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1. Considerazioni generali
Il mondo fisico è l’immagine fisica del mondo, creata dalle nostre esperienze e
descritta con l’aiuto di concetti che sono pure invenzioni della mente e non il mondo
reale che sfugge alla conoscenza.
La fisica ci fornisce solo immagini della realtà conformi a modelli che siamo
costretti a creare per descrivere complicati fenomeni mediante semplici leggi .
Gli aristotelici basavano la loro indagine scientifica esclusivamente sul
ragionamento teorico, sulle deduzioni logiche a partire da principi.
Ruggero Bacone (1214-1294) fu tra i primi a divulgare l’idea secondo cui
l’esperienza (cioè l’esperimento) è necessaria per la costruzione di teorie attendibili
sul comportamento della natura. Egli, pur restando legato alla tematica teologica,
alla cabala, alla pietra filosofale, è proiettato verso nuovi metodi scientifici, è aperto
alle novità e, anche se confusamente, anticipa il metodo sperimentale.
Nel Rinascimento Leonardo da Vinci (1452-1519) intuì l’importanza che
l’esperienza ha nello studio dei fenomeni fisici.
Francesco Bacone (1561-1626) sosteneva che la natura non va soltanto
“ascoltata”, ma anche “interrogata”.
2. Fasi del metodo sperimentale
Il metodo galileiano, detto metodo sperimentale, rimane alla base di ogni
scienza sperimentale e si articola nelle seguenti fasi:
• Osservazione del fenomeno: la prima tappa nell’indagine scientifica di un
fenomeno inizia con l’osservazione e la definizione del problema;
• Scelta delle grandezze fisiche, ossia delle caratteristiche misurabili del
fenomeno che siano efficaci per la sua descrizione (qualità oggettive);
• Formulazioni di ipotesi sulle relazioni delle grandezze misurabili;
• Esperimento controllato per la verifica delle ipotesi, cioè un esperimento
in cui, per quanto possibile, si dovrebbe modificare una sola variabile alla
volta;
• Formulazione della legge sperimentale: un’ipotesi, se confermata da un
esperimento ripetuto più volte e in condizioni diverse, diventa legge
sperimentale mediante un processo di generalizzazione chiamato induzione.
Il metodo sperimentale si basa, inoltre, su due presupposti fondamentali:
1. La riproducibilità dei risultati sperimentali: lo stesso insieme di condizioni
produce nel medesimo esperimento gli stessi risultati osservabili;
2. Il carattere causale della natura: le relazioni di causa ed effetto determinano
che cosa accadrà come conseguenza di certe condizioni di partenza.
Questi due principi permettono di generalizzare i risultati e di mettere in
evidenza schemi fondamentali di comportamento prevedibili. Pertanto i risultati
sperimentali, ripetutamente confermati, permettono di proporre, per induzione,
enunciati generali.
La validità di una legge sperimentale è strettamente legata al suo campo di
applicabilità. Possiamo affermare, quindi, che una legge è vera fino a prova
contraria.
Universo meccanico
3. Le teorie
Le leggi sperimentali permettono di interpretare un gran numero di dati
sperimentali e di prevedere fenomeni simili a quelli utilizzati per ottenerli.
Partendo da un insieme di leggi sperimentali e di osservazioni indipendenti,
ma aventi un comune campo di applicabilità, si arriva, mediante un
procedimento di sintesi, alla costruzione di uno schema logico che possa
inquadrare in modo unitario fatti osservati e leggi e che sia più produttivo delle
leggi e delle osservazioni da cui si è partiti.
Le leggi sperimentali vengono, in tal modo, utilizzate per la costruzione delle
teorie mediante un processo di generalizzazione.
Una teoria risulta, quindi, un insieme di principi che mettono in relazione le
grandezze fisiche descritte dalla teoria stessa. Tali principi consentono di
dedurre leggi sperimentali e previsioni di fenomeni non ancora osservati.
Analogamente alle leggi sperimentali, anche le teorie sono “provvisoriamente”
vere , in quanto non si può dimostrare la loro validità assoluta.
Se accade che una conseguenza dedotta da una teoria è in contrasto con
l’esperienza, si cerca, nel limite del possibile, di modificarla.
Le teorie
La crisi di una teoria costituisce motivo di nuovo impulso per il suo sviluppo e
comporta la formulazione di una teoria più generale, la quale spesso non distrugge
la prima, ma la comprende come caso particolare.
La teoria della meccanica classica – le cui leggi vengono usate nella vita
quotidiana, nelle scienze, nell’ingegneria, nell’astronomia, e hanno condotto alla
predizione e alla scoperta di nuovi pianeti – entrò in crisi quando i risultati
sperimentali confermarono che la velocità della luce rispetto all’etere non si
componeva con altre velocità. Questo risultato non era previsto dalle leggi della
meccanica e non si conciliava con le trasformazioni di Galileo, la cui validità era
indiscussa.
Il problema venne risolto solo con la formulazione di una nuova teoria, la
meccanica relativistica, che contiene come caso particolare la meccanica classica
le cui leggi si identificano con quelle relativistiche, se le velocità dei corpi sono
trascurabili rispetto a quella della luce
PRINCIPIO
D’INERZIA
Il cammino della scienza verso la formulazione dei principi della dinamica
ebbe una svolta con la nascita del metodo scientifico.
Fin dall’antichità scienziati e filosofi hanno ricercato le modalità e le cause del
moto di un corpo.
Aristotele considera circolare il moto dei corpi celesti e rettilineo il moto dei
corpi terrestri.
I corpi celesti sono incorruttibili, costituiti da un quinto elemento (etere o quinta
essenza) e appartengono al mondo celeste.
I corpi terrestri sono composti da terra, acqua, aria e fuoco e appartengono al
mondo sublunare.
Lo stato “naturale” dei corpi sublunari è la quiete, essendo il moto qualcosa di
temporaneo, che viene meno non appena cessa l’applicazione della forza che
lo produce.
Il principio fondamentale che regola i moti naturali è la tendenza di ciascuno
dei quattro elementi a ritornare alla propria sfera di appartenenza: verso il basso
vanno la terra e l’acqua, verso l’alto l’aria e il fuoco.
Era considerato naturale, quindi, il moto con cui un corpo si dirigeva verso il suo
“luogo naturale”, mentre il moto che lo conduceva fuori dal suo luogo naturale
era violento.
PRINCIPIO D’INERZIA
Aristotele enunciò nella Fisica la legge secondo cui un corpo si muove solo se
su di esso agisce una forza.
La teoria aristotelica fu ritenuta vera fino al Medioevo e bisogna attendere gli
studi di astronomia di Copernico (1473-1543) per assistere alla sua crisi.
Si ebbe la sua completa smentita quando Galileo (1564-1642) impose che la
scienza deve procedere secondo un metodo preciso, secondo le “sensate
esperienze e necessarie dimostrazioni”.
Galileo rilevò che, ogniqualvolta un corpo in moto perveniva alla quiete, era
sempre a causa di una qualche forza, come l’attrito, che ritardava il moto e alla
fine arrestava il corpo e, quanto più debole era la forza ritardante, tanto più
tempo occorreva perché il corpo si fermasse.
Con i suoi esperimenti sui piani inclinati dimostrò l’infondatezza della teoria
aristotelica, enunciata nella “Fisica”, preparando la strada alla formulazione del
principio di inerzia.
Galileo osservò che la velocità di una biglia di bronzo che scende lungo un
canaletto va progressivamente aumentando, mentre quella di una biglia che
risale su di esso va progressivamente diminuendo.
Facendo poi risalire la sfera lungo un altro piano, osservò che essa tendeva a
raggiungere la stessa quota di partenza anche quando l’inclinazione del secondo
piano era minore e quindi maggiore la distanza che la sfera doveva percorrere.
PRINCIPIO
D’INERZIA
La decelerazione diminuiva man mano che il secondo piano diventava meno
inclinato.
La sfera acquistava, quindi, un’accelerazione, opposta al verso del moto, che
diventava tanto più piccola quanto minore era l’inclinazione del piano.
Se il secondo piano diventava sempre meno inclinato fino ad essere orizzontale,
l’accelerazione diminuiva progressivamente fino ad annullarsi.
Intuì quindi che, in assenza assoluta di inclinazione del piano e con l’eliminazione
dell’attrito, il corpo continuerebbe a muoversi all’infinito in linea retta con velocità
costante.
PRINCIPIO
D’INERZIA
Infatti il corpo è soggetto ad una forza risultante nulla, perché il peso P e la
reazione vincolare N del piano di appoggio si fanno equilibrio.
Se non vi fosse, quindi, una forza ritardante, i corpi continuerebbero a muoversi
indefinitamente.
In conclusione la velocità non è l’effetto di una forza costante, come erroneamente
sosteneva Aristotele.
Quello che abbiamo trattato è un esperimento ideale, non verificabile
concretamente, perché occorrerebbe un piano infinito e privo d’attrito per far
proseguire la biglia, all’infinito, con moto rettilineo uniforme.
Naturalmente un corpo, se non è soggetto ad alcuna forza, oppure se è sotto
l’azione di più forze con risultante nulla, può essere anche in quiete.
Se la forza totale applicata a un punto materiale è uguale a zero, allora
esso si muove a velocità costante;
reciprocamente:
se un punto materiale si muove a velocità costante, allora la forza totale
che subisce è uguale a zero.
PRINCIPIO
D’INERZIA
Galileo chiamò inerzia questa tendenza dei corpi a mantenere il proprio stato
iniziale di moto.
Galileo non si preoccupò mai di dare l’enunciato del principio di inerzia in
forma esplicita, perciò alcuni critici affermano che tale principio non sia stato
formulato né compreso da Galileo nella sua generalità.
Anche Cartesio ammise il principio di inerzia, ma il primo preciso enunciato
come legge generale fu opera di Newton.
Cosa dire poi della sua validità rispetto ad un sistema di riferimento?
NEWTON
Newton portò a termine quella rivoluzione scientifica di cui uno dei maggiori
artefici fu proprio Galileo, il quale scoprì correttamente tutte le proprietà del moto
dei corpi, ma non svolse delle indagini per spiegare la causa dell’accelerazione.
Sarà Newton a:
 completare la descrizione matematica del mondo della natura, formulando
leggi di grande generalità, valide in tutte le situazioni in cui ci sono corpi in
movimento, salvo casi di velocità molto elevate per i quali è necessario ricorrere
alla teoria della relatività;
 formulare la teoria della gravitazione universale, in base alla quale possono
essere interpretati fenomeni molto diversi, come ad es. il moto orbitale dei pianeti
intorno al sole, il moto dei proiettili sulla superficie terrestre.
Legge della gravitazione universale
LEGGI NEWTONIANE
LA PRIMA LEGGE
Galileo aveva chiamato inerzia la naturale tendenza di un corpo a mantenere il
suo stato di quiete o di moto rettilineo uniforme (cioè a mantenere una velocità
costante).
Newton collegò tra loro il concetto di inerzia e il concetto di massa come
segue:
la massa è la misura dell’inerzia di un corpo.
Un corpo più massiccio ha più inerzia, cioè più resistenza a subire un
cambiamento nel proprio moto, di quanta ne abbia un corpo meno massiccio.
Newton riassume queste osservazioni nella sua prima legge sul moto, detta anche
principio di inerzia:
Ogni corpo non soggetto ad alcuna forza, oppure soggetto all’azione di più
forze con risultante nulla, persevera nel suo stato di quiete o di moto
rettilineo uniforme.
LEGGI NEWTONIANE
LA SECONDA LEGGE
Il secondo principio della dinamica può essere così formulato:
L’intensità dell’accelerazione di un corpo è direttamente proporzionale all’intensità della
forza non equilibrata che agisce sul corpo e inversamente proporzionale alla massa del
corpo.
La direzione e il verso dell’accelerazione sono uguali a quella della forza non equilibrata agente
sul corpo:
F=ma
In forma più generale:
Σ Fi = m a
Tale principio contiene, come caso particolare, il primo.
Infatti se per F = 0 , risulta a = 0, cioè, se la risultante delle forze agenti è nulla, il corpo
mantiene il suo stato di quiete o di moto rettilineo uniforme, essendo nulla la sua accelerazione.
Ecco perché il secondo principio viene chiamato legge fondamentale della dinamica.
Per un sistema di punti materiali la legge fondamentale viene espressa dalla seguente
equazione:
Σ Fext = M a cdm
Dove Σ Fext è la somma vettoriale di tutte le forze esterne che agiscono sul sistema; M è la
massa totale del sistema considerato chiuso; a cdm è l’accelerazione del centro di massa.
LEGGI NEWTONIANE
LA SECONDA LEGGE E LA QUANTITA’ DI MOTO
Originariamente, Newton espresse la sua seconda legge in termini di quantità di
moto o momento lineare. Ricordando, infatti, che la quantità di moto di un corpo è il
vettore p definito come:
p=mv
dove m è la massa del corpo e v la sua velocità .
Da F = m a , essendo a = Δ v /Δ t segue F = m Δv / Δ t quindi F = Δ p / Δt
(dove m è considerata costante e F è la forza media che agisce sul corpo
nell’intervallo Δt).
Risulta, dunque, che le relazioni:
F =ma
F = Δ p / Δt
sono espressioni perfettamente equivalenti della seconda legge di Newton che può
essere così espressa:
la forza esterna non equilibrata che agisce su un corpo è uguale alla rapidità di
variazione nel tempo della quantità di moto del corpo.
LEGGI NEWTONIANE
La seconda legge e la quantità di moto
Se la forza agente sul corpo è nulla il vettore quantità di moto si conserva, cioè:
se
F = 0 allora
F =Δ p / Δt = 0
ovvero
Δ p = 0 = p - p0
da cui:
p = p0
(dove p0 è la quantità di moto iniziale e p la quantità di moto finale)
e
m v = m vo
Il risultato è in accordo con la prima legge di Newton: un corpo resta in quiete ( p = 0)
o in moto rettilineo uniforme (p costante), se su di esso non agisce una forza esterna.
Estendendo le suddette considerazioni a un sistema di n punti materiali, ciascuno con
una propria massa, velocità e quantità di moto, interagenti tra di loro ed,
eventualmente, soggetti all’azione di forze esterne, si ottiene per la quantità di
moto:
P = Σ pi = Σ mi vi = M v cdm
cioè la quantità di moto di un sistema di particelle è uguale al prodotto della
massa totale M del sistema per la velocità del centro di massa del sistema.
Dividendo per Δt si ha:
ΔP / Δt = M (Δ v cdm / Δt) =M a cdm
LEGGI NEWTONIANE
La seconda legge e la quantità di moto
Che ci porta a esprimere la seconda legge di Newton per un sistema di punti
materiali nella forma:
Σ Fext = ΔP / Δt
Se Σ Fext = 0, si ha ΔP / Δt = 0 e quindi ancora la condizione:
P = P0
nota come legge di conservazione della quantità di moto:
la quantità di moto totale di un sistema si conserva se sul sistema non
agisce alcuna forza esterna non equilibrata.
LEGGI NEWTONIANE
LA TERZA LEGGE
Ogni forza che agisce su un corpo ha origine dalla presenza di altri corpi.
Pertanto una singola forza è solo un aspetto della mutua interazione tra due o più
corpi.
Infatti se un corpo A esercita una forza su un corpo B, anche B, a sua volta,
esercita una forza su A.
Le due forze hanno la stessa intensità e direzione e versi opposti.
Tuttavia azione e reazione non si equilibrano, perché sono applicate a due corpi
distinti.
F di A su B = – F di B su A
A ogni azione corrisponde un’azione uguale e contraria.
Il terzo principio, detto anche principio di azione e reazione, ha una validità
generale, in quanto è applicabile a qualsiasi interazione, anche in mancanza di
forze di contatto, come nel caso dell’interazione gravitazionale e dell’interazione
elettrica.
LEGGI NEWTONIANE
LEGGE DELLA GRAVITAZIONE UNIVERSALE
Newton, intorno al 1670, formulò la prima teoria scientifica sulla gravitazione.
Per la prima volta una semplice teoria riuscì a spiegare come i corpi cadano sulla
superficie terrestre e come i pianeti si muovano intorno al sole ed i satelliti intorno
ai pianeti. Newton paragonò la forza necessaria a mantenere la luna nella sua
orbita a quella di gravità della superficie terrestre. Ipotizzò che tutti i corpi si
attraggono fra loro con una forza gravitazionale, che ha carattere di universalità.
La legge fisica che descrive il moto dei corpi che cadono sulla superficie del
nostro pianeta è la stessa che descrive il moto della luna attorno alla terra e dei
pianeti attorno al sole.
Questa unificazione, per noi ovvia, se rapportata ai tempi di Newton, fu una vera e
propria rivoluzione.
L’umanità era venuta in possesso di uno schema, uno strumento matematico,
con il quale poter descrivere il “funzionamento” dinamico dell’universo.
Nasceva così anche la cosmologia, la possibilità, cioè, di studiare come
“funziona” l’universo nel suo insieme.
LEGGI NEWTONIANE
LEGGE DELLA GRAVITAZIONE UNIVERSALE
Keplero, prima di Newton, studiando il moto dei pianeti, aveva formulato tre leggi
che ne governavano il moto. Si trattava di leggi empiriche, dedotte
dall’osservazione, mancava una legge unica che spiegasse il comportamento dei
pianeti.
Newton scoprì che l’accelerazione centripeta necessaria a far sì che il pianeta
orbiti intorno al Sole è data da una forza attrattiva fra quest’ultimo e il pianeta
stesso. Tenendo presente la sua terza legge, comprese anche che il pianeta
esercita una forza di uguale intensità e direzione, ma di verso contrario sul Sole.
Questa simmetria indica che la forza deve dipendere nello stesso modo dalle due
masse.
La teoria di Newton mostra, inoltre, che la stessa forza di attrazione gravitazionale
agente tra pianeta e Sole causa l’accelerazione centripeta della Luna verso la Terra
e la caduta degli oggetti sulla Terra.
Newton, ritenendo che la forza di gravità fosse una forza fondamentale e
universale, generalizzò i risultati ottenuti nella sua legge di gravitazione
universale:
LEGGI NEWTONIANE
LEGGE DELLA GRAVITAZIONE UNIVERSALE
Tra due punti materiali di massa inerziale m1 e m2, posti ad una distanza r,
si esercita una forza attrattiva che agisce lungo la congiungente i due punti
materiali ed ha modulo:
F = G m1 m2
r2
r
●---------------------------------------●
m1
m2
dove G = 6,672 x 10-11 N m2 /kg2 è la costante di gravitazione universale, è
una quantità che ha sempre lo stesso valore per tutti i corpi, indipendentemente
dalla loro massa e dal luogo in cui si trovano ed è calcolato sperimentalmente. Il
suo valore, inizialmente determinato da Newton, venne calcolato in modo più
preciso nel 1798 da Henry Cavendish con un dispositivo chiamato Bilancia di
Cavendish (bilancia di torsione).
LEGGI NEWTONIANE
LEGGE DELLA GRAVITAZIONE UNIVERSALE
La forza di gravità è una forza centrale, in quanto è diretta lungo la
congiungente le due masse puntiformi. La sua intensità dipende dalle masse
inerziali dei corpi e dalla distanza a cui si trovano. Diminuisce rapidamente
all’aumentare della distanza, per questa ragione sentiamo molto l’attrazione
gravitazionale dei corpi vicini (come la Terra) e pochissimo quella dei corpi lontani
(le Stelle). E’ tanto più grande quanto più grande sono le masse in gioco.
I corpi si attraggono in modo direttamente proporzionale al prodotto delle
masse e inversamente proporzionale al quadrato delle distanze.
Le forze di gravitazione tra due punti materiali costituiscono allo stesso tempo
azione e reazione, hanno uguale intensità, stessa direzione e verso opposto.
La massa che compare nell’equazione gravitazionale è chiamata massa
gravitazionale, mentre quella della seconda legge di Newton massa inerziale.
La massa gravitazionale mg è la grandezza fisica che descrive l’intensità con cui un
corpo attira altri corpi o è attirato da essi.
La massa gravitazionale è ognuna delle due masse presenti nella legge di
gravitazione universale di Newton che può essere espressa come segue :
mg1 mg2
F = G .
r²
LEGGI NEWTONIANE
LEGGE DI GRAVITAZIONE UNIVERSALE
La massa inerziale esprime la “materialità” dei corpi, la resistenza che ogni corpo
oppone quando lo si vuole mettere in movimento, quando lo si vuole accelerare.
L’inerzia è una proprietà fondamentale della materia ed è la tendenza che tutti i
corpi hanno a muoversi a velocità costante in intensità, direzione e verso se su di
essi non si esercita nessuna forza (dal primo principio della dinamica o principio di
inerzia).
La massa inerziale è, quindi, la misura dell’inerzia al moto di un corpo, cioè la
sua attitudine ad opporsi a variazioni del proprio stato di quiete o di moto.
E’ stato sperimentalmente provato da Eötvös che la massa gravitazionale di un
corpo coincide con la sua massa inerziale.
Di conseguenza il valore della massa di un corpo da inserire nell’equazione della
forza gravitazionale è lo stesso che si usa nella seconda legge di Newton F = m a.
Inerzia e gravitazione sono due fenomeni fisici diversi e sono caratterizzati da due
grandezze diverse, ma gli esperimenti mostrano che la massa inerziale e la massa
gravitazionale di un corpo sono sempre direttamente proporzionali tra loro e, quindi,
per queste grandezze si può scegliere la stessa unità di misura, il Kg.
Osservatori solidali con sistemi diversi descrivono lo stesso evento dal punto di
vista dei loro differenti sistemi di riferimento.
Se due sistemi di riferimento sono equivalenti e, quindi, ugualmente validi per la
descrizione degli eventi naturali, è importante sapere come passare da un sistema di
coordinate all’altro, in quanto i risultati ottenuti, in uno dei due sistemi di riferimento,
bastano per conoscere quelli ottenibili nell’altro.
Indichiamo con S e S’ due sistemi inerziali e siano:
x, y, z gli assi del riferimento cartesiano di S;
x’, y’, z’ gli assi di S’ posti paralleli a quelli di S;
inoltre S’ si muova con velocità costante V rispetto ad S e V abbia la direzione e il
verso delle x positive.
Confrontiamo le misure di tempo rilevate da due osservatori solidali con S e S’,
aventi in dotazione orologi identici, e che si trovino nell’istante iniziale nello stesso
punto, ad esempio nel punto O ≡ O’ nell’istante t = t’ = 0.
A tale proposito, l’osservatore in S distribuisce i suoi orologi sincronizzati, a
intervalli di lunghezza ℓ, lungo l’asse x, fermi rispetto a S. Allo stesso modo procede
l’osservatore in S’. Man mano che ogni orologio di S’ passa davanti a ciascuno di
quelli di S, si confronta l’ora segnata dagli orologi di S’ con quella degli orologi di S.
Limitando, comunque, la velocità v di S’ ad un valore dell’ordine di 106 cm /sec,
tipica dei satelliti, si può eseguire l’esperimento con un orologio macroscopico reale
solidale con S’.