Psicosi e Post-razionalismo (Roma 2014) Pasquale Parise, IPRA, In the 6th edition of Psychiatrie of 1899, Kraepelin reordered the psychiatric universe for the next century by grouping most of the insanities into two large categories, dementia precox and manic-depresive illness. They were distinguished by the following characteristics: (1) dementia praecox was primarily a disorder of intellectual functioning, manic-depressive illness was primarily a disorder of affects or mood (2) dementia praecox had a uniformly deteriorating course and a poor prognosis, manic-depressive insanity had a course of acute exacerbations followed by complete remissions with no lasting deterioration of intellectual functioning (3) there were no recoveries from dememtia praecox, whereas in manic-depressive illness there were many complete recoveries Classificazione Kraepeliniana Dementia Praecox (1899 VI ediz.) Ebefrenia di Hecker Catatonia di Kahlbaum Demenza paranoide di Morel Psicosi Maniaco-Depressiva Criteri Classificatori Kraepeliniani Raggruppamento di sintomi Decorso della psicopatologia Predittività prognostica (outcome) Limiti del modello kraepeliniano Non era frequente una distinzione così evidente tra forma clinica ed evoluzione della malattia La periodicità del decorso era considerata una caratteristica generale della malattia mentale Numerose osservazioni cliniche contrastarono fin dall’inizio la rigida divisione binaria delle psicosi “..sta diventando sempre più chiaro che non possiamo fare una soddisfacente distinzione tra queste due malattie, e questo ci fa nascere il sospetto che la nostra formulazione del concetto possa essere scorretta” (E.Kraepelin, 1920) La Paranoia La paranoia la possiamo considerare concettualmente un tentativo di spostare il fulcro del paradigma psichiatrico di fine ‘800 dalla nozione di processo destinato inevitabilmente alla defettualità del deterioramento (caratterizzato dalla inesorabilità degli aspetti demenziali della follia, che si poteva ritrovare nella concezione unicista di Griesinger, in quella della degenerazione di Magnan, ancora più esplicita nella demenzia praecox di Kraepelin fino ad arrivare, per alcuni aspetti, al concetto inderivabilità del delirio primario di Jaspers) a quella di sviluppo (reazione) comprensibile sulla base delle caratteristiche di personalità. La Paranoia Kraepelin nell’edizione del trattato del 1899 cercò di delimitarne in maniera drastica i confini, distinguendola dalle forme paranoidi e definendola come “un sistema delirante durevole, immutabile, che suole svilupparsi molto lentamente accanto ad una totale conservazione della chiarezza e dell’ordine nel pensiero, nel volere e nell’azione” La paranoia kraepeliniana era caratterizzata sostanziamente dalla produzione di un delirio interpretativo lucido, con le caratteristiche della plausibilità, sostenuto da una struttura logica forte, sistematica, sostanzialmente senza aspetti allucinatori e, soprattutto, che non andava incontro a deterioramento. Questa concezione veniva fatta risalire a delle forme deliranti descritte qualche decennio prima (negli anni 60 da due psichiatri tedeschi, Snell e Sander) che esordivano “a freddo”, senza cioè quegli elementi passionali e affetivi che erano stati descritti come prodromici nella concezione unicista della follia da Griesinger La paranoia rappresentava infatti un ottimo argomento di discussione non solo per definire l’origine primariamente affettiva o intellettuale delle esperienze deliranti, ma anche per riflettere sull’antinomia del delirio come sviluppo di personalità, “destino fatale di una costituzione”, e quindi con una sua comprensibilità, oppure delirio come processo morboso, momento di rottura di una biografia, stravolgimento di significati in una costituzione di personalità La concezione kraepeliniana rivede il paradigma della paranoia definendola come una forma di alterazione della ragione (concezione intellettualistica) non così grave da involvere verso il deterioramento, caratterizzata da una forte coerenza narrativa, e in cui, soprattutto, non c’è il dissolvimento di una temporalità narrativa; esiste cioè una possibilità di una evoluzione biografica: la temporalità del delirio rimane nell’ambito della temporalità della vita. Il Delirio di interpretazione di Serieaux e Capgras In quegli stessi anni, in maniera simile alla Paranoia di Kraepelin, viene descritto il Delirio di interpretazione da due psichiatri francesi, Serieux e Capgras (1909), che seppure sembrano riferirsi agli stessi malati, dal punto di vista del “meccanismo generatore” iniziano a introdurre il concetto della follia non più come demenza, ma come squilibrio delle funzioni psichiche. Il Delirio di interpretazione di Serieaux e Capgras Nel delirio paranoico infatti loro sottolineano l’iperrazionalità, una vera “ossessione di causalità” di un intelletto che si mostra svincolato da quell’ equilibrio che dovrebbe tenere insieme le varie facoltè psichiche. Questo evidentemente rappresentava un superamento dell’ottica demenzialista della follia Il Delirio di interpretazione di Serieaux e Capgras Altra importante distinzione del Delirio di interpretazione dei francesi riguarda la concezione della temporalità, che per loro diventa una temporalità “figèe”, non più evolutiva, cristalizzata in una ripetizione infinita dello stesso meccanismo delirante. Per loro “il delirio si espande ma non evolve”. Il delirante attraverso la reiterazione dello stesso meccanismo morboso, tende a ripetere lo stesso tema (persecuzione, gelosia, erotomania...) all’infinito, determinando il congelamento di una biografia. Per loro il meccanismo delirante funziona come uno stampo industriale che traduce ogni volta nella stessa forma la “tranche” di vita della costruzione delirante che sta edificando. Il tempo del delirio é come il presente eterno dell’inferno dantesco, il tempo dove tutto é già accaduto Del Pistoia, 2008 Allor surse a la vista scoperchiata un'ombra, lungo questa, infino al mento: credo che s'era in ginocchie levata. Dintorno mi guardò, come talento avesse di veder s'altri era meco; e poi che 'l sospecciar fu tutto spento, piangendo disse: "Se per questo cieco carcere vai per altezza d'ingegno, mio figlio ov'è? e perché non è teco?". E io a lui: "Da me stesso non vegno: colui ch'attende là, per qui mi mena forse cui Guido vostro ebbe a disdegno". Le sue parole e 'l modo de la pena m'avean di costui già letto il nome; però fu la risposta così piena. Di subito drizzato gridò: "Come? dicesti "elli ebbe"? non viv'elli ancora? non fiere li occhi suoi lo dolce lume?". Quando s'accorse d'alcuna dimora ch'io facea dinanzi a la risposta, supin ricadde e più non parve fora. "Deh, se riposi mai vostra semenza", prega' io lui, "solvetemi quel nodo che qui ha 'nviluppata mia sentenza. El par che voi veggiate, se ben odo, dinanzi quel che 'l tempo seco adduce, e nel presente tenete altro modo". "Noi veggiam, come quei c'ha mala luce, le cose", disse, "che ne son lontano; cotanto ancor ne splende il sommo duce. Quando s'appressano o son, tutto è vano nostro intelletto; e s'altri non ci apporta, nulla sapem di vostro stato umano. Però comprender puoi che tutta morta fia nostra conoscenza da quel punto che del futuro fia chiusa la porta". Questa distinzione, tra Paranoia di Kraepelin e Dellirio d’interpretazione di Serieaux e Capgras, sottolinea una importante differenza di paradigma tra una concezione ottocentesca del delirio, caratterizzata da una cifra sostanzialmente contenutistica (temi e loro evoluzione nel tempo) e una concezione del nuovo secolo, interessata maggiormente ai meccanismi generatori del delirio, e alla struttura psicopatologica dell’esperienza delirante Paranoia come sviluppi di personalità Psicosi passionali di de Clerambault Costituzione paranoica dei francesi Il Beziehungswahn di Kretschmer Gli sviluppi di personalità di Jaspers Paranoia come sviluppi di personalità Conferimento al delirio di un significato “comprensibile” (inteso quindi come ‘reazione paranoide’ ad un evento) Continuità tra delirio e stile di personalità Ottimismo della prognosi Paranoia e Ipocondria Interessante risulta essere l’accostamento tra paranoia e ipocondria, caro ad una certa tradizione fenomenologica, dove si possono individuare due tratti psicopatologici distintivi comuni: l’argomentare (caratterizzato dalla continua ricerca dell’accreditamento sociale del proprio delirio) e il vissuto del corpo opaco (ogni segno della corporeità dell’ Altro é caratterizzato dalla polisemia, nel senso che può essere espunto dal contesto di appartenenza e reinterpretato in termini autoreferenziali) Del Pistoia Paranoia e Ipocondria In questo senso l’ipocondriaco può essere considerato il geloso, l’erotomane, il querulomane del proprio corpo (Tatossian). Il corpo diventa un oggetto destorificato e deanimato, centro di costanti attenzioni e continua fonte di preoccupazioni, di cui si rivendica un possesso sempre sul filo del tormento e della sofferenza da un lato, e della esibizione e del compiacimento dall’altro Dopo Kraepelin il concetto di “demenzia praecox”, sempre contrapposto alla psicosi maniaco-depressiva, venne affrontato e ridefinito da Eugen Bleuler che introdusse il termine di “schizofrenia”. “Quando Eugen Bleuler ha introdotto il termine di schizofrenia, sostituendolo a quello di dementia praecox, ha spostato radicalmente e vertiginosamente l'asse della conoscenza e della denominazione della forma morbosa dal piano di una esperienza psicotica, che si riconosca e si costituisca utilizzando criteri clinici, a una esperienza psicotica che si abbia a definire e a diagnosticare mediante criteri non clinici (comportamentali ed esteriori) ma, appunto, psicopatologici (interiori e immedesimativi).” (E. Borgna) Le Schizofrenie di Bleuler Sottolineava gli aspetti psicologici del disturbo Modello teoretico-patogenetico Gruppo di sintomi descrittivo Sintomi fondamentali Sintomi accessori Gruppo di sintomi eziopatogenetico Sintomi primari Sintomi secondari Le Schizofrenie di Bleuler Sintomi fondamentali Autismo Ambivalenza Alterazioni delle Associazioni Alterazione dell’Affettività Sintomi accessori Deliri Allucinazioni Comportamenti catatonici Disturbi del comportamento Sintomi primari: alterazioni delle associazioni (spaltung e allentamento dei nessi associativi) Sintomi secondari: tutti gli altri Il concetto di Autismo “Chiamiamo autismo il distacco dalla realtà e la predominanza della vita interiore… Gli schizofrenici gravi non hanno più alcun rapporto col mondo esterno, vivono in un mondo a sé; se ne stanno con i loro desideri, che ritengono appagati, o con la sofferenza della propria persecuzione; limitano al massimo i contatti col mondo.” E. Bleuler , 1911 Il concetto di Autismo Minkowski (1926) parla di perdita del “contatto vitale con la realtà” e di quel radicamento abituale al mondo intersoggettivo della vita che determina la “presunzione che l’esperienza continui costantemente nel medesimo stile costitutivo” (Husserl). L’accordo e la sintonia col mondo della vita non riguarda la conoscenza razionale delle cose, ma il presupposto ontologico della costituzione del mondo, quello sfondo pre-categoriale, pre-riflessivo, pre-verbale che caratterizza l’esperienza della propria ipseità. l’autismo inizia ad essere considerato come un “disturbo generatore” dell’essere schizofrenico che indica una profonda trasformazione del tessuto dell’esperienza e della possibilità di condividerla con gli altri esseri umani Il concetto di Autismo Binswanger (1963) “il concetto base usato nella comprensione di ciò che è chiamato il tessuto esistenziale dello schizofrenico è la nozione di crisi della coerenza della esperienza naturale - la sua incoerenza. L’incoerenza implica precisamente l’incapacità di “lasciare essere le cose” nell’incontro immediato con esse, in altre parole di sostare indisturbato presso le cose” Il concetto di Autismo In questo senso l’autismo non è una proprietà indipendente dalla persona ma indica una trasformazione del Sé, una trasformazione del dialogo tra il Sé e il Mondo, che implica la perdita di quel “senso comune”, quella naturalità dell’evidenza caratterizzata da una tacita condizione dell’esperienza, qualcosa di simile ad un medium o a un orizzonte nel quale l’esperienza, inclusa la riflessione esplicita e tematica, è resa possibile e prende luogo Parnas, 2002 Il concetto di Autismo Disturbo dell’intenzionalità costitutiva dell’esserci intersoggettivo, dove per “intenzionalità” intendiamo la “necessità di raggiungere, nell’interazione sociale, una comune costituzione di significato”. C. Mundt, 1985 Il concetto di Autismo Blankenburg si riferisce a quelle forme di schizofrenie paucisintomatiche, “subapofaniche”, nelle quali può essere colta l’essenza della modificazione schizofrenica in quanto non sommersa dalla produzione delirante allucinatoria. “L’evidenza dell’evidente si sottrae all’attenzione dell’essere sano nasconendosi dietro la maschera del banale, del trascurabile,e si rifiuta ostinatemente alla coscienza...nelle schizofrenie subapofaniche si perde questa caratteristica dell’evidenza...che è una qualità di fondo e di base allo stesso tempo” (Blankenburg, 1971) Le Schizofrenie di Bleuler Forma Simplex Chiusura autistica, appiattimento dell’affettività, mancanza d’interessi e d’iniziative Forma Ebefrenica Appiattimento affettivo, giovane età, dissociazione ideoaffettiva Forma Catatonica Manifestazioni catatoniche (stupor, flexibilità cerea, negativismo) Forma Paranoidea Produttività delirante, Allucinazioni K. Jaspers e la psicopatologia fenomenologica "L’oggetto della psicopatologia è l’accadere psichico reale e cosciente. Noi vogliamo sapere che cosa provano gli esseri umani nelle loro esperienze e come le vivono" Il delirio viene quindi visto non come un errore del giudizio ma come un’alterazione dell’esperienza (un’esperienza delirante primaria), caratterizzata da uno stravolgimento dei significati del mondo attraverso il meccanismo della percezione delirante (l’esperienza del delirare è contemporanea alla percezione di una trasformazione dei significati mondani) Karl Jaspers e l’incomprensibiltà dell’esperienza schizofrenica Nel 1913 Jaspers, nel suo trattato di Psicopatologia Generale introduce il concetto d’incomprensibilità dell’esperienza delirante primaria (schizofrenica) attraverso la definizione di “processo psichico”, che rappresenta tutto ciò che non si riesce ad afferrare attraverso la comprensione empatica, che non si riesce a derivare in senso storico-biografico dall’incontro col pz: paradigma della discontinuità dell’esperienza e della relazione. Per Jaspers lo schizofrenico è qualcuno da cui ci si sente separati da “un abisso che si oppone a qualsiasi descrizione” Karl Jaspers e l’esperienza delirante Introduce quindi la distinzione tra i “veri” deliri, che riguardano le esperienze deliranti primarie, e i deliroidi (wahnhafte ideen), che sono in qualche misura derivabili dalle variazione dell’umore e comprensibili nell’ambito di queste variazioni. Karl Jaspers e l’esperienza delirante "Diamo il nome di vere idee deliranti solamente a quelle idee deliranti che hanno la radice in una esperienza patologica primaria...mentre chiamiamo idee deliroidi quelle che sorgono, comprensibilmente...e che possono quindi psicologicamente essere derivate dalle emozioni, dalle pulsioni, dai desideri e dalle paure" Jaspers, 1913 Karl Jaspers e l’esperienza delirante Le convinzioni deliranti derivano da esperienze deliranti, a partire dalle quali il paziente costruisce un sistema delirante “che nella sua concatenazione può essere completamente comprensibile, anzi talvolta molto acuto, stringente e tale che ci diventa incomprensibile solo nelle fonti ultime dell’esperienza primaria” “L’esperienza delirante... consiste.. nello stravolgimento dei significati che assume il mondo circostante” Jaspers, 1913 Kurt Schneider e la sua psicopatologia clinica Concetto medico-scientifico, naturalistico della patologia mentale Sistema di classificazione triadico La diagnosi fondata su criteri di status e non di decorso Introduzione del concetto di sintomi di primo rango per la diagnosi di schizofrenia La distinzione, nell’ambito delle psicosi endogene, tra Dasein e Sosein Il concetto di ‘malattia’ in psichiatria per KS era supportato non tanto da obiettività patologiche del soma, quanto da una serie di peculiarità psicopatologiche: la psicosi “infrange la compiutezza, la sensatezza e la continuità di significato dello sviluppo di una vita” sono caratterizzate da sintomi psicopatologici che non hanno analogie con le esperienze psichiche non psicotiche (come i sintomi di primo rango) non sono comprensibili alla luce di particolari eventi nè motivate da questi Attraverso la ‘comprensione genetica’ si può afferrare l’esser-così (Sosein) dello psicotico, arrivando ad una buona comprensione dei temi e dei contenuti, ma rimane l’’incomprensibiltà’ degli aspetti formali del delirare, l’inaccessibilità dell’essere-con (del Dasein). La psicopatologia di K. Schneider “L’esperienza insegna che spesso vi sono grosse difficoltà nel basare una diagnosi psichiatrica su un dato psicopatologico. Non si tratta qui infatti di addizionare o combinare sintomi obiettivamente coglibili e dimostrabili, come nelle diagnosi di malattie fisiche, bensì della valutazione di affermazioni, della valorizzazione di comportamenti e di atteggiamenti dell’esaminato, e delle impressioni dell’esaminatore” K. Schneider, 1950 I Sintomi di Primo Rango “I sintomi che abbiamo posto in rilievo ai fini diagnostici sono talvolta esperienze abnormi, altre volte espressioni abnormi. Dobbiamo quindi cercare di stabilire un ordinamento per rango dei sintomi nella loro struttura ai fini della diagnosi. Si può dire, in generale, che alcune modalità abnormi dell’esperienza, riconosciute in modo inequivocabile, hanno la precedenza rispetto alle abnormità dell’espressione.” I Sintomi di Primo Rango “ Tra le numerose varianti abnormi dell’esperienza schizofrenica, ve ne sono alcune che noi chiamiamo sintomi di primo rango, non perchè li abbiamo considerati “disturbi fondamentali”, ma perchè essi hanno un’importanza e un peso tutto particolare ai fini della diagnosi. Questa valutazione si riferisce quindi solo alla diagnosi. Non dicono cioè nulla nei riguardi della teoria della schizofrenia, come invece i sintomi ‘fondamentali’ e ‘accessori’ di Bleuler “ Disturbi dei confini dell’Io I disturbi dei confini dell’Io possono essere concettualizzati secondo quattro organizzatori psicopatologici: - Perdita della meità Passività Permeabilità dei confini dell’Io Immediatezza - - Perdita della meità Questa fa riferimento alla perdita del senso di appartenenza dei propri pensieri (sentimenti, impulsi, atti di volontà), che vuol dire il pz ha la convinzione che i pensieri, sentimenti, ecc... non gli appartengano, non siano i suoi. Anche se sono localizzati nella sua mente, non sono generati da lui. Passività Questa si riferisce al senso di perdita del sentimento di attività rispetto ai propri pensieri (affetti o movimenti). L’esperienza del pz è che i pensieri, le sensazioni, i movimenti del suo corpo gli siano imposti da forze esterne (ciò viene generalmente espresso con la convinzione di “essere controllato”), e che lui deve passivamente sottomettersi a queste esperienze. Queste esperienze di passività possono essere descritte lungo un continuum che va dall’esperienze aspecifiche di influenzamento all’esperienze di completa alienazione (come nella diffusione del pensiero) Continuum della passività (Koehler, 1979) F5 Esperienze aspecifiche di influenzamento: F6 Esperienze specifiche d’influenzamento: il soggetto è certo che c’é un qualche controllo o influenza generale che é esercitata su di lui dall’esterno l’esperienza è come in F5 ma ora il soggetto ha acquisito certezza rispetto a quali aree specifiche dell’Io sono controllate da una forza esterna F7 Esperienze d’influenzamento e depersonalizzazione: si realizza una combinazione della più comune esperienza di depersonalizzazione del sé, con l’esperienza specifica d’influenzamento come in F6 F8 Esperienze di alienazione positive: come in F6 ma ora il soggetto è certo di esperire positivamente pensieri, sentimenti, ecc..che gli sono completamente alieni o estranei; questi non li riconosce come suoi ma come imposti dall’esterno (ad es: inserzione del pensiero) Continuum della passività (Koehler, 1979) F9 Esperienza di alienazione negativaattiva: come in F6 ma qui il soggetto é certo di essere consapevole “in negativo” di aver perduto i propri pensieri, sentimenti, ecc.. poichè questi gli sono stati attivamente sottratti dall’esterno (ad es: furto del pensiero) F10 Esperienze di alienazione negativapassiva: come in F6 ma il soggetto é certo di essere consapevole “in negativo” del fatto di aver perso i propri pensieri, sentimenti, ecc.. poichè questi sono stati, contro la sua volontà, in qualche modo diffusi o persi nel mondo esterno (ad es: diffusione del pensiero) Permeabilità dei confini dell’Io Si intende che tutti i disturbi dell’Io, vale a dire furto, influenzamento, diffusione del pensiero e le esperienze di passività descritte possono essere raggruppate insieme e considerate “sotto il comune angolo visuale della permeabilità della ‘barriera’ Io-Ambiente, cioè della perdita dei limiti dell’Io, della dissolvenza dei suoi contorni” (Schneider, 1950) Immediatezza Ai primi tre organizzatori della psicopatologia classica, Blankemburg ha aggiunto quello della immediatezza dell’esperienza avvertita, che rimanda al tema del preriflessivo, e quindi immediato, dell’esperienza delirante. Percezione Delirante “ Si parla di percezione delirante quando a una percezione reale viene attribuita, senza un motivo comprensibile conforme alla ragione (razionale) o al sentimento (emozionale), un significato abnorme, generalmente nel senso dell’autoriferimento. Questo significato è di tipo particolare: quasi sempre è inteso come qualcosa di importante, di profondo, di penetrante, in certo qual modo di personale, come un avvenimento, un messaggio, un’ambasciata proveniente da un altro mondo.” K. Schneider, 1950 La percezione delirante rappresenta quindi il delicato punto di equilibrio tra la sospensione dell’abituale significatività delle cose, l’incrinatura delle categorie dell’esperienza e l’improvvisa comparsa (apofania) di un contenuto tematico nuovo, autoreferenziale e idiosincrasico. Quello che qualcuno ha chiamato una “regressione tolemaica” dell’esperienza, “ In una esperienza delirante primaria è insito qualcosa che ribalta una visione del mondo, una rottura epistemologica, una crisi di paradigma...che rivoluziona il rapporto figura/sfondo. L’elemento di rottura che la percezione delirante introduce ha a che vedere con la necessità di uno iato nella propria biografia...che fratturi la contiguità tra il tema del delirio e la propria esistenza.” M. Rossi Monti, 2008 Torso arcaico d’Apollo (R.M. Rilke) Non conoscemmo il suo capo inaudito e le iridi che vi maturavano. Ma il torso tuttavia arde come un candelabro dove il suo sguardo, solo indietro volto, resta e splende. Altrimenti non potrebbe abbagliarti la curva del suo petto e lungo il rivolgere lieve dei lombi scorrere un sorriso fino a quel centro dove l'uomo genera. E questa pietra sfigurata e tozza vedresti sotto il diafano architrave delle spalle, e non scintillerebbe come pelle di belva, e non eromperebbe da ogni orlo come un astro: perché là non c'è punto che non veda te, la tua vita. Tu devi mutarla. Nella poesia di Rilke, secondo Blankenburg, si ritrovano gli aspetti formali di una percezione delirante nell’incontro con una opera d’arte. Il poeta si sente soggiogato e trasformato da quell’incontro: colui che osserva si sente all’improvviso colui che viene osservato, e dal torso origina in maniera inaspettata un imperativo categorico: “devi cambiare la tua vita!”, come improvvisa nuova certezza di sè. Si assiste quindi all’irruzione di un evento nuovo, improvviso e soggiogante sulla propria esperienza. Non è questa, si chiede Blankenburg, la struttura tipica del vissuto nella percezione delirante? Non siamo di fronte a quella condizione nella quale un significato emerge in maniera incomprensibile da un’esperienza percettiva? La differenza tra l’esperienza di Albrecht e quella del poeta sta non tanto negli aspetti formali dell’irruzione di un evento nuovo e discrepante nella biografia dell’individuo, quanto nella capacità di assimilazione dell’evento stesso da parte della persona. Nel poeta la continuità della storia di vita non viene spezzata ma l’evento rappresanta il tema di una elaborazione personale. Il torso di Apollo trova un ‘tu’ con cui entrare in dialettica. Il quadro di Albrecht non trova nessun ‘tu’ con cui confrontarsi: al contrario impone il proprio significato come un diktat. M. Rossi Monti, 2008 Schneider’s Symptom Deliri Percezione delirante Allucinazioni uditive Eco del pensiero Voci che discutono o litigano Voci che commentano le azioni del paziente Disturbi del pensiero: passività del pensiero Furto del pensiero Inserimento del pensiero Trasmissione (diffusione) del pensiero Esperienze di passività: deliri di controllo Passività Passività Passività Passività affettiva degli impulsi della volontà somatica “Non c'è una modalità astratta e impersonale in psicopatologia, ma in essa ogni forma di conoscenza è implacabilmente implicata e immersa in una circolarità ermeneutica che trascini con sè la interiorità (la soggettività) del paziente e la soggettività (la interiorità) del medico. Non c'è, dunque, possibilità di conoscenza in psicopatologia, non c'è captazione possibile degli orizzonti infiniti che fanno da sfondo ai sintomi (ai fenomeni), che possano fare a meno delle connessioni radicali con l'area sfuggente e problematica, ma essenziale, della intersoggettività. Non è possibile fare della psicopatologia, non è possibile sondare i modi di vivere e di ri-vivere (le cose e le situazioni) da parte dei pazienti se non si rinuncia a ogni atteggiamento di neutralità, di fredda e gelida scientificità, di fronte a loro, e se non ci si serve della intuizione e della immedesimazione.” (E.Borgna) SISTEMI NOSOGRAFICI ATTUALI Modestia epistemologica (caratterizzata da pretese finalità essenzialmente operative, rifiutando ogni responsabilità di carattere ontologico) Aspirazioni essenzialiste e oggettiviste (sforzi di carattere scientifico, culturale, economico per la ricerca di markers biologici, genetici, neurofisiologici della schizofrenia) Una tale nosografia descrittiva e statica ha avuto il vantaggio della massima condivisione all’interno del mondo scientifico privando però di significato e di storicità la sofferenza individuale, che viene vista in maniera impersonale, senza mostrare molto interesse per il contenuto di questa sofferenza, dove deliri e allucinazioni sono spesso visti come “rami secchi” da potare farmacologicamente Le premesse epistemologiche di una tale prospettiva sono che esista una realtà oggettiva data alla quale i tentativi di classificazione debbano tendere Dal nostro punto di vista, invece, i sintomi vanno ricondotti in un contesto storico di significato dell’individuo e la psicopatologia dovrebbe essere organizzata su costrutti generatori di senso piuttosto che di diagnosi. Da questa prospettiva il concetto d’incomprensibilità e inderivabilità dell’ esperienza delirante primaria, al centro del tentativo di sistematizzazione della psicopatologia di Jaspers, corre il rischio di rimandare all’esperienza dell’osservatore il giudizio sulla congruità e comprensibilità di un significato (che in altri termini potrebbe anche voler dire cercare una corrispondenza di significati tra osservatore e osservato). “Il sentimento di estraneità dello psichiatra corrisponde all’estraneazione del malato. Il fallimento della comprensione é in psicopatologia un criterio fondamentale. La coscienza dello psichiatra diventa, per così dire, un ‘reattivo sensibile’, ed acquisisce una specie di ipersensibilità all’incomprensibile. Questa ipersensibilità consente di isolare più facilmente l’elemento schizofrenico.” Blankenburg, 1971 In questo senso il rischio è di non cogliere che la comprensibilità riguarda non soltanto il mondo del pz ma piuttosto qualcosa che riguardi l’osservatore: il suo zelo, l’elasticità dei suoi concetti interpretativi, le sue capacità empatiche, il tempo dedicato e trascorso insieme al pz, etc. “…è difficile evitare la conclusione che una delle principali funzioni dei sistemi di classificazione fosse convincere i medici e il pubblico della complessità della follia e della conoscenza precisa e specialistica necessaria per il suo trattamento.” Mary Boyle Attualmente è ancora difficile dire in maniera definitiva cosa sia la schizofrenia e, soprattutto, se esista un’unica patologia caratterizzata da un'unità di sintomi, decorso, esito e fisiopatologia che rappresenti l’espressione prototipica della follia umana La Schizofrenia Realtà sindromica cui poter arrivare da più direzioni caratterizzata da una mutazione profonda dell’esperienza, in cui viene definitivamente persa la certezza preriflessiva nelle caratteristiche del mondo e della realtà, che determina quindi l’impossibilità a partecipare ad una prassi condivisa di senso con la perdita di quello sfondo di “evidenza naturale”, di “common sense” che ci permette di “sostare indisturbati vicino le cose” Il ‘Senso Comune’ “..la sempre presente e sempre dimenticata cornice dell’esperienza…che dà continuità storica al Sé e costituisce il flusso dell’intersoggettività” A. Tatossian Psicosi Non Schizofreniche Nelle forme di scompenso psicotico non schizofreniche è più evidente una amplificazione di temi basici di significato senza che però vengano messe in discussione le categorie attraverso le quali facciamo esperienza della realtà. In questi casi non si assiste alla completa rottura della cooperazione e del consenso nella condivisione dell’esperienza. In questi casi “il congedo dalla funzione del reale” è solo temporaneo. (G. Arciero) Esperienza e Narrazione Esistono costantemente, per ognuno di noi, due livelli dell’esperienza rappresentati dal continuo accadere della propria vita (sotto forma di un’esperienza antepredicativa e preintenzionale) e della sua riconfigurazione narrativa attraverso il linguaggio (quindi attraverso significati condivisi che ne permettano un suo riordinamento stabile). Esperienza e Narrazione La nostra ‘esperienza del vivere’ prende continuamente forma attraverso uno “sforzo di appropriazione” del senso, mediato dalla ricomposizione simbolica del linguaggio. (G. Arciero) Dalla continua dinamica circolare tra questi due livelli, cioè l’esperienza vissuta e la continua ricomposizione della propria storia, prende forma l’IDENTITA’ NARRATIVA, la cui principale funzione è quella di articolare i temi emotivi, ai quali è ancorata, e di integrare le emozioni discordanti e gli eventi inaspettati in un senso di unicità e di unitarietà. Identità Narrativa Questo implica che più efficacemente si riesce ad articolare l’esperienza, riuscendo a darle un significato ‘personalmente’ riconoscibile, più si riesce a modulare oscillazioni emotive perturbanti e integrarle in un proprio senso di continuità personale. La costituzione dell’esperienza soggetttiva: l’ipseità Da un lato abbiamo il senso dell’accadere, della discontinuità dell’accadere rappresentato dalla ipseità, legata agli avvenimenti e agli eventi emotivi, espressione dell’immediatezza situazionale e di un’esperienza pre-riflessiva dell’accadimento. L’ipseità, intesa come un mio modo di essere ‘intenzionalmente’ diretto verso questo o quello in ciascuna occasione, è caratterizzata da una coappartenenza al mondo su base ante-predicativa. La costituzione dell’esperienza soggettiva: la medesimezza Dall’altro lato abbiamo il percepire una continuità e una persistenza nella propria esperienza del vivere, il sentirsi sempre sé stesso, e questa dimensione è rappresentata dalla medesimezza, che si struttura su tratti emotivi ricorrenti e a sua volta dà forma alla propria dimensione emotiva Medesimezza Senso di continuità Permanenza nel tempo Tratti emotivi Percezione emotiva del Sé sedimentata nel tempo Ipseità • Discontinuità dell’accadere • Costanza nel tempo • Stati emotivi • Espressione dell’immediatezza situazionale L’Identità Narrativa unifica in maniera dinamica, per mezzo di una trama, gli aspetti ricorrenti del Self con il Self situazionale. Crea una continua dialettica tra i fattori che permettono all’individuo di essere certo di essere sempre sé stesso, di essere sempre la stessa persona nel tempo (medesimezza) e la variabilità, instabilità e discontinuità dell’esperienza del vivere (ipseità). Dimensione Inward Pazienti prevalentemente inward, più orientati sulla medesimezza, tenderanno a dar forma all’Identità Narrativa attraverso la sedimentazione di stati emotivi basici ricorrenti. Questo fa sì che nella costituzione della propria identità personale sia evidente (dato) il mantenimento di una trama narrativa stabile, dove le principali possibilità di regolazione emozionale sono costituite dalla modulazione dell’attivazione dell’intensità emotiva. Dimensione Inward Da ciò deriva un carattere molto più stabile nel tempo, con un senso molto più netto di demarcazione dagli altri. Questo implica un primato ontologico assegnato al Sé a spese del mondo Dimensione Outward Pazienti prevalentemente outward, più orientati sulla ipseità, saranno caratterizzati da un maggior ancoramento al Mondo/Altro nella costituzione della propria Identità Narrativa, che si costituirà soprattutto attraverso l’adesione ad un contesto esterno di riferimento: questo farà sì che stati emotivi interni possono passare inosservati o selettivamente esclusi, senza riuscire a dar forma a delle esperienze emotive corrispondenti. Dimensione Outward Il mantenimento di un senso di stabilità personale può essere dato dal cambiamento della prospettiva, del punto di vista con il quale interpretare l’evento: questo porta ad un continuo prendere il punto di vista dell’altro come modalità definitoria di sé. In questi casi la trama narrativa viene asservita al mantenimento del personaggio. Questo implica un primato ontologico assegnato al Mondo/Altro a scapito del Sé. Caso di Gabriele “..era come se quello che vedevo non corrispondesse alla realtà, cioè io vedevo gli arti ma in realtà non li avevo…pensavo che ciò che vedevo fosse tutto un’illusione, fino a pensare che la mia stessa identità fosse un’illusione…fino a pensare di poter essere un’altra persona…ad es. la mia sorellina morta 30 anni prima…” Caso di Gabriele Quando si discuteva sul tema della intrusività ‘percepita’ degli altri (sensazione di essere spiato su Internet) lui mi dice: “…mi viene in mente che lei possa pensare che questo tema ci porti all’invadenza dei miei genitori…se non avessi pensato che lei ci pensava non ci avrei pensato..” Nello stile INWARD la medesimezza orienta la costruzione del racconto di Sé nello stile OUTWARD l’identità narrativa è orientata dalla corrispondenza a frame esterni di referenza. Caratteristiche della riconfigurazione dell’esperienza negli scompensi psicotici Negli scompensi psicotici il paziente spesso perde la capacità di riconoscere come propria l’esperienza, e la sua riconfigurazione narrativa viene avvertita come un dato del livello esperenziale. È inoltre evidente la difficoltà di integrazione dell’esperienza, cioè la capacità di mantenere una narrazione sequenzialmente unica, stabile, cronologica, in cui sia rigidamente diviso l’interno dall’esterno. L’evento discrepante produrrà un’alterazione dell’articolazione emotiva che si manifesta in maniera diversa a seconda che la propria identità narrativa sia orientata verso la medesimezza (INWARD) o verso la ipseità (OUTWARD). Scompensi psicotici in INWARD ed OUTWARD INWARD OUTWARD Amplificazione dei tratti emotivi basici difficoltà di regolazione dell’attivazione emotiva dell’intensità emotiva con incremento dei processi di mantenimento Amplificazione della dipendenza dal contesto di referenza difficoltà di gestire il contesto esterno di lettura, interruzione del senso di continuità, con incapacità a riordinare la propria esperienza in una trama narrativa consistente Scompenso psicotico Inward In questi pazienti si ha un irrigidimento della trama narrativa, dove il Mondo/Altro viene stravolto (e può diventare minaccioso, persecutorio, effimero come nel delirio nihilistico dei depressi, o inattendibile come nei deliri genealogici, ma anche appassionato e ipercoinvolto come nel delirio erotomanico) in relazione al mantenimento della trama del personaggio. Scompenso psicotico Inward I cambiamenti dell’esperienza del Mondo/Altro, stravolgendo il senso del rapporto col reale, tendono a mantenere il primato ontologico alla propria dimensione esperenziale pre-riflessiva (ad es la paura nella costruzione delirante di un paranoico). In questi pazienti è generalmente mantenuta la distanza tra il proprio Sé e l’Altro (ad es. le esperienze di controllo di questi pz non hanno generalmente il carattere della perdita dei confini del Sé come nella lettura o nell’inserzione del pensiero) Scompenso psicotico Outward In questi pazienti è più caratteristica la perdita del senso di meità dei propri vissuti (nel senso della ownership intesa come senso di appartenenza dell’esperienza, e dell’agency nel senso dell’autorialità delle proprie azioni): il Mondo/Altro amplifica la propria valenza ontologica, la demarcazione tra Sé e il Mondo/Altro tende progressivamente a venire meno. I disturbi dell’esperienza, amplificando il tema del primato ontologico dell’Alterità, darebbero forma alle esperienze caratterizzate dalla perdita della meità, passività, permeabilità dei confini dell’Io. In questi pazienti lo sconvolgimento del senso di agency e di ownership è maggiore, con una maggiore evidenza dei disturbi dei confini dell’Io. Scompenso psicotico Outward E’ come se la dimensione esperenziale pre-riflessiva, disancorata dalla propria carne, fosse in balia dell’Altro/Mondo e perdesse progressivamente ogni possibilità di prospettiva sull’attribuzione di senso degli eventi.