Evoluzione - Altervista

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Evoluzione
Concetto di specie
È la più diffusa, usata in zoologia. Dalla
definizione di Dobzhansky e Mayr, la specie
è rappresentata da quegli individui che
incrociandosi tra loro generano
potenzialmente una prole illimitatamente
feconda. Ovviamente, come si amplierà più
sotto, il termine, si basa su un modello
necessariamente artificiale, e non è valido
per tutti i casi di organismi in cui sia assente
la riproduzione sessuale. In questi casi, tipici
ad esempio in microbiologia, la definizione è
più articolata, ed è reperibile su testi di
tassonomia batterica.
Il concetto di illimitatamente e
feconda è a fondamento della
classificazione artificiale attuata
dall'uomo che, come tale, lascia
aperto il campo a molte eccezioni
di ibridi interspecifici o
intergenerici sani e fecondi. È
noto a tutti che l'asino e la cavalla
generano il mulo, che è sterile;
non così però l'incrocio, ad
esempio, del grizzly con l'orso
polare, che pure continuano ad
essere considerate due specie
diverse nonostante la loro prole
sia fertile. In linea generale, il fatto
che gli ibridi nati in condizioni di
cattività siano fertili non può
essere di per sé considerata
un'evidenza invalidante della
sussistenza di due specie
separate, nel caso in cui una
barriera riproduttiva sia
effettivamente presente in natura.
Tale conclusione può essere tratta
dall'affermazione formulata da Ernst Mayr,
secondo il quale le specie animali "non si
incrociano in condizioni naturali". Ciò non
esclude dunque la possibilità che possano
farlo, e con esiti positivi, in condizioni artificiali.
Gli accoppiamenti che sono il risultato della
deliberata azione dell'uomo, così come il caso
più generale di specie che sarebbero
fisiologicamente in grado di generare prole ma
che per vari motivi non lo fanno in natura, non
possono rappresentare evidenze a sostegno di
una supposta impossibilità di elevare due
popolazioni al rango di specie separate.
L'idea dunque che specie differenti
non possano incrociarsi o che la
prole di un tale incrocio debba
essere in tutti i casi sterile
rappresenta un travisamento del
concetto di Specie biologica
formulato da Ernst Mayr nel 1942
D'altra parte, la generazione di prole
fertile come risultato dell'incrocio di
due specie rappresenta un'evidenza
della vicinanza filogenetica delle
stesse. In accordo con Mayr,
l'elemento chiave per la definizione
di una Specie biologica sarebbe
dunque la sussistenza di un
isolamento riproduttivo in natura
rispetto ad altre popolazioni,
assieme ad una coesione
riproduttiva interna alla popolazione
stessa.
La necessità dell'analisi scientifica di
gerarchizzare, categorizzare, e dividere in
unità tassonomiche il vivente non è che
uno strumento utile alla comprensione dei
fenomeni. L'evoluzione della vita è un
fenomeno senza soluzione di continuità,
dove l'unità elementare è il singolo
organismo. Questo fatto spiega la velocità
di cambiamento delle classificazioni di
alcuni gruppi, in fattispecie ai livelli più
bassi della scala evolutiva, dove il concetto
di specie è necessariamente più fluido, in
particolare in assenza di riproduzione
sessuale.
Nonostante la singolarità indubbia
dell'individuo biologico, al di là di ogni
teoria, si definisce speciazione, o
evoluzione di una nuova specie il
fenomeno per cui una popolazione
diventa riproduttivamente isolata dagli
altri membri della stessa specie, e
quindi il suo pool genico (l’insieme degli
alleli di tutti i geni presenti in una
popolazione) si diversifica a tal punto
da generare caratteristiche adattative
uniche. Teorie evolutive contrapposte
(del gradualismo filetico e degli equilibri
punteggiati) che probabilmente
coesistono in natura, cercano di
definirne i meccanismi.
Lo studio delle popolazioni e delle loro condizioni di equilibrio genetico sono gli
oggetti su cui si basa la legge di Hardy-Weinberg, (dal matematico inglese G. H.
Hardy e il medico tedesco W. Weinberg) che permette di prevedere se in una
popolazione si verificheranno mutamenti evolutivi. Questi avverranno se:
intervengono mutazioni (e qui abbiamo la verifica sperimentale dell'evoluzione con il
caso della poliploidia vegetale)
intervengono migrazioni
le dimensioni numeriche sono ridotte (deriva genetica)
gli accoppiamenti non sono casuali
agisce la selezione naturale
Darwin
La teoria dell'evoluzione delle specie è un
pilastro fondamentale della biologia
moderna, sostenuta validamente
dall'osservazione sperimentale. Si basa su
prove paleontologiche, embriologiche di
comparazione anatomica e di
caratteristiche biochimiche degli
organismi.
Scientificamente possiamo dire che per
quanto ora noto la vita biologica esiste
soltanto sul pianeta Terra, terzo del
Sistema solare, adatto per temperatura,
pressione e irraggiamento
elettromagnetico alla stabilità fisicochimica delle molecole organiche che
sono alla base di tutte le forme di vita
biologica finora conosciute ed alla
contemporanea possibilità di essere
coinvolte in reazioni chimiche di
trasformazione delle stesse.
Nulla si oppone teoricamente alla vita
biologica in altre regioni dell'universo,
se fisicamente adatte.
Nulla si oppone ad un concetto più
esteso, se fondato sulle leggi fisiche,
di vita come un sistema altamente
organizzato, in grado di contrastare
l'aumento di entropia del proprio
sistema, potenzialmente in grado di
evolvere, e di riprodurre se stesso...
Nessuna osservazione sperimentale
allo stato attuale conferma per adesso
l'estensione delle teorie.
Charles Robert Darwin (Shrewsbury, 12
febbraio 1809 – Londra, 19 aprile 1882) è
stato un naturalista britannico, celebre per
aver formulato la teoria dell'evoluzione delle
specie animali e vegetali per selezione
naturale agente sulla variabilità dei caratteri
(origine delle specie), e per aver teorizzato
la discendenza di tutti i primati (uomo
compreso) da un antenato comune (origine
dell'uomo).
Pubblicò la sua teoria sull'evoluzione
delle specie nel libro L'origine delle
specie (1859), che è rimasto il suo
lavoro più noto.
Raccolse molti dei dati su cui basò la
sua teoria durante un viaggio intorno
al mondo sulla nave HMS Beagle, e in
particolare durante la sua sosta alle
Isole Galápagos.
Nel suo viaggio visitò le isole di Capo
Verde, le Isole Falkland (o Isole
Malvinas), la costa del Sud America,
le Isole Galápagos e l'Australia. Di
ritorno nel 1836, Darwin analizzò
campioni di specie animali e vegetali,
che aveva raccolto, e notò
somiglianze tra fossili e specie viventi
della stessa area geografica. In
particolare, notò che ogni isola
dell'arcipelago delle Galápagos aveva
proprie forme di tartarughe e specie di
uccelli differenti per aspetto, dieta,
eccetera, ma per altri versi simili.
Il viaggio del Beagle
Le isole Galapagos
Nella primavera del 1837 ornitologi del
British Museum informarono Darwin
che le numerose e piuttosto differenti
specie che egli aveva raccolto alle
Galápagos appartenevano tutte a un
gruppo di specie della sottofamiglia
Geospizinae, all'interno della famiglia
Fringillidae, cui appartengono anche i
comuni fringuelli. Ciò, unitamente alla
rilettura del saggio del 1798 di Thomas
Malthus sulla popolazione, innescò una
catena di pensieri che culminarono
nella teoria dell'evoluzione per
selezione naturale e sessuale. Darwin
ipotizzò che, ad esempio, le differenti
tartarughe avessero avuto origine da
un'unica specie e si fossero
diversamente adattate nelle diverse
isole.
1) La lucertola più presente è quella con la
coda intermedia
2) Gli esemplari di destra e di sinistra sono i
più presenti: la specie è destinata a
formare nuove sottospecie
3) Mentre un tempo gli esemplari a collo
corto erano i più presenti, oggi c’è un
incremento numerico di quelli a collo
lungo
Teorie
Sulla base di tali riflessioni, ed in sintonia con
i Principi di geologia di Charles Lyell e il
Saggio sui principi della popolazione di
Malthus (in cui si teorizzava il concetto di
disponibilità di risorse alimentari intesa come
limite alla numerosità delle popolazioni
animali), Darwin scrisse gli Appunti sulla
trasformazione delle specie. Ben consapevole
dell'impatto che la sua ipotesi avrebbe avuto
sul mondo scientifico, Darwin si mise ad
indagare attivamente alla ricerca di eventuali
errori, facendo esperimenti con piante e
piccioni e consultando esperti selezionatori di
diverse specie animali. Nel 1842 stese un
primo abbozzo della sua teoria, e nel 1844
iniziò a redigere un saggio di 240 pagine in
cui esponeva una versione più articolata della
sua idea originale sulla selezione naturale.
Fino al 1858 (anno in cui Darwin si sarebbe
presentato alla Linnean Society di Londra)
non smise mai di limare e perfezionare la sua
teoria.
Con la teoria evoluzionistica Darwin
dimostrò che l'evoluzione è l'elemento
comune, il filo conduttore della
diversità della vita. Secondo una
visione evolutiva della vita, i membri
dello stesso gruppo si assomigliano
perché si sono evoluti da un antenato
comune. Secondo l'opinione di Darwin,
le specie nascono mediante un
processo di “discendenza con
variazione”. Fatto ancora più
importante, nel suo trattato sull'origine
delle specie, Darwin oppose la teoria
della selezione naturale per spiegare
con quali meccanismi avviene
l'evoluzione.
La teoria evoluzionistica di Darwin si basa
su tre presupposti fondamentali:
Riproduzione: tutti gli organismi viventi si
riproducono con un ritmo tale che, in
breve tempo, il numero di individui di
ogni specie potrebbe non essere più in
equilibrio con le risorse alimentari e
l'ambiente messo loro a disposizione.
Variazioni: tra gli individui della stessa
specie esiste un'ampia variabilità dei
caratteri; ve ne sono di più lenti e di più
veloci, di più chiari e di più scuri, e così
via.
Selezione: esiste una lotta continua per la
sopravvivenza all'interno della stessa
specie e anche all'esterno. Nella lotta
sopravvivono gli individui più favoriti,
cioè quelli meglio strutturati per
giungere alle risorse naturali messe
loro a disposizione, ottenendo un
vantaggio riproduttivo sugli individui
meno adatti.
La selezione naturale
La selezione naturale avviene quando
variazioni ereditabili vengono esposte a fattori
ambientali che favoriscono il processo
riproduttivo di alcuni individui rispetto ad altri.
Egli affermò che l'evoluzione di nuove specie
deriva da un accumulo graduale di piccoli
cambiamenti. Ciascuna specie presenta una
propria serie di adattamenti, ossia di
caratteristiche che si sono evolute mediante
la selezione naturale; comprendere in che
modo gli adattamenti si sono evoluti per
selezione naturale è di estrema importanza
nello studio della vita quindi nella biologia.
La selezione naturale, concetto
introdotto da Charles Darwin nel 1859
nel libro L'origine delle specie, è il
meccanismo con cui avviene
l'evoluzione delle specie e secondo
cui, nell'ambito della diversità genetica
delle popolazioni, si ha un progressivo
(e cumulativo) aumento della
frequenza degli individui con
caratteristiche ottimali (fitness) per
l'ambiente di vita.
In riferimento alla
competizione tra
individui, Darwin
descrisse il concetto di
"lotta per l’esistenza",
che si basava
sull’osservazione che
gli organismi,
moltiplicandosi con un
ritmo troppo elevato,
producono una
progenie
quantitativamente
superiore a quella che
le limitate risorse
naturali possono
sostenere, e di
conseguenza sono
costretti a una dura
competizione per
raggiungere lo stato
adulto e riprodursi.
Gli individui di una stessa specie si differenziano l'uno dall'altro
per caratteristiche genetiche e fenotipiche. La teoria della
selezione naturale prevede che all'interno di tale variabilità,
derivante da mutazioni genetiche casuali, nel corso delle
generazioni successive al manifestarsi della mutazione,
vengano favorite ("selezionate") quelle mutazioni che portano
gli individui ad avere caratteristiche più vantaggiose in date
condizioni ambientali, determinandone, cioè, un vantaggio
adattativo (migliore adattamento) in termini di sopravvivenza e
riproduzione. Gli individui meglio adattati ad un certo habitat si
procureranno più facilmente il cibo e si accoppieranno più
facilmente degli altri individui della stessa specie che non
presentano tali caratteristiche. In altre parole, è l'ambiente a
selezionare le mutazioni secondo il criterio di vantaggiosità
sopra descritto: i geni forieri di vantaggio adattativo potranno
così essere trasmessi, attraverso la riproduzione, alle
generazioni successive e con il susseguirsi delle generazioni si
potrà avere una progressiva affermazione dei geni buoni a
discapito dei geni inutili o dannosi. La specie potrà evolversi
progressivamente grazie allo sviluppo di caratteristiche che la
renderanno meglio adattata all'ambiente, sino ad una
situazione di equilibrio tra ambiente e popolazione che
persisterà finché un cambiamento ambientale non innescherà
un nuovo fenomeno evolutivo.
I principi fondamentali su cui si basa la
selezione naturale sono:
il principio della variazione, che afferma che
tra gli individui di una popolazione esiste una
variabilità dei caratteri;
il principio dell’adattamento, secondo il quale
alcuni individui (i "più adatti" all'ambiente)
presentano caratteri che offrono un vantaggio
di sopravvivenza e di riproduzione e, di
conseguenza, i loro tratti fenotipici diventano
prevalenti nella popolazione;
il principio dell’ereditarietà, che localizza nei
geni l'origine della variabilità delle
caratteristiche fenotipiche trasmissibili ai
discendenti per mezzo della riproduzione.
Esempio di mimetismo criptico difensivo: il
camaleonte
Il concetto della selezione naturale
sviluppato da Charles Darwin nel libro
The Origin of species, pubblicato nella
sua prima edizione nel 1859, è stato
successivamente integrato con la
genetica mendeliana nel libro pubblicato
da Ronald Fisher nel 1930, The
Genetical theory of natural selection,
che è considerato uno dei più importanti
documenti della Moderna sintesi
dell’evoluzione.
Le variazioni del fenotipo all'interno di
una popolazione derivano da variazioni
del genotipo, ma possono a volte
essere influenzate dall'ambiente e dalle
interazioni gene/ambiente. Un gene per
un determinato carattere può esistere,
all’interno di una popolazione, sotto
forma di versioni diverse, denominate
alleli.
Il mimetismo
Con mimetismo si intende la capacità di ingannare per trarne un vantaggio
evolutivo, che può essere:
- nascondersi da un predatore confondendosi cromaticamente nello sfondo
ambientale (mimetismo criptico difensivo);
- nascondersi alla preda durante l'avvicinamento, confondendosi cromaticamente
nello sfondo ambientale (mimetismo criptico offensivo).
- dissuadere un predatore, imitando animali o esseri viventi o parti di animali o altri
esseri viventi che possano incutere timore per la loro nota pericolosità o che
permettano di non essere individuati (mimetismo batesiano);
- imitare un'altra specie pericolosa o disgustosa per dimezzare le predazioni. Ad
esempio le vespe imitano le api, così un predatore prederà solamente la metà degli
individui di ogni specie, anche se il numero di predazioni totali rimarrà, logicamente,
uguale (mimetismo mülleriano).
Nel caso di alcune orchidee, favorire l'impollinazione, imitando l'addome della
femmina della vespa, affinché il maschio intinga il proprio corpo nel polline.
Sirfide e salamandra
Due esempi di mimetismo
batesiano
Il mimetismo può essere prodotto
attraverso cellule specializzate della
pelle, ma anche particolari forme del
corpo possono permettere di confondersi
con l'ambiente.
Perché il mimetismo abbia successo
evolutivo devono verificarsi due
condizioni: il soggetto deve essere
cromaticamente simile allo sfondo e
l'efficienza della vista del soggetto da
ingannare dev'essere scarsa. Il
mimetismo si è gradualmente evoluto
migliorandosi, ma anche negli stadi
intermedi di evoluzione sortisce gli effetti
desiderati, perché una mimetizzazione
scarsa viene bilanciata da una vista
scarsa che non riesce a riconoscere
distinguerla da lontano, con certi angoli di
visuale e con luce scarsa. Il meccanismo
di selezione naturale ha poi selezionato
di volta in volta gli organismi
mimeticamente perfezionati.
kalima
grillo
Si parla di mimetismo criptico per indicare
l'assunzione di forme, colori e comportamenti
tali da rendere l'individuo simile all’ambiente
circostante o a parti di esso;
di mimetismo fanerico (o di ostentazione)
per indicare l'imitazione di un'altra specie,
tossica o pericolosa, dotata di colori
aposematici.
Un esempio di mimetismo fanerico è il
mimetismo batesiano, dal nome di
Henry Bates, il naturalista inglese del
XIX secolo che lo ha descritto per la
prima volta. In questo caso un animale
innocuo e appetibile presenta l'aspetto
di un altro aggressivo o disgustoso,
evitato dai predatori. In natura esiste
anche il fenomeno contrario.
Alcuni animali hanno sviluppato una forma
opposta al mimetismo criptico, il
mimetismo aggressivo, che consiste nel
farsi notare. In genere questi animali sono
velenosi o hanno un sapore o un odore
sgradevoli.
Gli autori anglosassoni in genere limitano il
termine "mimetismo" al mimetismo
fanerico (in inglese mimicry) o mimetismo
in senso stretto, mentre il mimetismo
criptico viene indicato come
"camuffamento" (in inglese camouflage).
Il mimetismo batesiano si verifica quando una specie animale, innocua e inerme di
fronte ai predatori, sfrutta la sua somiglianza con una specie aposematica che vive nello
stesso territorio, arrivando a imitarne colorazione e comportamenti. In questo modo nella
mente dei predatori la specie batesiana viene associata a quella aposematica e quindi
aumenta le proprie possibilità di sopravvivenza. Condizione necessaria per lo sviluppo
del mimetismo batesiano è che la specie inerme condivida lo stesso tipo di predatori di
quella aposematica. È stato inoltre osservato che le specie batesiane sono meno
numerose e vivono meno a lungo di quelle aposematiche che occupano lo stesso
ambiente. Si ritiene che anche questa sia una strategia sviluppata dagli animali
batesiani per ridurre statisticamente le probabilità di essere mangiati per sbaglio da
predatori inesperti.
Esempi di mimetismo batesiano sono rappresentati da diverse specie tropicali di farfalle
diurne delle famiglie Papilionidae e Nymphalidae, che comprendono sia specie
aposematiche sia specie innocue che le imitano; anche tra le Epicopeiidae vi sono
specie batesiane, mentre tra le specie aposematiche che vengono imitate si annoverano
molte Danainae e Uraniinae. I lepidotteri Sesiidae, del tutto innocui e diffusi anche nelle
zone temperate, imitano nell'aspetto diverse specie di Imenotteri. Questi ultimi vengono
imitati anche da altri insetti floricoli: diversi ditteri e alcuni cerambicidi delle sottofamiglie
Cerambycinae e Lepturinae. Tra i ditteri la specie Rhagoletis zephyria imita i ragni
saltatori. Non mancano esempi di mimetismo batesiano anche nei vertebrati: tra i
serpenti Lampropeltis triangulum, non velenoso, imita il serpente corallo; tra i pesci
l'innocuo Plesiops imita il murenide mortale Gymnothorax moringa.
Mimetismo mülleriano
Due o più specie lontane filogeneticamente,
tutte inappetibili, si imitano a vicenda e perciò
condividono la stessa colorazione
aposematica. Questo avvantaggia tutte le
coleottero
specie interessate, dato che i predatori
devono imparare un unico segnale di
avvertimento, anziché uno diverso per ogni
ape
specie, e di conseguenza il numero di
individui di ogni specie sacrificati per
consentire questo apprendimento diminuisce.
Ad esempio il lepidottero Zygaenidae
Zygaena ephialtes imita l'Arctiidae Amata
phegea e altre specie dello stesso genere.
Negli insetti le specie coinvolte possono
appartenere anche a ordini diversi: le stesse
colorazioni aposematiche rosse e nere sono
condivise ad esempio da numerose specie di
lepidotteri del genere Zygaena ma anche dal
coleottero Cleridae Trichodes apiarius e
dall'omottero Cercopis sanguinea.
sfecide
vespa
Mosca
sirfide
falena
Mimetismo emsleyano o
mertensiano
Se però esistono altre specie, non letali
come quella aposematica, ma che
Questo particolare mimetismo descrive
comunque possono nuocere al
l'insolito caso in cui una preda dal veleno
predatore (es. un veleno moderato; un
letale imita una specie meno pericolosa.
morso doloroso), quest'ultimo può
Venne proposto da Emsley come possibile
imparare a riconoscere quei colori come
soluzione all'enigma del mimetismo del
un segnale di pericolosità ed evitare
serpente corallo. La ricerca venne portata
avanti dal biologo tedesco Wolfgang Wickler, quell'animale. Una specie letale quindi
avrebbe più vantaggi ad imitare un
che lo battezzò col nome dell'erpetologo
organismo aposematico meno
tedesco Robert Mertens.
pericoloso, rispetto a quelli garantiti ad
In altri tipi di mimetismo solitamente è la
specie più pericolosa ad essere presa come esempio da un mimetismo criptico.
modello da imitare. Ma se un predatore
muore, come può imparare a riconoscere un
segnale di pericolosità, come ad esempio
certi colori sgargianti?
In altre parole, non c'è alcun vantaggio
nell'essere aposematici per un organismo in
grado di uccidere qualunque suo predatore;
paradossalmente, dovrebbe essere più
vantaggioso per lui possedere un
mimetismo criptico.
Micrurus
serpente
mortale
Il più celebre esempio di questo tipo di
mimetismo è rappresentato proprio dal
sopra citato serpente corallo (gen.
Micrurus).
L'imitazione da parte di certi serpenti
innocui (ad es. varie sottospecie del
colubride Lampropeltis triangulum) della
livrea del letale elapide Micrurus è un
esempio classico di mimetismo batesiano. Il
Micrurus, però, a sua volta imita la livrea di
un colubride meno velenoso (gen.
Erythrolamprus), rappresentando così un
caso di mimetismo mertensiano.
Erythrolamprus
Lampropeltis
elapsoides –
serpente
innocuo
Alcuni punti fondamentali nella teoria darwiniana
La teoria evoluzionistica di Darwin si basa su alcuni presupposti:
1. Il simile genera il simile.
2. Nelle popolazioni si verificano delle variazioni alcune delle quali sono ereditarie.
3. In una specie il numero degli individui che riescono a sopravvivere fino all’età
riproduttiva è molto piccolo rispetto a quelli generati.
4. Quale individuo debba sopravvivere o morire è determinato dall’adattamento
(selezione naturale).
5. Dopo un certo periodo di tempo la selezione naturale fa accumulare dei
cambiamenti tali da differenziare i gruppi in organismi.
La teoria non riusciva a spiegare i
meccanismi ereditari. Darwin non riusciva
a spiegare, in particolare, tre problemi:
1. Come vengono trasmesse le
caratteristiche ereditarie?
2. Perché queste caratteristiche ereditarie
non si mescolano ma possono scomparire
per riapparire alla successiva
generazione?
3. In che modo appaiono le variazioni
dovute alla selezione naturale?
Con la nascita della genetica, nasce anche
una nuova branca della biologia: la
genetica di popolazione. Una popolazione
è definita come un gruppo di organismi
della stessa specie che si riproducono tra
di loro in un certo ambiente e in un certo
tempo. Ciò che caratterizza una
popolazione è il proprio pool genico che è
dato dalla somma di tutti alleli dei geni di
tutti gli individui della popolazione. Per
quanto riguarda il singolo individuo,
invece, viene definito fitness il numero di
discendenti relativi a quell’individuo.
Consideriamo il primo punto della
teoria evoluzionistica di Darwin: “il
simile genera il simile”. Ciò accade
perché il DNA di un individuo viene
trasmesso, a seguito di una
duplicazione, alle cellule del figlio in
maniera estremamente precisa.
Tuttavia, affinché ci sia una reale
evoluzione, è necessario che
compaiono delle variazioni
nell’individuo; in questo modo egli
potrà adattarsi meglio all’ambiente che
lo circonda. Per tale motivo è
importante che il genetista di
popolazione riesca a determinare
l’ampiezza della variabilità genetica.
Ciò serve a capire quali variazioni
vengono mantenute o favorite nel
pool.
I metodi utilizzati a tale scopo sono:
1. La selezione artificiale (mette in evidenza la
variabilità latente).
2. Gli studi sperimentali sugli incroci.
3. Il metodo Hubby-Lewontin (analisi degli
enzimi).
Il secondo problema che Darwin con la sua
teoria non riusciva a spiegare può essere così
integrato: Perchè i dominanti non eliminano i
recessivi?
A tale domanda fu data una risposta da un
matematico inglese, G.H. Hardy, e da un
medico tedesco, G. Weinberg. Secondo i loro
studi le ricombinazioni genetiche non
modificano la composizione globale del pool
genico (insomma vi è equilibrio).
Ciò è vero solo se una popolazione (ideale)
soddisfa cinque condizioni:
1. Non si verificano mutazioni.
2. Nella popolazione non si verifica
l’emigrazione o l’immigrazione di
individui verso o dall’esterno.
3. La popolazione è sufficientemente
grande.
4. L’accoppiamento è casuale.
5. Tutti i discendenti nati hanno uguali
possibilità di sopravvivere.
L’equilibrio è espresso da queste
equazioni:
p+q=1
dove
p = frequenza di un allele nella
popolazione
q = frequenza di un altro allele nella
popolazione
Per cui, essendo (p+q)2=1
p2+2pq+q2=1
p2,q2 = frequenza individui omozigoti
nella popolazione
2pq = frequenza individui eterozigoti
nella popolazione
L’equilibrio H.W. si verifica in una popolazione
ideale che soddisfa le cinque condizioni
sopraindicate. In realtà le frequenze alleliche
delle popolazioni reali vengono modificate
dalla selezione naturale.
Fattori che possono modificare la frequenza
allelica sono le mutazioni. Queste si verificano
per caso e possono essere provocate da
agenti quali Raggi X, Raggi UV, composti
radioattivi e alcune sostanze chimiche. Cosa
molto importante da considerare è che le
mutazioni sono indipendenti dall’ambiente;
quest’ultimo però ne può influenzare la
velocità. Per un genetista le mutazioni
consistono in cambiamenti ereditari del
genotipo.
Altri fattori che modificano la frequenza allelica
sono il flusso genico, la deriva genica e gli
accoppiamenti non casuali.
Il flusso genico è il movimento di alleli verso
l’interno o l’esterno di una popolazione a
causa dell’immigrazione o dell’emigrazione di
individui in età riproduttiva.
La deriva genica, invece, si verifica
nelle piccole popolazioni e consiste nel
cambiamento del pool genico per
azione del caso.
Vi sono altri esempi di deriva genica
che si verificano con più facilità nelle
popolazioni molto piccole:
L’effetto del fondatore:
Si verifica quando una piccola
popolazione, che si separa da una più
grande, ha un pool genico differente
da quella del gruppo originario.
Collo di bottiglia:
Si verifica quando una popolazione
viene drasticamente ridotta di numero
da eventi non collegati con la
selezione naturale.
Per quanto riguarda gli accoppiamenti
non casuali, questi provocano
cambiamenti nelle frequenze
genotipiche, ma possono non influire
sulle frequenze alleliche.
Vi sono alcuni meccanismi che permettono
invece di mantenere o incrementare la
variabilità.
La variabilità genetica nelle popolazioni viene
garantita dalla riproduzione sessuata e dai
meccanismi che favoriscono l’esoincrocio
come gli alleli per l’autosterilità e gli elementi
anatomici che impediscono
l’autofecondazione nelle piante e il
comportamento negli animali. La variabilità
viene mantenuta, invece, dalla diploidia, che
preserva gli alleli recessivi rari dalla
selezione naturale e dai casi di superiorità
dell’eterozigote dove questi ultimi hanno un
maggiore successo riproduttivo rispetto agli
omozigoti. Per quanto riguarda la selezione
naturale questa può contribuire ad
incrementare o a mantenere la variabilità.
La selezione naturale agisce sull’intero
fenotipo il quale è determinato
dall’interazione del genotipo con l’ambiente
in cui l’individuo vive. I processi selettivi
possono essere raggruppati in cinque
categorie :
Selezione stabilizzante
Consiste nell’eliminazione degli individi di
una popolazione che presentano caratteri
estremi.
Selezione divergente
In una popolazione aumenta la frequenza
dei caratteri estremi a spese di quelli
intermedi.
Selezione direzionale
Tende a sostituire nel pool genico un
allele (o un gruppo di alleli) con un altro.
Selezione frequenza dipendente
Tende a ridurre la frequenza dei fenotipi
più comuni per aumentare la frequenza di
quelli meno comuni.
Selezione sessuale
Consiste nella lotta tra membri di un
sesso (di solito maschile) per la conquista
dell’altro sesso. Questo tipo di selezione
genera il dimorfismo sessuale fenomeno
che riguarda le differenze tra maschi e
femmine nella modalità di procurarsi un
compagno (diversa modalità di “attirare
l’attenzione”).
L’effetto della selezione naturale è
l’adattamento. L’adattamento è:
1. Condizione di sintonia con l’ambiente.
2. Una caratteristica fisica dell’individuo che
contribuisce alla sua integrazione con
l’ambiente.
3. Un processo evolutivo che genera individui in
armonia con l’ambiente circostante.
Prove che confermano l’adattamento
dell’individuo all’ambiente fisico che lo circonda
possono essere osservate nelle variazioni
fenotipiche graduali, dette cline, le quali
seguono una distribuzione geografica.
Se una specie occupa habitat differenti può
apparire lievemente diversa in ognuno di questi.
Ciascun gruppo di fenotipi distinti è detto
ecotipo. Quando l’adattamento dipende da forze
selettive esercitate da organismi interagenti si
parla di coevoluzione. Un esempio citabile è
quello dell’interazione tra le asclepiadi e la
farfalla monaca. Questa interazione ha come
effetto vantaggioso per la farfalla monaca e per
le sue forme imitatrici il mimetismo batesiano e
mulleriano.
La selezione naturale, vista da una
prospettiva più ampia, produce
differenti tipi di evoluzione:
1. Si parla di evoluzione
convergente quando organismi, che
vivono in ambienti simili, si
somigliano.
2. Si parla di evoluzione divergente
quando una popolazione,
separandosi dal resto della specie,
segue un proprio percorso evolutivo.
Durante il suo viaggio sul brigantino Beagle,
Darwin ebbe modo di conoscere nuove
specie mai viste prima. Secondo la
concezione classica ogni specie era stata
creata separatamente ed era distinta dalle
altre. Queste specie erano state create e
collocate nel luogo a loro più adatto da una
“forza divina”. Dalla scoperta di un numero
impressionante di nuove specie e dall’analisi
della loro distribuzione geografica Darwin
cominciò a dubitare seriamente della validità
di questa teoria.
Ma che cos’è una specie? Come ha origine?
Una specie è un gruppo di popolazioni i cui
membri si incrociano tra di loro e non si
incrociano con i membri di altri gruppi. Questo
comportamento determina un isolamento
genetico. Quando dei piccoli gruppi si isolano
dal resto della popolazione e si riproducono
tra di loro, possono accumulare dei
cambiamenti tali da trasformarsi in una nuova
specie. Quando questo processo si verifica si
parla di speciazione.
La speciazione è allopatrica quando vi
è una separazione geografica (dovuta
alla presenza di barriere naturali) di
piccoli gruppi di organismi dal resto
della specie. Questi gruppi
successivamente seguiranno dei
percorsi evolutivi che li trasformeranno
in nuove specie.
La speciazione si dice simpatrica
quando, pur non essendoci
separazione geografica, si verifica la
poliploidia. Quest’ultima consiste
nell’aumento del numero di cromosomi
rispetto all’assetto 2n (diploide) a causa
della non disgiunzione del corredo
cromosomico durante la meiosi o la
mitosi.
La nascita di una nuova specie può dipendere
anche dal fatto che il numero dei cromosomi
di un individuo ibrido raddoppia. In questo
caso otteniamo degli individui sterili. Se però
alla formazione degli ibridi segue la
poliploidia, l’individuo sarà fecondo.
Precedentemente abbiamo parlato di
isolamento genetico; ebbene la domanda che
sorge spontanea è: quali fattori permettono
l’isolamento genetico nelle specie
strettamente imparentate?
Questi meccanismi possono essere di due
tipi: prezigotico e postzigotico.
I meccanismi di isolamento prezigotico
consistono molto spesso in rituali
comportamentali, in segnali visivi, uditivi o
nell’utilizzo di sostanze chimiche. Nelle piante
questi meccanismi possono essere ad
esempio i diversi periodi di fioritura di due
specie diverse.
Per quanto riguarda, invece, i
meccanismi di isolamento postzigotico,
questi servono a mantenere
l’isolamento genetico anche se due
individui di specie diverse si
accoppiano. Meccanismi di isolamento
postzigotico sono ad esempio: le
differenze anatomiche dei genitali, gli
spermatozoi incapaci di fondersi con
quella cellula uovo, nascita di individui
sterili, mancato sviluppo della cellula
uovo, etc.
Le prove a favore della teoria evolutiva
di Darwin sono da ricercare nei reperti
fossili. Dallo studio di tali reperti si ha
un quadro dell’evoluzione di una
specie; si parte da organismi semplici
sino ad arrivare a quelli più complessi.
Secondo Darwin la diversità degli
organismi è il risultato di tre grossi modelli
di speciazione :
Cambiamento filetico
Sotto pressioni selettive direzionali una
specie gradualmente si trasforma in una
nuova specie.
Cladogenesi
Consiste nella suddivisione di una linea
evolutiva in due o più linee distinte.
Radiazione adattativa
è considerata come l’effetto combinato del
cambiamento filetico e della cladogenesi. È
la formazione di molte nuove specie a
partire da un antenato comune.
Vi è infine un ultimo modello evolutivo che
ci viene messo in evidenza dallo studio
dei reperti fossili: gli equilibri
intermittenti. Secondo questo modello le
nuove specie si formano per improvvisa
speciazione di piccoli gruppi isolati di
individui. Le nuove specie che si vengono
a formare prendono il sopravvento sulle
altre (che si estinguono) e persistono per
lunghi periodi fino a quando a loro volta
non si estinguono.
Organi analoghi e omologhi
Si dicono organi analoghi quegli organi di
specie diverse che hanno la stessa
funzione, ma diversa origine embrionale
ed evolutiva. Un classico esempio di
organi analoghi sono le ali di un uccello e
di un insetto. Esse hanno la stessa
funzione attuale, ma origine embrionale (e
quindi evolutiva) completamente diversa.
Si differenziano dagli organi omologhi,
che hanno invece stessa origine, ma
possono avere funzioni diverse. L'analogia
tra organi con diversa origine può portare
a fenomeni di convergenza evolutiva.
Importanti sono inoltre gli organi
vestigiali, organi ormai inutili nella specie
ma che hanno avuto importanza in epoche
remote: esempi in noi sono i denti del
giudizio, il coccige, i gruppi sanguigni,
l’appendice, …
Evoluzione umana
I primi mammiferi mostrarono una grande
capacità di adattamento all'ambiente,
dando origine a specie molto diverse tra
loro. Alla base dell'origine umana si
collocano le protoscimmie, anche detti
'primati', considerati antenati comuni
dell'uomo e delle attuali scimmie.
L'evoluzione ha comunque demarcato
due specie ben distinte tra loro, quella
delle scimmie e quella dei primi 'ominidi'.
Il famoso 'anello mancante' tra uomo e
scimmia non è stato però tuttora ben
individuato.
Il progenitore più antico della specie
umana è il Ramapithecus, una scimmia
vissuta 12 milioni di anni fa. Viveva sugli
alberi delle foreste africane. I cambiamenti
ambientali causati dalla glaciazione
influenzarono l'evoluzione degli umanoidi
verso una forma bipede, in grado di vivere
anche sul terreno: l'Australopithecus
africanus, comparso 5 milioni di anni fa.
La riduzione della temperatura favorì
sempre più l'evoluzione delle specie bipedi,
avvantaggiate dalla libertà di movimento
sul terreno per le attività di raccolta e di
caccia. Per ripararsi dai pericoli e dai
predatori i primi ominidi bipedi maturarono
il senso della collettività.
Le specie progenitrici, come il Ramaphitecus,
furono invece eliminate dalla selezione
naturale, incapaci di contendere il medesimo
territorio di caccia ai propri discendenti più
evoluti. L'Australopithecus era ancora molto
lontano dall'uomo contemporaneo. Era alto un
metro, pesava 30kg e aveva un volume
cranico di 500 cc, tre volte inferiore al nostro.
Resti dell'Australopithecus sono stati ritrovati
in Sud Africa e in Africa orientale. Per le sue
attività di caccia o di raccolta si serviva di
strumenti naturali, come le pietre scheggiate o
le ossa degli animali. L'evoluzione non si
fermò, portando alla graduale comparsa
dell'Homo habilis, dotato di maggiore
capacità cranica, circa 750cc. Rispetto
all'Australopithecus era in grado di fabbricare
rudimentali strumenti come le schegge dei
ciottoli e le asce.
L'evoluzione dell'uomo iniziò a
premiare l'intelligenza e la capacità
cranica degli umanoidi divenne un
fattore di supremazia nell'eterna lotta
per il territorio di caccia e di
raccolta.La selezione naturale iniziò a
favorire nella sopravvivenza
prevalentemente gli ominidi con
maggiore volume cranico. Anche
l'Australopithecus si estinse,
lasciando il campo al suo discendente
più efficiente, circa 1,5 milioni di anni
fa, lasciando la scena all'Homo
erectus, dotato di capacità cranica di
1200cc. La superiorità mentale gli
ominidi perfezionò anche le tecniche
di costruzione dei manufatti.
Particolare importanza ebbe
l'amigdale, uno strumento ricavato da
quarzo e da selce in grado d'essere
usato contemporaneamente come
arma e come strumento per scuoiare
le pelli animali.
Le comunità di ominidi erano ancora
caratterizzate da un numero ristretto di
membri, alcune decine, appartenenti a poche
famiglie. Circa 300 mila anni fa, l'evoluzione
portò alla supremazia due diverse specie di
uomini, l'Homo sapiens e l'Homo
Neanderthalensis. Entrambe le specie
vissero in Europa. L‘uomo di Neanderthal era
basso e dotato di maggiore forza, ma più
debole nell'uso della comunicazione orale. Le
sue caratteristiche fisiche si mostrano
particolarmente adatte al rigido clima delle
glaciazioni. Con l'avvento dei climi più
temperati, circa 30mila anni fa, i Neanderthal
si estinsero. La supremazia dell'Homo
sapiens crebbe con la temperatura del clima,
era più agile e abile nella comunicazione del
Neanderthal, e colonizzò in breve tempo tutti i
territori di caccia europei.
Le teorie a questo proposito sono
comunque molte. Dalla linea dei
Sapiens comparve 20 mila anni fa
l'Homo sapiens sapiens e quindi
l'uomo moderno così come oggi lo
conosciamo. La capacità cranica
raggiunse i 1500cc dando luogo a
una esplosione di creatività e
ingegno nel perfezionamento delle
tecniche e nelle forme di
comunicazione ed espressione. Il
passo successivo sarebbe stato la
nascita delle prime forme di civiltà.
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