Il corpo nella storia della filosofia

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Il corpo
nella storia
della filosofia
A cura di
Mario Gori
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Filosofia del corpo
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Filosofia dal punto di vista etimologico significa “amore del sapere”
”…la sapienza è una delle cose più belle, ed Eros è amore per il bello. Perciò è
necessario che Eros sia filosofo e, in quanto è filosofo, che sia intermedio tra il
sapiente e l’ignorante”. Platone, Simposio
Filosofia come “desiderio di conoscenza, “avventura dello spirito”.
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Contrariamente all’arte greca, in cui la statuaria e il mito risultano profondamente
legati alla fisicità e alle passioni, la filosofia, al contrario, appare poco propensa,
in linea di principio, a lasciare spazio alla corporeità e alle sue manifestazioni.
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Ripercorriamo le tappe più significative della storia della filosofia nelle quali si è
manifestata una propensione a valorizzare o al contrario a svalorizzare la
dimensione del corpo evidenziando i momenti in cui la corporeità è stata posta in
relazione o in opposizione alla dimensione spirituale e/o mentale e i rari momenti
in cui, tra corpo e spirito e/o corpo e mente si è realizzato un armonico equilibrio.
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Il corpo nel pensiero filosofico
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Consideriamo in un unico periodo lo sviluppo della filosofia dalle
origini fino al primo profondo cambiamento dei concetti di riferimento
(anima/corpo, prima; mente/corpo, poi) determinato dalla nascita della
scienza moderna col Meccanicismo cartesiano nel Seicento.
Il riferimento è la concezione del corpo come strumento dell'anima (Platone
e Aristotele nella filosofia “pagana”), ripresa anche dall'apostolo Paolo
(concetti di "carne e spirito"), dalla dottrina dei Padri della Chiesa cristiana
Agostino e Tommaso.
Accanto a questa concezione nel pensiero greco antico ne sussistono altre:
- naturalista dei Fisiologi
- materialista degli Atomisti
- logica/ontologica di Parmenide
- pensiero scientifico da Ippocrate (V sec.a. C.), a Galeno (II sec. d. C.)
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SOFISTI (V sec. a.C.)
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Determinano una svolta nella storia della filosofia in quanto
spostano l’asse della speculazione dalla natura all’uomo.
Abbandonata la ricerca di verità assolute, trovano uno spazio
nella polis e vi si inseriscono proponendo non un sapere
astratto, ma un “saper fare”, l’arte di parlare in pubblico e di
conquistare il consenso dell’assemblea.
L’attenzione viene così rivolta volta al “singolo”, all’individuo
con l’esito relativistico dell’ “homo mensura” di Protagora.
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SOCRATE (470-399 a.C.)
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Concentra la sua attenzione sull’uomo ma, a differenza dei Sofisti e
malgrado la sua generale affermazione di non sapere, stabilisce quale sia
l’essenza dell’uomo e ne dà una definizione precisa ed univoca: l’uomo è la
sua anima.
Per “anima” intende la ragione, la sede della attività pensante ed
eticamente operante, l’io consapevole, ossia la coscienza e la personalità
intellettuale e morale.
Il corpo assume quindi una posizione subordinata rispetto alla psychè,
diventando uno strumento al servizio dell’anima.
L’uomo” non è il suo corpo, bensì “ciò che si serve del corpo”.
La più significativa manifestazione della psychè consiste nell’”autodominio”
di sé negli stati di piacere e di dolore, nell’impeto delle passioni e degli
impulsi, della propria razionalità sulla propria animalità, così l’anima è
signora del corpo e dei suoi istinti.
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PLATONE (428-347 a.C)
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Con la scoperta della metafisica, dà vita ad un cambiamento qualitativo, sostanziale nella
storia della filosofia.
Assumono corretto significato le definizioni di “materiale” e “immateriale”, “sensibile” e
“soprasensibile”, “empirico” e “metaempirico”, “contingente” ed “eterno”.
Una visione ontologica contrapposta dove solo ciò che metafisico è perfetto ed autentico
mentre ciò che è fisico, la materia, la “chora”, copia sbiadita ed imperfetta dell’originale
metafisico.
Questa contrapposizione a livello ontologico si traduce in un rigido dualismo a livello
antropologico. Alla componente metafisico-ontologica si unisce infatti la componente
religiosa dell’Orfismo che trasforma la distinzione tra anima e corpo in una opposizione.
Per questo motivo il corpo non è più inteso come uno strumento al servizio del corpo
(Socrate), ma come una “tomba”, un “carcere dell’anima”.
L’anima deve fuggire i mali del corpo: le passioni, le inimicizie, l’ignoranza, la follia.
Il morire del corpo è vivere dell’anima, e la fuga dal corpo rappresenta il ritrovamento dello
spirito.
L’amore diventa lo specchio illuminante di questa contrapposizione: una lotta interiore tra
la tensione erotica che mira al soddisfacimento fisico e quella che spinge l’uomo ad
elevarsi (Fedro).
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Nel rapporto amoroso ragione e passione entrano in contrasto: se prevale la ragione
allora l’amore nobilita l’uomo ed eleva la sua anima verso il mondo delle idee; se
invece prevale l’amore volgare l’anima rimane legata al corpo e si abbrutisce.
Il vero amore è desiderio del bello, del bene, della sapienza, della felicità,
dell’immortalità, dell’Assoluto.
L’amore presenta diversi gradi di perfezione e vero amante è colui che sa percorrere
tutte le vie che conducono alla contemplazione del Bello in sé, dell’Assoluto.
- l’amore fisico è desiderio di possedere il corpo bello al fine di generare nel bello un
altro corpo e questo amore, pur nella sua imperfezione, rivela un desiderio di
immortalità.
- amanti che si amano a livello spirituale
- amanti delle anime, delle arti, della giustizia, delle leggi e delle scienze
- amore come folgorante visione dell’idea del Bello in sé, dell’Assoluto.
La cura dell’anima si traduce dunque in purificazione dell’anima che si realizza
trascendendo i sensi e impossessandosi del puro mondo dell’intellegibile attraverso
un percorso catartico di conoscenza.
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Nella seconda fase del suo insegnamento, il corpo gli appare come tomba dell'essere umano e
carcere dell'anima (l'anima è costituita da tre parti: l'anima appetitiva, che prova desideri e
passioni ed è prevalente nei Produttori; l'anima irascibile o impulsiva dei Guardiani che prova
impulsi e slanci; l'anima razionale capace di conoscere che è propria dei Filosofi. L 'anima è
come un auriga - razionale - che controlla due cavalli, uno docile - impulsiva - l'altro sfrenato appetitiva – (Repubblica e Fedro) , perché quella parte dell'anima che è sede delle passioni si
lascia trascinare dal Corpo. “La morte è purificazione e liberazione dell'anima", e comunque, se
si vuol vivere bene, bisogna rinunciare ai piaceri del corpo, reprimere i desideri per una totale
dedizione alle virtù dell'anima; la sapienza è preparazione alla morte e anticipazione della
contemplazione pura della verità che l'uomo può raggiungere solo dopo la separazione dal corpo
(Gorgia e Fedone).
Nella terza fase del suo pensiero sostituisce al rapporto di opposizione tra anima e corpo uno di
collaborazione, dove il corpo è strumento dell'anima. Nel raccontare l'origine del mondo, il dio
creatore forma l'anima immortale e poi altri dei le avvolgono attorno un corpo mortale che le
serve da carro, cioè da strumento per muoversi (Timeo); analogamente anche la morale si fa
meno ascetica, perché la vita migliore non sta né solo nel piacere, né solo nell'esercizio
dell'intelligenza, ma piuttosto in una mescolatura di entrambi (dottrina del giusto mezzo, Filebo).
Alcune pagine sono dedicate alla Ginnastica, l'arte più adeguata per l'educazione del corpo,
come la Musica lo è per l'anima. (Timeo, Leggi)
Il corpo con tutte le sue determinazioni di caducità e corruttibilità è svalorizzato nei confronti di
un'anima che risulta immortale e rappresenta la vera natura dell'uomo.
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Aristotele (IV sec. a.C.)
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Ricerca la realtà delle cose (per l'analisi accurata di molti fatti naturali, appare come uno dei più
grandi scienziati dell'antichità), tuttavia a questo livello di realtà si sovrappone un livello più alto,
quello metafisico che spiega le cause del sottostante.
L'uomo è l'insieme di due elementi: il corpo e l'anima; così come tutte le cose, anche l'uomo è
costituito da un substrato materiale (corpo) che è pura possibilità informe, e da un principio non
materiale, chiamato forma (anima) che specifica questo substrato materiale dandogli quell'
organizzazione che sarà la sua caratteristica, facendo cioè passare la materia dallo stato di
potenzialità originaria all'Essere in atto.
Critica i filosofi precedenti che hanno descritto il corpo separato dall'anima ed hanno ristretto il
rapporto al fatto che l'anima dà movimento e sensibilità ad un corpo che le è estraneo, perché è
evidente che la relazione fra i due elementi non può essere considerata casuale. In tal senso
quindi I 'uomo è «sinolo (unità di materia e forma) di corpo ed anima». Conseguentemente pone
un rapporto causale per cui l'uomo deve realizzare l'anima, come in ogni cosa (finalismo)
l'Essere deve realizzare la sua sostanza o entelechia o atto perfetto. L’uomo si qualifica per
essere tale non quando segue le leggi del corpo, ma le quelle dell'anima.
Prende le distanze da Platone configurando un sistema finalistico dove ancora prevalgono le
dimensioni sovraordinate alla realtà, quelle metafisiche, riavvicinandoglisi, seppur in un modo
molto moderato e comunque valorizzando il corpo come strumento dell'anima.
La dottrina aristotelica dell'anima dà conto del funzionamento della sensibilità e dell'intelligenza
secondo un modello che si protrarrà nel tempo fino alla nascita della Psicologia scientifica a metà
dell'Ottocento.
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EPICURO (341-270 a.C)
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La filosofia è una “medicina dell’anima” che permette di curare l’infelicità dell’uomo.
Tale cura è costituita dal “quadrifarmaco” con l’indicazione che la felicità, se
giustamente intesa, è alla portata di tutti.
“Ill piacere è principio e fine del vivere felicemente e virtù, bene, felicità coincidono
con il piacere. (Lettera a Meneceo)
Formula così un’etica “edonistica” che implica una valorizzazione di ciò che può
produrre soddisfazione e godimento anche sul piano materiale.
Ridimensiona i facili ed ingenui entusiasmi per una filosofia che appare finalmente
“incarnata” e lontana dall’ascetismo che l’aveva caratterizzata sin ad allora. “Non
dunque le libagioni, né le feste ininterrotte, né il godersi fanciulli e donne, né il
mangiare pesci e tutto il resto che una ricca mensa può offrire è fonte di vita felice;
ma quel sobrio ragionare che scruta a fondo le cause di ogni atto di scelta e di
rifiuto, e che scaccia le false opinioni, per via delle quali grande turbamento si
impadronisce dell’anima”. (Lettera a Meneceo )
Solo i piaceri “naturali e necessari” sono da perseguire, per quelli non necessari e
per quelli artificiali è riservato un giudizio di disapprovazione.
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ZENONE (332-262 a.C.)
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Gli Stoici sostengono che il piacere, se realmente esiste,
viene in un secondo tempo, quando la natura…ha rinvenuto
tutto ciò che si adatta alla sua costituzione…E poiché gli
esseri razionali hanno ricevuto la ragione per una condotta
più perfetta, il loro vivere secondo ragione coincide
rettamente col vivere secondo natura, in quanto la ragione si
aggiunge per loro come plasmatrice ed educatrice
dell’istinto… (Diogene Laerzio,Vite dei filosofi )
Le passioni sono per gli Stoici vere e proprie malattie
dell’anima e tutto ciò che giova al corpo e alla nostra natura
biologica viene considerato “indifferente”.
Il saggio è colui che non lascia neppure nascere nel suo
cuore le passioni o le estirpa nel loro stesso manifestarsi; la
felicità consiste infatti nell’apatia e nell’impassibilità.
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PLOTINO (205-270 d.C.)
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Pone l’Uno come Assoluto che si autocrea (autoctisi) con un atto di assoluta libertà e dal
quale, grazie ad una attività di “processione”, derivano la seconda e la terza “ipostasi”
rispettivamente il Nous o Spirito e l’Anima.
La materia sensibile deriva dalla sua causa come possibilità ultima, come esaurimento
totale e quindi privazione estrema dell’Uno. In questo senso la materia è male, ma il male
non è forza negativa che si oppone al positivo, ma semplicemente mancanza, privazione
del positivo.
Cos’è infatti il buio se non un’assenza di luce? Allo stesso modo la materia è un nonessere, il buio che permette l’esistenza della luce dello spirito.
L’uomo è fondamentalmente la sua anima e tutte le attività e la vita dell’uomo
dipendono dall’anima la cui attività più elevata consiste nella libertà mentre il suo
destino consiste nel suo ricongiungimento al divino.
Le vie del ritorno all’Assoluto sono molteplici: quella della virtù, dell’erotica
platonica, quella dialettica. Ma a queste aggiunge l’estasi il cui raggiungimento significa
spogliarsi di ogni alterità, rientrare in sé medesimo, nella propria anima e infine
immergersi nella contemplazione di Lui.
L’estasi è semplificazione, è contemplazione in cui soggetto contemplante e oggetto
contemplato si fondono: è la fuga da solo a Solo. (Enneadi)
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Il corpo nella filosofia cristiana
La filosofia cristiana stravolge radicalmente le categorie del pensiero greco-occidentale.
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Il cristianesimo è stato la più grande rivoluzione che l’umanità abbia mai compiuta…Tutte
le altre rivoluzioni tutte le maggiori scoperte che segnano le epoche nella storia umana,
non sostengono il suo confronto, parendo rispetto a lei particolari e limitate…(Benedetto
Croce, Perché non possiamo non dirci cristiani…)
Contenuti innovativi: monoteismo, creazione, visione lineare della storia, nuova
dimensione della fede e dello Spirito…
In ambito antropologico i contenuti rivoluzionari sono l’antropocentrismo: “Facciamo
l’uomo a nostra immagine, secondo la nostra somiglianza, e nel Levitico...voi quindi sarete
santi come io sono santo…” (Genesi)
E se il pensiero greco, dopo Socrate ha additato nell’anima l’essenza vera dell’uomo, il
messaggio cristiano ha proposto il problema dell’uomo in termini completamente diversi:
l’uomo è creatura di Dio nella sua totalità, ricchezza e unicità. Ed è per questo motivo che
l’immortalità non è riservata solamente all’anima, come ritenevano i Greci, ma il ritorno
alla vita è riservato anche ai corpi, e si parla per la prima volta di “resurrezione dei morti”.
“Stoici ed Epicurei ascoltarono Paolo finché parlò di Dio, ma quando parlò di
resurrezione dei morti non gli permisero di continuare a parlare.
All’udire parlare di resurrezione dei morti parte si misero a beffarlo, parte dissero: ”Su
questo argomento ti ascolteremo un’altra volta”. Così Paolo dovette lasciare la loro
assemblea. (Atti degli Apostoli )
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L’“incarnazione di Cristo, “assurda” e “paradossale” (Kierkegaard)
trasforma quel “vago simulacro” del corpo, di cui parlavano i Greci, in
un “tempio dello spirito” che va rispettato, nobilitato e santificato.
“Mi baci con i baci della tua bocca! Sì, le tue carezze sono più dolci del
vino. Alla cavalla del cocchio del faraone io ti assomiglio, amica mia.
Belle sono le guance fra i pendenti, il tuo collo fra i vezzi di perle.
Faremo con te pendenti d’oro, con grani d’argento… (Cantico dei
cantici, Salomone)
“La carne ha desideri opposti a quelli dello spirito e lo spirito desideri
contrari a quelli della carne” (Lettera ai Galati).
“Così i mariti devono amare le proprie mogli come i loro propri corpi;
chi ama la propria moglie ama se stesso. Nessuno,infatti, non ha mai
odiato la propria carne, ma la nutre e ne ha cura, come Cristo fa per la
sua Chiesa, poiché noi siamo membra del corpo di Cristo.(Lettera agli
Efesini)
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Paolo di Tarso (I sec. d.C.)
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Se il corpo, creato da Dio e sacralizzato dalla
corporeità del Cristo e perciò destinato alla
resurrezione, non può che assumere un valore positivo.
Il corpo è il è tabernacolo dell’anima, però deve
realizzare una vita secondo lo spirito e non secondo la
carne, perché altrimenti pecca.
Anche nella prima concezione cristiana il corpo è
strumento dello spirito o dell'anima, e può subire una
valorizzazione, quanto una svalorizzazione a seconda
della spiritualità o della camalità che gli si vuol leggere
addosso.
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S. AGOSTINO (354-430)
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“in Te il male non esiste, e non solo in Te, ma neppure nel Tuo creato. Tra le parti del
creato, alcune ve ne sono, che, siccome non sembrano armonizzarsi con alcune altre,
sono giudicate non buone; ma quelle stesse si accordano poi con altre e per questo sono
buone; anzi sono buone in se stesse. (Confessioni)
L’amore per Dio è un amore non fenomenologicamente diverso dall’amore per la creatura;
ma contraddistinto da permanenza e stabilità.
“Ciò di cui in coscienza io non dubito, Signore, è che amo Te…Ma che cosa amo, amando
Te? Non la grazia di un corpo, non il fascino del mondo, non la candida luce amica di
questi occhi, non la carezza melodiosa dei canti, non il profumo dei fiori e dei
balsami o di aromi, non la manna e il miele degli abbracci e dei desideri carnali.
Non è questo che amo, quando amo il mio Dio. Eppure una sorte di luce, una sorte di
voce e di profumo e di cibo e una sorte di abbraccio, quando amo il mio Dio: luce,
voce, profumo e abbraccio dell’uomo interiore, dove ogni cosa splende e risuona e
profuma per l’anima e da lei sola si fa assaporare e stringere…Questo è ciò che
amo, quando amo il mio Dio”.
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IV/V secolo- fine millennio d. C.
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Mentre molti Padri Orientali leggevano nel corpo la carnalità peccaminosa nel corpo
in Occidente si recupera una dignità strumentale del corpo nella sensibilità (attività
dell'anima per mezzo del corpo), e riprendendo la teoria platonica della differenza
sostanziale del corpo dall'anima, si attribuisce all'anima stessa il peccato (le due
città).
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Per tutto il medio evo predomina nella cultura occidentale il pensiero platonico, rivisitato
da S. Agostino e dopo il 1100 nella versione dei Francescani e di S. Bonaventura, o nel
pensiero dei mistici e rispecchiato dalla estrema precarietà della vita quotidiana all'epoca
delle invasioni barbariche, quando si tocca il livello più alto di mortalità per le pestilenze e
le carestie e il livello più basso nello sviluppo quantitativo della popolazione.
Verso la fine del Millennio le invasioni vengono fermate sia a Occidente (Arabi) che ad
Oriente (Avari) dai Re Franchi prima e dagli Imperatori tedeschi poi; nuove tecniche di
coltivazione ed il disboscamento permettono di alzare la produzione agricola, così la
popolazione comincia a crescere e la stessa vita quotidiana si fa meno precaria.
Anche il pensiero filosofico riscopre i classici, prima attraverso gli autori arabi e poi
autonomamente.
Nel milleduecento il pensiero aristotelico trova massimo splendore dopo averlo introdotto
al posto del platonismo nelle Università.
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S. TOMMASO D’AQUINO (1224-1274)
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Contribuisce alla rivalutazione della corporeità affermamdo che ciò che distingue un
individuo dagli altri della stessa specie è la materia, non in generale ma quella “signata
quantitate”, cioè una certa quantità di materia che ha un certo peso, occupa un certo
spazio, e dunque ha dimensioni determinate.
La materia è la quantità di carne e ossa che costituisce il corpo di ogni singola persona.
La “materia signata” come “principium individuationis”, unita ad un’anima immortale, fa di
ogni singolo uomo il destinatario della salvezza.
Afferma l'unità anima-corpo (pensiero aristotelico contro la distinzione platonica),
assegnando al corpo una funzione strumentale: il corpo è subordinato alI'anima
come al proprio fine, per cui è orientato naturalmente al bene e non al peccato.
Il finalismo che in Aristotele legava tutte le cose secondo un disegno complessivo ed
armonico della realtà, ora è interpretato nella concezione del Dio cristiano creatore
ed il corpo ha la disposizione migliore alla realizzazione delle operazioni dell'anima.
Quando l'anima gode di Dio, ridonda sul corpo una certa beatitudine, e poiché il
corpo è fatto partecipe della beatitudine, deve essere amato con amore di carità.
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Umanesimo e Rinascimento
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Nel Trecento in Italia nasce un modo nuovo di pensare la realtà alla luce degli autori classici e
in un'atmosfera laica, rispetto a quella profondamente religiosa dell'età precedente, che sarà
capace a sua volta di coinvolgere anche il pensiero religioso (ad es. sulla concezione educativa).
Questo modo di affrontare la realtà si fa cultura fuori dalle Università, nella vita civile e diventa
modo di vivere ed agire.
L'Umanesimo ha il suo punto focale nella valorizzazione delle capacità umane di intervento sulla
realtà, contro la concezione medievale centrata sull'intervento divino, sull'ascetismo e la
mortificazione.
Dall'Italia si diffonde in tutta l'Europa con il Rinascimento e costituisce il preludio per la nascita
della scienza nel Seicento e per l'llluminismo del Settecento.
Importanti indicazioni emergono dalle opere di Leon Battista Alberti (Della famiglia) e dalle
iniziative e riflessioni di educatori e pedagogisti (Vittorino da Feltre, Pier Paolo Vergerio, Vegio,
Palmieri, Antoniano).
Mentre l'Umanesimo si diffonde, nel Cinquecento la cristianità assiste alle lacerazioni della
Riforma protestante e dello scisma della Chiesa anglicana che sconvolgono l' ortodossia
cattolica e minano l'autorità del Papato, già provata dalla contesa con gli imperatori per la
supremazia nelle investiture dei feudi.
Ma il cattolicesimo e il Papato rispondono con la Controriforma e la costituzione della Compagnia
di Gesù per la difesa della Chiesa cattolica, organizzando le scuole per la formazione dei ceti più
elevati (Collegi gesuitici e Ratio studiorum).
Il pensiero umanistico-rinascimentale si caratterizza per una valorizzazione della natura e con
essa dell’uomo visto come “copula mundi” (Pico della Mirandola), “microcosmo” (Cusano) e
dotato di un corpo che diventa oggetto di studio ora magico-alchemico, ora sperimentale come
nel De humani corporis fabrica di Vesalio, negli studi di fisiognomica di Della Porta, in quelli di
iatrochimica di Paracelso e di indagine anatomica nei disegni di Leonardo da Vinci.
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RAZIONALISMO
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Nel XVI sec. il Razionalismo moderno esprime l’esigenza di una necessaria alleanza
tra la mente e il corpo, la ragione e le passioni.
In Cartesio il dualismo di “res cogitans” e “res extensa” porta l’esigenza di utilizzare
una strategia indiretta che utilizza le emozioni positive e utili alla vita contro quelle
negative e dannose.
La moralità consiste in questa forza della ragione che consente di limitare o
annullare gli effetti delle passioni pur senza sopprimerle. Il suo volontarismo appare
pertanto ancora troppo legato al mito dell’anima “prigioniera” del corpo (v. Platone).
In Spinoza e Leibniz si perviene ad un più prudente gradualismo di sensibilità ed
intelletto, affettività e razionalità. Le passioni non sono più un elemento “straniero”
alla vita spirituale, ma una componente necessaria del suo sviluppo.
Il “parallelismo psicofisico” spinoziano non vede una contrapposizione tra anima e
corpo che considera due attributi dell’unica sostanza e che genera necessariamente
una corrispondenza biunivoca tra pensieri e corpi.
La concezione monadologica leibniziana considera la materia qualitativamente
assimilabile all’energia metafisica della monade e solo inferiore per grado di
chiarezza rappresentativa.
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HOBBES (1588-1679)
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La filosofia è scienza dei corpi e ne studia le cause e le proprietà. Ora
poiché i corpi sono o a) naturali inanimati (De corpore) b) naturali animati,
(De homine) oppure c) artificiali (De cive)
La filosofia deve essere tripartita in a) scienza del corpo in generale, b)
scienza dell’uomo, c) scienza del cittadino e dello Stato.
Esclude dallo studio filosofico tutto ciò che non è empiricamente
conoscibile e interpreta l’intero universo ricorrendo esclusivamente a
materia e movimento (meccanicismo).
Anche i processi conoscitivi, i sentimenti di piacere e di dolore, il desiderio,
l’amore e l’odio e lo stesso volere sono “moti”.
In questa filosofia meccanicistica non c’è spazio né per la libertà né per i
valori assoluti e il bene è relativo alla persona, al luogo, al tempo e alle
circostanze (v. Protagora).
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PASCAL (1623-1662)
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La riflessione antropologica è il punto di partenza per realizzare una
Apologia del Cristianesimo.
“Noi conosciamo la verità non soltanto con la ragione, ma anche con il
cuore… E su queste conoscenze del cuore e dell’istinto deve appoggiarsi
la ragione, e fondarvi tuta la sua attività discorsiva… Il cuore ha le sue
ragioni, che la ragione non conosce… L’uomo è solo una canna, la più
fragile della natura: ma è una canna che pensa. Non occorre che l’universo
intero si armi per annientarlo; un vapore, una goccia d’acqua bastano ad
ucciderlo. Ma, quando anche l’universo lo schiacciasse, l’uomo sarebbe
sempre più nobile di quel che lo uccide, perché sa di morire... Tuta la
nostra dignità sta, dunque nel pensiero… Lavoriamo,quindi, a ben pensare:
ecco il principio della morale. (Pensieri)
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LOCKE (1632-1704) e HUME (1711-1776)
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L’Empirismo inglese costituisce una corrente filosofica che da un punto di vista antropologico e
gnoseologico si pone in aperto contrasto con il razionalismo francese.
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Locke critica l’”innatismo” affermando che la conoscenza deriva esclusivamente nell’esperienza
sensibile e le sensazioni interne ed esterne del nostro corpo costituiscono l’unica fonte di verità.
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Hume, conduce un indagine antropologica partendo da quella che oggi definiremo un’analisi
esistenziale. Chi sono io?...Ci sono alcuni filosofi, i quali credono che noi siamo in ogni istante
intimamente coscienti di ciò che chiamiamo il nostro Io: che noi sentiamo la sua esistenza e la
continuità della sua esistenza… Disgraziatamente…noi non abbiamo nessuna idea dell’Io. Da
quale impressione potrebbe derivare tale idea? E’ impossibile rispondere a questa domanda
senza cadere in contraddizioni e assurdità manifeste… Ci vuole sempre una qualche
impressione per produrre un’idea reale. Ma l’Io, o la persona, non è un’impressione: e ciò a cui
vengono riferite, per supposizione, le diverse nostre impressioni e idee… Per parte mia, quando
mi addentro più profondamente in ciò che chiamo” me stesso”, m’imbatto sempre in una
particolare percezione: di caldo o di freddo… di amore o di odio, di dolore o di piacere… Pertanto
io oso affermare che per il resto dell’umanità noi non siamo altro che fasci o collezioni di differenti
percezioni che si susseguono con una inconcepibile rapidità, in un perpetuo flusso e
movimento… e la mente è una specie di teatro, dove le diverse percezioni fanno la loro
apparizione, passano e ripassano, scivolano e si mescolano con una infinita varietà di
atteggiamenti e di situazioni. (Trattato sulla natura umana)
Con Hume si è completamente realizzato il completo dissolvimento della sostanza materiale, il
corpo e della sostanza spirituale, la mente e l’anima.
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CONDILLAC (1715-1780)
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L’Illuminismo francese si caratterizza, a livello antropologico, per una spiccata posizione
sensista, molto vicina all’empirismo inglese.
Appassionato sostenitore del sensismo è Condillac che conduce l’esperimento mentale
della statua di marmo.
“Immaginai una statua interiormente organizzata come noi e animata da uno spirito privo
per altro di ogni specie di idee. Supposi inoltre che la superficie, essendo di marmo, non
le permettesse l’uso di alcun senso, e mi riserva la libertà di dischiuderli, ad arbitrio, alle
diverse impressioni alle quali sono suscettibili. Ritenni di dover cominciare dall’odorato,
perché tra tutti i sensi è quello che sembra meno contribuire alle conoscenze dello spirito
umano. Le mie ricerche si volsero poi agli altri sensi…e seguii la statua nel suo graduale
trasformarsi in animale capace di badare ala propria conservazione.
Il principio che determina lo sviluppo delle sue facoltà è assai semplice; esso è racchiuso
nelle stesse sensazioni: essendo tutte infatti di necessità o piacevoli o dolorose, la statua
è interessata a godere delle prime e a sottrarsi alle seconde. Mi è sembrato perciò inutile
supporre che l’anima possegga immediatamente per natura tutte le facoltà delle quali è
dotata. La natura ci ha dotato di organi per avvertirci mediante il piacere di ciò che
dobbiamo ricercare, e mediante il dolore di ciò che dobbiamo fuggire. (Trattato delle
sensazioni)
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Meccanicismo e Dualismo: Cartesio
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All'inizio del Seicento, preannunciato dal pensiero naturalistico di Telesio, Bruno e Campanella,
contro la perdurante scolastica aristotelico-religiosa, sorge un nuovo modo di studiare la natura
con Galilei e Bacone (metodo scientifico e 'indagine sulla natura, contro l'analisi metafisica degli
aristostotelici) e con Cartesio che giustifica i fondamenti ontologici (caratteristiche dell'Essere su
cui può applicarsi la nuova scienza).
Contro il Finalismo aristotelico, Cartesio (dubbio metodico) propone due sostanze distinte a
fondamento della realtà: il pensiero o la mente (pensiero cosciente) o Anima e l'estensione o la
materia o Corpo dotato di per sé e per puro meccanismo di Movimento e Sensibilità. Le due
sostanze coesistono e procedono parallelamente nell'uomo, ma la loro eterogeneità apre il
problema del rapporto tra corpo e mente. Dal dualismo cartesiano un nuovo statuto investe il
corpo, giacché questi risulta un aggregato organizzato di materia, retto da principi della fisica
meccanica: il movimento e l'estensione. Entrambi questi principi sono misurabili e perciò
determinabili oggettivamente (l'estensione attraverso le dimensioni ed il peso caratteristico di
quella materia; il movimento come quantità di moto mediante massa e velocità), senza ricorrere
ad elementi esterni come spirito, anima.
Il corpo viene visto come complesso organizzato di organi.
Il corpo dell'uomo (e dell'animale) è una macchina, un automa (come un orologio, una fontana
artificiale, ecc.) incapace di rappresentazioni psichiche.
Però nell'uomo la mente o anima sviluppa attraverso il linguaggio una coscienza di sé che
manca agli animali (e agli uomini bruti che mancano del linguaggio).
Cerca infine un punto di contatto tra la fisica della mente (psicologia) e quella del corpo, per
giustificare il contributo corporeo alle passioni dell'anima, ma non va al di là dell'individuazione di
un organo, l'epifisi, dove gli spiriti vitali che percorrono i nervi del corpo toccano l'anima.
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Oltre il Dualismo di Cartesio
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Si manifestano i primi tentativi di superare il dualismo delle sostanze nella visione della realtà
(piano ontologico), nella concezione dell'uomo (piano antropologico), nella giustificazione della
conoscenza umana (piano gnoseologico).
Le principali soluzioni adottate sono:
a) Materialismo (Hobbes): quando Cartesio, dopo aver dubitato di tutto, anche di sé, trova il
primo appiglio per la costruzione di una conoscenza certa nel fatto di non poter dubitare di star
pensando e, perciò, si può cogliere come sostanza pensante, compie un passaggio logico
indebito nel trasferire al soggetto pensante la qualità di sostanza, perché nell'atto di dubitare io
mi colgo non come sostanza pensante, ma come cosa pensante. Tutto il sistema materialista da
ora in poi, è basato sul fatto che solo la materia è causa delle cose e non esiste un'altra realtà,
se non quella che dal movimento della materia promana, così il pensiero è l'effetto del
movimento nel sistema neuronale cerebrale.
b) Occasionalismo: per salvaguardare la spiritualità dell'anima,elimina l'influenza reciproca
ammessa, ma non dimostrata, da Cartesio tra mente e corpo, proponendo un modello di
assoluta separazione, dove per intervento di Dio al verificarsi di un'affezione nel corpo si realizza
anche una sensazione nell'anima e, analogamente, al prodursi di un'affezione nell'anima si
realizza anche un movimento nel corpo (continuo intervento di Dio).
c) Armonia prestahilita (Leibniz): anziché prevedere un intervento continuo di Dio, ne propone
uno iniziale per cui si realizza un'uniformità di sviluppo tra i due campi (corporeo e mentale) che
comunque rimangono nettamente distinti, così i fenomeni accadono già armonizzati, come due
orologi caricati e sincronizzati fin da principio.
d) Parallelismo psico-fisico (Spinoza): si configura come unità sostanziale in Dio che però
dà luogo a due serie di avvenimenti totalmente distinti: quelli della modalità relativa al Pensiero
(la mente) e quelli della modalità relativa all'estensione (il corpo). In campo scientifico questa
concezione ha costituito il riferimento della Psicologia nascente di Wund e Fechner (seconda
metà dell‘800 in Germania, come modello di ipotesi antropologica che ha permesso lo sviluppo di
una ricerca oggettiva sui fenomeni di coscienza attraverso la misurazione di parametri corporei.
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Nel Settecento un grande movimento culturale domina
la scena della riflessione filosofico-scientifica europea:
l'Illuminismo che rischiara la mente degli uomini, fino ad
allora oscurata dall'ignoranza, dalla barbarie e dalla
superstizione (anche religiosa) alla luce della ragione.
Alla fede nel progresso, nella riforma politica attuata dai
regnanti, nelle grandi possibilità dell'educazione, questo
movimento accompagna una critica della religione con
un certo materialismo di fondo, anche se profonde sono
le differenze tra i vari autori.
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ROMANTICISMO
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Il Romanticismo si configura come fenomeno culturale dalle
molteplici sfaccettature che, semplificando, polemizza con la
fredda razionalità illuminista e si propone di valorizzare
nell’uomo quanto vi sia di passionale, eroico, languido,
struggente, nostalgico…
La rivalutazione della natura, liberata dai rigidi schemi
meccanicistici, si accompagna ad una rivalutazione dell’uomo
sia nella sua dimensione emozionale e spirituale, che in
quella corporeo-pulsionale.
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La Mettrie
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Rappresentante più deciso (insieme ad Helvetius e D'Holbach) dell'ateismo
materialistico in Francia.
Da medico ("L 'uomo macchina“), descrive il corpo dell'uomo come un automa
perfetto col quale la natura ha raggiunto l'apice dell'organizzazione materiale. L’uomo
macchina s'inserisce nel quadro di una realtà naturale totalmente meccanicistica (v.
D'Holbach) ed è dominato da una meccanica morale dove lo spirito è ridotto alla
ripulsa del dolore e alla ricerca del piacere (v. Helvetius).
Ma accanto a questa punta dell'ateismo materialistico, l'Illuminismo conosce forme
più moderate dove permane la credenza in un'anima spirituale (v. Condillac)
Tra gli Ideologi Cabanis, tra la fine del Settecento e l'inizio dell'Ottocento, affronta il
tema dei "Rapporti tra il fisico e il morale dell'uomo“ (scrive per la Società degli
Osservatori dell'Uomo (la medesima che vede le ricerche di Itard per il ragazzo
selvaggio, Sicard direttore della scuola per sordomuti, Pinel direttore dell'ospizio per
alienati e molti altri sull'uomo fisico, morale e intellettuale)
Ammette l'anima, ma come effetto dell'organizzazione corporea, tanto è vero che a
seconda delle diverse condizioni di vita si hanno pensieri, idee, ragionamenti diversi,
quindi le caratteristiche psicologiche sono diverse a seconda delle condizioni
materiali.
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Idealismo e positivismo
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Nell'Ottocento dagli esiti della riflessione kantiana e, in particolare dallo sviluppo di
una rappresentazione originaria come “l‘ Io penso", nel giustificare la conoscenza
vera dei fenomeni, nasce una scuola filosofica che pone in evidenza come la realtà
sia il risultato di un atto libero del pensiero umano: l'Idealismo tedesco.
Questo movimento di pensiero non dà grande peso alla materialità della corporeità,
ma al più si vede nel corpo soltanto un segno dell'anima.
La corporeità è per Hegel l'esteriorità in quanto predicato dell'anima: per lo spirito
l'esibirsi dell'anima nel corpo (il portamento eretto, il comportamento emotivo, ecc.)
non è che la forma più elementare di espressione, essendo il linguaggio verbale
l'espressione più consona.
«In sé, la materia non ha nell'anima alcuna verità: in quanto per sé, l'anima si separa
dal suo essere immediato e se lo pone di fronte, come corporeità, che non può fare
alcuna resistenza al penetrare di lei. L'anima che ha opposto a sé il suo essere e lo
ha superato e lo ha determinato come l'esser suo, ha perduto il significato
dell'anima, dell'immediatezza dello spirito. L 'anima reale, nell'abitudine del sentire e
del suo sentimento concreto di se è relazione infinita di sé... Tale è la coscienza».
Le categorie idealiste della corporeità vivono solo in una dimensione spirituale.
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Maine De Biran: il soggetto acquisisce la coscienza di sé mediante il senso dello sforzo che percepisce quando
intende agire e il corpo inizialmente gli resiste. Questo senso interno «si estende a tutte le parti del sistema
muscolare o motorio, sottomesse all'azione della volontà. Tutto ciò che è compreso nella sfera dell'attività di
questo senso ... diviene oggetto ... l'uomo perviene infine alla dignità di persona morale, ad Io».
Rosmini: al fondamento di ogni conoscenza si trova la percezione del proprio corpo: questo, infatti, può essere
colto per mezzo dei sensi esterni, o come la vita in noi per mezzo di un senso interno. Questa percezione è il ...
«sentimento fondamentale ... per il quale noi sentiamo il nostro corpo come una cosa con noi ... per cui si può dire
ch'egli è da noi sentito come consenziente». Anche particolare attenzione porta Rosmini alla descrizione della
duplicità della sensazione (tattile), perché nel medesimo tempo abbiamo la percezione dell'oggetto e la
percezione della modificazione del sentimento fondamentale del nostro corpo.
Schopenhauer: se l'uomo fosse come gli angeli, cioè una testa alata, allora sarebbe l'uomo di Kant cui è aperta
la conoscenza del mondo così come appare (fenomenico), ma l'uomo ha il suo corpo e sente la «volontà di
vivere» che gli urge dentro e che fonda la dimensione profonda della realtà medesima. La volontà si serve del
corpo per manifestarsi ed il corpo non è che la manifestazione esteriore della volontà. Anticipa così la visione della
Psicoanalisi e il concetto di inconscio e, pur richiamando il rapporto corpo-anima già espresso da Hegel, approda
ad una visione del tutto pessimistica, perché la volontà è un desiderio mai soddisfatto e la vita non costituisce altro
che una sofferenza continua, dove può accadere di interrompere il dolore (il piacere non è altro che assenza del
dolore).
Concepisce l’uomo come “animale metafisico” cioè come un corpo assieme agli altri corpi, ma anche come l’unica
creatura in grado di squarciare il “velo di Maya” e di cogliere il “noumeno” come Volontà.
Nell’analizzare la Volontà sia come Assoluto che come impulso individuale al quale soggiace l’intero corpo, tenta
un’analisi dell’inconscio. Fa una distinzione tra gli “impulsi” che sono la causa vera del comportamento e le
“motivazioni coscienti”, che mascherano le pulsioni inconsce, le razionalizzano, dando una giustificazione morale
al comportamento stesso.
La contrapposizione è particolarmente evidente nell’istinto sessuale che è prodotta dall’autorealizzazione della
Volontà che spinge all’accoppiamento e alla riproduzione e mira soltanto all’autoconservazione della specie,
mentre l’amore non è altro che la coloritura sentimentale, la giustificazione emozionale e morale di un rapporto
solo apparentemente scelto e voluto.
La via per sottrarsi a tutto questo è indicata nella castità: solo così la Volontà, fonte di un dolore cosmico, cesserà
di “oggettivarsi” e dare così origine ad una pluralità infinità di individui sofferenti.
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Nella seconda metà dell'Ottocento, per effetto dello sviluppo delle scienze,
si realizza la tendenza ad affermare una concezione meccanica della
realtà naturale.
Il Positivismo esprime questa tendenza in diversi modi:
- materialista (Vogt, Haeckel) afferma che la mente sta al corpo come
l'ormone sta alla ghiandola o che la mente è un nome che si dà al
funzionamento del cervello (Epifenomenismo), ed anche che l'evoluzione
è un processo guidato dal caso (mentre Darwin ammette una diversa
causalità, quella della selezione naturale, che non è affatto casuale).
- Spencer estende il concetto di Evoluzione dal piano fisico a quello
psichico (culturale), considerando questi due piani espressioni della
medesima sostanza vivente, anche se con diversa causalità, quella
darwiniana per l'evoluzione corporea e quella di Lamarck (evoluzione
dell'organo per lo stimolo esercitato dalla funzione) per l'evoluzione
psichica o mentale. La mente gli appare come una forma del processo
generale di adattamento alla realtà naturale e sociale dell'individuo
(Superorganico).
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KIERKEGAARD (1813-1855)
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Delinea in Aut-aut due possibilità di esistenza, quella estetica e quella etica mentre lo
stadio religioso viene descritto in Timore e tremore.
Tra le molte figure che descrive, la più famosa è senza dubbio quella del Don Giovanni,
presente sia nella letteratura che nell’opera musicale di Mozart.
Don Giovanni è divenuto, nel tempo, l’archetipo dell’uomo che vive di sensualità e
seduzione, felice e gaudente e che fa della conquista e del possesso il fine della propria
vita.
Sorprende con la sua analisi inedita dell’esteta, e ci descrive un Don Giovanni privo di
individualità, disperso nelle infinite esperienze amorose, incapace di fare delle scelte, di
svolgere dei ruoli, di assumersi delle responsabilità e condannato, per questo, alla
disperazione.
Lontano dai canoni tradizionali di valutazione, indica nello stadio religioso lo “stadio della
ripresa” cioè la dimensione esistenziale in cui l’uomo si riappropria finalmente della sua
umanità. Infatti solo lo stadio religioso, per quanto “assurdo” e “paradossale” permette
all’uomo di conoscersi sino in fondo; è solo in esso che egli può far coincidere la propria
volontà con la volontà di Dio ed esprimere appieno la propria libertà.
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DARWIN (1813-1855)
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Viene citato in questo contesto perchè le sue opere, L’origine delle
specie e L’origine dell’uomo, hanno scosso alle fondamento la
concezione creazionista dell’universo e dell’uomo elaborando una
concezione antropologica in termini meramente biologici.
Teorizzando il principio di variazione e il conseguente principio di
selezione naturale, ha concepito l’uomo in termini evoluzionistici,
come derivazione da forme primitive di vita, quali i primati, dai quali
si differenzia solo quantitativamente e per grado di perfezione.
Anche le facoltà intellettuali e morali dell’uomo sarebbero il frutto
dell’evoluzione biologica naturale di facoltà e sentimenti come la
socievolezza e la solidarietà di gruppo comuni a tante specie
animali e trasmessi per via ereditaria nel corso dei millenni.
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NIETZSCHE (1844-1900)
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La filosofia pone in crisi la razionalità in quanto sospettata di nascondere impulsi
irrazionali, pulsioni che appartengono ad una sfera diversa della vita.
Stravolge le categorie del pensiero tradizionale arrivando a concepire, quasi in termini
evoluzionistici, l’avvento di un uomo nuovo l’”oltreuomo”.
Ma chi è l’oltreuomo? Egli rappresenta uno stadio ulteriore dello sviluppo umano, il
superamento dell’uomo che riceve dall’esterno il proprio destino e il senso del mondo,
diventando egli stesso creatore di nuovi valori. Egli è fedele alla terra, cioè ai valori
naturali, legati al corpo e alla vita terrena, contro ogni trascendenza. L’oltreuomo è colui
che incarnerà lo spirito dionisiaco, o spirito della musica che esprime la profonda volontà
di vivere anteriore ad ogni razionalità. Esso rappresenta l’istinto che non ha in sé freni o
limiti ed è privo delle capacità di autocontrollo proprio dell’uomo razionale, è la vita che
rischia la morte per la volontà di esprimersi fino in fondo.
Collegata a questa concezione antropologica immanente, tutta fisicità e impulso
passionale, è il tema della volontà di potenza che risente dell’influenza dell’evoluzionismo
di Darwin. La volontà di potenza è una forza naturale presente in tutti gli esseri viventi e
che spinge ogni uomo all’affermazione di sé, al potenziamento della propria energia vitale
e a dare al mondo il proprio significato.
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Il corpo nelle filosofie del ‘900
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Terzo periodo storico unitario è tutto il Novecento. Giacché alla fine dell'Ottocento la certezza della visione
meccanicistica della scienza viene messa in crisi da ulteriori scoperte scientifiche e poi nel nuovo secolo
l'affidamento su di un continuo progresso della civiltà viene scosso dalla prima guerra mondiale.
Contro il Positivismo nel primo Novecento nascono nuovi orientamenti filosofici (lo Storicismo tedesco, lo
Spiritualismo francese, il Neoidealismo italiano) che si battono contro la concezione meccanicistica in nome di
elementi spirituali sovrammateriali. Ma un collegamento con quella visione di una realtà naturale, continua
con la realtà psichica e culturale, proposta dal Positivismo non piattamente materialistico (dove corpo e mente
non sono sostanze totalmente diverse, ma dimensioni diverse dei medesimi processi psicobiologici di base) a
cavallo dei due secoli si mantiene nel Pragmatismo americano (in particolare nel pensiero di Dewey) e nel
Neocriticismo tedesco, per arrivare nel secondo dopoguerra fino a Popper ed alla sua teoria dei tre mondi.
Tuttavia tra le due guerre mondiali si avviano due nuovi orientamenti filosofici:
a) Fenomenologia: indaga sulla coscienza dell'uomo e partendo da questa costruisce tutta la vera realtà, cioè
quella che sta a fondamento della realtà solo presunta e che ci appare immediatamente;
b) Esistenzialismo: prende in esame l'esistenza dell'uomo quale suo modo specifico di essere e, in quanto tale,
differente per proprie peculiarità dall'essere delle altre realtà esistenti.
Entrambe queste filosofie sono cercano nel corpo dell'uomo la specificità del suo essere, tuttavia contro la
visione oggettiva positivista della corporeità mettono in rilievo soprattutto la sua espressione soggettiva interna.
Con questo nuovo dualismo, però, non sempre riescono a vedere il senso di una sintesi più avanzata ed
esplicativa dei vari fenomeni.
Bisogna ricordare anche la scuola Neomarxista (Adorno, Marcuse e Fromm) che mette in evidenza le
contraddizioni e le cadute di valore che nascono dall'uso del corpo nella società del benessere.
Prendiamo in esame le concezioni del corpo di Fereud (psicologia), Gentile (filosofi spiritualisti), Husserl per la
Fenomenologia, Sartre per l'esistenzialismo e Merleau-Ponty che porta a compimento il discorso dei due
Autori precedenti, il Personalismo e Popper.
36
FREUD (1856-1939)
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Attraverso gli studi sull’isteria, perviene a formulare l’ipotesi che esistano contenuti psichici, non
direttamente accessibili alla coscienza, in grado di condizionare pesantemente il nostro comportamento
e la salute del nostro corpo.
L’isteria di conversione è un esempio emblematico di come pulsioni represse di origine sessuale,
possano generare, afasie, paresi ed altri gravi disturbi a livello somatico. Freud giunge così a formulare,
nell’opera L’Io e l’es, una seconda topica in cui tratteggia una mappa dell’apparato psichico che risulta
così composto da tre istanze psichiche: l’Es, l’Io e il Super-io. L’Es è l’istanza più originaria e primitiva e
costituisce il serbatoio dei moti pulsionali ed istintivi che stano alla base della vita umana. Tale istanza è
dominata dal principio di piacere che esige la soddisfazione immediata dei propri desideri. L’Es non ha
una organizzazione, è un ribollire di passioni, è un puro e vorticoso caos ed è costantemente controllato
e represso dall’Io e dal Super-io. La vita cosciente appare dunque a Freud solo come una delle
componenti psichiche, la punta di un iceberg che deve soggiacere ad un “triplice servaggio”: i pericoli
del mondo esterno, la libido dell’Es, e il rigore del Super-io.
Sconvolge tutte le categorie interpretative dell’uomo non solo misconoscendo la priorità della
dimensione razionale, ma anche riconoscendo la funzione determinante della sessualità non solo nella
vita dell’uomo ma anche del bambino. Parla infatti di sviluppo psicosessuale del bambino arrivando a
definirlo un perverso polimorfo, definizione che si riferisce alla sede delle zone erogene e non implica
affatto alcun giudizio morale.
La psicoanalisi influenza profondamente la filosofia e il modo stesso di concepire l’uomo, aprendo spazi
interpretativi sconosciuti e liberando l’uomo dalle catene della razionalità.
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BERGSON (1859-1941)
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Nel panorama dello Spiritualismo francese, afferma la libertà dello spirito legandola alla nozione di
durata.
Nel Saggio sui dati immediati della coscienza affronta il tema della libertà collegandolo alla riflessione
sul concetto di tempo distinguendo fra tempo spazializzato e tempo come durata. Il tempo spazializzato
è quello delle scienze naturali, che quantificano i dati, li rendono misurabili, reversibili e li percepiscono
separati gli uni dagli altri. La durata è invece propria degli stati di coscienza, nei quali le sensazioni si
compenetrano vicendevolmente dando luogo ad un sentimento, ad una esperienza vissuta. Ogni stato
di coscienza è unico e irripetibile ed è caratterizzato dalla libertà.
Da questa indagine sul tempo ricava che “la scienza non è sempre in grado di mantenere le promesse”
ovvero non è quel sapere onniesplicativo che pretende di essere.
Nell’opera Materia e memoria dichiara che la nostra identità risiede nella memoria e che mente e
cervello sono distinti; la prima è durata, memoria, ricordo puro, il secondo è uno strumento che guida
l’azione del nostro corpo: “in una coscienza umana c’è infinitivamente di più che nel cervello
corrispondente”.
Nell’opera L’evoluzione creatrice ritiene che la materia organica e l’intero universo siano costituiti da
spirito inteso come “élan vital” slancio vitale, spirito creativo che, al pari di una granata, esplode in mille
direzioni e, ricadendo nello spazio e nel tempo, dà origine a tutti gli esseri viventi, e la materia non è
altro che il momento di arresto di questo slancio vitale. Dunque materia e spirito non sono due versanti
contrapposti, ma solo due aspetti, due “punti di vista” della stessa energia creativa.
È così convinto dei limiti interpretativi della scienza, che dichiara essere l’intuizione e non la ragione l’
”organo” della metafisica; è infatti solo attraverso l’intuizione che possiamo immergerci nel fiume della
vita, cogliere la nostra libertà e comprendere che l’intero universo è slancio vitale.
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SARTRE (1905-1980)
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Testimone attento ed acuto del XX secolo, è stato uno dei massimi rappresentati dell’Esistenzialismo,
non solo francese.
Autore prolifico, ha affidato il suo pensiero a scritti di natura eterogenea: romanzi, pieces teatrali, scritti
filosofici.
Risulta particolarmente interessante il romanzo filosofico La nausea in cui utilizza una sensazione fisica,
un malessere del corpo per esprimere un disagio esistenziale.
L’eroe del racconto è Antoine Roquentin, il quale riflettendo sulle ragioni della propria esistenza e del
mondo che lo circonda, ha l’esperienza rivelatrice della nausea. La nausea è il sentimento che ci invade
quando si sperimenta l’essenziale contingenza e la gratuità del reale: “Dunque poco fa ero al giardino
pubblico. La radice del castagno s’affondava nella terra, proprio sotto la mia panchina. Non mi ricordavo
più che era una radice. Le parole erano scomparse e con esse il significato delle cose…la radice, le
cancellate del giardino, la panchina, la rada erbetta del prato, tutto era scomparso…Questa vernice
s’era dissolta, restavano delle macchie mostruose e molli, in disordine, nude, d’una spaventosa e
oscena nudità. Eravamo un mucchio di esistenti impacciati, imbarazzati da noi stessi, non avevamo la
minima ragione di essere lì, né gli uni né gli altri, ciascun esistente, confuso, vagamente inquieto, si
sentiva di troppo in rapporto agli altri. Di troppo: era il solo rapporto che o potessi stabilire tra quegli
alberi, quelle cancellate, quei ciottoli.”
Il corpo, al pari di una riflessione intellettuale, rivela esperienze esistenziali.
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In "L 'essere e il nulla" (1934) afferma che abbiamo tre modi di percepire il corpo:
a) la ricostruzione analogica del mio corpo su modello del corpo d'altri;
b) la conoscenza e la definizione oggettiva del mio corpo a partire dal mondo, o essere in sé,
conoscenza vuota perché manca di un centro di riferimento assoluto che le dia significato;
c) il vivere il mio corpo senza conoscerlo, con ciò chiarendo che non è lo sforzo di De Biran
che si percepisce col corpo, ma è la resistenza delle cose. In questo ultimo senso il corpo è
essere per sé, come coscienza, come centro di riferimento sensibile, sempre superato dalle
nuove percezioni o dall'intenzionalità, punto di vista e insieme punto di partenza verso ciò che si
deve essere. Se in quest'ultima dimensione io esisto il mio corpo, tuttavia il mio corpo è anche
utilizzato e conosciuto da altri e questa diversa situazione può rientrare nella prima dimensione
cui si è accennato sopra: io esisto per me, dunque, anche come riconosciuto dall'altro e questa
è una espressione della mia «relazione fondamentale con gli altri» dove ho la rivelazione del mio
essere oggetto nel rispecchiamento dell'altro, anzi «la profondità d'essere del mio corpo per me,
è quel continuo <di fuori> del mio <di dentro> più intimo».
Si collega così alla funzione espressiva dell'anima secondo vecchie categorie (v. Hegel) anche
se non più nella dimensione di uno spirito generalizzato, ma nella concreta relazione
fondamentale con l'altro soggetto.
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Gentile
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In "La riforma dell 'educazione" (1920) dice che la realtà è sì quella dell'anima e
quella del corpo, è vero che ci sono sia pensiero che mondo esterno, ma il corpo e il
mondo esterno possono essere dati soltanto nel pensiero, nella coscienza.
Il corpo dà il sentimento fondamentale (v. Rosmini) un senso immanente e profondo
che proviene dal sentire il corpo e produce coscienza di sé, perché noi sentiamo il
corpo come l'oggetto della coscienza, l'altro, l'opposto. E ciò permette al corpo di
manifestarsi e alla coscienza, che non può non essere coscienza di qualcosa, di
essere da principio coscienza di questo oggetto che è il nostro corpo, a tal punto che
il corpo è stato definito "Obiectum mentis", cioè oggetto della coscienza (v. Spinoza).
Riprendendo l'analisi rosminiana, afferma che si può vedere la propria mano da un
punto di vista esterno (corpo naturale) e da un punto di vista interno (coscienza). Se
il corpo naturale ci è dato, il corpo spirituale ce lo diamo, e poiché lo viviamo, ce lo
diamo facendone un carattere con la volontà.
Il carattere morale o la volontà sono gli oggetti della ginnastica che in tal modo non
può venir intesa come altra cosa dall'educazione generale. Così «il canto ... la
danza ... la scherma, ogni sorta di bene intesa ginnastica, sono tutte forme di
educazione spiritualizzatrice del corpo».
41
Husserl
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Afferma che per la coscienza il corpo acquista i caratteri del corpo
proprio o corpo vissuto (Leib) e non di corpo oggetto tra gli altri
oggetti della realtà (Korper) come pensano il corpo le scienze.
Il Leib si evidenzia in ogni percezione (v. Rosmini in particolare per
la percezione tattile), come sensazione di sé o, in rapporto alle altre
cose, come centro di orientamento; pertanto non ci si può
allontanare dal corpo proprio, e anche se il modo di vederselo è
limitato ad alcuni elementi, ugualmente si gode di una
rappresentazione mentale completa del corpo; se lo percepiamo
reale poi è per effetto del fatto che possiamo muoverlo a seconda
del nostro volere, ma possiamo anche subirne il movimento
causato dagli altri nel movimento passivo. E comunque la superficie
del corpo ha un modo doppio di essere esperita che nessun altro
oggetto possiede.
42
Merleau-Ponty
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Ne "La struttura del comportamento“ (1942), riprendendo un problema già più volte
presente alla cultura francese, afferma che la reale e concreta situazione corporea
dell'uomo integrato e normale è determinata dal compenetrarsi degli elementi
organico, psichico e spirituale, perché la distinzione tra somatico e spirituale non è
una opposizione di sostanze, ma solo una «distinzione funzionale» e questa
presunta opposizione, poi, alla coscienza ingenua dell'esperienza immediata
quotidiana, si presenta come sintesi, perché il corpo è colto come la struttura
d'appoggio delle mie intenzioni (la struttura del comportamento).
Ne "La fenomenologia della percezione" (1945) parte dal voluto abbandono
dell'esperienza percettiva come costruzione intenzionale del mondo, cioè dalla
coscienza della percezione, per analizzare il corpo come oggetto tra gli oggetti.
E tuttavia fenomeni come "l'arto fantasma" stanno ad indicare che, anche rimanendo
a livello fisiologico, il sistema nervoso organizza la percezione del corpo proprio in
funzione della sua storia personale, della sua esperienza vissuta. «Occorre
comprendere come le determinanti psichiche e le condizioni fisiologiche si
innestino le une sulle altre: se l'arto fantasma dipende da condizioni fisiologiche
...non si capisce in quale modo esso possa derivare dalla storia personale del
malato, dalle sue emozioni o dalle sue volontà».
D'altra parte il corpo proprio non è l'oggetto per un "Io penso", per una coscienza
estranea al corpo stesso, ma è «un insieme di significati vissuti che va verso il
proprio equilibrio», e questi significati sono ancor più decisivi quando vi si rivolge al
corpo sessuato.
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Personalismo
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Sul versante della ricerca filosofico-antropologica, i termini di riferimento per una visione unitaria dell'uomo
possono essere riconosciuti nell'indirizzo realistico della sintesi aristotelico-tomistica e nelle sue attuali
espressioni nella cultura contemporanea (neoscolastica, personalismo).
Una fra le tesi centrali di questo indirizzo di pensiero, consiste nella definizione dell'animo umano come forma e
attuazione del corpo; la dimensione psichica dell'uomo viene propriamente intesa come ciò per cui il corpo
organico individuale realizza le sue potenzialità.
Il corpo, non accidentale od occasionale, ma causale, è forma e sostanza della persona.
Tale irriducibilità al solo corpo ed alla virtualità della materia, si manifesta come origine ed originalità, nell'essere
persona uguale-diversa, nell'espressione dell'intelligenza, della volontà, della libertà, dell'amore (G. Gevaert,
Dizionario dei temi della fede)
L'uomo, in questa prospettiva, non è visto né come un animale particolarmente evoluto, né come uno spirito
decaduto e incarcerato nella materia sensibile, ma piuttosto come un essere originale, che sussiste e si esprime
nella concreta unità somato-psichica
La natura individuale di ciascun soggetto non consiste nell'anima da sola, né nel corpo da solo e neppure in una
sorta di accidentale aggregazione di corporeità e spiritualità.
Secondo la visione olistico-organicistica, l'individuo non ha corpo, ma più propriamente è un corpo; non dispone
di una macchina organico-corporea particolarmente evoluta, bensì esiste, si struttura e si esprime come corpo
animato dalla vitalità psichica.
Non c'è nell'uomo attività mentale che non abbia i suoi presupposti nella vita sensibile dell'organismo e,
viceversa, non c'è nell'uomo funzione organica che non sia alimentata e sostenuta dallo psichismo.
Anche nel campo neurofisiologico si è venuta progressivamente affermando (superando le precedenti
impostazioni meccanicistiche) una teoria olistico-organicistica in base alla quale l'organismo umano è visto come
un tutto irriducibile alla semplice aggregazione sommatoria delle parti, ma unitariamente organizzato secondo un
fondamentale impulso autopoietico.
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La visione unitaria della persona, presente anche nella cultura scientifica contemporanea, consente di
interpretare nel modo più ampio e comprensivo, la varietà delle manifestazioni che caratterizzano l'esperienza
umana, offrendo un'importante chiave di accesso alla definizione del problema educativo.
Pertanto l'unità della persona è il presupposto fondamentale dal quale partire per affrontare la problematica
pedagogica della educazione corporeo-motoria.
Considerare invece come elementi separati e distinti il corporeo e lo spirituale è una visione che comporta
l'ammissione di un dualismo incompatibile col significato di unità. Il concetto di unità, infatti, elimina in se stesso
la distanza e l' antagonismo tra corpo e spirito, in quanto "... il mio corpo è la condizione del mio essere, della mia
esistenza, del mio essere io", (Grupe O., in Enrile E., Invernici A., 1977).
Il mio corpo è il mio spirito e il mio spirito è il mio corpo. Si tratta di considerare "l'esistenza umana come
presenza corporea al mondo" (Di Scala G., 1972), quindi di vedere il corpo come "sede di una dialettica dal piano
più semplice della attività percettiva a quello più complesso della vita spirituale". (G. Giugni, 1973).
La realtà psicofisica della persona è quindi una totalità non frazionabile di cui il corpo rappresenta l'unica
condizione che permette di manifestare all'esterno la propria interiorità, di assimilare, rielaborare e soggettivare la
realtà, di dialogare con gli altri. La conoscenza e il miglioramento della funzionalità organica del corpo della
persona, hanno un preciso significato educativo, in quanto "da come ci si comporta nei confronti del proprio
corpo, si rivelano atteggiamenti ed abitudini significativi di mentalità, interessi, concezioni, aspirazioni che
indubbiamente appartengono al piano morale". (Enrile E., Invernici A., 1977).
L'educazione corporea quindi, in una concezione unitaria della persona, pone in evidenza le sue profonde radici
psichiche e intellettive, poiché ogni nostra azione, realizzata tramite il corpo, nell'atto motorio, realizza "una
convergenza solidale e necessaria di tutti i fattori fisici e psichici, distinti ma non separabili perché espressione
dell'unità fondamentale dell'io che li possiede, li valorizza, li impiega nel suo misterioso attuarsi come azione
unitaria e indivisibile“. (Perotto I., 1971) .
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"Il destino della coscienza è segnato dalla corporeità". (Melchiorre V., 1987)
Si afferma sempre più evidentemente il "personalismo" nei vari campi, nel più concreto sviluppo individuale e
sociale in cui Maritain e Mounier, tra gli altri, lo hanno proposto all'uomo contemporaneo come coerente
soluzione a suoi problemi.
La dualità spirito-corpo va risolta in una sintesi esistenziale per cui l'interiorità reciprocamente condizione e
condizionata alla corporeità, offre al corporeo il valore e il significato di principio e di ragione d'essere (tale è
appunto la sintesi del personalismo).
Al contrario il personalismo afferma che "L'uomo è un corpo dello stesso titolo che è spirito: tutto intero e tutto
intero spirito" (Mounier E.,1960).
Niente vi è nell'uomo che non sia mischiato di terra e di sangue: le idee, i fenomeni mistici, le stesse religioni
sono condizionate dal clima, dalla geografia, dalla traccia ereditaria, dai raggi cosmici, dalle determinazioni
psicologiche collettive, d'altra parte non vi è nulla nell'uomo che non sia segnato dalla spiritualità.
L'uomo è segnato dal determinismo della sua corporeità (schiavitù biologiche ed economiche), ma non vi è
inchiodato: ogni determinismo è una nota aggiunta alla gamma delle libertà; nessun fenomeno umano, anche il
più semplice può essere compreso prescindendo dai valori, dalle strutture e dalle vicissitudini dell'universo
personale.
Se è vero che di ogni problema umano, bisogna anzitutto trovare soluzioni sul piano delle infrastrutture biologiche
e economiche, è altrettanto vero che le soluzioni di questo tipo, pur necessarie, si presentano come fragili e
incomplete se non tengono conto delle dimensioni più profonde dell'uomo.
Per questo l'uomo ridotto alla corporeità intesa come materia da possedere e da dominare, è ridotto a "cosa",
diviene un semplice ingranaggio, un "animale domestico" delle cose che egli stesso produce.
Non si tratta di radicalizzare la contrapposizione tra corpo e spirito, ma nemmeno di eliminare la differenza.
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L'uomo è una totalità che, quando si orienta in modo contrario alla sua libertà, viene chiamato corpo e esprime la
sua fragilità e quando si orienta nel senso dell'affermazione della sua soggettività è chiamato "spirito che scopre
nel gesto di Adamo di chiamare per nome tutte le cose, iniziando il processo di umanizzazione attraverso la
scienza e la decisione.
Contro chi aveva affermato, essere il corpo strumento di azione e soltanto di azione, a nessun livello, in nessun
senso, né sotto aspetto alcuno, serve a preparare, ancor meno a spiegare una rappresentazione (Bergson,
materia e memoria), si è osservato che il corpo non è un vero e proprio strumento, ma principio di strumentalità
(Gevaert G., 1973).
Ogni strumento viene assunto per servirsene e può essere deposto; tutti gli strumenti diventano tali in forza del
corpo che è in grado di usarli: il corpo è molto di più di un semplice strumento di cui la coscienza deve
inevitabilmente servirsi.
La coscienza dell'uomo è sempre coscienza in prospettiva: in questo senso è regolata dal corpo; il mondo nel
suo insieme come totalità si raccoglie intorno al corpo, non solo perché attraverso di esso il mondo è raggiunto
nella sua esistenza reale e non meramente possibile, ma anche perché si dispone di un orientamento radicale
senza cui il "sopra ed il "sotto", l'"accanto", il "davanti", il "lontano" non avrebbero senso. Il corpo è perciò una
certa falda unitaria e coerente" (Husserl, Meditazioni Cartesiane), un correlato dell'esperienza che ha come tale
"funzione di fondamento"; ovviamente qui è in considerazione non un corpo qualunque, ma appunto il "mio corpo,
corpo umano al quale riferisco tutte le mie esperienze".
La corporeità si costituisce in se stessa come movimento di senso.
Così il corpo è originaria manifestazione ed espressione del senso, dello sguardo, del pianto, del sorriso, del
gesto.
Il superamento del dualismo anima-corpo, si è avuto con il principio dell'intezionalità; l'orizzonte della coscienza è
la condizione invalicabile per l'apparire dell'essere; non ha senso parlare di un'alterità in tutto priva di relazioni
all'essere della coscienza; tutto in quanto si manifesta in un rapporto intenzionale: ogni realtà è raggiunta come
oggetto di un soggetto. Il mio corpo può essere in qualche modo oggettivato, ma mai totalmente. Il mio corpo
come vissuto originario si dà nella coscienza non come semplice oggettività, ma come presenza soggettiva.
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Posso toccare la mia mano destra con la sinistra, ma la mano toccata è sempre toccante e sempre in certo
senso, è essa che oggettiva, che si pone a distanza gli oggetti e, ciò per cui qualcosa mi sta davanti, ciò che non
si lascia completamente costituire. Il mio corpo come vissuto originario si dà nella coscienza non come semplice
oggettività, ma come presenza soggettiva.
Se è vero che io esisto in quanto sono il mio corpo (Marcel G., 1976), occorre aggiungere che io sono il mio
corpo soltanto in quanto il mio corpo non è una cosa nel senso empirico e oggettivo del termine, ma posso dire
semplicemente "io sono il mio corpo" e non soltanto "io ho un corpo".
La non riducibilità del mio corpo a puro oggetto, permette di identificarlo nella sua funzione di punto originario, ma
anche di intenderlo come sorgente che dischiude un'intenzionalità spirituale che modella la manifestazione dello
sguardo, della parola del gesto.
Vi è perciò nel corpo un senso primario e un senso secondario più profondo e, in ultima analisi, costitutivo. Il
senso primario è dato dal "qui, ora, questo"; è un senso determinato, è la "faccia della cosa stessa", ma è anche
e soprattutto apertura verso la pienezza di senso che non sarà mai un superpunto di vista e neppure un punto di
vista, bensì l'apertura di ogni senso verso la ricerca e l'identificazione di senso.
Questo significato secondario, ma decisivo, si esprime solo per trasparenza, mai in sé e per sé, appare all'interno
del significato primario e in questo resta velato come profondità costituente e in qualche modo coperta
(Melchiorre, in AA.VV., 1979).
Mai emergente in sé e per sé, il significato secondario è riscontrabile solo attraverso una riflessione astrattiva e
una tensione dialettica regolata dall'affermazione "il mio corpo è più del mio corpo".
A questa sono strutturalmente collegate due possibilità: quella di un autentico processo coscienziale e quella del
nascondimento o della riduzione ad una semplice parzialità (io sono il mio corpo, o io ho il mio corpo). La
possibilità di questa duplicità non spiega soltanto le diverse e contrapposte collocazioni della corporeità esposte
nella storia, ma prova la necessità di un percorso riflessivo specifico che identifica i suoi punti di riferimento non
nella chiarezza o distinzione razionalistica, ma nella opacità e enigmaticità che se non è totalmente gradita, ciò
avviene non tanto nell'inadeguatezza e la fragilità della disposizione quanto per la novità della connessa e
implicita rivisitazione globale, non immediatamente e facilmente condivisa a causa di una inveterata tradizione
condizionante.
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Se ogni movimento corporeo è segnato da ambiguità strutturale, esso è rispettato solo
ammettendo un'ulteriorità di senso individuata in un rapporto dialettico tra senso
immediato e primario e senso secondario e più profondo. Se il mio corpo è più del mio
corpo, mai sola soggettività, mai sola oggettività, l'altro soggetto come me è più del suo
corpo e devo riconoscere a lui tutto ciò che riconosco al mio corpo come soggettivooggettivo.
L'essere umano non è soltanto un corpo, ma anche un volto. È un volto che non può
essere trapiantato o scambiato, cosificato, è un messaggio misto di mistero e di
significato: tutti lo vedono e nessuno riesce a decifrarlo: non ci sono due volti uguali e
nessuno rimane perfettamente uguale per più di un attimo.
Guadarsi negli occhi è espressione della volontà di confrontarsi direttamente con la
persona, abbassare lo sguardo è evitare il confronto diretto; non guardare più qualcuno è
evitare il contatto con lui, oppure non tenerne conto. Il corpo, il volto, è l'entità stessa di un
essere umano; essa vi si manifesta in persona; un'intersoggettività faticosa perché
sempre minacciata da cadute, da oggettivazioni causate dalla volontà di possesso, ma
un'intersoggettività altamente qualificante che ricompensa la fatica con l'esaltante
esperienza della comunicazione in cui l'io e il tu nella mediazione del corpo, collocata
simbolicamente, non si dissolvono reciprocamente, non si eludono radicalmente, ma si
completano riscoprendo dimensioni concrete che impediscono alla idealità di dissolversi
in astrazioni vaghe, ma anche impediscono al rapporto interpersonale di appiattirsi
ignorando condizioni essenziali alla progettualità libera e cosciente (Margaritti).
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Recupero della corporeità
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Tra gli elementi attuali del recupero della corporeità, ve ne sono di strumentali o di
significativi:
- scatenamento del desiderio: tra i tratti della coscienza epocale (Lasch, La cultura
del Narcisismo), uno interessa in particolare come modalità propria che caratterizza
l'attuale recupero della corporeità: lo scatenamento del desiderio che consiste
nell'esaltazione del desiderio secondo modalità precise, non dilazionando, non
coordinando. Uno scatenamento che esclude la dilazione dell'appagamento del
desiderio, dilazione che suppone una meta da raggiungere, che non sia il desiderio
stesso, una meta che lo nobilita, lo modera. Lo scatenamento esclude la
coordinazione, la quale suppone che vi siano altri valori precedenti, indipendenti dal
desiderio; perciò esclude che il desiderio sia inteso come la fonte tendenziale unica
del valore.
Lo scatenamento esclude la subordinazione. Questo suppone che i valori non
direttamente collegati con il desiderio, siano superiori a quelli direttamente posti dal
desiderio. Così inteso lo scatenamento del desiderio rende difficile, se non
impossibile, la subordinazione dei mezzi ai fini, infastidisce, se non impedisce, la
distanza tra realtà ideale sulla realtà effettiva, mortifica indebitamente la percezione
della significatività del futuro e conseguentemente la percezione della vita come un
processo di crescita e di autoperfezionamento regolato sulla capacità di
autocontrollo.
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- dissoluzione della soggettività: "l'uomo senza soggettività è l'insegna sotto la quale è avvenuta
l'eliminazione del dualismo anima-corpo in molte antropologie contemporanee.
Il modello teorico dell'uomo a cui pervengono in una certa maniera esemplare il comportamentismo di
Skinner o l'istintivismo di Lorenz, è si l'uomo come organismo vivente nella natura e nella società, ma
dal quale è sottratta, in quanto non descrivibile in termini oggettivi, la soggettività stessa, l'originalità del
suo essere che sente, pensa e decide. Per i comportamentisti la cosa migliore che si può fare è rendere
l'uomo più docilmente malleabile e influenzabile, senza più bisogno del ricorso alle tecniche della paura
e dell'imposizione autoritaria; per gli istintivisti la cosa migliore che si può fare e cercare di capire le
leggi dell'evoluzione, che giustificano la potenza delle pulsioni. In entrambi i casi è messa in parentesi la
soggettività (la riduzione dell'uomo in fantoccio in "Aspettando Godot" di S. Beckett).
- sconvolgimento dei risultati ultimi: "il volere ed il potere essere diverso derivano sempre più, nella
società, nella nostra cultura, dalla coscienza di sé, intesa come coscienza del proprio corpo?" (S.
Acquaviva, In principio era il corpo).
Tra il corpo e il significato si è stabilita una connessione diretta e si può dire che mentre in passato,
erano determinate scelte del quadro di valori globali a stabilire il significato del corpo e questo veniva
come conseguenza dell'avere accettato un quadro globale di valori; oggi i significati nella loro globalità
partono dall'esperienza della proprie corporeità.
In passato la dimensione di corporeità era uno degli elementi che entravano in gioco nella
determinazione dei significati; l'unico elemento, non elemento fondamentale. Oggi l'esperienza della
propria corporeità tende ad eliminare l'esperienza umana nella sua globalità: " il significato non precede
il corpo, ma precede dal corpo".
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- implicazioni veritative di una riappropriazione sregolata: "il tema della corporeità
torna oggi a imporsi in modo sempre più radicale, a causa dell'urgenza grave e
talora sregolata della prassi quotidiana.
La prassi che contesta secolari divieti e i reclama diritti del corpo, prassi che dilaga
con la celerità dei mass-media, che scatena la strategia della riappropriazione, non
basta chiarire la sua radicalità. La riappropriazione del corpo mette in questione il
destino della verità e, in questo senso si presenta come radicale. Il richiamo del
corporeo come orizzonte del linguaggio e dell'espressione riporta la questione della
verità e del nesso che corre tre corpo e verità" (Melchiorre). Tutto ciò prova
l'ampiezza della crisi, il recupero della corporeità nella cultura contemporanea pone
interrogativi a riguardo dei punti nodali dello schema antropologico: esalta la vita fino
a subordinarle totalmente la ragione, esclude dall'ambito dei desideri elementi di
controllo diversi e indipendenti dal desiderio stesso, conduce almeno in alcune
forme estreme, alla dissoluzione della soggetti-vità, domina fino alla subordinazione
dei significati ultimi, raggiunge e varia lo stesso criterio veritativo. Il recupero della
corporeità culturalmente oscilla tra i due estremi della esaltazione e della
denigrazione, un'oscillazione che per lo meno documenta la necessità di una
diagnosi rigorosa e di una terapia efficace.
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- ricerca del senso: anche la corporeità, come negli altri aspetti del
progetto uomo, vive la crisi del senso.
È il senso della coporeità il problema attuale: dal senso come ovvio,
si è passati al senso come problema e da questo al "non senso" e
al "qualunque senso" che porta ad un pluralismo incontrollato di
posizioni.
Qualunque ricerca, prima di poter essere vera e per poter essere
sostenibile e comunicabile, rimanda all'ambito del senso. È questo
il campo comune, la piattaforma di partenza che non annulla le
diversità, ma esplicita una condizione previa come indispensabile.
Senza una ricerca delle matrici storiche, delle implica-zioni teoriche,
senza una lucida coscienza del peso della divergenza, senza
l'individuazione di una piattaforma comune nell'ambito del senso,
non vi potrà essere alcun intervento di controllo, di verifica, di
cambiamento.
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MOUNIER (1905-1950)
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“Un nuovo secolo XIV si sgretola sotto i nostri occhi: si avvicina il tempo di rifare il Rinascimento. E se il
Rinascimento uscì dalla crisi del Medioevo e la risolse, la rivoluzione personalistica e comunitaria,
(Rifare il Rinascimento) risolverà la crisi del secolo XX.
Ma che cos’è la persona? In primo luogo essa è inoggettivabile; non se ne può fare l’inventario. La
persona è incarnata in un corpo e nella storia ed è per sua natura comunitaria. Il Personalismo intende
affrontare ogni problema umano su tutta l’ampiezza dell’umanità concreta, a partire dalla più umile
condizione materiale fino alla più alta possibilità spirituale.
Ciò che della persona si può dire è che essa è il volume totale dell’uomo …; è in ogni uomo una
tensione fra le sue tre dimensioni spirituali: quella che sale dal basso e l’incarna in un corpo; quella che
è diretta verso l’alto e la solleva ad un universale; quella che è diretta verso il largo e la porta verso una
comunione. Vocazione, incarnazione e comunione, sono le tre dimensioni della persona.
La persona è sempre incarnata in un corpo e situata in precise condizioni storiche, e di conseguenza,
per la sua realizzazione il problema non sta nell’evadere dalla vita sensibile e particolare. La via è
invece costituita da tre esercizi essenziali: la meditazione, per la ricerca della mia vocazione; l’impegno,
l’adesione ad un’opera che è riconoscimento della propria incarnazione; la rinuncia a se tessi, che è
iniziazione al dono di sé e alla vita in altri. Se la persona tralascia uno di questi esercizi essenziali essa
è condannata, per Mounier all’insuccesso, e alla mancata realizzazione.
La scelta del Personalismo non è casuale. Nel panorama delle riflessioni antropologiche trattate e di
quelle che non sono state analizzate, rappresenta un tentativo riuscito di realizzare quell’armonico
equilibrio” tra mente e corpo cui si faceva cenno all’inizio.
Il Personalismo infatti affronta ogni problema umano su tutta l’ampiezza del’umanità concreta a partire
dalla più umile condizione materiale fino alla più alta possibilità spirituale.
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Popper
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Ne "L'Io e il suo cervello", scritto con Eccles nel 1977,
evidenzia tre mondi dell'uomo, in continua interazione:
- quello delle cose o dei fatti naturali
- quello delle esperienze psichiche soggettive
- quello dei prodotti della mente umana.
Se esiste una casualità dal mondo 1 a quello 3 (la mente è
condizionata dal corpo) è pure vero il contrario (la mente
condiziona il corpo).
L 'uomo vive nel rapporto tra i tre mondi, anzi l'Io è il centro di
questa interazione, il punto di equilibrio.
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