Verso una nuova civiltà La crisi della coscienza europea Da sudditi a cittadini Con una definizione formulata dallo storico francese Paul Hazard, l'età di passaggio fra la fine del Seicento e l'inizio del Settecento viene generalmente indicata come l'età della crisi della coscienza europea. Questa espressione pone l'accento sulle numerose trasformazioni politiche, economiche e sociali che intercorsero fra il tramonto di una civiltà fondata sul rispetto dei doveri verso il sovrano, verso la Chiesa e verso l'autorità, e l'inizio di una civiltà basata sul rispetto dei diritti del cittadino e del credente. Un rivolgimento di tale portata non potè certamente compiersi in un periodo di tempo così breve, e sicuramente la maggioranza della popolazione europea non si accorse di nessun concreto miglioramento del proprio tenore di vita; ma in questi anni gli intellettuali iniziarono a modificare il proprio modo di vedere e di interpretare il mondo Le radici filosofiche del cambiamento La base del processo di trasformazione può essere individuata nel razionalismo cartesiano, che dalla Francia si diffonde in tutta Europa. Nel contempo, alla fine del XVII secolo, un sistema filosofico diametralmente opposto viene elaborato dall'inglese John Locke, che con la pubblicazione del suo Saggio sull'intelletto umano (1690) detta i princìpi dell'empirismo moderno. Per Locke tutte le conoscenze umane derivano dai sensi: l'esperienza diviene il solo veicolo di conoscenza. In questi stessi anni Isaac Newton pubblica i Principi matematici di filosofia naturale (1687), nei quali espone i tre princìpi della dinamica e la teoria della gravitazione universale. I presupposti del metodo newtoniano sono riassumibili nell'affermazione "Non formulo ipotesi": la spiegazione scientifica deve limitarsi alla descrizione dei fenomeni che si possono osservare, senza inventare ipotesi su ciò che non è conoscibile con il metodo sperimentale. Caduta del principio di autorità Il razionalismo cartesiano da una parte, l'empirismo e la fìsica newtoniana dall'altra, concorrono a incrinare il principio di autorità su cui si era basato per secoli l'intero edificio della cultura europea, opponendosi all'accettazione acritica di verità precostituite. Il nuovo spirito critico non tarda a estendersi anche alle questioni religiose, suscitando perplessità sui dogmi di fede e sulla pretesa scientificità di quanto asserito nella Bibbia. Alcuni intellettuali più audaci arrivano a concepire un nuovo atteggiamento religioso, definito deismo, che ammette l'esistenza di un Dio creatore e ordinatore dell'universo, riconosciuto dalla ragione, ma nega la validità delle religioni rivelate. La circolazione delle idee Grazie alla circolazione degli uomini e delle idee, i nuovi fermenti intellettuali si diffondono molto velocemente in Europa, agevolati dall'incremento del commercio librario, dalla nascita di fogli periodici di informazione e dalla creazione di una vera e propria rete epistolare di comunicazione che lega fra loro i dotti di tutte le nazioni. Anche l'Italia, dove è ancora viva l'eredità della tradizione galileiana, si mantiene al passo del dibattito filosofico e scientifico europeo, ma la centralità della Chiesa nella vita culturale mitiga l'influsso delle idee più radicali e fa in modo che le proposte di rinnovamento si mantengano nell'alveo di un cattolicesimo illuminato. Il viaggio come strumento di conoscenza: il Grand Tour Durante il Rinascimento il viaggio iniziò a essere inteso come occasione di confronto di idee e di conoscenza diretta del patrimonio artistico custodito nelle strade, nei palazzi e nelle biblioteche delle città. Questa pratica, che al principio era limitata a pochi intellettuali avventurosi e intraprendenti, verso la fine del Seicento divenne una vera e propria istituzione pedagogica, identificata con il termine Grand Tour ("grande giro"). Con questa espressione veniva solitamente indicato il lungo viaggio attraverso le capitali d'Europa intrapreso dai giovani aristocratici per completare la propria formazione culturale, che aveva come coronamento naturale il "viaggio in Italia". Grand Tour e viaggio in Italia Le tappe principali del Grand Tour, che a seconda delle disponibilità economiche e dell'interesse del nobile viaggiatore poteva durare da un minimo di tre mesi a un massimo di tre anni, erano Venezia, Firenze, Roma e Napoli. I giovani europei erano attratti dalle numerosissime vestigia della classicità e dalle più recenti testimonianze dell'arte rinascimentale, ma anche dalla piacevolezza del clima mediterraneo e dalle lusinghe della vita dei salotti. Grand Tour e cultura europea Al seguito dei rampolli dell'aristocrazia viaggiavano alcuni tutori, spesso scelti fra letterati e uomini di cultura, che ne sorvegliavano l'educazione, e artisti, che fermavano la memoria del viaggio in vedute, stampe e carte topografiche. Questa singolare forma di mecenatismo moderno permise a generazioni di intellettuali di confrontarsi con i colleghi di tutta Europa e favorì il rafforzamento di quella rete di rapporti decisiva per la formazione di un'idea universalistica della cultura. Il contesto storico Europa e Italia Le guerre europee di successione Terminate le sanguinose guerre di religione, la fine del Seicento vede il declino della potenza politica, economica e militare della Spagna, mentre i tentativi della Francia di Luigi XIV di stabilire la propria egemonia sull'Europa falliscono. Gli equilibri geopolitici fra i diversi Stati europei non si stabilizzano e una serie di crisi dinastiche è il pretesto per lunghe guerre. In tre fasi si svolge il conflitto che coinvolge in diverse riprese tutti gli Stati d'Europa: la guerra di successione spagnola (1700-13), la guerra di successione polacca (1733-38) e la guerra di successione austriaca (1740-48). Dalla pace di Aquisgrana del 1748 esce rafforzato il predominio strategico e diplomatico dell'Inghilterra e si consolida l'Impero asburgico nel cuore dell'Europa, mentre la Francia mostra di non essere più padrona dei destini dell'Europa e la Spagna perde definitivamente tutti i territori europei, e con essi il proprio ruolo internazionale. Il contesto italiano Per gli Stati italiani, ancora una volta trattati come prede di guerra, la pace stabilisce un riassetto completo delle sovranità e delle dinastie, in una configurazione che si manterrà stabile fino alla discesa di Napoleone. L'Impero asburgico si sostituisce agli spagnoli nel milanese; nella sua orbita entrano anche il ducato di Modena e, una volta estinta la famiglia de' Medici, il Granducato di Toscana. Nel 1735 il Regno di Napoli e la Sicilia passano sotto il controllo dei Borbone di Spagna, formando però uno Stato autonomo e sovrano. Lo Stato Pontificio e le Repubbliche di Genova e Venezia restano confinate al ruolo di potenze regionali. I Savoia sono l'unica dinastia italiana a svolgere un ruolo attivo nelle guerre di successione, in conseguenza delle quali ampliano i propri domini piemontesi e ottengono il titolo di re di Sardegna. L'Europa: sviluppo demografico ed economico Dopo secoli di oscillazioni, per la prima volta nella sua storia l'Europa conosce un costante incremento demografico favorito dal diffondersi di norme igieniche elementari, dalla diminuzione delle carestie e delle epidemie di peste, dalla minore distruttività delle guerre. In Inghilterra si compie poi una vera e propria rivoluzione agricola. Grazie ad alcune innovazioni tecnologiche e alla riorganizzazione della grande proprietà terriera, la piccola nobiltà di campagna riesce ad accumulare i capitali che saranno necessari per l'avvio della Rivoluzione industriale. In Inghilterra e in Francia si diffonde anche la manifattura domestica a domicilio, che pone le premesse del trasferimento di una parte della manodopera dalla produzione agricola a quella commerciale e in seguito industriale. Parte della popolazione delle campagne si trasferisce nelle città alla ricerca di sostentamento. L'Europa: sviluppo economico e commerciale Anche il commercio attraversa una fase florida, favorita dal controllo completo della navigazione sugli oceani, che le marine europee ottengono con la loro schiacciante superiorità militare, assicurando collegamenti sempre più sicuri con le colonie d'oltremare. Nonostante questi germi d'innovazione, però, le dinamiche sociali del primo Settecento sono le stesse che dominano l’ ancien regime: la preminenza della nobiltà sulle altre classi rimane indiscussa e la ricchezza e il prestigio rimangono ancora saldamente legati al possesso della terra. L'arretratezza italiana Gli Stati italiani vivono per lo più passivamente questa stagione di cambiamenti, ma alcune innovazioni agronomiche e tecnologiche vengono adottate soprattutto nei territori sotto la dominazione asburgica. In Lombardia prende corpo una nobiltà attiva e imprenditoriale. Nell'Italia centrale, invece, l'agricoltura continua a essere regolata dall'istituto medioevale della mezzadria, mentre nell'Italia meridionale, dove domina il latifondo, il controllo delle terre è riservato a una ristrettissima cerchia di proprietari. Solo a Napoli, capitale del Regno delle due Sicilie, si sviluppa un ceto cittadino composto da giudici, avvocati, notai e amministratori al servizio dello Stato: è l'embrione di una società civile dinamica e moderna, che rimane però isolata nel quadro dell'arretrata realtà meridionale. La restaurazione del gusto poetico e l'Arcadia Dopo e contro il Barocco La polemica classicista contro il Barocco Il gusto barocco per l'arguzia, per la prospettiva inconsueta e straniante e per la meraviglia come fine ultimo dell'attività poetica era divenuto, per gli osservatori europei, il tratto caratteristico dell'intera produzione lirica italiana. Alla letteratura italiana e spagnola veniva da molte parti imputata la responsabilità di aver diffuso in Europa il cattivo gusto secentista per una poesia artificiosa nei contenuti ed eccessiva nell'ornamentazione retorica. Eppure, insieme alle opere più eccentriche e sregolate, in Italia erano esistite anche le proposte del Barocco moderato, più conservatrici e meno inclini allo sperimentalismo. La fondazione dell'Arcadia A Roma, baluardo naturale di una concezione classicista dell'arte, prese forma il progetto più organico di riforma e restaurazione del gusto. Il 5 ottobre 1690, nel giardino di San Pietro in Montorio, quattordici letterati fondarono l'Accademia d'Arcadia, che si rifaceva esplicitamente alla tradizione pastorale della letteratura classica (Virgilio) e alla sua rifioritura italiana, culminata appunto con l’Arcadia di Jacopo Sannazaro (prosimetro pubblicato nel 1501). L'Accademia assunse fin da subito un carattere nazionale. Fra i primi "pastori" - questo era il nome con cui venivano chiamati i membri dell'Accademia — le due personalità più eminenti furono Giovanni Mario Crescimbeni (1663-1728) e Giovan Vincenzo Gravina (1664-1718). I due maggiori teorici dell'Arcadia, però, maturarono ben presto convinzioni profondamente diverse su quelli che dovevano essere i fini dell'Accademia. Crescimbeni e la tradizione poetica Crescimbeni mirava al recupero e alla difesa della tradizione poetica italiana, e per superare quella che riteneva la corruzione espressiva del Barocco indicava da un lato l'esempio stilistico di Petrarca e dei petrarchisti cinquecenteschi, dall'altro l'adattamento delle forme e dei contenuti della poesia greca alla poesia italiana. "Custode generale" dell'Accademia dalla fondazione fino alla morte, Crescimbeni diede prova soprattutto di notevoli capacità organizzative e di propaganda, curando la stampa di volumi miscellanei di Rime e delle biografie degli Arcadi. Gravina e la poetica "mitica" Di ben altro spessore, rispetto a quella di Crescimbeni, fu la riflessione critica di Gravina, educato al culto dei classici e al razionalismo cartesiano. Nelle opere d'argomento letterario egli espone la sua concezione profondamente innovativa di una poetica "mitica" e "filosofica", che si concentra più sul contenuto e sulle finalità della poesia che sulla sterile definizione di precetti stilistici e formali. La poesia, classicamente intesa come unione di utilità e diletto, deve avere come soggetto solo il vero, dare corpo ai concetti e rendere sensibili e visibili le idee. La fantasia poetica è una forma primitiva e autonoma di filosofia. Gravina nutriva inoltre un'ammirazione incondizionata per Omero e per Dante. Questa concezione della poesia non potè convivere a lungo con quella, molto più tradizionalista, di Crescimbeni, e nel 1711 Gravina diede corpo a una scissione in seno all'Arcadia, fondando l'Accademia dei Quirini, che ebbe però scarso seguito e vita breve.