Percorso Slide sui BES di Cristina Giuntini

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I Bisogni educativi speciali
interrogano
la
scuola:
la
posizione
dell'Aimc
Lucca 27 agosto 2013
Cristina Giuntini
PERCORSO DI RIFLESSIONE
- il dibattito pedagogico sui BES
- le parole di una didattica inclusiva
- la scelta del Ministero: prospettive e limiti di un approccio istituzionale
- due posizioni “contrapposte” sui Bes
- la proposta dell’Aimc
il dibattito pedagogico sui BES
il dibattito pedagogico affronta la tematica Bes?
Da sempre in campo associativo abbiamo cercato di collocare le
questioni su scenari che dessero coordinate di senso.
Partiamo da ciò che afferma un gruppo di studiosi italiani che intendono condurre
in ambito italiano l’approccio alla disabilità presente in altri Paesi Disability
Studies.
(Medeghini) Si tratta di “un’area di studio interdisciplinare, che comprende
sociologia, pedagogia e anche gli aspetti sanitari dei servizi. In comune tutte
queste discipline hanno l’approccio critico al modello medico, individuale,
fondato sui concetti di deficit e abilismo, e al linguaggio che ne consegue.
Si analizzano le pratiche sociali e istituzionali che causano l’esclusione e la
disabilitazione e si propone la prospettiva inclusiva nella sua relazione con i diritti”
Perché nasce questa esigenza in Italia?
(Medeghini)
Il concetto di integrazione scolastica ha difficoltà per “l’incrementarsi della
delega educativa e di apprendimento all’insegnante di sostegno da parte
dei docenti curricolari”.
Quindi una riflessione per superare un modello integrativo che utilizza:
-- le risorse prevalentemente per adattare gli alunni e studenti con
disabilità alla scuola, permettendo così ad essa di rimanere sempre uguale a
se stessa
- in particolare l’insegnante di sostegno come un elemento di
“immunizzazione” e difesa dal cambiamento dell’organizzazione e della
didattica - uno “strumento di difesa” dell’organizzazione scolastica.
Occorre modificare il sistema di organizzazione
(Medeghini)
Molti servizi ( piscine pubbliche …) sono modalità diffuse che “sottolineano
che se non modifico ed educo i contesti, rimango sempre all’interno di una
concezione della disabilità che è prigioniera del suo deficit e quindi
prigioniera di un meccanismo di compensazioni e di esclusioni”.
“Se insegno in un certo modo ed escludo, devo modificare l’organizzazione e
le metodologie per includere”.
“Occorre intervenire sul sistema base della scuola, perché solo
modificandolo si produce una realtà scolastica per tutti”.
È “difficile cercare di sviluppare l’inclusione
in contesti che sono essenzialmente nati per escludere e selezionare”
R. Slee
Dietro il concetto di Bes alcune tappe fondamentali
1978. Rapporto Warnock in Inghilterra
L’espressione “alunni con bisogni educativi speciali” viene utilizzata per
abolire il termine “handicap” e per sottolineare la necessità che il sistema
educativo fosse modificato, riconoscendo il bisogno di un rinnovamento in
ambito pedagogico.
1994. “Dichiarazione di Salamanca”.
Dalla “Dichiarazione di Salamanca”, emerge che l’Inclusive Education richiede
che i sistemi educativi sviluppino una Pedagogia centrata sul singolo bambino
(child-centred Pedagogy), rispondendo in modo flessibile alle esigenze di
ciascuno.
Tale pedagogia, si fonda sull’idea innovativa che le differenze vadano
considerate come risorsa e non come ostacolo.
Dietro il concetto di Bes alcune tappe fondamentali
2000. UNESCO
Attraverso la pubblicazione di vari documenti e dichiarazioni internazionali,
l’UNESCO raccomandava di sostituire la dizione Bisogni Educativi Speciali
con Educazione per tutti (Education for all)
Dietro il concetto di Bes alcune tappe fondamentali
2002 Index for inclusion
L’Indice per l’inclusione, proposta realizzata da Tony Booth e Mel Ainscow (2002) per il
Centre for Studies on Inclusive Education (CSIE, Centro Studi per l’Educazione
Inclusiva), rappresenta uno dei primi tentativi operativi di caratterizzare il concetto di
inclusione all’interno delle strutture scolastiche. Frutto di tre anni di lavoro condotto
da un gruppo di insegnanti, genitori, dirigenti, amministratori locali, ricercatori e
rappresentanti delle organizzazioni disabili, lo strumento è destinato alle istituzioni
scolastiche che hanno come obiettivo la trasformazione della loro cultura e delle loro
pratiche per arrivare a essere delle scuole per tutti.
La proposta dell’Index for inclusion è radicale e si indirizza al superamento del
concetto di bisogni educativi speciali, in quanto questi ultimi si inseriscono in un
quadro di riferimento che continua a considerare la disabilità come problema del
singolo, e propone di sostituirlo con quello di ostacoli all’apprendimento e alla
partecipazione. La caratteristica della disabilità non è attribuita all’individuo, ma alle
situazioni che risultano maggiormente adatte per alcuni e non per altri individui,
all’interno di un aprioristico e rassicurante criterio di normalità.
Dietro il concetto di Bes alcune tappe fondamentali
2009 Principi Guida per promuovere la qualità nella Scuola Inclusiva –
Raccomandazioni Politiche, Odense, Danimarca: European Agency for Development
in Special Needs Education
In base ai Principi Guida per promuovere la qualità nella Scuola Inclusiva, «l’inclusione
interessa un raggio sempre più ampio di studenti piuttosto che quegli studenti in
possesso della certificazione per l’handicap. Riguarda tutti gli studenti che rischiano di
essere esclusi dalle opportunità scolastiche, a seguito del fallimento del sistema
scuola».
2009 La Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità
Favorire l’inclusione delle persone disabili partendo non tanto e non solo dalle
condizioni anatomo-funzionali del soggetto, ma dalla consapevolezza delle situazioni
ambientali esistenti, facilitanti, ostacolanti, disattivanti-disabilitanti le potenzialità e i
diritti di cittadinanza attiva delle persone, tutte.
Secondo il modello della Convenzione piuttosto che parlare di malattie che colpiscono
le strutture e le funzioni del corpo sarebbe più corretto utilizzare il termine
“caratteristiche” delle persone, basate sulla diversità umana che oltre che essere
etnica, culturale, sociale, di storie di vita e di DNA, è anche fisica e di capacità
funzionali”.
Disabilità e paradigma biopsicosociale
(Lascioli)
Riprendendo la “teoria del campo” di Lewin, per spiegare un comportamento è
necessario saperlo leggere in relazione alla situazione in cui lo stesso si verifica, in
particolare esaminando le interrelazioni attuali tra la persona e il suo ambiente di vita.
Il paradigma biopsicosociale, come tale, è un modello di spiegazione sistemica del
funzionamento umano, espressione della trasformazione scientifica e culturale del
modo di guardare al fenomeno disabilità, voluta dall’OMS attraverso la pubblicazione
dell’International Classification of Functioning, Disability and Health (ICF).
Gli elementi fondamentali dell’ICF, che fanno di questo nuovo prodotto della famiglia
OMS delle Classificazioni Internazionali un fattore di grande novità e trasformazione
risultano i seguenti:
-è un modello descrittivo del funzionamento umano, non della sola disabilità;
-è un modello universale, non si rivolge a delle minoranze;
-correla in un quadro sistematico approcci diversi (bio-psico-sociali) in base a una
logica interattiva;
-interpreta i fattori che concorrono a formare il quadro del funzionamento umano
secondo un’ottica di equivalenza;
-guarda alla persona in relazione al contesto, valorizzando le dimensioni culturali.
Disabilità e paradigma biopsicosociale
(Lascioli)
Ciò da cui dipende una condizione di disabilità, rinvia sempre a una molteplicità di
fattori (bio-psico-sociali).
L’ICF rappresenta una valida guida per descrivere e comprendere il funzionamento di
questo sistema, nonché per modificarlo con l’obiettivo di ripristinare nel soggetto le
condizioni per il suo ottimale funzionamento, intervenendo sia sulla persona che sul
suo ambiente di vita.
Da tale impostazione si evince l’importanza dell’educazione quale intervento mirato a
promuovere percorsi di sviluppo umano, idonei ad aumentare la qualità di vita delle
persone a partire dall’analisi del funzionamento e intervenendo direttamente sul
soggetto, aiutandolo a sviluppare le capacità di cui ha bisogno, creando le condizioni
di miglioramento delle sue performance, eliminando o riducendo l’impatto degli
ostacoli che ne intralciano e/o impediscono lo sviluppo, ecc.
CONCLUSIONI
Dai termini del dibattito pedagogico emerge l’esigenza:
-di dominare la complessità della disabilità superando approcci di tipo settoriale
ricercando sempre di più di cogliere le relazioni con i contesti e le innumerevoli
sfaccettature delle caratteristiche personali , difficilmente racchiudibili in rigide
CLASSIFICAZIONI definite a priori che rischiano di limitare la lettura della realtà
riducendone la vitalità e le specificità
-di riflettere sulle parole e il superamento di alcune definizioni
-di utilizzare una modalità che orienti l’azione del docente all’interno di spazi
professionali attenti alla persona capaci di operare pianificazioni di interventi
formativi all’interno di un’ottica progettuale per sua natura aperta e generativa
le parole di una didattica inclusiva
Inclusione non è sinonimo di integrazione
(Medeghini)
“Integrazione: quando cioè l’ingresso in un dato contesto di una persona
esterna con un deficit, rispetto al contesto stesso, è ottenuto grazie a
interventi sulla persona medesima.
Inclusione: quando la disabilità non appartiene alla persona, ma agli ostacoli
di strutturazione sociale e alle barriere presenti in essa, per cui la
partecipazione e l’esigibilità dei diritti non sono un problema della disabilità,
ma della struttura sociale.
Scommessa ….
(Medeghini)
Per reggere le domande di cambiamento richieste dall’insieme delle
Crisi della distinzione propria dell’integrazione: studenti con certificazione e
studenti senza certificazione
“Il limite di tale impostazione è dato dal rischio di pensare che anche le soluzioni ai
problemi possano seguire la medesima logica, ossia per gli studenti “certificati”
soluzioni speciali (con ricorso a risorse straordinarie) e per gli studenti comuni
soluzioni normali (con ricorso a risorse ordinarie)”.
La Dichiarazione di Salamanca ha mosso una seria critica a tale logica. Il costrutto
della normalità e quello della specialità, spiegano assai poco la complessità insita ai
processi educativi.
Normalità e specialità, infatti, non vanno intese come modi d’essere (non esistono i
“normali” e gli “speciali”), in quanto esprimo solo ed esclusivamente due differenti
situazioni di bisogno. Per tale ragione, non ha più senso pensare che esistano
persone speciali a fianco di persone normali. La realtà è che ogni persona, a seguito
di particolari esigenze in ordine a differenti tipologie di problemi, contesti e/o
situazioni, può trovarsi nella condizione di avere bisogni speciali.
Il concetto di BES si coglie solo a partire da una concezione ampia e diversificata dei
differenti bisogni educativi degli alunni.
Bisogni o diritti?
Un approccio basato sui diritti del bambino , anziché sul bisogno (speciale e non)
richiama una responsabilità comune differenziata, a carico di molteplici soggetti,
istituzionali e non istituzionali, che obbliga a lavorare in rete, in modo integrato.
Nella prospettiva dei diritti umani, “ogni bambino ha gli stessi diritti, ma ogni
bambino, non solo quello disabile, ha bisogni diversi, in relazione alle proprie abilità,
al luogo dove è nato, alla situazione politica, economica, sociale, culturale dove vive.
I bisogni dei bambini disabili “non sono speciali”, sono specifici della sua persona e
vanno valutati caso per caso nell’ottica della realizzazione del suo superiore
interesse”
Pedagogia speciale e didattica inclusiva
(Gaspari)
La Pedagogia speciale, intesa come scienza della diversità, non può prescindere dal
saper individuare e progettare risposte formative individualizzate, personalizzate,
differenziate (o, speciali) in funzione delle differenti e diverse esigenze di tutti i
soggetti, evitando omogenei processi di generalizzazione che le farebbero perdere
l’autonoma specificità epistemologica, senza sfociare nelle seducenti soluzioni
frequentemente racchiuse in approcci iperspecialistici ed ipertecnologici.
In questa direzione non posso non sposare i timori espressi da M. Pavone quando
sottolinea il rischio che “...l’intervento medico tenda ad acquisire un posto e un peso
sempre più consistenti come preambolo all’approccio pedagogico-didattico
personalizzato. Ovviamente, siamo pienamente convinti della utilità di consolidare e
intensificare gli spazi di collaborazione dialogica, paritaria, tra scuola e sanità, per
condividere conoscenze e interventi finalizzati al progetto per gli allievi più fragili. Ciò
che va evitato è la ricerca della diagnosi a tutti i costi, per giustificare la mobilitazione
di “attenzioni” calibrate sul singolo studente”, attenzione che, di fatto, dovrebbe già
esistere nelle ordinarie, quotidiane prassi educativo-didattiche di natura inclusiva.
Pedagogia speciale e didattica inclusiva
(Gaspari)
La filosofia sottesa alle pratiche inclusive richiede, in realtà, una profonda
trasformazione delle professionalità educative della cura e dell’aiuto nonchè dell’agire
educativo in ambito scolastico ed extrascolastico: già a partire dalla scuola di base, tutti i
docenti sono tenuti a riconoscere le potenzialità educative possedute dalla globalità
degli alunni, alimentando i talenti e riducendo le situazioni di svantaggio,
problematicità, deficit, handicap, disagio, difficoltà di vario genere e natura, etc, che,
attualmente s’incontrano in modo sempre più frequente in ambito scolastico, specie in
riferimento ai processi di apprendimento e di sviluppo
Pedagogia speciale e didattica inclusiva
(Gaspari)
Gli svantaggi, i ritardi, le difficoltà di funzionamento evolutivo, le disorganizzazioni
apprenditive, i disagi relazionali e comportamentali, i problemi di adattamento
ambientale, contestuale, culturale, insieme alle nuove emergenze educative rientrano
a pieno titolo nella macrocategoria del BES, indipendentemente dalla loro natura ed
entità, tuttavia non si può non essere preoccupati dal “come” verranno
adeguatamente individuati, interpretati e compresi se non saranno “letti” in
prospettiva dinamica, ecologico-sistemica, reticolare, complessa, in sintesi dialettica
e da personale adeguatamente formato e soprattutto capace di assumere un’etica
professionale responsabile e comunemente condivisa .
Pedagogia speciale e didattica inclusiva
(Gaspari)
Si tratta, cioè, di garantire un’uguaglianza di opportunità formative che si realizza
nelle azioni di differenziazione, individualizzazione e personalizzazione didattica
orientate all’inclusione delle diversità, tutte.
Si tratta di adottare funzionali politiche e strategie di intervento educativo che,
dopo aver colto e riconosciuto l'emergenza del "bisogno educativo speciale" non si
limitino a trovare una tecnicistica, riduttiva soluzione.
La Pedagogia e la Didattica speciali, dovendosi adattare ai “bisogni educativi
speciali” degli alunni per fornire loro risposte educative e didattiche adeguate e
significative non possono riferirsi ad un modello unico, stabile e aprioristicamente
preconfezionato.
Pedagogia speciale e didattica inclusiva
(Marocci)
La problematica gestione della classe implica la rimessa in gioco da parte dell’intero
gruppo docente della “capacità empatica di mettersi nei panni degli altri, come
dimensione relazionale e quindi come incontro con la diversità, come
reimpostazione della diversità stessa; come declinazione ai vari livelli relazionali,
come conflittualità generativa, pensiero dialettico, accettazione dell’ambivalenza...
come cambiamento ai vari livelli; come priorità della relazione sugli obiettivi; come
prevalenza dei processi sui contenuti; come indice di un clima...; come capacità di
imparare ad imparare; come prevalenza dell’efficienza sulla sicurezza; come
centralità del benessere soggettivo; come prevalenza dell’essere sull’avere; ...come
interdipendenza; come invenzione continua della realtà”.
CONCLUSIONI
Dietro l’introduzione di alcune parole l’esigenza di :
-sfumare le rigide definizioni tra i concetti (speciale/ normale- certificazione/non
certificazione, …
-delineare l’ottica di una didattica inclusiva rivolta alla classe che si fonda sulla
differenziazione, individualizzazione e personalizzazione
la scelta del Ministero: prospettive e
limiti di un approccio istituzionale
Negli Stati Uniti e nel Nord Europa i Disability Studies esistono
da una quarantina d’anni. Perché in Italia arrivano solo ora?
Le motivazioni sono diverse, ma Medeghini ne sottolinea due:
-la prima riguarda l’egemonia culturale del modello bio-medico individuale nella
definizione della disabilità e questo ha condizionato anche gli studi accademici, siano
essi sociologici, pedagogici e altri. La dimensione “abilista” è l’elemento centrale che
condiziona e spinge ad affermare: «Dobbiamo abilitare le persone con disabilità,
dobbiamo dare loro competenze in modo che si adattino alla scuola e al contesto
sociale». Eppure queste esperienze si sono rivelate deboli perché non mettono in
discussione i contesti e il loro ruolo disabilitante e il potere del linguaggio nel togliere
voce alle persone con disabilità.
Un secondo motivo riguarda il ruolo delle associazioni: in Italia i vari movimenti, le
associazioni per i disabili sono riusciti a realizzare leggi di tutela – come la 104– per cui
le energie sono state investite nella concretizzazione della legge e nella sua
applicazione e nel loro presidio. Il dibattito ha quindi assunto una dimensione diversa,
istituzionalizzata, impoverendo le questioni
CONCLUSIONI
L’approccio istituzionale del Ministero rischia di rafforzare:
-un approccio per categorizzazioni
-una documentazione poco flessibile più legata ad esigenze di tipo burocratico
che di descrizione di un dinamismo proprio del percorso di apprendimento
(es:PDP)
due posizioni “contrapposte” sui Bes
Posizione contro circolare Bes
- eccessivo rischio di categorizzazione
- impostazione dall’alto di aspetti che dovrebbero emergere dal contesto con
rischio di predeterminazione
- richiesta di dettagliare in modo eccessivo ciò che per sua natura è fluidità
propria del percorso di apprendimento centrando il focus sulla pianificazione
piuttosto che sulla progettazione
- rischio di non focalizzare la centralità di una didattica inclusiva e le sue
caratteristiche che vedono coinvolte azioni rivolte all’intera classe e alle
relazioni in essa esistenti
Posizione a favore circolare Bes
- consente di riflettere e di approfondire la tematica delle difficoltà di
apprendimento
-rafforza l’approccio operativo riferito all’ICF in quanto mette in luce le difficoltà
all’interno di un contesto
-solo attraverso la categorizzazione si può affrontare le problematicità
-bes consente una riflessione politica e riaffermare la centralità dell’azione
pedagogica
CONCLUSIONI
Entrambi le posizioni hanno prospettive promettenti … tuttavia è bene comprendere i
rispettivi punti di vista e gli interessi sottesi
rimangono alcuni interrogativi:
- perché parlare di BES, senza tenere in nessun conto le indicazioni dell’Unesco che
invitano a superare tale costrutto?
-il focus su bisogno individuale non limita la portata dell’approccio ICF o della
Convenzione sui diritti delle persone disabili incentrata sull’impegno del contesto ad
essere facilitante?
-si riconosce la complessità della utenza scolastica e la decertificazione pone in primo
piano la professionalità docente. Come valorizzare la didattica inclusiva?
la proposta dell’Aimc
Proposta AIMC
- Bes occasione per riaffermare la professionalità docente liberandola anche da
un’eccessiva dipendenza dall’esterno
- se l’approccio sarà di tipo accademico si accentueranno le categorie e le
delimitazioni della specializzazione pertanto è necessario essere ben “equipaggiati”
per realizzare una didattica inclusiva l’unica che ci potrà creare le prospettive
corrette dalle quali osservare la classe e i soggetti che in essa crescono e vedere i
passi successivi
- evitare eccessivi e precoci categorizzazioni garantire tempi lunghi
- impostare una didattica inclusiva di classe capace di vivere la straordinarietà nella
quotidianità, la diversificazione nel confronto con standard
- diversificare le modalità di apprendimento e di valutazione del percorso svolto
Proposta AIMC
- assegnare all’alunno la responsabilità del proprio percorso di apprendimento
- legare la difficoltà alla tipologia di prestazione, alla tipologia del compito e non alla
persona per riaffermare la centralità del soggetto
- sollecitare la riflessività sulle strategie personali per affrontare i vari compiti
- osservazione sistematica e costante delle percorso di apprendimento
- cogliere il valore della logica Icf che rimanda al contesto senza però ripercorrere i
limiti di un impostazione funzionalista che richiama forme di categorizzazione e
cristallizzazione e può rischiare di leggere l’individuo in rapporto esclusivo alla
prestazione
- iaffermare il valore distinto e complementare della pianificazione e progettazione
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