Il problema della «separazione» delle cariche elettriche sembrava risolto … Certo il modello matematico di Rutherford per l’atomo era analogo a quello descritto da Newton per il sistema planetario (la forza elettrica ha una formula matematica del tutto analoga a quella della forza di gravità) Fel= - Kel q1xq2 r2 ≈ Fg= G m1xm2 r2 Campo elettrico e campo gravitazionale, pur di natura differente, ubbidiscono perciò a leggi del tutto analoghe: il comportamento delle cariche in quiete (statiche), infatti, è perfettamente paragonabile a quello delle masse neutre . Non è così, però, se le cariche sono in movimento (dinamiche). Una massa neutra, in moto, oltre al campo gravitazionale variabile non crea altro intorno . Una carica elettrica in moto, oltre al campo elettrico, crea intorno a sé anche un campo magnetico (Oersted). Poco dopo la metà del XIX secolo, le ricerche sull’elettricità avevano evidenziato che: Se il moto della carica elettrica è rettilineo uniforme non si registrano fenomeni particolari Se la carica elettrica subisce una accelerazione (variazione della velocità) vengono emessi segnali elettromagnetici (onde) che si disperdono nell’ambiente. L’emissione di queste onde avviene con consumo di energia (nel rispetto principio della conservazione dell’energia). Tutte le volte che c’è una variazione di campo elettrico (accelerazione della carica) ci sarà un segnale elettromagnetico che si disperde nello spazio consumando energia. Torniamo al modello planetario dell’atomo. La situazione vede una carica elettrica negativa, e-, in moto continuamente accelerato (accelerazione centripeta) attorno al nucleo. Dalle esperienze precedenti, dovremmo aspettarci una continua emissione nello spazio di segnali elettromagnetici da parte dell’ e- a spese di energia. Coerentemente, dovremmo aspettarci l’esaurimento graduale dell’energia posseduta dall’elettrone. La perdita graduale porterà l’e- ad avvicinarsi e cadere sul nucleo (dato che perderebbe gradualmente la sua forza centrifuga) Questa emissione di segnali elettromagnetici da parte degli atomi, prevista dalle leggi della fisica classica (elettromagnetismo di Maxwell), non fu mai verificata. Né tantomeno il corrispondente «destino» dell’elettrone. Questo «paradosso» fisico mise in forte crisi gli scienziati che cominciarono a dubitare di leggi allora ritenute universali nonché di tutta la fisica classica. La crisi della fisica classica Agli inizi del XX secolo, le leggi di quella che oggi indichiamo come Fisica Classica (che fa capo a Newton e a Maxwell) riuscivano a spiegare perfettamente i fenomeni «macroscopici» , ma non quelli «nanoscopici». Sembrava, in altre parole, che particelle piccolissime, come ad es, l’elettrone, avessero un doppio comportamento: fuori dall’atomo rispettavano le leggi classiche, dentro l’atomo no! Quali leggi l’elettrone rispettava dentro l’atomo? Oltre al comportamento paradossale dell’elettrone (dentro e fuori dall’atomo) c’erano altri fenomeni che la fisica classica non riusciva a spiegare bene, per esempio: Perché un corpo denso portato all’incandescenza emette luce di particolari colori, in base alla temperatura cui è portato (comportamento del corpo nero)? Le leggi di Maxwell spiegavano solo in parte questo fenomeno. Planck, apportando significative correzioni alle leggi di Maxwell, riuscì a superare il «paradosso» ipotizzando che l’energia della luce non possa assumere valori qualsiasi, ma solo multipli di una quantità minima, definita «quantum», a sua volta dipendente dalla frequenza d’onda (E=hf). La luce, cioè, sarebbe emessa sotto forma di «pacchetti» ben definiti di energia elettromagnetica. Einstein completò la scoperta di Planck evidenziando che questi pacchetti di energia elettromagnetica (quanti) erano anche dotati di quantità di moto: si comportavano come fossero particelle aventi una massa (fotoni natura dualistica della luce) Queste nuove idee diedero inizio alla nuova fisica: la fisica quantistica. Bohr seguì le nuove idee della fisica quantistica per risolvere il paradosso dell’atomo planetario di Rutherford Spettro continuo 1 Sorgente densa calda 2 Le sue ricerche si basarono, in particolar modo, sull’analisi spettrale della luce emessa e assorbita da vari materiali. Si distinguono tre situazioni fondamentali. Sorgente densa calda Spettro a righe Gas rarefatto incandescente (discontinuo) 3 Gas rarefatto freddo Spettro di assorbimento 2 3 Emissione Ogni riga corrisponde ad un determinato valore di lunghezza d’onda Assorbimento Utilizzando lo stesso gas, gli spettri di assorbimento ed emissione corrispondono come l’uno il negativo dell’altro. Ogni gas ha uno spettro specifico (serie di righe spettrali) identificazione Le righe non sono disposte a caso, ma sembrano seguire una certa regolarità. Un aspetto particolare è l’accumulo delle righe verso le frequenze maggiori (violetto) Zone spettrali (n1) Il gas idrogeno presenta righe ben precise, nelle tre zone principali dello spettro (infrarossa, Visibile, Ultravioletta). Zona U.V. n1=1 Equazione empirica di Rydberg R =costante di Rydberg n1= numero d’ordine di zona spettrale n2= numero d’ordine di riga λ = lunghezza d’onda (colore) Zona I.F. n1=3 Righe spettrali (n2) Serie di Lyman • • • • Zona Visib. n1=2 Serie di Balmer Serie di Paschen Le righe, in ogni zona, si «accumulano». Non sono disposte a caso: si dimostrò che la loro posizione ubbidisce ad una legge matematica! In pratica, sostituendo a n1 il numero d’ordine della zona spettrale osservata e a n2 il numero d’ordine della riga all’interno della zona, con l’equazione di Rydberg si ottiene il valore della λ (colore) della riga analizzata. L‘emissione e l’assorbimento di segnali luminosi (elettromagnetici) da parte di un corpo materiale (es. gas idrogeno) sono sicuramente da collegare con le cariche elettriche all’interno degli atomi e con la variazione del loro stato di moto (dalla teoria di Maxwell), ma… Perché i colori emessi sono sempre e solo proprio quelli, con le posizioni e i valori ben precisi di λ? Ancora una volta, utilizzando le leggi classiche dell’elettromagnetismo (equazioni di Maxwell) e della meccanica (leggi di Newton) non si riusciva a spiegare perché la serie di righe spettrali dell’idrogeno rispetta l’equazione empirica di Rydberg. La nascente fisica dei «quanti» suggerì a Bohr la risposta. Quantizzazione del momento angolare L Partendo dall’atomo di Rutherford e dalle sue dimostrazioni, introdusse un nuovo concetto: le orbite dell’elettrone non sono tutte possibili, ma solo quelle che possiedono solo ben definite velocità v e distanze r dal nucleo e tali da rispettare la seguente condizione matematica: mvr [quantizzazione delle orbite]. = nh/2π m m= massa dell’elettrone v=velocità dell’elettrone r= raggio dell’orbita n= numero intero (1,2,3,4,5,….) h= costante di plasnck V1 r1 + r0 m V0 Bohr, introducendo questo concetto, lavorando sulle formule di Rutherford, riuscì a dimostrare la formula di Rydberg, cioè la disposizione delle serie di righe spettrali dell’H In sintesi, Bohr giustificò la formula empirica di Rydberg partendo dalle leggi di Newton-Maxwell applicate al moto dell’elettrone, come teorizzato da Rutherford, ma ponendo una condizione: i valori del momento angolare devono essere L= mvr=nh/2π (cioè multipli interi di una quantità fissa) quantizzazione del momento angolare. Questo, ovviamente, comporta l’esistenza di specifiche e determinate orbite permesse all’elettrone quantizzazione delle orbite. Dato che ad ogni orbia corrisponde una determinata enegia anche quest’ultime sono quantizzate quantizzazione dei livelli energetici L’elettrone passando da un’orbita all’altra assorbe o emette solo determinate quantità di energia, multipli interi del quantum di Planck E=nhf Dall’analisi delle righe dello spettro, Bohr ricavò per l’H 7 possibili orbite che chiamò livelli energetici n, numerati da 1 a 7. Il lavoro di Bohr si riassume nei seguenti postulati: 1. L’elettrone si muove secondo un’orbita circolare intorno al nucleo ed il suo moto è regolato dalla forza elettrica di Coulomb e dalla forza centrifuga. 2. Il moto dell’elettrone è descritto dalle leggi di Newton, ma non tutte le orbite sono permesse: solo quelle di raggio r tale che il momento angolare L= mvr = nh/2π 3. Se l’elettrone permane in un’orbita, non emette alcuna radiazione elettromagnetica e pertanto la sua energia è costante: l’orbita viene detta orbita stazionaria. 4. Una radiazione elettromagnetica viene assorbita o emessa solo quando un elettrone salta da un’orbita all’altra: L’energia assorbita o emessa è «quantizzata», vale un quantum ΔE = hf . Il salto tra le orbite è definito «salto quantico». Vengono definiti postulati in quanto non dimostrabili e contro le leggi della fisica classica, ma necessari per giustificare i fenomeni osservati (così deve essere!). In altre parole, solo ammettendo quanto sopra è possibile giustificare gli spettri di emissione e assorbimento, nonché il fatto che una carica elettrica, come l’e-, possa non emettere luce pur avendo un moto accelerato e, quindi, non perdere energia, anche se questo contrasta con le teorie classiche.