Associazione Industriali
della Provincia di Reggio Emilia
42121 Reggio Emilia - Via Toschi, 30/a
Venerdì 26 ottobre 2012
IL NUOVO “PACCHETTO ETICHETTATURA” DEGLI
ALIMENTI IN RAPPORTO AI REATI DI SEGNI
MENDACI (ARTT. 517 E SEGG. C.P.)
Studio Legale Associato
Avv. Roberto Gullini e Avv. Valeria Pullini
.
.
La normativa europea orizzontale attuale (brevi
cenni):
•
Immissione in commercio e destinazione al consumatore finale dei prodotti
alimentari:
Norma generale di base, regolatoria di tutti i prodotti alimentari,
indistintamente considerati:
•
•
Direttiva 2000/13/CE e successive modificazioni ed integrazioni
recepimento in Italia con il D.Lgs. 181/2003, modificativo ed integrativo del
D. Lgs. 109/92 anch’esso successivamente ampliato, in conformità ed in
coerenza con le variazioni integrative introdotte nella suddetta direttiva (si
pensi, ad esempio, agli apporti introdotti dalle Direttive 2003/89/CE,
2005/26/CE e 2006/142/CE in materia di indicazione degli allergeni)
26.10.2012
Studio legale Gullini-Pullini
La direttiva 2000/13/CE (e il d. lgs. 109/92 e succ. mod.)
La“presentazione” dei prodotti alimentari.
La presentazione consiste nella forma o nell'aspetto conferito ai prodotti
alimentari stessi o al rispettivo imballaggio, nel materiale utilizzato per l'imballaggio,
nel modo in cui gli alimenti sono disposti sui banchi di vendita e nell'ambiente in
cui sono esposti.
Essa, pertanto, diversamente dall’etichettatura e dalla pubblicità, non si esplica nella
diretta apposizione di diciture, segni, nomi o marchi sui prodotti alimentari.
Vedremo più avanti (o meglio, ci chiederemo) se tale differenza e, più
specificamente, se la natura delle attività relative alla presentazione dei prodotti
alimentari sia idonea ad integrare una o più ipotesi di reato di segni mendaci, come
previste e disciplinate dagli artt. 517 e segg. c.p.
26.10.2012
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Le finalità della normativa orizzontale in materia di
etichettatura, presentazione e pubblicità:
Tutela della corretta e trasparente informazione del
consumatore: certezza e correttezza degli scambi commerciali
nell’UE, sia tra operatori sia tra operatori e consumatori.
 8° “considerando” della direttiva : “Un'etichettatura adeguata
concernente la natura esatta e le caratteristiche del prodotto, che
consente al consumatore di operare la sua scelta con cognizione di
causa, è il mezzo più adeguato in quanto crea meno ostacoli alla
libera circolazione delle merci”.
 In tale ambito, l’attenzione è dichiaratamente volta alla tutela di
esigenze di natura economica, ancorché dal sistema sia
possibile evincere anche risvolti indirizzati alla salvaguardia
della salute del consumatore, la quale, a causa di indicazioni
ingannevoli o fuorvianti, può essere esposta ad un pericolo di
nocumento.

26.10.2012
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Art. 2 della Direttiva 2000/13/CE (art. 2 del D. Lgs. 109/92)
“L'etichettatura e le relative modalità di realizzazione non devono:
a) essere tali da indurre in errore l'acquirente, specialmente:
i) per quanto riguarda le caratteristiche del prodotto alimentare e in particolare la
natura, l'identità, le qualità, la composizione, la quantità, la conservazione, l'origine o
la provenienza, il modo di fabbricazione o di ottenimento,
ii) attribuendo al prodotto alimentare effetti o proprietà che non possiede,
iii) suggerendogli che il prodotto alimentare possiede caratteristiche particolari, quando
tutti i prodotti alimentari analoghi possiedono caratteristiche identiche;
b) fatte salve le disposizioni comunitarie applicabili alle acque minerali naturali e ai
prodotti alimentari destinati ad un'alimentazione particolare, attribuire al prodotto
alimentare proprietà atte a prevenire, curare o guarire una malattia umana né
accennare a tali proprietà".
Al successivo paragrafo, la Direttiva europea, così come il relativo decreto
nazionale di recepimento, sabiliscono che i divieti o le limitazioni sopra viste
“valgono anche per:
a) la presentazione dei prodotti alimentari, in particolare la forma o l'aspetto
conferito agli stessi o al rispettivo imballaggio, il materiale utilizzato per l'imballaggio, il
modo in cui sono disposti e l'ambiente nel quale sono esposti;
b) la pubblicità”.
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Il sistema sanzionatorio nazionale

Il legislatore europeo non prevede un sistema sanzionatorio valevole per l’Unione in caso di
violazione delle norme dallo stesso previste, essendo tale compito demandato agli Stati
membri.

Ciò avviene, in ambito nazionale, attraverso la previsione di sanzioni introdotte nell’atto
legislativo interno di recepimento di una direttiva, ovvero a mezzo dell’emanazione di un
atto normativo sanzionatorio ad hoc, in ipotesi di violazione delle disposizioni contenute in
un regolamento europeo.

Quest’ultimo è il caso, ad esempio, del D. Lgs. 297/2004, recante, per l’Italia, il regime
sanzionatorio in applicazione del regolamento (CEE) n. 2081/1992, relativo alla protezione
delle DOP e IGP, successivamente abrogato e sostituito dal regolamento (CE) n. 510/2006.

In sede di recepimento della direttiva 2000/13/CE, il D. Lgs. 109/92 ha infatti previsto, all’art.
18, una sanzione di carattere pecuniario a fronte della violazione dell’art. 2 sopra riportato
(riprodotto nel corrispettivo art. 2 del decreto nazionale), qualificata come illecito di
carattere amministrativo.

Ancora: in sede di attuazione della Direttiva 2005/29/CE, relativa alle pratiche commerciali
sleali tra imprese e consumatori nel mercato interno, a mezzo dell’emanazione del D. Lgs.
146/2007, che ha modificato, sostituendoli, gli artt. da 18 a 27 del D. Lgs. 206/2005 (Codice
del Consumo) e che ha previsto, in ipotesi di pratiche commerciali scorrette (ingannevoli e/o
aggressive), una specifica tutela di carattere amministrativo ad opera dell’Autorità
indipendente (AGCM).
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Segue
Se è vero che la violazione delle norme in materia di
informazioni ai consumatori integra un illecito amministrativo
e come tale viene sanzionato, altrettanto vero è che
l’ingannevolezza delle diciture riportate sull’etichetta di un
prodotto alimentare e/o su di un messaggio pubblicitario ben
possono integrare gli estremi di un reato, nella specie un
delitto contro l’industria e il commercio e, come tale, punito.
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L’illecito amministrativo ed il reato di frode in commercio in ambito
alimentare . La violazione dell’art. 2, d. lgs. 109/1992 e l’art. 515 c.p.

Un precedente significativo, in ambito penale, è offerto dalla Cassazione penale, Sez.
III., con la sentenza n. 27105 del 22.5.2008 (in proc. Cremonini): riaffermazione, in
ambito alimentare, di un principio di diritto in precedenza posto dalla medesima S.C. con
riferimento a messaggi pubblicitari ingannevoli in settori diversi (cfr. Sez. III, sent. n.
21732/2003 e sent. n. 22055/2006).

Ipotesi di frode nell’esercizio del commercio (art. 515 c.p.): messaggio pubblicitario
rilevante ai fini della dichiarazione di qualità di una carne in scatola. In particolare,
trattasi di un caso di consegna agli acquirenti di carni diverse per origine, provenienza e
qualità da quella dichiarata dal venditore.

L’induzione in errore del consumatore, a mezzo dell’etichettatura di un prodotto
alimentare e delle relative modalità di realizzazione, è fattispecie tipica dell’integrazione
di un illecito amministrativo,

Quali sono gli elementi di tale condotta ingannevole idonei ad integrare (anche)
un’ipotesi delittuosa?

In sostanza: quando l’etichettatura e/o la pubblicità ingannevole provoca un intervento
sanzionatorio di carattere amministrativo e quando essa integra una fattispecie
criminosa penalmente perseguibile? Potremmo essere di fronte ad un contrasto
interpretativo (ed applicativo) tra la norma che individua una fattispecie delittuosa
fraudolenta e la disciplina normativa in materia di pubblicità ingannevole sanzionabile in
via amministrativa?
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Segue

La questione è (o parrebbe essere) stata chiarita dalla sentenza n. 27105
del 22.5.2008:
la normativa in materia di pubblicità ingannevole (e cita il D. Lgs. 206/2005,
senza che, con ciò, possa ritenersi escluso il D. Lgs. 109/92) opera su di un
piano e risponde ad una ratio diversi rispetto a quelli relativi alla fattispecie
penale, in quanto il campo di applicazione della prima (pubblicità) è più
vasto e l’intervento sanzionatorio è previsto indipendentemente dal
verificarsi della materiale consegna dell’aliud pro alio - inteso come
consegna di un bene diverso da quello pattuito o anche solo dichiarato –
necessaria per la sussistenza del reato.
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Segue



Il caso sopra accennato attiene ad una fattispecie considerata
solo dal punto di vista penale, come integrante un’ipotesi di
reato di natura fraudolenta.
Ciò vale ad escludere che il medesimo fatto giuridico possa
integrare anche gli estremi dell’illecito amministrativo?
E che dire nell’ipotesi di reato tentato, ove manca l’elemento
della materiale traditio del bene all’acquirente?
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Segue

In relazione al tentativo di frode in commercio, la giurisprudenza di
legittimità ne identifica l’elemento costitutivo in una condotta dell’esercente
idonea e diretta in modo non equivoco alla vendita della merce ai potenziali
consumatori (cfr. Cass. pen., SS.UU., sent. n. 28 del 21.12.2000; in senso conforme,
Sez. III, sent. n. 510 del 10.1.2003 – trattasi di un caso in cui l’esercente aveva
esposto sui banchi di vendita o, comunque, offerto al pubblico prodotti alimentari
scaduti sulle cui confezioni era stata alterata o sostituita l’originale indicazione del
termine minimo di conservazione).

Nell’affermare tale principio, la S.C. ha, altresì, precisato che il tentativo non è
viceversa configurabile, per l’assenza del requisito dell’univocità degli atti,
ove i prodotti con etichetta alterata o sostituita siano semplicemente detenuti
all’interno dell’esercizio o in un deposito, senza essere esposti o in qualche modo
offerti al pubblico.

Peraltro, nella sentenza n. 27105 del 22.5.2008 originariamente considerata, la S.C.
pare avallare tale assunto nella parte in cui afferma “non essendo, peraltro,
configurabile l’ipotesi del tentativo in base al mero messaggio
pubblicitario”.
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Segue




Quali conseguenze derivano o possono derivare da ciò?
Significa, forse, che, sino al momento in cui il prodotto non è esposto alla
vendita o offerto al pubblico, siamo di fronte ad un’ipotesi di illecito
amministrativo, mentre a decorrere da tale momento viene integrata
un’ipotesi di reato?
La risposta è no.
No, perché l’illecito amministrativo viene commesso anche e soprattutto
quando il prodotto alimentare etichettato (o reclamizzato) in violazione
della legge è stato esposto alla vendita e/o offerto al pubblico.
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
A tale proposito, “In tema di commercio di prodotti alimentari preconfezionati destinati al
consumatore - tenuto conto della "ratio" delle disposizioni dettate, al riguardo, dal d.lg. 27
gennaio 1992 n. 109 (in particolare dall'art. 2, in relazione agli art. 3, lett. f, e 11), consistente
nell’evitare che l'etichettatura induca in errore l'acquirente, tra l'altro, sul luogo di origine o di
provenienza del prodotto - sussiste la violazione amministrativa prevista dall'art. 18 di
detto d.lg. allorché al consumatore non sia consentita una immediata e certa identificazione
della sede dello stabilimento di produzione o di confezionamento, per tale dovendosi intendere,
ove si tratti del prodotto latte a lunga conservazione con relativo involucro, il luogo ove il latte
viene trattato termicamente per renderlo a lunga conservazione e preincartato o
preconfezionato. (Sulla base dell'enunciato principio, la S.C. ha confermato la sentenza di
merito, che - escluso che il luogo di provenienza del prodotto potesse identificarsi
con quello di origine del latte naturale - aveva riconosciuto sussistente la violazione
amministrativa in un caso nel quale, sull'etichetta della confezione, era inserita - accanto alla
stampigliatura della città di Lodi, luogo di effettiva produzione - anche l'indicazione, tra gli
stabilimenti di produzione, della "Centrale del latte di Cosenza", dove in realtà il latte non
veniva nè trattato termicamente nè preincartato o confezionato, così potendosi indurre il
consumatore a ritenere erroneamente la città calabrese luogo di origine e provenienza del
prodotto commerciato con il luogo "Centrali del latte di Calabria")” (Cass. civ., Sez. I, sent. n.
5111 del 6.4.2011 nella causa Soc. Cirio Polenghi De Rica c. Upica Cosenza).
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Segue
Se il consumatore è indotto in errore, è necessario che il
prodotto sia stato preventivamente posto nella sua sfera di
disponibilità, non potendosi pensare che l’induzione in
errore sia solo potenziale, relativa alla sola fase precedente
all’esposizione del prodotto alla vendita o all’offerta al
pubblico.
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Segue

Inoltre: “In tema di confezionamento e pubblicità degli alimenti, costituisce violazione
dell'art. 2 d.lg. 27 gennaio 1992 n. 109, l'uso improprio di un marchio registrato, posto in
essere dal soggetto mediante l'etichettatura di prodotti non corrispondenti alle indicazioni
contenute nel marchio, sì da indurre in errore il consumatore sulle caratteristiche del
prodotto, in particolare sulla sua provenienza. (In applicazione del principio, la S.C. ha
confermato la sentenza del tribunale che aveva ritenuto integrata la fattispecie di cui al
citato art. 2, nel caso di produzione e vendita di prodotti alimentari vegetali, provenienti da
agricoltura convenzionale, con il marchio registrato Bio-Ene, idoneo ad indurre in errore il
consumatore sull'origine «biologica» dei prodotti)” (Cass. civ., Sez. II, sent. n. 6234 del
13.3.2009 nella causa Tonazzo c. Camera comm. Padova).

Ed ancora “È ingannevole il messaggio pubblicitario relativo ad uno yogurt presentato
come «senza conservanti e aromi artificiali» nella misura in cui la legge vieta l'impiego di
additivi artificiali nella composizione dello yogurt e, di conseguenza, tale claim costituisce
vanto di caratteristiche comuni a tutti i prodotti analoghi, in contrasto con l'art. 2 d.lg. n.
109 del 1992, a nulla rilevando la circostanza che potrebbero circolare sul territorio
nazionale yogurt di importazione contenenti aromi artificiali, in conformità alla normativa
del paese di origine” (Giurì dell’Autodisciplina pubblicitaria, pronuncia n. 116 del
25.7.2005).
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Concorso di norme?

Compiuta questa brevissima rassegna giurisprudenziale volta a chiarire la
circostanza per cui un medesimo fatto giuridico può, quanto meno
in via astratta, costituire sia un’ipotesi d’illecito amministrativo
sia una fattispecie di reato, resta da chiarire se, in relazione al
medesimo fatto, sussista la possibilità di un concorso tra la norma di cui
all’art. 515 c.p. e quella di carattere amministrativo che sanziona la
violazione dell’art. 2, D. Lgs. 109/92.

Tutto questo, tenendo in doveroso conto che la suddetta fattispecie
delittuosa (così come anche i delitti di cui agli artt. 517 e segg. c.p., di cui
infra) necessita di una condotta dolosa, al contrario dell’illecito
amministrativo, che può essere integrato solo per colpa.
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Il “criterio di specialità”

A tale proposito, le Sezioni Unite della Cassazione penale, con la sentenza n. 1963 del 21
gennaio 2011, hanno precisato che il principio di specialità, quale criterio di soluzione
dell’eventuale concorso tra norme penali incriminatici e norme amministrative
sanzionatorie, presuppone il confronto strutturale tra le rispettive fattispecie astratte.

Da ciò è disceso che “va disatteso l'assunto difensivo secondo cui nella fattispecie va applicata
la disciplina di cui al D.Lgs. 27 gennaio 1992, n. 109, art. 2, comma 1, relativo all'attuazione
delle Direttive 89/395 CEE e 89/396 CEE (concernenti l'etichettatura, la presentazione e la
pubblicità dei prodotti alimentari); con conseguente irrogazione della sola sanzione
amministrativa, ex art. 18, citato D.Lgs.
Al riguardo va ribadito ed affermato che - anche dopo le modifiche normative introdotte dal
D.Lgs. n. 181 del 2003 - tra la previsione di cui al D.Lgs. n. 109 del 1992, art. 2, recante
disposizioni in tema di etichettatura e presentazione dei prodotti alimentari tali da non attribuire
al prodotto proprietà che lo stesso non possegga, e l'art. 515 c.p., che tutela il corretto
svolgimento dell'attività commerciale, non sussiste alcun rapporto di specialità ex art. 9, L.
n. 689 del 1981, stante il diverso ambito di operatività delle due disposizioni.
Invero la disciplina di cui al D.Lgs. n. 109 del 1992, e successive modifiche, tende ad assicurare
la corretta e trasparente informazione del consumatore; la norma di cui all'art. 515
c.p., a sua volta, tende a tutelare l'interesse dello Stato al leale esercizio del commercio
(vedi in materia: Cass., Sez. III, Sent. n. 16062 del 20.4.2001, rv 219694)”.

Al quesito (concorso di norme?) sopra prospettato, è possibile dare risposta
affermativa.
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Segue

Abbiamo sinora parlato dell’ipotesi delittuosa prevista e punita dall’art. 515
c.p.

Abbiamo considerato primariamente tale fattispecie di reato, ed è stato
chiarito che la stessa può essere ravvisata (e la relativa sanzione
concretamente applicata) anche quando il medesimo fatto integri una
violazione amministrativa.

L’individuazione degli elementi caratterizzanti la frode nell’esercizio del
commercio è rilevante ai fini del confronto strutturale tra tale fattispecie
delittuosa e quella dei reati di segni mendaci, di cui agli artt. 517 e segg. c.p.
(vendita di prodotti industriali con segni mendaci).
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La violazione dell’art. 2, D. Lgs. 109/1992 e i reati di segni mendaci
(artt. 517 e segg. c.p.)

Al pari dell’art. 515 c.p., anche l’art. 517 costituisce un’ipotesi di delitto contro
l’economia pubblica, l’industria e il commercio.

Altro denominatore comune di tali due delitti è costituito dall’aggravante di cui all’art.
517bis c.p., il quale stabilisce che le pene previste per entrambi tali reati sono aumentate
se i fatti da essi previsti hanno ad oggetto alimenti o bevande la cui denominazione di
origine o geografica o le cui specificità sono protette dalle norme vigenti.

Ma, mentre l’art. 515 c.p. pone l’accento sulla vendita di un aliud pro alio o, comunque, di
un prodotto diverso per origine, provenienza, qualità o quantità rispetto a quanto
dichiarato o pattuito, l’art. 517 c.p. punisce la condotta di chi pone in vendita o mette
altrimenti in circolazione opere dell’ingegno o prodotti industriali con nomi, marchi o
segni distintivi nazionali o esteri, atti ad indurre in inganno il compratore
sull’origine, provenienza o qualità dell’opera o del prodotto.

Ritorna il concetto d’induzione in errore (o, più propriamente, dell’inganno) del
compratore, che accomuna sia le due fattispecie delittuose in parola, sia queste e l’illecito
amministrativo relativo alla violazione dell’art. 2 della Direttiva 2000/13/CE (e così del D.
Lgs. 109/1992). In particolare, per quanto attiene all’ipotesi delittuosa di cui all’art. 517,
l’inganno ha ad oggetto l’origine, provenienza o qualità del prodotto,
perpetrato a mezzo dell’uso di nomi, marchi o segni distintivi nazionali o esteri.
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Segue: casi

Integra gli estremi del delitto di segni mendaci la condotta di chi imita i marchi
(ancorché non registrati) e/o i segni distintivi preadottati da altro imprenditore, la
quale sia suscettibile di creare confusione sulla provenienza dei prodotti.

Viene punita la somiglianza tra i segni suddetti e la sua idoneità ingannatoria.

In un tale caso, la S.C. ha rilevato la sussistenza della fattispecie di cui all’art. 517
c.p., ritenuta l’idoneità del marchio adottato dall’imputato ad ingannare i
consumatori circa la provenienza dei prodotti (bibite), tenuto conto dell’identità
della denominazione e della ricorrenza, in entrambi i marchi, della riproduzione del
monte “Gran Sasso”, a nulla rilevandone l’indicazione della sede dello stabilimento
di produzione, né la diversità del disegno del monte, descrittivo in un marchio e
stilizzato nell’altro (così, Cass. pen., Sez.VI, sent. n. 10064 del 10.7.1990).

L’idoneità ad ingannare l’acquirente, intesa come attitudine a trarre in inganno,
costituisce di per sé elemento costitutivo del reato di cui si tratta, non essendo
necessaria la concreta induzione in errore sul bene acquistato (cfr. sul punto Cass.
pen., Sez. III, sent. n. 23819 del 9.6.2009).
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Segue

E così ancora integra gli estremi del reato di vendita di prodotti industriali
con segni mendaci la messa in vendita con la dicitura “made in Italy” di
un prodotto che non può considerarsi di origine italiana, in quanto
la disciplina di settore (art. 4, L. 350/2003), considera tale marchio posto a
tutela di merci integralmente prodotte sul territorio italiano o assimilate ai
sensi della normativa europea in materia di origine (cfr. Cass. pen., Sez. III,
sent. n. 34103 del 23.9.2005).

A tale proposito, infatti, secondo gli artt. 23 e 24 del regolamento CEE n.
2913/1992 (Codice Doganale Comunitario), il marchio “made in Italy”
può essere utilizzato quando il prodotto è interamente fabbricato
in Italia o in Italia sia avvenuta l’ultima trasformazione o
lavorazione sostanziale, che si sia conclusa con la fabbricazione di un
prodotto nuovo, o abbia rappresentato una fase importante del processo di
fabbricazione.
26.10.2012
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Concorso di norme?

Quanto al rapporto tra l’illecito amministrativo scaturente dalla violazione
dell’art. 2, D. Lgs. 109/92 ed il reato di segni mendaci ex art. 517 c.p., si ritiene
valga la medesima regola sopra vista in relazione al rapporto tra il primo ed il reato
di frode in commercio di cui all’art. 515 c.p.

Non sussiste, cioè, alcun rapporto di specialità poiché diverso è il beneinteresse tutelato dalle due disposizioni.

Come sopra si è detto, infatti, la disciplina di cui al D.Lgs. n. 109/1992 è volta ad
assicurare la corretta e trasparente informazione del consumatore, mentre
l’oggetto giuridico del reato di vendita di prodotti industriali con segni mendaci
è costituito dall’ordine economico, che deve essere garantito contro gli inganni
tesi ai consumatori.

E’ bene chiarire, però, che il bene tutelato dall’art. 517 c.p. non è l’interesse dei
consumatori o, eventualmente, degli altri produttori, bensì l’interesse generale
concernente l’ordine economico, sicché il mettere in vendita o porre altrimenti
in circolazione prodotti con segni mendaci costituisce già una lesione effettiva e
non meramente potenziale della lealtà degli scambi commerciali (cfr. sul punto Cass.
pen., Sez. III, sent. n. 2003 del 15.1.2008).
26.10.2012
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Rapporto tra i reati previsti e puniti dagli artt. 515 e 517 c.p.

Possiamo dire che, trattandosi in entrambi i casi di delitti contro l’economia
pubblica, l’industria ed il commercio, esista un rapporto di sussidiarietà tra le
due norme, tale per cui, individuata la disposizione che disciplina un grado di
offesa meno grave rispetto all'altra, considerata principale, l'applicazione di
questa debba escludere l'applicabilità della prima?

La risposta è no.

E’ configurabile, piuttosto, il concorso materiale tra il reato di frode
nell’esercizio del commercio e quello di vendita di prodotti industriali con segni
mendaci, in quanto gli stessi hanno una diversa obiettività giuridica
costituita, per il primo, dalla consegna di aliud pro alio con conseguente
violazione del leale esercizio dell’attività commerciale e, per il secondo, dalla
sola messa in vendita o in circolazione del prodotto, indipendentemente dalla
consegna, con conseguente violazione dell’ordine economico che deve essere
garantito contro l’induzione in errore del consumatore (così, Cass. pen., Sez. III,
sent. n. 43192 del 19.11.2008; sul punto cfr. anche Cass. pen., Sez. III, sent. n.
220125 del 12.2.2009).
26.10.2012
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Gli artt. 517ter e 517quater c.p.




Anche per i successivi artt. 517 ter e 517 quater c.p., il bene giuridico
tutelato è l’economia pubblica, intesa quale interesse collettivo al buon
funzionamento del sistema economico nazionale.
In particolare, interessando specificamente il settore alimentare, di
particolare rilievo, ai nostri fini, è l’art. 517 quater c.p., relativo alla
contraffazione di indicazioni geografiche o denominazioni di
origine dei prodotti agroalimentari.
L’ipotesi delittuosa prevista al comma 2 di tale norma punisce
l’introduzione nel territorio nazionale, la vendita ed altresì la
detenzione per la vendita di prodotti agroalimentari con
denominazione d’origine o indicazione geografica contraffatta.
L’art. 517 quater c.p. è lex specialis rispetto all’art. 517 c.p., avendo ad
oggetto una determinata species di prodotti, quelli agroalimentari per
l’appunto.
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La presentazione dei prodotti alimentari. Ipotesi di
ingannevolezza. Conseguenze penali.

I divieti e le limitazioni posti dall’art. 2, Direttiva 2000/13/CE (e così
dall’art. 2, D. Lgs. 109/1992) operano anche per la pubblicità e la
presentazione dei prodotti alimentari.

Dalla definizione di “presentazione” che la Direttiva 2000/13/CE offre, si
evince che la stessa non attiene all’uso di diciture, raffigurazioni, nomi,
marchi o segni distintivi, bensì alla forma o all’aspetto conferito al
prodotto alimentare o all’imballaggio che lo contiene, nonché alle modalità
di disposizione ed all’ambiente in cui lo stesso è esposto.

Pertanto, in virtù dello stesso dato normativo, la presentazione di un
prodotto alimentare è idonea ad integrare un illecito amministrativo,
potendo essa configurare i connotati dell’ingannevolezza (si pensi, ad
esempio, ad un dolce che non corrisponde alle caratteristiche compositive
previste ex lege per il pandoro, il quale presenti la medesima forma di tale
prodotto alimentare e sia esposto sul medesimo scaffale di vendita).
26.10.2012
Studio legale Gullini-Pullini
Segue

Per contro difficile risulta credere che l’ingannevole presentazione di un prodotto
alimentare possa configurare il delitto di vendita di prodotti con segni mendaci,
posto che gli artt. 517 e segg. c.p. prevedono specificamente l’uso di segni falsi
ovvero la contraffazione di denominazioni protette attraverso l’apposizione di
indicazioni o denominazione contraffatte.

Il che, ragionevolmente, significa che l’ingannevolezza della condotta ha ad oggetto
l’apposizione di determinate diciture e/o raffigurazioni, che costituisce altra e
diversa cosa rispetto al conferimento di una forma al prodotto o al suo imballaggio
o all’ambiente in cui questo è esposto.

A meno che, attraverso un’interpretazione estensiva (e forse fantasiosa) delle
norme penali summenzionate, non sia possibile ravvisare - ad esempio
nell’esposizione sui banchi di vendita o in un particolare ambiente - una condotta
riconducibile ad un’ipotesi di reato di segni mendaci (ancora si potrebbe pensare, ad
esempio, al caso dell’esposizione di un comune formaggio su di un banco di vendita
ove sono esposti e reclamizzati, eventualmente anche attraverso cartelli pubblicitari,
solo formaggi D.O.P. di fattezza simile al primo).

Ma ciò appare una forzatura.
26.10.2012
Studio legale Gullini-Pullini
Segue

Piuttosto, merita considerare se le fattispecie di cui sopra, come altre ipotesi
analoghe, non siano idonee ad integrare gli estremi di un reato di frode ex art.
515 c.p., posto che, come abbiamo visto, non esiste rapporto di sussidiarietà tra tale
delitto e quelli disciplinati dagli artt. 517 e segg. c.p., diversa essendo l’obiettività
giuridica che li governa e potendo così, in relazione ad un determinato fatto
giuridico, ravvisarsi l’integrazione dell’uno ma non degli altri o viceversa.

Cosicché, sempre per rimanere sugli esempi sopra riportati, la presentazione di un
dolce anonimo come pandoro (o anche come panettone, o colomba, ecc.), così
come la presentazione e l’esposizione di un comune formaggio tra formaggi D.O.P. di
forma simile, ben potrebbero integrare una forma dichiarativa (ancorché
indiretta) ingannevole, idonea a ledere l’onesto svolgimento del commercio e
riconducibile alla condotta tipica della frode ex art. 515 c.p., costituita da una
consegna di aliud pro alio, in questo caso fondata su di una “presentazione
dichiarativa” ingannevole; ovvero dall’idoneità e non equivocità degli atti in tale
direzione, volendo considerare la fattispecie sotto il profilo del tentativo, qualora la
materiale traditio del bene non si sia ancora verificata.
26.10.2012
Studio legale Gullini-Pullini
Il Reg. (UE) n. 1169/2011 in materia di informazioni
alimentari ai consumatori
Il bene-giuridico tutelato
L’obiettivo fondamentale di tale nuova norma, pertanto, pare avere ad oggetto,
prima ancora che gli interessi generali del mercato interno (che si esplicano nella
libera circolazione delle merci e nello svolgimento di pratiche
commerciali leali), lo specifico “bene” dei consumatori, inteso quale possibilità di
essere posti nella condizione di operare scelte adeguate e consapevoli nel proprio
interesse non solo economico, ma anche sanitario, ambientale, sociale,
etico (2° e 3° “considerando”).
E poiché il consumatore va tutelato in relazione sia alla propria sfera economica
sia a quella della sicurezza, non si parla più, ora, solo di libera circolazione delle
merci, bensì di libera circolazione di alimenti sicuri e sani (2°
“considerando”).
26.10.2012
Studio legale Gullini-Pullini
L’articolo 7 del regolamento (UE) n. 1169/2011: pratiche
leali d’informazione
Il principio della lealtà negli scambi commerciali domina tutto il
nuovo regolamento in tema di informazioni sugli alimenti ai
consumatori, tanto che, tra i requisiti generali, emerge una
significativa novità, rispetto alla disciplina di cui alla Direttiva
2000/13/CE, fornita dalla previsione dell’articolo 8, interamente
dedicato alla responsabilità degli operatori in ordine alla
correttezza delle informazioni sugli alimenti.
26.10.2012
Studio legale Gullini-Pullini
Segue
Pratiche leali d’informazione:
“1. Le informazioni sugli alimenti non inducono in errore, in particolare:
a) per quanto riguarda le caratteristiche dell’alimento e, in particolare, la natura, l’identità, le proprietà,
la composizione, la quantità, la durata di conservazione, il paese d’origine o il luogo di provenienza, il
metodo di fabbricazione o di produzione;
b) attribuendo al prodotto alimentare effetti o proprietà che non possiede;
c) suggerendo che l’alimento possiede caratteristiche particolari, quando in realtà tutti gli alimenti
analoghi possiedono le stesse caratteristiche, in particolare evidenziando in modo esplicito la presenza o
l’assenza di determinati ingredienti e/o sostanze nutritive;
d) suggerendo, tramite l’aspetto, la descrizione o le illustrazioni, la presenza di un
particolare alimento o di un ingrediente, mentre di fatto un componente naturalmente
presente o un ingrediente normalmente utilizzato in tale alimento è stato sostituito con
un diverso componente o un diverso ingrediente.
2. Le informazioni sugli alimenti sono precise, chiare e facilmente comprensibili per il consumatore.
3. Fatte salve le deroghe previste dalla legislazione dell’Unione in materia di acque minerali naturali e
alimenti destinati a un particolare utilizzo nutrizionale, le informazioni sugli alimenti non attribuiscono a
tali prodotti la proprietà di prevenire, trattare o guarire una malattia umana, né fanno riferimento a tali
proprietà”.
 Così come la Direttiva 2000/13/CE, anche il nuovo regolamento europeo ha stabilito che le
suddette regole “si applicano anche:
a) alla pubblicità;
b) alla presentazione degli alimenti, in particolare forma, aspetto o imballaggio, materiale
d’imballaggio utilizzato, modo in cui sono disposti o contesto nel quale sono esposti”.
26.10.2012
Studio legale Gullini-Pullini
Il sistema sanzionatorio nazionale



Quanto all’integrazione di ipotesi d’illecito amministrativo scaturenti dalla
violazione dell’art. 7, nulla vi è da dire di diverso o ulteriore rispetto a
quanto osservato in relazione alla violazione dell’art. 2 della Direttiva
2000/13/CE.
Ma, mentre la violazione della direttiva si traduce nella violazione della
corrispondente norma nazionale di recepimento, (D. Lgs. 109/92) la quale
anche ne prevede la specifica sanzione amministrativa, nel presente caso,
trattandosi di regolamento europeo e, per ciò solo, non essendovi
previsione di sanzioni in caso di violazione delle norme ivi previste,
apparentemente saremmo sprovvisti di regime sanzionatorio.
Di fatto, non sarà così.
26.10.2012
Studio legale Gullini-Pullini
Segue: il sistema sanzionatorio nazionale
Fatte salve le norme transitorie (che prevedono la possibilità di
continuare a commercializzare sino ad esaurimento scorte gli
alimenti etichettati in modo non conforme al regolamento,
entro un numero definito di anni dalla sua entrata in vigore),
con la formale abrogazione della Direttiva 2000/13/CE, a livello
nazionale dovrà essere introdotto uno specifico sistema
sanzionatorio per la violazione delle norme contenute nel
regolamento europeo.
 Ed anche nel caso di (possibilissimi) ritardi nell’attività legislativa
in tal senso, la violazione delle norme aventi ad oggetto le
medesime disposizioni attualmente vigenti continuerà ad essere
sanzionata a mezzo degli attuali strumenti normativi (quali, ad
esempio, l’art. 18, D. Lgs. 109/92) formalmente non abrogati.

26.10.2012
Studio legale Gullini-Pullini
L’induzione in errore ex art. 7, paragrafo 1, lettera d) del
Reg. (UE) n. 1169/2011. Quali fattispecie penali?




Nel riportare il testo dell’art. 7 del nuovo regolamento, si è evidenziata,
in particolare, la lettera d), in quanto trattasi di una nuova condotta di
carattere ingannevole, mai prima d’ora espressamente prevista.
“d) suggerendo, tramite l’aspetto, la descrizione o le illustrazioni, la
presenza di un particolare alimento o di un ingrediente, mentre di
fatto un componente naturalmente presente o un ingrediente
normalmente utilizzato in tale alimento è stato sostituito con un
diverso componente o un diverso ingrediente”.
In particolare, dalla previsione per cui “tramite l’aspetto” sia possibile
suggerire la presenza di un componente che di fatto non è contenuto
nell’alimento, parrebbe doversi intendere che l’induzione in errore può
essere perpetrata anche a prescindere dall’utilizzo di diciture e/o
illustrazioni.
Il che sembra un fatto scontato, non essendo una novità che, non solo
l’etichettatura e la pubblicità, ma anche la presentazione del prodotto
alimentare può presentare caratteristiche idonee all’induzione in errore.
26.10.2012
Studio legale Gullini-Pullini
Segue
La nuova previsione normativa di cui alla lettera d) dell’art. 7 potrebbe
essere interpretata quale ulteriore esplicazione del principio di
tutela dell’ordine economico, che si attesta a mezzo
dell’introduzione di un obbligo di correttezza delle informazioni ricavabili
(anche) dalla forma e/o dall’aspetto conferiti al prodotto alimentare.
26.10.2012
Studio legale Gullini-Pullini
Segue: quale reato?

Da ciò potrebbe scaturire la contemplazione di nuovi casi di frode in
commercio ex art. 515 c.p., laddove l’elemento fraudolento, costituito dal
suggerimento della “presenza di un particolare alimento o di un ingrediente, mentre di
fatto un componente naturalmente presente o un ingrediente normalmente utilizzato in
tale alimento è stato sostituito con un diverso componente o un diverso ingrediente”,
viene fornito dall’“aspetto” del prodotto, anziché da quanto in relazione ad esso
dichiarato.

L’aspetto, pertanto, potrebbe assurgere ad una forma alternativa di
“dichiarazione”, integrante la condotta fraudolenta.

Lo stesso, però, non potrebbe dirsi per i delitti previsti dagli artt. 517 e
segg. c.p., sia in forza di quanto sopra osservato in relazione al difficile (se non
impossibile) rapporto tra i reati di segni mendaci e le ipotesi di “presentazione”
ingannevole, sia perché l’integrazione dei ridetti reati prevede l’utilizzo di
nomi, segni, marchi e/o una specifica condotta di contraffazione o alterazione di
indicazioni o denominazioni protette, ai quali non pare possibile ricondurre
l’aspetto del prodotto, pur volendo attribuire ad esso una connotazione dichiarativa.
26.10.2012
Studio legale Gullini-Pullini
La menzione del marchio quale indicatore dell’origine o della
provenienza del prodotto alimentare. Fattispecie penali di cui
agli artt. 517 e segg. c.p.

Il regolamento europeo sulle informazioni alimentari ai consumatori prevede
un’ulteriore novità, rispetto all’attuale disciplina normativa, di indubbia rilevanza.

Ci riferiamo alla mancata previsione del “marchio registrato”, all’interno
dell’art. 9 (elenco delle indicazioni obbligatorie) e, nello specifico, alla lettera h)
quale indicazione obbligatoria da apporre in alternativa al nome o alla ragione
sociale dell’operatore del settore alimentare che ha commercializzato il
prodotto o che lo ha importato, qualora esso non sia stabilito nell’UE.

Il marchio d’impresa diventa, a tutti gli effetti, un’informazione
facoltativa, in quanto la sua eventuale presenza non sarà in alcun modo più
valevole a sanare la mancanza del nome o della ragione sociale dell’operatore,
che dovranno, invece, ancorché in via alternativa, sempre figurare.

Il che potrebbe farci pensare che il marchio potrà essere utilizzato, su base
volontaria, anche ai fini del conferimento al prodotto alimentare di una
connotazione di origine o provenienza dello stesso.
26.10.2012
Studio legale Gullini-Pullini
Segue

Ciò sarebbe possibile, per due ordini di motivi:
1) l’indicazione dell’origine o del luogo di provenienza continua ad essere obbligatoria
solo nel caso in cui l’omissione sia idonea ad indurre in errore il consumatore in
ordine all’origine o provenienza stessa del prodotto. Esattamente come attualmente
avviene in base all’identica previsione della Direttiva 2000/13/CE. Al di fuori di tali
casi, tale indicazione è facoltativa e tale rimane;
2) il nuovo regolamento europeo, al 29° “considerando”, specifica che tra gli indicatori
del paese d’origine o del luogo di provenienza debbono ritenersi esclusi il nome e/o
indirizzo dell’operatore del settore alimentare (che sono e rimangono indicazioni
obbligatorie estranee all’indicazione d’origine o provenienza); tale esclusione non
riguarda il marchio dell’impresa, il quale, infatti, non è stato menzionato nella
suddetta lista degli “esclusi”; il che fa ritenere che il marchio stesso può (o, meglio,
potrà) rientrare a pieno titolo nel novero degli indicatori d’origine e di provenienza.

Quali conseguenze potrebbero, perciò, scaturire dal punto di vista penale in
relazione a quanto rilevato?
26.10.2012
Studio legale Gullini-Pullini
Segue

Si è detto sopra che un elemento costitutivo della condotta punibile ai sensi dell’art.
517 c.p. è costituito dall’uso, tra gli altri, di marchi atti ad indurre in inganno il
compratore sull’origine o provenienza del prodotto.

Considerato, per quanto sopra, che il marchio potrà assumere i connotati di un
indicatore d’origine o provenienza, ne potrebbe discendere un rafforzamento della
fattispecie delittuosa di segni mendaci, qualora l’uso illegittimo del marchio stesso, in
funzione di indicatore suddetto, sia idoneo a trarre in inganno il compratore
sull’origine o provenienza del prodotto alimentare.

Lo stesso dicasi per l’integrazione della fattispecie delittuosa di cui allo stesso art.
517quater c.p., che ne risulterebbe anch’essa rafforzata, essendo posta in un’ottica di
tutela delle c.d. “indicazioni geografiche o denominazioni di origine”, considerate sia
quale indice di garanzia di qualità del prodotto, sia anche come elemento di scelta
da parte del consumatore che, come noto soprattutto da noi, propende per
l’acquisto di un prodotto anche in funzione della sua origine o provenienza.
26.10.2012
Studio legale Gullini-Pullini
Il soggetto responsabile delle informazioni sugli alimenti: il
nuovo art. 8, Reg. (UE) n. 1169/2011 e i reati di segni mendaci
L’art. 8 (Responsabilità), individua i soggetti responsabili delle informazioni sugli alimenti e le
condotte idonee ad evitare integrazioni d’illecito.
“1. L’operatore del settore alimentare responsabile delle informazioni sugli alimenti è l’operatore
con il cui nome o con la cui ragione sociale è commercializzato il prodotto o, se tale operatore non
è stabilito nell’Unione, l’importatore nel mercato dell’Unione.
2. L’operatore del settore alimentare responsabile delle informazioni sugli alimenti assicura la
presenza e l’esattezza delle informazioni sugli alimenti, conformemente alla normativa applicabile
in materia di informazioni sugli alimenti e ai requisiti delle pertinenti disposizioni nazionali.
3. Gli operatori del settore alimentare che non influiscono sulle informazioni relative agli alimenti
non forniscono alimenti di cui conoscono o presumono, in base alle informazioni in loro possesso in
qualità di professionisti, la non conformità alla normativa in materia di informazioni sugli alimenti
applicabile e ai requisiti delle pertinenti disposizioni nazionali.
4. Gli operatori del settore alimentare, nell’ambito delle imprese che controllano, non modificano le
informazioni che accompagnano un alimento se tale modifica può indurre in errore il consumatore
finale o ridurre in qualunque altro modo il livello di protezione dei consumatori e le possibilità del
consumatore finale di effettuare scelte consapevoli. Gli operatori del settore alimentare sono
responsabili delle eventuali modifiche da essi apportate alle informazioni sugli alimenti che
accompagnano il prodotto stesso.
5. Fatti salvi i paragrafi da 2 a 4, gli operatori del settore alimentare, nell’ambito delle imprese che
controllano, assicurano e verificano la conformità ai requisiti previsti dalla normativa in materia di
informazioni sugli alimenti ed alle pertinenti disposizioni nazionali attinenti alle loro attività”.
(…)
26.10.2012
Studio legale Gullini-Pullini
Segue: in ambito penale

In ambito penale, la previsione di tale articolo è idonea a comportare conseguenze
concrete in ordine all’individuazione del soggetto penalmente responsabile?
Quel “chiunque” d’esordio degli articoli del codice penale nazionale relativi ai
delitti di frode in commercio e di segni mendaci, potrebbe incontrare una
restrizione, nel senso di una preventiva, specifica individuazione del reo cui siano
riconducibili, anche alla luce del summenzionato art. 8, le condotte delittuose in
essi considerate?
 Ritengo sia troppo presto per ipotizzare una risposta, ma certo la domanda non
appare peregrina sia in quanto è possibile ravvisare, nella norma qui considerata,
una piena adesione ai principi che governano l’intero regolamento (lealtà nello
svolgimento degli scambi commerciali, ordine economico e garanzia di
protezione dei consumatori), i quali corrispondono al bene-interesse tutelato
dalle suddette norme penali nazionali; sia perché dalla formulazione del qui
considerato articolo 8 emerge come il legislatore europeo - nell’individuazione del
soggetto di volta in volta ritenuto responsabile e delle specifiche condotte atte a
prevenire le violazioni ivi previste - tenga in debita considerazione l’esigenza di
conformità anche “ai requisiti delle pertinenti disposizioni nazionali”, non
escluse, dovremmo intendere, le disposizioni nazionali penali attinenti alle
informazioni sugli alimenti, di cui gli articoli 515 e 517 e segg. c.p., come si è visto,
costituiscono un pertinente riferimento.

26.10.2012
Studio legale Gullini-Pullini
Grazie per l’attenzione
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