Progetto di economia locale solidale

Progetto di economia
locale solidale
Il progetto locale: una
visione politica in sintesi
Di Alberto Magnaghi
Fare società locale
Il progetto locale include una visione politica che si esplicita in azioni finalizzate alla crescita e al consolidamento delle società locali, in sostanza nel
«fare società locale». L'incarnarsi del progetto locale nella politica, nelle politiche, nel linguaggio e nelle azioni dei governi locali è un lento processo
in atto fra molte contraddizioni. Questo processo è comunque legato, nelle pratiche più avanzate, al sempre più diffuso riconoscimento della
necessità di agevolare la crescita di società locali intenzionate a ritessere relazioni virtuose con il proprio ambiente insediativo reinterpretandone i
valori territoriali.
In questa ottica il progetto locale è la manifestazione politica di una esigenza, di un bisogno, di una idea per rispondere alla sfida della globalizzazione e
per superare l'attuale schizofrenia di comportamenti di fronte ad essa, entrambi insostenibili: da una parte la resistenza autoescludente di sistemi
locali che difendono la propria identità attraverso la chiusura, la mancanza di innovazione e di relazione; dall'altra la corsa competitiva dei sistemi
locali che sfruttano e snaturano il proprio patrimonio nell'ansia di posizionarsi verso l'alto, succubi delle regole esogene del mercato mondiale.
Stretta in questa contraddizione, la società locale che si proponga di superarla, reinterpretando e valorizzando la propria identità, la propria unicità, i
propri valori patrimoniali nel contesto di un sistema aperto di relazioni e di scambi, non è data. Essa vive potenzialmente di frammenti identitari
resistenti all’omologazione, di lotte estese su scala planetaria ai processi e agli istituti della globalizzazione economica, di tensioni locali alla
reidentificazione, di tensioni alla produzione di valori d'uso da parte del lavoro autonomo, in particolare del terzo settore; di pratiche di cura
dell'ambiente e dei luoghi, di tendenze alla riappropriazione molecolare dell'innovazione. Tuttavia questa società locale portatrice del cambiamento
va aiutata a crescere, come nodo denso del reticolo di un mondo plurale per una globalizzazione dal basso. In questo lavoro di tessitura lillipuziana
la costruzione della società locale è un progetto, un'idea cui dare forza politica: non è una eredità da raccogliere e preservare.
Nel progetto locale la densità dell'interazione sociale è quella necessaria a costituire la sufficiente «chiusura» del sistema rispetto alle potenziali
destrutturazioni messe in atto dalle sollecitazioni della globalizzazione; e a costruire la necessaria apertura per non decadere per isolamento a
«localismo triste», incapace di reagire al contesto: un «locale» a sua volta destrutturato [analogamente al sistema troppo aperto] per
marginalizzazione e impoverimento. I nodi della rete, i «luoghi» delle società locali, devono avere forte identità e coesione interna altrimenti i nodi
stessi divengono semplici crocevia delle reti lunghe del globale. Queste reti trasformano i nodi a loro uso e consumo, li gerarchizzano secondo le
leggi produttive, tecnologiche e di mercato del sistema economico mondiale, svuotandoli di ogni identità e autonomia. Colonizzazione
[eterodirezione] o emarginazione sono le due polarità rischiose che investono le società locali nell'epoca della globalizzazione.
Un rapporto equilibrato fra chiusura e apertura consente al progetto locale una visione cosmopolita, sia al suo interno che nelle relazioni col mondo. Il
patto solidale per la valorizzazione dei luoghi non si fonda sulla conservazione di identità storiche date, ma sulla emergenza di identità condivise fra
attori interessati alla costruzione del progetto, attraverso un dialogo costruttivo e reinterpretativo con i modelli socioculturali di lunga durata
presenti nel luogo. I «nuovi abitanti» [nuovi agricoltori, nuovi produttori, nuovi consumatori che imboccano la strada dello sviluppo locale
autosostenibile] interpretano l'identità di un luogo, i suoi valori, la ricchezza del suo milieu, attenti a produrre trasformazioni che ne aumentino il
valore; i nuovi abitanti della città «creola», costituita da società multietniche e di migranti, non si identificano necessariamente con i residenti locali
[proprio questi a volte sono portatori di «Iocalismo vandalico», o di usi distorti del milieu per risucchiarne e sfruttarne energie nel contesto della
competizione globale] . Gli attori che interpretano lo spirito del luogo e progettano l'autosostenibilità possono arrivare da ogni dove a cooperare alla
costruzione del progetto locale e delle sue relazioni con il mondo.
Dalla coscienza di classe alla coscienza di luogo
Se la globalizzazione produce per reazione rinserramenti etnico-identitari, facili prede di nazionalismi autoritari,
non dobbiamo per questo esorcizzare la tensione identitaria insieme con le molte forme, violente e criminali
della sua gestione politica; così come sovente ha fatto la sinistra, in nome della modernizzazione
universalistica occidentale, non cogliendo la portata strategica della «questione identitaria» dopo la fine dei
blocchi geopolitici e del fordismo. La contraddizione fra capitale e lavoro si è andata destituendo nel
postfordismo nella contraddizione fra omologazione, distruzione delle culture, «monoculture della mente»,
polarizzazione sociale e frammentazione da una parte; e riaffermazione delle differenze, delle diversità, delle
unicità culturali e della ricomposizione sociale dall'altra; nello scontro tra eterodirezione e autogoverno.
Questa contraddizione si affronta nella ricerca di diversi modelli di sviluppo che comportano diversi processi
di appropriazione e uso delle risorse da parte degli abitanti-produttori, diversi rapporti sociali di produzione
fondati su nuovi statuti del lavoro autonomo, diverse forme pattizie di democrazia diretta, diversi settori
strategici dell'economia.
«Dalla coscienza di classe alla coscienza di luogo»: la formula di Becattini mi sembra una felice sintesi semantica
che denota questo cambiamento radicale del conflitto. Il territorio della società complessa e molecolare del
postfordismo è divenuto il luogo della produzione del valore. La «coscienza di luogo» allude al riconoscimento
da parte della comunità insediata del valore del patrimonio territoriale nella produzione di ricchezza durevole
e di nuovi processi di autodeterminazione. La forma [ esogena o endogena] di appropriazione del «valore
aggiunto territoriale» diviene l'oggetto del conflitto. Il progetto locale costituisce lo scenario entro cui
ricomporre le diverse rappresentanze di interesse nella valorizzazione e appropriazione sociale del bene
comune costituito dal patrimonio territoriale. In questo orizzonte l'insorgenza identitaria va politicamente
reinterpretata, come energia costruttiva per la crescita della coscienza di luogo e per l' affermazione di stili di
sviluppo fondati sul riconoscimento delle peculiarità socioculturali, sulla cura e la valorizzazione delle risorse
locali [ambientali, territoriali, produttive] e su reti di scambio solidali e non gerarchiche fra società locali. Ma
questa evoluzione positiva delle enormi «energie da contraddizione» che la globalizzazione produce, richiede
una radicale trasformazione della cultura politica centralista verso forme di federalismo neomunicipalista, in
cui la messa in valore del territorio e delle sue peculiarità come produttore di ricchezza avvenga all'insegna
della valorizzazione e della cooperazione fra diversità e non dello sfruttamento - esogeno o endogeno - delle
risorse umane e materiali. Accompagnare la rivolta identitaria e i processi di neoradicamento verso il fare
società locale e non negare a priori bisogni e aspirazioni prodotte da nuove povertà, ricadendo in un astratto
universalismo dei valori' mi sembra il primo salto culturalpolitico da compiere.
Lo statuto dei luoghi: un patto «costituzionale» per
la valorizzazione del patrimonio territoriale
La costruzione del progetto locale si fonda sul patto di una pluralità di attori che, a partire dall'esplicitazione dei conflitti di
interessi, trovano nella concertazione degli obiettivi dello sviluppo locale la ridefinizione dei propri progetti e ambiti di
azione in rapporto alla valorizzazione del patrimonio comune. Questo percorso richiede il superamento delle forme
tradizionali di rappresentanza e di delega e la costruzione di nuovi istituti di democrazia diretta che cerchino il
riposizionamento degli interessi e la ricomposizione dei conflitti indirizzando il processo di trasformazione verso gli
scenari dello sviluppo autosostenibile. La trasformazione può avvenire se il sistema di attori [pubblici e privati] che
sperimenta i nuovi istituti è sufficientemente complesso da garantire la visibilità e la presenza di chi solitamente non ha
voce: le componenti sociali più deboli e i loro problemi [sostenibilità sociale]; e la denotazione e il rafforzamento delle
energie innovati ve e potenzialmente attive nella valorizzazione del patrimonio.
Il patrimonio territoriale è costituito da un sistema complesso di valori [culturali, sociali, produttivi, ambientali, artistici,
urbanistici] che il progetto reinterpreta attraverso l'attivazione locale delle energie da contraddizione e innovati ve. Un
patto fra gli attori fondato sulla valorizzazione del patrimonio in quanto base materiale per la produzione della
ricchezza, è in grado di produrre le regole di comportamento e le garanzie reciproche per la salvaguardia e la
valorizzazione dell'ambiente [sostenibilità ambientale] e della qualità dell'abitare [sostenibilità territoriale] . Queste
regole e garanzie promanano dalla costruzione stessa del progetto, nella quale si determinano le condizioni solidali e di
fiducia attraverso il riconoscimento collettivo del bene comune condiviso; si verificano altresì le condizioni dell'agire
individuale [il produttore, l'abitante] non lesive del patrimonio, riconosciuto appunto come bene collettivo. Il
riconoscimento cosciente induce comportamenti di autocontrollo sociale e guida azioni virtuose. A sua volta questo
processo fa evolvere la pianificazione verso forme di produzione sociale del territorio, attraverso la costruzione collettiva
dei suoi statuti, [che riguardano insieme come conservare e come trasformare il patrimonio]. Lo statuto dei luoghi è
quindi un atto costituzionale, consapevole espressione della «coscienza del luogo», elaborato dagli abitanti-produttori
nel processo di costruzione collettiva delle scelte per uno stile originale di sviluppo. La costruzione dello statuto dei
luoghi diviene così l'atto fondativo del progetto locale: esso realizza il superamento di norme e vincoli esogeni all'azione
sociale, individuale e collettiva, verso regole e patti per la trasformazione sorretti da un senso comune condiviso, che si
costruiscono attraverso forme di autogoverno e nuovi istituti di democrazia diretta [sostenibilità politica] . In quanto
«produzione sociale del territorio» il progetto locale utilizza indicatori della ricchezza e del benessere che non si
identificano soltanto con la crescita economica [PiI] , ma che ridimensionano quest'ultima rispetto ad altri requisiti:
proprietà diffusa dei mezzi di produzione, autogoverno, qualità ambientale, qualità dell'abitare, solidarietà, sviluppo di
relazioni non mercantili e solidali... Con questi criteri di valutazione il progetto locale ridimensiona il dominio del
sistema economico a favore del sistema sociale e culturale. Il progetto locale, verificandosi rispetto a queste misure, crea
le condizioni, nel processo della sua costruzione, della trasformazione degli stili di vita, di consumo e di produzione;
costruendo sistemi economici locali in grado di produrre valore aggiunto territoriale e ricchezza durevole [sostenibilità
economica] .
I nuovi statuti di cittadinanza
Il progetto locale nell'epoca della crisi della cittadinanza e degli statuti sociali del lavoro salariato valorizza il lavoro autonomo, l'
artigianato, la microimpresa. Questo complesso tessuto produttivo molecolare, è oggi terminale diffuso dell'impresa
multinazionale a rete e del capitale finanziario. Tuttavia esso può, se dotato di statuti propri, di conoscenza e fiducia interna fra le
imprese e di autogestione locale, costituire la base produttiva dello sviluppo locale, costruendo sistemi economici locali integrati
dall'agricoltura al terziario avanzato. Il progetto locale può attivare nuovi statuti spaziotemporali e nuovi diritti di cittadinanza,
riavvicinando le figure di abitante e di produttore cui il lavoro autonomo allude, «addomesticando» il lavoro [rispetto alle finalità
dell'innalzamento della qualità dell'abitare] e sottraendo quote rilevanti delle attività riproduttive al mercato.
In questo contesto è essenziale non guardare con nostalgia agli statuti societari del lavoro salariato e del fordismo. La costruzione di
società locali autogovernate e autosostenibili è possibile solo «liberando» le energie del lavoro molecolare diffuso della società
postfordista, favorendo la costruzione di reti complesse di abitanti-produttori, proprietari dei mezzi di produzione che fanno
società produttiva in proprio, in un patto per la valorizzazione del proprio patrimonio territoriale. I componenti della società locale
acquistano diritto di cittadinanza non in base ad appartenenze pregresse, ma in base alla partecipazione attiva alla costruzione dei
nuovi statuti societari.
La società locale non si inventa. Essa cresce valorizzando le energie virtuose e le nuove forme del lavoro già presenti nel territorio. Un
aspetto fondamentale del fare società locale consiste dunque nel lavorare ai nuovi statuti societari di autogoverno del «lavoro
autonomo di seconda generazione», all'interno del quale il terzo settore può costituire la guida culturale ed etica per l'uscita
dell'impresa dalla sua identità economicistica.
Per superare le forme della politica connesse allo statuto del lavoro salariato si rende necessario «non operare in un gruppo omogeneo,
ma connettere, contaminare [...] chiamare a raccolta gli eterogenei, tradurre i linguaggi sociali e metterli in comunicazione in un
reticolo orizzontale» [Revelli]. Questa forma della politica è agli albori. Essa riguarda l'invenzione di nuovi aggregati comunitari, di
nuove forme di democrazia fondate sull'agire comunicativo, dove un multiverso di interessi, di valori, di differenze trova, fra
conflitti e riconoscimenti dell'alterità, le forme di un patto concertato, in continua evoluzione. Il fare società locale è qui un
incessante crescita della tela di ragno di reti civiche fra i soggetti insorgenti più disparati: donne, bambini, anziani, gruppi etnici,
associazioni, centri sociali, gruppi di volontariato che ritessono spazio pubblico nella città; nuovi agricoltori che producono beni
pubblici [qualità ambientale, paesaggio, economie locali]; produttori che valorizzano l'ambiente e le culture locali; ecobanche e
commerci solidali. Tutto ciò oggi è un'esplosione di frammenti puntiformi nel territorio ostile della globalizzazione. Perciò un altro
aspetto importante del fare società locale consiste nel connettere i frammenti di energie innovative facendoli precipitare
sinergicamente in uno stesso territorio, cominciando a trasformarlo visibilmente come atto cooperativo della rete del multiverso di
attori, costruendo scenari condivisi di futuro.
Il nuovo municipio «governa» il progetto locale
In questo processo si situa il radicale cambiamento di ruolo dei governi locali e in primo luogo delle municipalità.
Il progetto locale presuppone la crescita dei poteri e delle competenze dei comuni e degli enti pubblici
sovracomunali, espressioni delle municipalità, in quanto «locale di ordine superiore». Nel progetto di
sostenibilità fondato sulla valorizzazione del patrimonio territoriale, gli enti pubblici territoriali sono chiamati
a trasformare i propri ruoli in due direzioni convergenti: da una parte, dal governo dei servizi al governo dello
sviluppo, indirizzando le scelte economiche, produttive alla valorizzazione del patrimonio; dall'altra dagli
istituti della delega verso nuovi istituti di democrazia diretta in grado di attuare statuti di autogoverno dello
sviluppo. In questo complesso processo di «governance» il municipio, attivando nuovi ruoli progettuali e
nuovi istituti di democrazia si mette in grado di denotare e promuovere attori ed energie verso la
valorizzazione del patrimonio e disincentivare e contrastare poteri forti [esogeni o endogeni] che,
semplificando la complessità del sistema decisionale, tendono ad appropriarsi delle risorse e volgerle ai propri
profitti, danneggiando e consumando il bene comune.
Il municipio nel promuovere e consolidare istituti intermedi di democrazia, [agenzie di sviluppo locale, patti,
tavoli di concertazione, laboratori di partecipazione, ecc:] può determinare un fertile incontro «a mezza
strada» fra politiche top down e reti sociali bottom up. Il problema è cruciale. Assistiamo ad una forte
promozione [Ve, Regioni, comuni] di processi di partecipazione, di progetti di sviluppo locale in cui la
costruzione di istituti di concertazione fra attori locali è il prerequisito dei finanziamenti. Dunque le condizioni
di un incontro fra «cantieri» di società locali in costruzione e istituzioni sono date. Ma l'incontro deve essere
bilaterale, in grado di produrre nuovi eventi, nuove strutture e reti. L'attivazione di politiche top down non
significa necessariamente far crescere società locale, se i progetti sono preconfezionati, se gli attori che siedono
al tavolo pattizio sono pochi e forti, se le regole dello sviluppo sono quelle dettate dalla globalizzazione
economica e dalla competizione sul mercato. È perciò necessario che a questi strumenti accedano reti di attori
autorganizzati, che il tavolo sia vasto e rappresenti gli interessi dei più deboli, che i progetti proposti dai diversi
soggetti siano valutati per il loro apporto alla valorizzazione durevole del patrimonio territoriale e ambientale,
alla soddisfazione dei bisogni e delle aspirazioni degli abitanti e non alle leggi esogene del mercato.
In questo incontro «a mezza strada» il nuovo municipio può assumere funzioni determinanti nel fare società
locale, se interpreta i nuovi poteri di cui è investito nella direzione di agevolare il processo di qualificazione e
allargamento dei nuovi istituti di concertazione e delle reti di comunicazione democratica; di denotare e
favorire gli attori portatori di iniziative di valorizzazione del patrimonio e sostenibili; di selezionare e
incentivare attività produttive virtuose; di far emergere lo stile di sviluppo del proprio territorio da un ampio
percorso costituzionale e statutario di costruzione della società locale.
Per una globalizzazione dal basso
Nell'ipotesi «glocalista» lo sviluppo locale si forma nella misura in cui una comunità locale si contamina con il globale, riportando nel
locale i processi che sono sostenibili in un viaggio fra reti «lunghe» e «corte»; c'è sviluppo locale dove la società locale sa costruire
reti «orizzontali» nel sistema globale. Ma qui sta il problema della quadratura del cerchio, poiché l'intervento del globale nel locale
tende a risucchiare energie e risorse e a restituire dominio. Il problema in discussione dunque è la modalità in cui si coniugano
queste reti lunghe con la profondità del territorio senza che il locale ne esca con le ossa rotte. L'alternativa è convivenza con il
globale, attraversando le sue reti lunghe, o resistenza attiva al globale e costruzione di reti solidali [globalizzazione dal basso?] .
A favore della seconda ipotesi va ribadito che il globale attuale non consente un rapporto dialettico, biunivoco, poiché le sue regole
escludono la sostenibilità del locale imponendo la competitività contro la cooperazione, lo sfruttamento delle risorse contro la
valorizzazione del patrimonio, la polarizzazione sociale contro la complessificazione, e cosi via. Il globale, le reti lunghe sono
connesse tra loro [dal mercato, dalle tecnologie forti, dalla finanza, ecc.] e «trattano» con ogni singolo «locale» isolatamente, entro
rapporti gerarchici ad albero, in cui è predefinita la collocazione gerarchica di ogni singola regione, costretta a correre nella
competizione con regole imposte dall'esterno.
Il «locale», inteso idealmente come rete globale di società locali, è attualmente debole, deve rafforzarsi per andare ad una relazione non
perdente con le attuali forme centralistiche della globalizzazione economica costruendo anzitutto:
- relazioni informative interlocali, reti solidali che si interfacciano con le reti globali;
- proliferazione di città capaci di relazioni «globali» attraverso la diffusione dei servizi rari nelle reti regionali periferiche in risposta ai
processi di concentrazione del comando nelle «città globali»;
- relazioni commerciali e finanziarie eco solidali che sviluppano reti locali nel mercato mondiale;
- sistemi produttivi locali autosostenibili fondati sulla valorizzazione del patrimonio, che si relazionano nel mercato mondiale come
agenti attivi di produzione di nuova qualità della ricchezza e come agenti diffusori di nuovi modelli, originali, di produzione e
consumo;
- reti di agenzie di sviluppo locale che interfacciano progetti top down con progetti bottom up;
- relazioni culturali sud-sud, sud-nord che densificano trame sovrapposte alle reti nord-sud: autorappresentazioni contrapposte alle
rappresentazioni del centro.
Pur nelle diverse gradazioni delle relazioni possibili fra locale e globale, e in presenza di un globale sovradeterminato, traboccante, che
«tratta» separatamente con ogni singolo «locale» trascinato nella competizione globale, il problema consiste nell'attivare tutte le
politiche, le azioni, i progetti che consentano:
- di rafforzare la coesione interna di ciascun sistema locale, la costruzione di legame sociale [in grado di autoalimentarsi] e la sua
capacità di esprimere peculiarità dello stile di sviluppo auto sostenibile [capacita di autoriproduzione del territorio fisico e
antropico]; ciò richiede uno sviluppo di una cultura del luogo; di un diverso principio di razionalità, poiché è solo nel locale, nelle
«reti corte» che si produce la socialità [risorsa scarsa] che dà valore aggiunto, giochi a somma positiva;
- di costruire reti fra locale e locale [medie e lunghe] che modifichino il sistema fortemente gerarchico delle città globali nel sistema
mondiale verso una complessificazione e moltiplicazione dei subsistemi regionali. Dunque favorire tutti i sistemi di relazioni [fra
città, fra regioni, fra sistemi economici locali] che infittiscano i reticoli non gerarchici di scambio solidale, di sussidiarietà, di
complementarità e di rafforzamento reciproco all'interno di macroregioni rispetto alle reti economiche globali [regione alpina,
regione mediterranea, Unione europea, ecc.].
Conclusioni
Il progetto locale, rafforzando la coesione interna della società locale e della sua struttura
produttiva complessa e integrata, crea le basi di autonomia necessarie per attivare un sistema di
relazioni con le altre società locali di tipo non gerarchico, federativo, solidale, avviando un
processo di «globalizzazione dal basso», che risponde all'obiettivo di elevare la qualità della vita
in forme non selettive e non escludenti. Obiettivo che confligge con la globalizzazione
economica dall'alto che produce processi di allineamento verso la povertà, a causa delle regole
della competizione cui ogni attore locale, impresa o città, è costretto dalle leggi della
globalizzazione stessa: minor costo del lavoro, minore resistenza dei fattori ambientali.
In conclusione, il progetto locale in quanto proposta politica di globalizzazione dal basso, in quanto
proposta per diffondere e connettere energie di risposta attiva alla globalizzazione economica,
utopicamente allusiva ad un mondo plurale, degerarchizzato, riconosce la disparità profonda
della relazione attuale fra locale e globale e perciò non contiene l'ansia di risolvere il problema
con la rincorsa affannosa della competizione fra poveri, destinata a produrre cortocircuiti
fallimentari per lo sviluppo delle società locali stesse: propone di lavorare prioritariamente e
strategicamente alla crescita delle reti locali e della loro «densità sociale» come condizione
imprescindibile per poter affrontare relazioni e sollecitazioni dalle reti lunghe del globale.
Testo tratto da:
Democrazia fai da te
Ed. I libri di Carta