L’IMPATTO DELL’EURO SUL SISTEMA PRODUTTIVO ITALIANO Treviglio, 5 maggio 2016 Roberto Romano, ufficio studi e ricerche CGIL Lombardia e forum economisti CGIL Struttura della presentazione 1. Storia Europa e trattati (economici) 2. Sfida per una nuova Europa (Europa 2020, industrial compact, orizzonte 2020) 3. Modelli interpretativi: neoclassico, keynesiano e strutturalista 4. L’Italia e l’Europa: convergenza e divergenza • PIL, produzione, intensità tecnologica, produttività, occupazione, ecc… 5. Politiche adottate in Italia 6. Politiche favorevoli al cambiamento Storia dell’Europa Storia «economica» europea • L’economia è una scienza sociale. Il tempo, le consuetudini e le istituzioni plasmano la società. • L’Europa è il risultato di accordi, aspettative, aspirazioni che hanno segnato il senso comune dei cittadini. • Tutti si richiamano all’Europa, pur criticandola duramente. • Uscire o rimanere dentro l’euro? • Il tempo ha cambiato le nostre abitudini. Il popolo greco vuole delle politiche economiche diverse, non uscire dall’euro. • La storia europea è una storia di progresso. È stata guidata da grandi ambizioni. Quello che oggi manca è l’ambizione che avevava guidato i padri fondatori (A. Spinelli). Tappe fondamentali dell’UE Comunità europea del carbone e dell’acciaio (CECA). 1951 • Il ministro degli affari esteri francese Robert Schuman propose alla Germania di riunire in un mercato comune le industrie del carbone e dell’acciaio, strategicamente importanti, ponendole sotto il controllo di un’autorità sovranazionale. • Nel 1951, insieme a Belgio, Italia, Lussemburgo e Paesi Bassi, la Francia e la Germania istituirono la Comunità europea del carbone e dell’acciaio (CECA) Trattati di Roma 1957 • Comunità economica europea (CEE), Comunità europea dell’energia atomica (Euratom). • L’obiettivo della CEE era quello di creare un mercato interno nel quale merci, persone, servizi e capitali circolassero liberamente. Libro bianco dell'Unione Europea 1985 Jacques Delors è l’ideatore. Completamento del Mercato Unico e specificazione dei benefici attesi conseguiti dalla sua realizzazione. Sono stabilite le tappe del processo di integrazione che porteranno nel 1993 al completamento del Mercato Unico, all'avvio della fase di preparazione dell'Unione Economica e Monetaria e alla costruzione della moneta unica (Euro) e all'allargamento di nuovi paesi. Trattato di Maastricht 1992 • Introduce dei criteri di convergenza: • Rapporto tra deficit pubblico e PIL non superiore al 3%; Rapporto tra debito pubblico e PIL non superiore al 60% (Belgio e Italia furono esentati); • Tasso d'inflazione non superiore dell'1,5% rispetto a quello dei tre Paesi più virtuosi; • Tasso d'interesse a lungo termine non superiore al 2% del tasso medio degli stessi tre Paesi; • Permanenza negli ultimi 2 anni nello SME senza fluttuazioni della moneta nazionale. Trattato di Amsterdam 1997-1999 • Definisce una serie di orientamenti sociali prioritari a livello comunitario, in particolare in materia di lavoro: • lottare contro qualsiasi discriminazione ed emarginazione, promuovere l'occupazione, migliorare le condizioni di vita e di lavoro, fornire una protezione sociale adeguata, favorire il dialogo sociale, lo sviluppo delle risorse umane, la parità tra uomini e donne. Il trattato di Amsterdam inserisce tra gli obiettivi dell'Unione europea quello di raggiungere "un livello elevato di occupazione", senza indebolire la competitività. Trattato di Nizza 2001-2003 Definisce: • dimensioni e composizione della commissione, la ponderazione dei voti in consiglio e l'estensione del voto a maggioranza qualificata; • predispone le cooperazioni rafforzate tra i Paesi dell'Unione europea. Introduzione dell’euro 2002 • L’euro diventa moneta di scambio comune Trattato di Lisbona 2007-2009 • Provvede al riparto di competenze tra Unione e Stati membri • Rafforza il principio democratico e la tutela dei diritti fondamentali, anche attraverso l'attribuzione alla Carta di Nizza del medesimo valore giuridico dei trattati Patto fiscale 2012 • 25 Stati membri dell’UE firmano un «patto fiscale» per risolvere in parte la crisi del debito sovrano Sfida per una nuova Europa 2020, Industrial compact 2020 e orizzonte 2020 Storia recente dell’Europa • Europa 2020 • Horizon 2020 • Politica industriale Recenti politiche economiche e industriali europee: Europa 2020 Europa 2020 obiettivi programmati • il 75% delle persone di età compresa tra 20 e 64 anni deve avere un lavoro; • il 3% del PIL dell'UE deve essere investito in R&S; • i traguardi "20/20/20" in materia di clima/energia devono essere raggiunti, compreso un incremento del 30% della riduzione delle emissioni se le condizioni lo permettono; • il tasso di abbandono scolastico deve essere inferiore al 10% e almeno il 40% dei giovani deve essere laureato; • 20 milioni di persone in meno devono essere a rischio di povertà. Iniziative specifiche di Europa 2020 in tema di politica industriale-economica • «L’Unione dell'innovazione»; • «Youth on the move», (migliorare i sistemi d’insegnamento e • • • • • agevolare l'ingresso dei giovani nel mercato del lavoro); «Un’agenda europea del digitale»; «Un’Europa efficiente sotto il profilo delle risorse» (scindere la crescita economica dall'uso delle risorse, favorire il passaggio a un'economia a bassa emissione di carbonio, incrementare l'uso delle fonti di energia rinnovabile, modernizzare il settore dei trasporti e l'efficienza energetica); «Una politica industriale per l'era della globalizzazione»; «Un’agenda per nuove competenze e nuovi posti di lavoro» (migliorare le competenze su tutto l'arco della vita, aumentare la partecipazione al mercato del lavoro, conciliare meglio l'offerta e la domanda di manodopera; «Piattaforma europea contro la povertà» (coesione sociale e territoriale, i nuovi posti di lavoro devono essere equamente distribuiti, le persone vittime di povertà devono vivere in condizioni dignitose e partecipare attivamente alla società. Europa e politica industriale (2014). Una svolta? • “La crisi non è stata solo un episodio isolato, tale da consentirci un ritorno alla precedente normalità. Le sfide a cui si trova di fronte l’Unione sono più temibili rispetto al periodo che ha preceduto la recessione, mentre il nostro margine di manovra è limitato.” (CE, 2010). • Comunicazione della Commissione “For a European Industrial Renaissance” (EC, 2014): la crisi ha rimesso al centro del dibattito politico l’economia reale e la necessità di una forte struttura industriale, soprattutto di quella ad alta e media tecnologia: automotive, machinery and equipment, pharmaceuticals, chemicals, aeronautics, food. • Il cuore del progetto è l’industria e la generazione di conoscenza: “innovation and technological advancement will remain the main source of competitiveness for EU industry”. R&S Horizon 2014-2020 • 24,6 mld per l’eccellenza scientifica per mantenere l’Europa a questi livelli; • 17,9 mld per rafforzamento dell’industria europea, sostegno alla ricerca delle imprese su tecnologie abilitanti e per PMI; • 31,7 mld per i cambiamenti sociali: salute, cambiamento demografico e benessere; sicurezza dell’alimentazione, agricoltura sostenibile; bio-economia; energia sicura, pulita ed efficiente; trasporti intelligenti, verdi e integrati; valutazioni azioni climatiche ed efficienza delle risorse (incluse materie prime); società inclusiva, innovativa e sicura. Domande e riflessioni La necessità di sviluppare una politica industriale per affrontare l’instabilità endogena del sistema economico è, paradossalmente, aumentata con la creazione dell’euro. A parità di moneta e condizioni generali, sono proprio le politiche industriali pubbliche a guidare le grandi trasformazioni. Non tutti i paesi hanno adottato politiche pubbliche coerenti. Alcuni hanno guidato la trasformazione tecnoindustriali; altri hanno lasciato al mercato la soluzione dei problemi. Teorie economiche e modelli 1. Modello neoclassico: concorrenza contrattuale, fiscale, salariale e organizzativa; 2. Modello keynesiano: domanda e offerta di lavoro soggetta alla domanda effettiva (socializzazione degli investimenti). 3. Modello strutturalista: lo sviluppo economico non è solo la somma delle parti. Nell’aggregato cambia la combinazione dei fattori e la «natura» dell’output. Anche se quantitativamente identico, il PIL al tempo 1 è ≠ dal PIL al tempo zero. Modello neoclassico e/o delle riforme strutturali • Sono rappresentati due mercati: Mercato del prodotto; Mercato del lavoro. • La corretta combinazione di mercato del lavoro e mercato del prodotto permette la crescita. Modello neoclassico e/o delle riforme strutturali graficamente Liberalizzazione dei mercati di prodotti e servizi Flessibilizzazione del mercato del lavoro Contenimento prezzi Moderazione salariale Incremento competitività Aumento del potere d'acquisto Aumento esportazioni Aumento dei consumi Innovazione Incremento produttività Crescita Mercato del prodotto Mercato del lavoro Modello keynesiano I principali punti: • Un tratto caratteristico dell’instabilità dello sviluppo capitalistico è legato alle aspettative e alla fiducia che gli operatori hanno rispetto agli investimenti: “non potete aspettarvi che gli imprenditori si mettano a varare programmi di ampliamenti mentre stanno subendo perdite.” • Difficoltà dello sviluppo: «Non soltanto la propensione marginale al consumo è più debole, in una collettività ricca, ma poiché il capitale già accumulato è maggiore, vi saranno possibilità meno proficue di investimenti ulteriori….» (A.M. Variato, 2004, Investimenti, informazione, razionalità, ed. Giuffrè, pp. 213-224) Modello strutturalista (1) Sylos Labini • “in una analisi dinamica lo sviluppo economico è da riguardare, non semplicemente come un aumento sistematico del prodotto nazionale concepito come aggregato a composizione data ma, necessariamente, come un processo di mutamento strutturale, che influisce sulla composizione della produzione e dell’occupazione e che determina cambiamenti nelle forme di mercato, nella distribuzione del reddito e nel sistema dei prezzi” • È necessario cogliere la logica profonda dei movimenti dei redditi, dei prezzi e della produzione… l’investimento necessario senza il quale non sarebbe possibile concepire il ciclo economico… cioè gli investimenti nella tecnologia. Modello strutturalista (2) Schumpeter «si esce da una depressione solo quando un grappolo di innovazioni riesce a formarsi e si traduce in nuove opportunità di crescita del sapere tecnologico…. » «“…le innovazioni non influenzano in modo uniforme il sistema economico…» . La «variazione nell’organizzazione di una entità produttiva (compresa l’economia nel suo complesso), e la variazione delle specificazioni dei fattori produttivi esistenti condizionano il tasso di profitto». Modello strutturalista (3) Paolo Leon Dinamica dello sviluppo e dei profitti via legge di Engel (cambia il reddito e cambiano i consumi). La domanda effettiva non solo si concentra in determinati settori, ma sottende una dinamica di struttura della stessa domanda effettiva. L’accumulo di sapere consente l’introduzione di una nuova tecnica di produzione nel processo produttivo, che diventa tecnica superiore di produzione nella misura in cui modifica la domanda e l’offerta, cioè cambia il segno del reddito. Le implicazioni sulla domanda di lavoro sono enormi, e non risolvibili con la semplice distribuzione del reddito. Rappresentazione del modello strutturalista (3a) Paolo Leon Al crescere del reddito cambia la composizione della domanda: è soltanto dopo aver soddisfatto i bisogni primari che si passa a soddisfare bisogni secondari. Se si ripete questo passaggio un gran numero di volte, è facile notare che ciò che erano bisogni secondari in passato diventano nel presente bisogni primari, rispetto ad altri bisogni che in passato erano ancora più remoti. E’ proprio il graduale assorbimento di alcuni beni nel consumo di sussistenza che mette in opera la legge di Engel. Rappresentazione del modello strutturalista (3b) Paolo Leon L’Italia e l’Europa: convergenza e divergenza Andamento dell’economia (PIL) comparata L’Italia rispetto manifesta una minore crescita rispetto all’UE da molto tempo. Crescita aggregata del PIL 1996-2014 e 2008-2014 (Eurostat) crescita aggregata 1996-2014 crescita aggregata 2008-2014 Germany 25,1 5,6 Ireland 81,1 -1,8 Greece 18,6 -28,8 Spain 40,5 -5 France 30,2 2,5 Italy 9,2 -9,1 Gli investimenti italiani sono insufficienti? L’Italia fino all’inizio della crisi ha manifestato una crescita degli investimenti non dissimile dalla media europea; L’Italia con l’inizio della crisi ha registrato un tracollo degli investimenti dell’ordine del 30%. Tasso di variazione degli investimenti fissi lordi aggregata, 2010=100 crescita aggregata 2001-2007 crescita aggregata 2008-2014 Euro area 17,2 -17,1 Germany 2,2 5,1 Spain 43 -45,9 France 18 -6,3 16,2 -34,2 Italy Fonte: nostra elaborazione su dati Eurostat Cosa si nasconde dentro la scatola nera degli investimenti, rapporto I/GDP (1) Il rapporto I/PIL l’Italia non è lontano dai maggiori paesi industrializzati; Durante la crisi si osserva un calo del rapporto, ma coerente con la dinamica della produzione e la destinazione della stessa; Rapporto Investimenti totali-PIL media per periodi media 95-2000 Euro area media 01-05 media 06-08 media 09-14 22,07 23,21 20,54 Germany 22,84 15,59 20,03 19,69 France 20,17 16,96 23,03 22,22 Italy 19,36 16,78 21,42 18,68 Domanda su investimenti • La riduzione degli investimenti in rapporto al PIL giustifica la contrazione dello stesso PIL nella misura intervenuta? Cosa si nasconde dentro la scatola nera degli investimenti, rapporto I delle imprese/GDP (2) Gli investimenti delle imprese nel corso degli anni tendono a ridursi in rapporto al PIL; Difficoltà a trovare nuove opportunità di crescita. Rapporto investimenti-PIL delle imprese Cosa si nasconde dentro la scatola nera degli investimenti? L’importanza R&S (3) Le imprese per definizione fanno R&S per anticipare la domanda di beni e servizi; R&S è principalmente ubicata nei beni strumentali; Il minore-maggiore output (valore) degli investimenti è principalmente legato all’intensità tecnologica: rapporto BERD/Investimenti; Come cresce il peso della tecnologica nel tempo Se cambia la domanda e diventa sempre a maggiore contenuto tecnologico, deve crescere la spesa delle imprese in ricerca e sviluppo. Infatti… Cambia l’intensità tecnologica degli investimenti Per soddisfare la domanda, le imprese intensificano la componente in ricerca e sviluppo… Con l’effetto di un consolidamento dell’intensità tecnologica degli investimenti (dati OCSE, rapporto BERD/Investimenti delle imprese). Graficamente come cambia l’intensità tecnologica degli investimenti L’effetto su produttiva… Se prendiamo in considerazione il GDP per hour worked, USD, constant prices, 2010 PPPs US dollar, la maggiore-minore intensità tecnologica si riflette nella produttività. Variazione percentuale della produttività 2014-1995 45.0 40.0 35.0 30.0 25.0 20.0 15.0 10.0 5.0 0.0 France Germany Italy Japan United Kingdom United States Euro area (19 countries) Destinazione della produzione come segno del declino? Production of total industry sa, 2010=100 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013 France Germany Italy Spain Euro area (18 countries) France Germany Italy Euro area (18 countries) France Germany Italy Euro area (18 countries) variazione aggregata 0,4 0,4 -1,3 -1,4 -1,7 -1,1 -1,5 0,1 -1,3 0,3 -0,6 1,4 1,9 3,1 -0,2 1,5 -0,1 3,8 -0,6 0,8 0,6 6,1 3,7 3,9 1,1 6,9 1,9 2,3 -2,9 -14,1 5,2 0,2 -17,3 11,6 -3,8 -19 7 -7,5 -15,5 0,8 2,2 8,7 1,2 -1,4 -2,6 -0,6 -6,4 -6,6 -0,9 0,3 -2,9 -1,6 -12,2 22,5 -22,1 -23,2 0,2 -0,6 0,2 2,1 1,5 4,2 3,8 -1,8 -15,1 3,4 -2,5 -0,7 2 Production of -0,9 -2,1 -2 -0,7 -0,7 0,3 -1,8 -2,3 -0,7 -0,9 -0,6 7,3 total manufactured intermediate goods sa, 2010=100 2,6 -0,8 1,3 2 -5 -20 6,6 4,8 -6,4 -1,7 3,8 3 7,4 6,9 -0,4 -18,2 14,8 7,5 -2,2 -0,1 1,2 -2,1 2,3 2,1 -5,7 -25 9,1 0,5 -8,8 -1,4 0,4 2,6 0,9 5 3,9 -3,5 -19,7 10 4,1 -4,6 -1 Production of 1,7 -0,5 -1,8 2,2 -1,1 1 -0,7 -1,9 -4,7 total manufactured investment goods sa, 2010=100 3,3 2 1,6 2,1 -2,8 -18,8 6,3 3,6 -2,1 -0,2 3,7 5 6,4 8,4 1,6 -21,2 12,8 12,7 1,3 0,6 0,3 -2,7 6,1 5,7 -2,6 -25 11,3 3,8 -6,3 -4,5 0,7 2,7 -2 -0,7 2,4 data extracted on 16 Apr 2014 14:02 UTC (GMT) from OECD.Stat 6 6,6 -0,7 -21,2 9 8,4 -1,1 -0,5 -21,6 21,4 -32,6 -3,4 -5,6 33,4 -20,9 9,7 Dove c’è minore intensità tecnologica degli investimenti si lavora di più Un risultato del tutto coerente è dato dalle ore lavorate per addetto e la spesa in R&S per impresa: dove c’è maggiore spesa in R&S si lavora anche di meno; Dove c’è minore spesa in ricerca e sviluppo, la riduzione dell’orario di lavoro è più lenta nel medio-lungo periodo. Spesa in ricerca e sviluppo imprese e orario di lavoro annuo per addetto anno 2000 anno 2004 anno 2008 anno 2012 Ore lavorate Ore lavorate Ore lavorate Ore lavorate BERD/PIL annuo per BERD/PIL annuo per BERD/PIL annuo per BERD/PIL annuo per lavoratore lavoratore lavoratore lavoratore France 1,3 1523 1,4 1501 1,3 Germany 1,7 1471 1,7 1436 1,9 Italy 0,5 1861 0,5 1826 0,6 Spain 0,5 1731 0,6 1704 0,7 OECD countries e/o Unione 1,2 1844 1,2 1810 1,3 europea nostra elaborazione su data extracted on 16 Apr 2014 14:54 UTC (GMT) from OECD.Stat 1492 1422 1803 1663 1,5 2 0,7 0,7 1479 1397 1752 1686 1789 1,3 1765 Sintesi dei punti trattati su l’Italia L’Italia perde produzione industriale; Si riducono gli investimenti perché si è ridotta la base produttiva; L’Italia ha perso la sfida tecnologica nei beni a maggiore valore aggiunto: i beni strumentali; Cambia la domanda di lavoro: non è coerente con la formazione dei giovani; I giovani laureati escono dall’Italia per trovare un lavoro coerente con le proprie aspettative….. Per chi può. Politiche adottate in Italia Flessibilità del mercato del lavoro Invece che cambiare il motore della macchina, cambiamo segno al diritto al lavoro…. Al riguardo possiamo utilizzare un indicatore dell’OCSE “indice di protezione del lavoro”. misura il grado di protezione generale dell’occupazione. La scala dell’indice va da zero a sei: tanto più alto è il valore, tanto più alta è la tutela. L’Italia ancor prima del JOBS Act aveva un indice di protezione abbastanza basso. Dopo il JOBS Act si manterrà la stessa struttura produttiva e con tutele in diminuzione. Come e quanto è meno tutelato il lavoro? Employment Protection Legislation, fonte OCSE Se cominciassimo a discutere del tasso di occupazione? Sintesi dei problemi da affrontare L’Italia rimane un paese incapace di creare lavoro. Il tasso di occupazione rimane molto più basso della media europea. In Italia, oltre ai 3 milioni di disoccupati ci sono 3,3 milioni di persone che non cercano impiego pur dicendosi disponibili a lavorare. Italia al 13% della forza lavoro; Unione Europea al 3,7% della forza lavoro; Germania all’1,2% della forza lavoro; Francia al 2,4% della forza lavoro; Spagna al 3,9% della forza lavoro. Paese senza lavoro Tasso di occupazione 75 70 65 60 Spain 55 Italy 50 2000 2001 2002 2003 2004 France 2005 2006 Germany 2007 Italy 2008 2009 Spain 2010 Euro area 2011 2012 2013 2014 Italia: giovani, formazione, industria, sviluppo: un matrimonio impossibile • In Italia si è diffuso un fenomeno denominato “mismatch”, un allontanamento tra il livello delle competenze delle persone e le mansioni richieste dal sistema produttivo e il livello delle competenze maturate nel sistema universitario italiano, fino a prefigurare un ambiente che poco attiene alla dinamica economica internazionale che privilegia il sapere e il saper fare. La realtà economica mostra dei potenziali disincentivi ad investire in istruzione e formazione con effetti negativi non solo sulle prospettive di reddito delle presone, ma sulle stesse capacità di crescita del sistema produttivo. Politiche favorevoli al cambiamento Governare lo sviluppo Governare il passaggio da una produzione a minore valore aggiunto verso una a maggiore valore aggiunto, significa adottare delle politiche che anticipano la domanda. In altri termini fare economia pubblica. Passare da un settore a un altro, mantenendo un certo tasso di occupazione, presuppone una grande policy pubblica capace di coordinare le politiche industriali, formative, ricerca e sviluppo, lavoro e stimoli. Il vero compito della politica economica moderna del lavoro è proprio quella di creare tanto lavoro quanto se ne perde. Un lavoro difficile, ma necessario se vogliamo agire dal lato della domanda di lavoro. Bibliografia • CEC (1993), White Paper Growth, competitiveness, employment. 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