costruzione di edifici, industria navale);
-Anamnesi: evidenza di una esposizione cumulativa pari all’incirca a 25 fibre/anno (1 anno a 25 fibre/cc
o 25 anni a 1 fibra/cc);
-Anamnesi: eventuale presenza di asbestosi indicativa di pregressa esposizione a concentrazioni elevate
di amianto (conclusione non possibile per le placche pleuriche);
-Valutazione strumentale: RX torace (antero-posteriore, latero-laterale o obliqua), TAC;
-Valutazione istopatologica: su campioni provenienti da biopsia o autopsia (con concentrazioni
prestabilite di fibre di data dimensione per grammo di tessuto secco, o concentrazioni prestabilite di
corpuscoli dell’asbesto per grammo di tessuto secco o per millilitro di lavaggio bronco-alveolare);
-Latenza: minima di 10 anni.
Resta inteso che alla luce dell’elevata incidenza della neoplasia polmonare nella popolazione generale
e all’eziologia multifattoriale della stessa, in nessun caso è possibile attribuire in modo certo
all’esposizione ad amianto la neoplasia osservata nel singolo Paziente: l’attribuzione può essere
realizzata solo in base ad un criterio di probabilità, anche in presenza di fibre di amianto.
In caso di livelli di esposizione molto bassi il rischio di tumore è talmente basso da essere di fatto non
evidenziabile, nè misurabile (Helsinki, 1997).
MESOTELIOMA
Diagnosi: nel caso del mesotelioma la diagnosi non è mai facile, non di rado sono
infatti poste diagnosi falsamente positive o falsamente negative, ovvero quadri
istopatologici incerti.
-Criteri anamnestici utilizzati per le neoplasie polmonari (anamnesi
occupazionale/ambientale su esposizione, corpuscoli dell’asbesto);
-Valutazione clinica (ove possibile);
-Valutazione strumentale: mediante RX torace o TAC;
-Valutazione istopatologica/citologica: su eventuali prelievi bioptici o sul versamento
pleurico generalmente consensuale alla patologia;
-Valutazione immunositochimica: makers utili alla identificazione dei diversi istotipi di
tumore polmonare e/o mesotelioma e alla loro differenziazione, pur non essendo del
tutto specifici (utilizzo di almeno 2 markers positivi e 2 markers negativi – Helsinki,
2015);
-Latenza: minima di 10 anni con media pari a 30-40 anni.
Anche in casi di mesotelioma insorto in soggetti con
indicatori di esposizione contenuti nei limiti
evidenziati nella popolazione generale potrebbero
essere attribuiti ad esposizione ad amianto alla luce
della capacità di questo silicato di causare insorgenza
del mesotelioma anche per esposizioni a
concentrazioni molto piccole quali quelle presenti
nell’ambiente di vita (Helsinki, 1997).
In questi casi risulterebbe tuttavia arduo distinguere
tra eziopatogenesi ambientale e occupazionale.
VALUTAZIONE DELL’ESPOSIZIONE
La definizione dei livelli di esposizione rappresenta un punto cardine nella
diagnosi di tutte le malattie tossiche e risulta indispensabile per l’attribuzione
di un determinato effetto ad una specifica esposizione.
Purtroppo nella valutazione retrospettiva di singoli casi non sempre è
possibile reperire documentazione adeguata a definire i livelli di esposizione
ad amianto in un dato periodo (dati non sempre raccolti e criteri per la misura
dell’esposizione definiti in tempi recenti).
Quando i livelli di esposizione non sono misurati essi possono essere
stimati, per analogia, prendendo come riferimento i livelli di esposizione
misurati in scenari di esposizione analoghi e tenendo presente che l’entità
dell’esposizione subita è rappresentata da 2 diverse variabili: l’INTENSITA’
(concentrazione di fibre nell’aria) e la DURATA (tempo di esposizione
quotidiana).
CONCLUSIONI
Tutto ciò premesso obiettivo centrale della metodologia sin qui
delineata risulta la rigorosa e puntuale valutazione del singolo
caso al fine di fornire al Committente un elaborato che racchiuda
gli elementi utili ai fini del giudizio in sede:
Penalistica: delitto di lesione personale o omicidio colposo.
Civilistica: individuazione di eventuali profili di colpa forieri di
danno non patrimoniale risarcibile.
Previdenziale: utile all’attribuzione di prestazioni economiche
e/o assistenziali a seguito di riconoscimento di malattia
professionale o invalidità civile.
NESSO CAUSALE
Nel caso di patologie neoplastiche (a genesi multifattoriale in base a fattori
predisponenti sia intrinseci che estrinseci) e nelle quali l’esposizione al fattore
causale (amianto) risulta essere occupazionale e/o ambientale (peraltro non
sempre puntualmente ricostruibile), la certezza valutativa si ha unicamente
in casi in cui vengano mutualmente escluse diagnosi ed esposizione allo
stesso fattore causale noto.
In tutti gli altri casi, nell’impossibilità di un giudizio definitivo e assoluto di
certezza o di diniego relativamente all’attribuzione del nesso di causa, alla
luce dei dati scientifici ed ambientali propri del singolo caso, ci esprimeremo
unicamente in termini di mera possibilità, probabilità o elevata probabilità.
L’applicazione della cosiddetta Teoria delle Probabilità delle Cause non
rappresenta affatto una lacuna intellettuale/scientifica, ma il solo modo per
fornire al Committente (Giudice, Pubblico Ministero o altro) tutti gli
elementi utili alla definizione del caso – nel rigoroso rispetto del metodo
medico-legale.
NEL CONTESTO CONDOMINIALE
 La presenza di componenti inerti contenenti asbesto-amianto non risulta
avere valenza patogenetica in assenza di una frammentazione utile alla
genesi di particelle/fibre eventualmente inalabili.
 Edifici costruiti successivamente all’entrata in vigore della Legge 257/92
non dovrebbero includere manufatti contenenti cemento-amianto allo
stato inerte.
 Analoghe considerazioni riguardano non soltanto elementi strutturali,
bensì possono essere opportunamente estese all’impiantistica (idraulica,
elettrica) in considerazione dei molteplici usi e delle significative
caratteristiche proprie dei manufatti in cemento/amianto (isolamento,
asetticità, non infiammabilità).
 Anche per edifici costruiti precedentemente al 1992 la concentrazione di
fibre in caso di esposizione ambientale quotidiana risulta assolutamente al
di sotto dei limiti normativi, anche in considerazione dei controlli
ambientali dedicati.
CONSIGLI UTILI
 In caso di opere di rinnovamento, ivi compresi lavori di impiantistica
idraulica e/o elettrica, specie per edifici costruiti precedentemente
al 1992, rispettare fedelmente la normativa vigente affidando i
lavori ad imprese certificate e conservando puntuale
documentazione cartacea rispetto a quanto effettuato.
 Mantenere puntuale ricostruzione storica in formato
cartaceo/multimediale su quanto effettivamente eseguito negli
anni, in quale ambito, da chi e a quale scopo, unitamente alle
relative certificazioni di conformità dei lavori e delle opere
effettivamente eseguite.
 A titolo personale conservare puntuale documentazione medica,
anche strumentale, utile ad eventuale ricostruzione della storia
clinica personale e dell’eventuale pregressa esposizione (anche
occupazionale) ad amianto.
 Promuovere formazione/informazione relativa ai
rischi correlati all’esposizione a manufatti contenenti
asbesto/amianto al fine di una maggiore
consapevolezza della natura e dell’entità del
problema.
 Affidarsi ad esperti del settore con competenze
epidemiologiche, medico-legali e di igiene al fine di
individuare eventuali criticità relative al singolo caso
specifico.