“Il complesso rapporto tra filosofia e apologetica nella risposta di

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Platone e Aristotele: i grandi sistematici,
maestri di metafisica
Tratti essenziali della biografia platonica
Platone visse nel periodo di passaggio dallo splendore della pòlis ateniese alla sua
profonda crisi. (428 o 427-347 a.C)
Discendente da una famiglia aristocratica di Atene: il padre discendente del re
Codro, la madre parente del legislatore Solone. Dato l’ambiente familiare di
provenienza, Platone ricevette quanto di meglio l’educazione di allora
potesse offrire: studiò la musica, i poeti, la pittura, le scienze e la filosofia
che inizialmente conobbe attraverso le lezioni dell’eracliteo Cratilo, poi da
Socrate. L’incontro con l’insegnamento e il metodo socratico segnò in modo
decisivo l’orientamento della sua vita e della sua riflessione. Dopo la morte
di Socrate Platone, che non si era fino ad allora mai spostato da Atene,
intraprese numerosi viaggi, finalizzati alla ricerca di una città che gli
consentisse di realizzare i propri ideali politici→un governo guidato dalla
sapienza dei filosofi. Mète dei suoi viaggi furono: Egitto e Cirene, Magna
Grecia (Taranto e Siracusa) dove cercò, tramite l’amicizia con il tiranno della
fiorente città siciliana, di attuare le sue idee politiche. Il drammatico
fallimento di questo progetto determinò il rientro di Platone ad Atene, dove
nel 387, fondò l’Accademia.
La divisione del corpus platonicus
•
Platone non raccolse il proprio pensiero in un’opera sistematica ma per
primo nella storia del pensiero si avvalse del genere letterario del dialogo per
esporre la propria filosofia. Questa scelta, in sintonia con la concezione
socratica della filosofia, esprime la tensione della ricerca intesa come esame
continuo di se stessi e degli altri (spirito della skèpsis)
DIALOGO=RAPPRESENTAZIONE DI COME IL PENSIERO E LA
PAROLA(LÒGOS) ATTRAVERSI 2 o+INTERLOCUTORI
«Una vita senza ricerca non è degna di essere vissuta dall’uomo» (Platone,
Apologia di Socrate).
• A Platone sono attribuiti 33 Dialoghi e 13 Lettere, raggruppati, seguendo la
tradizione iniziata dal grammatico Trasillo (I sec. d.C) e in base al criterio
stilometrico, in tre grandi gruppi, ciascuno corrispondente al periodo nel
quale Platone li scrisse
1. Dialoghi socratici o della giovinezza (Apologia di Socrate, Critone, Ippia
minore, Protagora, Eutifrone, Liside, Carmide, Lachete, Ippia Maggiore)
2. Dialoghi della maturità (Gorgia, Menone, Cratilo, Repubblica, Convito o
Simposio, Fedone e Fedro)
3. Dialoghi della vecchiaia o dialettici (Teeteto, Parmenide, Sofista, Filebo,
Timeo, Leggi)
I dialoghi giovanili e l’unicità della virtù
L’unicità della virtù→ una delle principali tesi socratiche. Nei dialoghi giovanili
Platone difende e argomenta efficacemente questa tesi analizzando il
contenuto di alcune tra le virtù tenute in più alta considerazione nel mondo
greco.
Lachete: viene esaminata e discussa l’essenza del coraggio, fino a giungere alla
conclusione che esso si identifica con il bene, quindi con la virtù nel suo
complesso di cui costituisce una sorta di specificazione.
Carmide: saggezza
Eutifrone: santità
Liside: amicizia
Il concetto di virtù così raggiunto anticipa la stessa fondazione della teoria
delle idee, poiché la molteplici virtù sono da ricondurre a un’unica idea di
bene cui tutte partecipano.
Protagora: intellettualismo etico→identificazione della virtù con il sapere
Punto di arrivo della prima fase del pensiero platonico→ogni virtù partecipa
dell’essenza della virtù
«Anche se sono di molti tipi, in tutte le virtù ha da esservi una sola forma per
cui sono virtù»
(Platone, Fedone)
Capisaldi della gnoseologia platonica (Menone, Fedone)
Platone pone la misura delle cose al di fuori dell’uomo, nel Lògos divino.
Ciò che fa vero il pensiero è la sua adaequatio all’oggettiva immutabilità delle idee e
indipendenza dalle nostre sensazioni mutevoli.
In Platone emerge una tesi epistemologica fondamentale di tutta la filosofia classica:
il realismo metafisico e gnoseologico: la realtà ha in assoluto un essere in
sé, indipendente da noi. Le idee platoniche non sono in alcun modo
“condizionate” dal rapporto con noi ma sono trascendenti, sciolte (ab-solutae) da
qualsiasi legame con il mondo del divenire. L’anima giungerà alla conoscenza
della verità delle cose, quando, risvegliando il ricordo (reminescenza)della
propria contemplazione delle idee “subìta” in una vita precedente, vi si adeguerà
totalmente. Da ricordare il duplice significato della parola greca alètheia che
deriva dal verbo lanthàno (nascondo e dimentico); conoscere la verità
significa:
1. vedere con l’intelletto ciò che è nascosto ai sensi
2. ricordare ciò che è stato dimenticato. Conoscere=ricordare→innatismo
latente che necessita di un risveglio e di una presa di coscienza.
3. Conoscere l’idea, mentre il ricordo è la via per far riaffiorare l’idea nell’anima.
Platone →primo grande formulatore della teoria dell’adeguazione o
“corrispondentismo” anche se l’accento è posto più sul modello metafisico
dell’adeguazione (l’idea) che sull’atto compiuto dall’intelletto (che è passivo
rispetto al modello metafisico).
Capisaldi della dottrina metafisica delle idee
All’elaborazione della dottrina delle idee Platone giunge tramite l’approfondimento
della questione gnoseologica generata dalla battaglia anti-sofistica e anti-scettica
(passaggio dai dialoghi della giovinezza a quelli della maturità). L’idea (èidos) è:
1. Criterio di giudizio delle cose, dal punto di vista gnoseologico
2. Causa o condizione di esistenza delle cose, per partecipazione (metèssi) – per
imitazione (mìmesi) – per presenza (parusìa), dal punto di vista ontologico.
L’essere platonico è plurale o multiplo (pluralismo ontologico come quello di
Leibniz), diversamente dall’essere univoco parmenideo, che faceva della
molteplicità un non-essere.
Il mondo sensibile dell’esperienza, contrariamente a quanto affermato da
Parmenide, che lo considerava non-essere, svolge un ruolo importante nella
filosofia platonica: è infatti l’esperienza sensibile a sollecitare continuamente il
filo-sofo ad andare al di là di essa, per scoprirne la legge, la logica, il senso.
Nonostante ciò, per Platone merita il nome di scienza (epistème) soltanto la
conoscenza dell’universale (la forma), di ciò che trascende la singolarità
materiale delle cose (privilegiamento del metodo deduttivo e dimostrativo della
matematica e geometria, considerata da Platone una “sintassi del mondo”,
soprattutto nell’ultima fase dei dialoghi della vecchiaia, (dove si avverte una
forte influenza del pitagorismo). Delle cose empiriche non si può dimostrare
come siano, le si può semplicemente descrivere, essendo la verità in senso
proprio riservata alla dimostrazione logica.
L’eros filosofico: il Simposio
Nel Simposio si profila ciò che nella
Repubblica sarà il concetto di
Bene (il Bello nel Simposio) e si
prefigura il valore nuovo che
nella Repubblica assumerà la
dialettica, intesa come via
mediante la quale si coglie,
dialogando, l’unità molteplice
del tutto.
Eros→forza che conduce l’uomo ad
ascendere verso i vari gradi
della bellezza, fino all’idea di
bello in sé. Non è possesso della
sapienza, ma amore e ricerca di
essa.
Il dialogo Fedro completa il Simposio,
descrivendo come l’anima
compie questo viaggio di
conoscenza: la bellezza risvelgia
nell’anima progioniera del
corpo il ricordo dell’iperuranio
e l’amore è la forza che ve la
riconduce.
Filosofia:
èros
Oggetto
dell’amore
è bellezza
Èros:
Dàimon,
essenza
della
filosofia
Figlio di
Pòros e di
Penìa,
di natura
intermedia
La Repubblica
Una delle opere più importanti, perché
1.
costituisce una sorta di sintesi della filosofia elaborata da platone fino
a quel momento
2.
inquadra le coordinate filosofiche del progetto politico di uno stato
perfetto fondato sulla giustizia
Nello Stato progettato da Platone esistono 3 classi sociali, tra le quali deve
regnare la perfetta armonia: i governanti o filosofi(parte razionale
dell’anima), i custodi ( parte irascibile) e i produttori (parte
concupiscibile).
Il mito della caverna e la dialettica progressiva: dòxa=immaginazione e
credenza; epistème=diànoia (conoscenza degli enti metematici) e nòesis
(intellezione o contemplazione della verità).
Ruolo dell’educazione per la conservazione del buon ordinamento dello Stato
Condanna platonica dell’arte come imitazione dell’imitazione
I dialoghi della vecchiaia e la cosmologia del Timeo
•
•
•
Progressivo ripensamento della dottrina delle idee
Perfezionamento della concezione della divinità
Ricerca di una maggiore chiarezza nel modo di considerare la relazione tra il
mondo naturale e il mondo delle idee
• Mondo naturale=risultato dell’attività del Demiurgo
(divino artefice che impone ordine e finalità alla chòra o massa
•
•
indeterminata di materia soggetta alla necessità e che oppone resistenza
all’opera ordinatrice del Demiurgo).
Il Demiurgo infonde al mondo anche un’anima, il principio intelligente
al quale si deve l’armonia dell’universo.
In questa ultima fase Platone appare sempre più vicino al pitagorismo e alla
concezione della matematica come sintassi del mondo o codice di
intepretazione di tutto ciò che esiste
Le aporìe della teoria delle idee e il parricidio
(Parmenide e Sofista)
Problemi che impongono a Platone una revisione della dottrina delle
idee:
1.
La relazione ontologica che lega mondo sensibile soggetto al divenire e il
suo modello trascendente, fatto di idee eterne e immutabili
2.
La relazione tra gli oggetti della sensibilità e gli oggetti della conoscenza
intellettuale
3.
La possibilità di ipotizzare l’esistenza di idee anche per le realtà più basse
del mondo sensibile.
Parmenide e Sofista →famosi dialoghi del parricidio, nei quali viene discussa e
confutata la teoria parmenidea dell’essere e viene elaborato un nuovo
modo di intendere la relazione tra i due mondi.
Le idee costituiscono un universo unitario di molteplicità che non corrisponde
agli infiniti oggetti sensibili
Tra le idee (le più alte delle quali sono i generi sommi Essere, movimento,
quiete, identico e diverso si stabilisce una fitta rete di relazioni
fondate sul rapporto di esclusione e di partecipazione
La dialettica= sapere più alto, studio del rapporto tra le idee.
•
Annotazioni conclusive sulla dialettica platonica
La verità per Platone quindi è:
1. Il risultato di un processo personale di ricerca (la verità abita nell’anima
umana).
2. Qualcosa che trascende l’individuo, che gli si impone come un dato
inconfutabile esterno rispetto al soggetto che la cerca (metafora della luce
del sole, che illumina dall’alto).
3. La radice immutabile delle cose in divenire, la loro essenza o èidos che sul
piano gnoseologico coincide con la definizione socratica.
Il linguaggio ordinario non fa altro che confermare la tendenza dell’uomo a
cercare ciò che unifica (esempio del “nome comune” in grammatica: esso si
applica a una moltitudine di oggetti, senza che nessuno di essi sia
perfettamente identico all’altro. Ciononostante ci sentiamo in diritto di
chiamare tali realtà allo stesso modo. Senza nomi comuni non saremmo
neppure in grado di formulare, a noi stessi o agli altri, alcun discorso. In
sintesi non potremmo né comunicare, né conoscere). Qualsiasi atto di
comunicazione e di conoscenza, implica la tensione verso il riconoscimento
di ciò che è identico nel diverso (una radice immutabile).
Aristotele: l’enciclopedia del sapere e
la metafisica come scienza rigorosa
Nacque nel 384 a. C. a Stagira, colonia greca della Tracia, da una
famiglia aristocratica. Il padre, Nicomaco, fu medico alla corte di
Filippo II il Macedone e la madre, Festide era originaria di Calcide,
nell’Eubea. Rimasto orfano molto giovane, compì gli studi ad Atene
presso l’Accademia di Platone, dove rimase fino alla morte del
maestro (nel 347), quando si trasferì ad Asso e a Militene, dove si
dedicò insieme a Teofrasto, a studi di carattere biologico. Nel 343342, dietro richiesta di Filippo II, si occupò dell’istruzione del figlio
Alessandro e nel 335 (anno in cui Alessandro divenne re) tornò ad
Atene e vi fondò il Peripato o Liceo; è proprio in questo periodo che
vedono la luce le opere aristoteliche più significative. In seguito alla
progressiva emancipazione di Atene dall’influenza macedone,
Aristotele fu accusato di collaborazionismo e di empietà. Fu
costretto a lasciare la conduzione della scuola a Teofrasto e si stabilì
a Calcide, dove morì nel 322.
Aristotele
1.
2.
•
•
•
•
Le opere essoteriche (sotto forma di
dialoghi e destinati a un vasto
pubblico furono scritti grosso modo
nel periodo di adesione al
platonismo. Ne fanno parte Grillo o
della retorica (che corrispondeva al
Gorgia platonico, il Protrettico (=
l’educatore), e il dialogo Sulla
filosofia, che segna il primo distacco
di Aristotele dal platonismo
Le opere esoteriche o acroamatiche
(destinate all’insegnamento nel
Liceo) costituiscono il corpus
aristotelicum, ordinato e reso
pubblico da Andronico di Rodi nel I
sec. a.C. Esse vengono generalmente
suddivise in
Scritti di logica, noti con il nome di
Organon (strumento)
Scritti di filosofia prima
(Metafisica), in 14 libri
Scritti di fisica, biologia, psicologia
Scritti di etica, politica, economia,
poetica e retorica.
Le opere di
Aristotele
Scritti
essoterici
Scritti
acroamatici o
esoterici
Aristotele e la filosofia prima
Aristotele distingue
2 gruppi di scienze
Le scienze teoretiche
(metafisica, fisica e
matematica)
che hanno per oggetto il necessario
•
1.
2.
3.
4.
Le scienze pratico
(etica e politica)poietiche (arti e
tecniche)
che hanno per oggetto il possibile
Il termine metafisica non è aristotelico. Egli preferiva termini come sapienza,
filosofia o teologia e, soprattutto, filosofia prima, per distinguerla dalla filosofia
seconda o fisica. Aristotele dà quattro definizioni di filosofia prima, tra loro
strettamente connesse:
È la scienza che studia le cause e I principi primi
È la scienza che studia l‘essere in quanto essere e le proprietà che gli competono in
quanto tale
È la scienza che studia la sostanza
È la scienza che studia Dio e la sostanza immobile (teologia).
Aristotele e la filosofia prima
In quanto scienza delle cause prime, la filosofia si occupa dei principi che
sovrintendono e regolano il divenire della natura e cioè:
1.
La causa materiale, ciò di cui è fatto un ente (per esempio il marmo di
cui è fatta una statua)
2.
La causa formale, ossia la forma che caratterizza l'ente, il suo modo di
apparire (per esempio il fatto che la statua rappresenta proprio Davide e
non qualsivoglia oggetto)
3.
La causa efficiente, la circostanza che origina, produce il movimento
(Michelangelo Buonarroti)
4.
La causa finale, il principio direttivo del movimento, lo scopo per il
quale si origina il movimento (la soddisfazione personale o la fama dello
scultore). Per Aristotele, diversamente da Platone, ciò che fa essere gli
enti ciò che sono (la forma o essenza) è una causa immanente, non
trascendente. Essa può essere colta dall'uomo tramite il processo dell'
astrazione, atto intellettivo con cui si prescinde da tutte la
caratteristiche sensibili che contraddistinguono la cosa nel suo essere qui
ed ora. Sulla causa finale Aristotele rileva che pochi pensatori vi hanno
attribuito la giusta importanza e comunque nessuno è mai giunto ad
affermare che il bene è il fine ultimo verso cui tutto il reale tende.
Aristotele e la filosofia prima
La metafisica o filosofia prima studia le cause prima, cioè le cause dell'essere e
non soltanto quelle del singolo ente o di una categoria di enti. Questione
preliminare è dunque stabilire il significato dell'essere. Parmenide, per
salvaguardarne l'univocità, aveva finito per negare realtà al divenire, mentre
i Sofisti, per recuperare la ricchezza della molteplicità e del cambiamento,
avevano ricondotto il significato dell'essere all‘opinione del soggetto,
cadendo in un relativismo assoluto.
«L'essere si dice in molti
Soluzione di
Aristotele
Senso al concetto
di essere + realtà
alla molteplicità
degli enti
modi, ma tutti in riferimento
a un unico principio: alcune
cose sono detti esseri perché
sono sostanza, altre perché
affezioni della sostanza […]»
Aristotele, Metafisica
Da un lato, quindi, Aristotele afferma che l'essere ha molteplici significati e
che essi sono quelli sintetizzati dalle categorie esaminate nella logica.
Dall'altro le categorie, pur essendo molteplici, sono strettamente collegate
tra loro in quanto rappresentano tutte modalità diverse della sostanza. La
domanda sul significato dell'essere è dunque la domanda sul significato della
sostanza.
Aristotele e la filosofia prima
Se le categorie rendono ragione della molteplicità, resta ancora da spiegare il
movimento che caratterizza il divenire delle cose. Aristotele lo spiega
attraverso i concetti di essere in potenza e di essere in atto
(enteléchia=realizzazione o perfezione attuata).
Divenire = passaggio da un modo di essere a un altro
Esempio: il David di Michelangelo è in potenza nel blocco di marmo ed è in
atto quando lo scultore (Michelangelo), lavorando il marmo, l'ha portata a
compimento. Gli enti, possono essere insieme in atto e in potenza a seconda
che li si consideri come ciò verso cui il divenire è diretto o ciò da cui il
divenire muove (esempio del seme e della pianta)
Aristotele e la filosofia prima
La sostanza costituisce per Aristotele la categoria fondamentale, quella cui si
riferiscono tutte le possibili determinazioni dell’essere dell’ente.
Sostanza
sinolo=unione di
materia e forma
La realtà sostanziale è unità del principio intelligibile
(elemento attivo) e della materia indeterminata
(elemento passivo). Per forma Aristotele non intende
l’aspetto esterno di una cosa, ma la sua natura propria,
ossia la struttura che la rende quella che è. In altre
parole la forma è l’elemento determinante del sinolo,
che struttura la materia, mentre la materia è
l’elemento determinato, che viene strutturato dalla
forma.
Forma=ciò che costituisce l’essenza necessaria o
natura della sostanza individuale, la struttura fissa e
immutabile che la definisce e la organizza.
«La sostanza è, in un
primo senso, la
materia e cioè quel che
non è, per se stesso,
una cosa determinata,
in un secondo, è la
figura e la forma,
secondo la quale la
materia è già detta
questa cosa
determinata; in un
terzo, poi, è il
composto di materia e
forma. La materia è
potenza, la forma
enteléchia»
Aristotele, De Anima
Aristotele e la filosofia prima
Dalla sostanza in senso proprio bisogna distinguere l’accidente (un altro dei
significati basilari dell’essere), che in senso forte e caratteristicamente
aristotelico designa le qualità che una cosa può avere o non avere, senza
per questo cessare di essere quella determinata cosa o sostanza. Per cui,
mentre l’accidente cambia nel tempo, la sostanza permane identica, pur
nel mutare delle varie qualità.
Perché sia possibile il sinolo e si realizzi il passaggio dalla potenza all’atto per
Aristotele è necessario pensare a una sostanza che sia da sempre in atto
(condizione di possibilità dell’esistenza dell’intero universo). Se
tale sostanza suprema, infatti, non fosse sempre in atto, presupporrebbe
a sua volta una sostanza che sia causa del suo movimento. Ma poiché non
è possibile risalire all’infinito, bisogna giungere necessariamente a una
causa prima intesa come:
1.
Atto puro, ossia forma pienamente e sempre attuata, priva di qualsiasi
potenzialità e, dunque, materialità.
2.
Motore immobile, cioè la sostanza prima fa muovere l’intero universo
come causa finale, oggetto di amore
3.
Pensiero di pensiero, cioè in continua e totale contemplazione di se
stesso; non vi è passaggio da conoscenza in potenza a conoscenza in atto,
come accade nell’uomo.
La logica come propedeutica alla filosofia
Tutta la logica aristotelica – ritenuta spesso il capolavoro di Aristotele che con essa
avrebbe scoperto le forme immutabili e necessarie del ragionamento – si fonda
sul primo principio logico della metafisica, il principio di non contraddizione,
che non può essere dimostrato (in quanto ogni possibile dimostrazione lo deve
necessariamente presupporre). Le parti dell’Organon aristotelico trattano di
oggetti che vanno dal semplice al complesso, cominciando dai più semplici, cioè
dagli elementi (cioè tutti i termini che non entrano in alcuna combinazione,
perché sono considerati isolatamente). Di questi termini (corrispondenti a dei
concetti) non si può dire né che siano veri né che siano falsi, giacché vera o falsa
è solo una qualche combinazione di essi (per esempio “il cane abbaia”)
Per condurre qualunque ricerca scientifica e qualsiasi discorso sulle realtà indagate,
Aristotele ritiene necessario fissare dei criteri per stabilire la correttezza e
l’attendibilità dei ragionamenti. La scienza che studia tali criteri è la logica E se
ogni scienza si occupa di un oggetto differente e particolare, i principi logici sono
I medesimi per tutte.
Tutta la logica aristotelica si fonda sul principio di non contraddizione.
Negare la validità del principio di non contraddizione, non solo renderebbe vana
ogni ricerca scientifica, ma toglierebbe significato a qualsiasi discorso.
Ogni dimostrazione infatti, per essere valida, deve procedere deducendo
rigorosamente delle conclusioni da alcune premesse vere
«È impossibile che il medesimo attributo, nel medesimo tempo, appartenga e non
appartenga al medesimo oggetto e nella medesima relazione […] È impossibile,
infatti, supporre che la medesima cosa sia e non-sia»
Aristotele, Metafisica
La logica come propedeutica alla filosofia
Fissato il principio logico e ontologico fondamentale, non suscettibile di dimostrazione,
Aristotele ritiene necessario studiare le modalità con le quali ogni termine
(corrispondente a un concetto) si lega agli altri nella proposizione per dare
luogo ai giudizi (affermativi e negativi); la classificazione dei termini-concetti
forma la dottrina delle categorie.
Le categorie sono le 10 classi entro le quali Aristotele raggruppa tutti gli esseri e
qualsiasi determinazione del pensiero che ad essi si riferisca
1.
Sostanza (per esempio questo particolare uomo)
2.
Quantità (di 40 anni)
3.
Qualità ( biondo)
4.
Relazione (minore di…)
5.
Luogo (a Roma)
6.
Tempo (ieri)
7.
Situazione (in piedi)
8.
Avere (ha il cappello)
9.
Agire (parla)
10. Subire (viene investito)
La logica come propedeutica alla filosofia
La sostanza è la categoria principale, le altre 9 categorie si definiscono
in relazione alla sostanza e ne costituiscono gli accidenti. La
sostanza funge sempre da soggetto nei giudizi, le altre 9 categorie
sono invece i predicati, cioè quanto si dice a proposito della
sostanza.
«Non perché noi ti pensiamo bianco tu sei veramente bianco – scrive
nella Metafisica – ma per il fatto che tu sei bianco, noi, che
affermiamo questo, siamo nel vero»
La logica di Aristotele comprende anche la teoria del sillogismo:
l’argomentare sillogistico è un ragionamento nel quale da alcune
premesse si fa seguire una conclusione necessaria. La validità
formale del sillogismo non dipende dalla verità o falsità delle
premesse, ma dal rispetto dei nessi logici nel passaggio tra un
giudizio e l’altro. Il sillogismo per Aristotele è la modalità specifica
delle argomentazioni deduttive in cui si muove dai principi
universali per discendere ai fenomeni particolari.
Annotazioni conclusive su Aristotele
Il nucleo portante della concezione della verità in Aristotele consiste nel fatto
che sia il soggetto sia il predicato rimandano ad una realtà esterna
all’intelletto e che funge da misura nelle operazioni con cui l’intelletto
conosce e giudica la cosa. L’enunciato non ha la giustificazione della
propria verità in se stesso, ma in qualcosa che è al di là di esso e che
esiste effettivamente nelle cose, le quali sono causa della sua verità. Che
la realtà effettiva sia causa della verità dell’enunciato è affermato da
Aristotele, inequivocabilmente. Un enunciato in cui il soggetto e il
predicato designano cose reali non è vero per il semplice fatto che è
corretto in se stesso quanto alla forma: ciò potrebbe valere per gli
enunciati matematici: ma è piuttosto ciò che è reale e non solo ciò che è
pensato a far diventare un enunciato vero oppure falso.
C’è per Aristotele tra intelletto e verità una specie di connaturalità, sulla quale
S. Tommaso calibrerà la nozione di verum poiché lo distingue
concettualmente dagli altri trascendentali per il suo rapporto con
l’intelletto, come distinguerà il bonum per il suo rapporto alla volontà.
L’intelletto si porta mediante un movimento spontaneo verso la natura
della cosa e questo suo movimento, essendo naturale, è sempre retto
(òrthos logos).
Annotazioni conclusive su Aristotele
Che cosa si intende per “natura” o essenza di una cosa?
Si intende ciò che appartiene in senso proprio a ciascuna cosa, l’insieme delle
attribuzioni possedute da un soggetto che accompagnano il soggetto per
tutto il tempo in cui esso rimane ciò che è.
È ciò che della cosa permane immutabile nel tempo. Esempio: si può
legittimamente parlare di natura umana o dell’essere uomo in quanto
anche se un determinato soggetto si corrompe, la sua natura si perpetua
sempre identica in altri appartenenti alla medesima. Detto più
semplicemente: muore un uomo (particolare) non muore l’uomo come
essere umano.
Avendo inserito le idee nelle cose, Aristotele è costretto a considerare
l’intelletto non più solo alla maniera platonica, cioè passivo di fronte agli
intellegibili, che sono i suoi propri oggetti. Affinché la verità gli si manifesti
dietro quel velo che la occulta ai sensi, l’intelletto deve essere anche attivo
(intelletto agente), deve eliminare tutto ciò che è soggetto a quel flusso
perenne, di cui parlava Eraclito, spogliando l’oggetto di quelle incrostazioni
temporali, accidentali e particolari, per intus-legere (vedere dentro) il
sostrato della realtà stessa, dove risiede non soltanto il fondamento
ontologico della realtà naturale, ma anche il fondamento logico di ogni
epistème. L’intelletto agente, attraverso la sua attività astrattiva, porta alla
luce il ciò che è (essenza) delle cose allo stato di intelligibilità
(comprensione-conoscenza). L’intelletto di Aristotele è attivo in quanto
agisce sulle rappresentazioni sensibili delle cose, fornitegli dai sensi, per
adeguarle alla propria natura intellegibile.
Annotazioni conclusive su Aristotele
Aristotele eredita la nozione di epistème come conoscenza certa, stabile e
universale, inaugurando però una sorta di empirismo metafisico che
consiste nel partire dai dati sensibili, scorgendo in essi l’essenza e
l’esistenza delle cose (cioè realtà intelligibili) → dialettica
fondazionale
•
Secondo Aristotele (che rifiuta la dottrina platonica delle idee e della
preesistenza delle anime), conoscere non significa “ricordare” ma
primariamente sperimentare e astrarre. Nella conoscenza umana egli
distingue 3 operazioni fondamentali:
1. La semplice apprensione (con cui cogliamo la natura delle cose ed
elaboriamo i concetti)
2. Il giudizio (che pone in relazione i concetti tra loro)
3. Il raziocinio (con cui procediamo da giudizi già formulati ad altri da
formulare)
•
Per condurre qualsiasi indagine sulla realtà e sulle sue cause Aristotele
ritiene necessario fissare dei criteri per stabilire la correttezza dei
ragionamenti (òrthos logos). Per questo lo studio della logica (che
Aristotele chiama analitica) ovvero la questione del metodo della
conoscenza è propedeutico alla comprensione dell’intera filosofia
aristotelica.
•
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