Bambini, processi di persuasione e modelli educativi

BAMBINI, PROCESSI DI PERSUASIONE E
MODELLI EDUCATIVI
06 Maggio 2006
A cura di Alessandro Amadori
COESIS RESEARCH Srl - Via Milano, 150 - Cologno Monzese - 20093 (MI) - Tel.: 02/25409971 - FAX: 02/25409921 - P.IVA 03906890961
L’AFFOLLAMENTO PUBBLICITARIO
 Secondo molti osservatori, la pubblicità televisiva, con i connessi
processi di persuasione e di induzione al consumo, fa male ai
bambini: si impossessa dei loro desideri, automatizza le loro
fantasie, li spinge appunto a comportamenti di consumo eccessivi e
forzati (causando così la formazione della “shopping generation”).
 Si può essere o meno d’accordo con questa teoria. Un fatto però è
certo: i bambini sono sovra-esposti a messaggi pubblicitari. Una
ricerca divulgata nel 2005 dalla Società Italiana di Pediatria lo
dimostra. Vedere quantificato il tempo di esposizione dei bambini
alle “radiazioni di mercato” fa una certa impressione. Prendiamo in
considerazione qualche concreta cifra.
 Se per esempio un bambino guardasse per due ore al giorno Italia 1
nella fascia oraria compresa fra le 15.00 e le 18.00, durante la quale
è trasmessa una programmazione specificamente destinata
all’infanzia, quel bambino rischierebbe di vedere in un anno
addirittura 31.500 spot pubblicitari.
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L’AFFOLLAMENTO PUBBLICITARIO
 Il caso di Italia 1 è emblematico, perché questa emittente,
tra le grandi reti commerciali nazionali, è quella che prevede
programmi pomeridiani espressamente dedicati ai bambini e
risulta la più vista da questo target di utenti. Interessante
può essere anche esaminare comparativamente il caso di
Rai3, una rete molto attenta ai ragazzi.
 Nella settimana del 12 Luglio 2004, Italia 1 ha trasmesso
647 tra spot e trailer di altri programmi TV contro i 53 di
Rai3, e nella settimana del 13 Dicembre 2004 spot e trailer
di Italia 1 sono stati 672 contro i 44 di Rai3 (cioè dalle 12
alle 15 volte di più).
 Sebbene lo studio sia stato limitato nel tempo, è verosimile
ritenere che la pressione pubblicitaria sia costante nell’anno
e che quindi quella indicata sia la “dose” di pubblicità
settimanale che un bambino o un adolescente assume se
passa due ore al giorno davanti a determinati canali televisivi.
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L’AFFOLLAMENTO PUBBLICITARIO
 La situazione è analoga se si ragiona non per numero di spot
ma per tempi complessivi: su 15 ore di programmazione di
Italia 1, quattro sono di pubblicità; la durata media del
singolo spot è attorno ai 20 secondi e generalmente sono
trasmessi blocchi pubblicitari da 10 spot ciascuno. Queste
semplici
misure
danno
contezza
dell’effettivo
“bombardamento pubblicitario” a cui sono sottoposti i
bambini. Quali sono le conseguenze?
 Secondo i pediatri italiani, l’affollamento pubblicitario
genera cattive abitudini alimentari. In un periodo di 4
settimane, Italia 1 ha trasmesso circa 500 spot di cibo, il che
significa, facendo la solita simulazione, che considerate due
ore al giorno di visione TV per un anno si arriva al numero di
5500 pubblicità di snack dolci e salati, bibite, biscotti e
gelati.
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L’AFFOLLAMENTO PUBBLICITARIO
 Il Professor Giuseppe Saggese, presidente della Società
Italiana di Pediatria, ritiene che oggi vi siano dati certi sul
rapporto fra consumo televisivo e sovrappeso. Per autorevoli
studi americani ogni ora giornaliera davanti alla TV fa
aumentare del 7% circa il rischio di obesità in un bambino,
così come avere la TV in camera da letto lo fa aumentare
addirittura del 30%.
 Si sa anche che un’alimentazione eccessiva è la causa
principale di sovrappeso e obesità infantile: il mangiare
disordinato e costante nell’arco della giornata avviene spesso
davanti alla TV. Non è difficile collegare le cose e
comprendere che vedere centinaia di spot è un forte
incentivo verso un consumo non necessario di alimenti.
 L’esposizione intensiva ai media e alla pubblicità si riflette
anche sul condizionamento dei desideri e sulle esigenze di
omologazione con i coetanei.
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L’AFFOLLAMENTO PUBBLICITARIO
 Al primo posto nella graduatoria mondiale del consumo televisivo ci sono i
bambini americani, che dedicano più tempo alla TV che a qualsiasi altra
occupazione (escludendo, per fortuna, il sonno). Mediamente, negli Stati
Uniti, i bimbi tra i 2 e i 5 anni passano davanti al televisore 25 ore alla
settimana, come dire 54 giorni all’anno. E’ stato calcolato che, alla fine delle
scuole superiori, ogni americano ha frequentato la scuola per 11.000 ore,
mentre le ore che ha dedicato alla televisione sono almeno 15.000.
 L’eccesso di televisione può dunque certamente favorire l’obesità infantile.
Spesso la TV ruba tempo all’attività fisica e ciò, unito al fatto che i bimbi,
seduti davanti allo schermo, amano sgranocchiare patatine, caramelle e
stuzzichini, può sbilanciare l’equilibrio calorico giornaliero.
 Secondo ricerche americane, per gli adolescenti il rischio di diventare obesi
aumenta in media del 2% per ogni ora trascorsa giornalmente davanti al
video.
 In altre parole, un ragazzino che guarda la televisione per 3 ore al giorno, ha
il 6% di probabilità in più di diventare obeso, rispetto ad un suo coetaneo
che non guardi la televisione.
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L’AFFOLLAMENTO PUBBLICITARIO
 Oltre allo specifico problema del sovrappeso e del rischio di
obesità, bisogna considerare che una quota rilevante dell’influenza
che la televisione esercita sullo sviluppo psicosociale dei bambini
dipende proprio dall’esposizione pubblicitaria.
 I giovani e i bambini sono tra i “bersagli” principali di quella
televisiva. Anzi, fin verso i sette anni gli spot televisivi sono uno
spettacolo molto gradito dai bambini, perché essi si adattano
benissimo alla loro mente.
 Uno spot è sempre molto BREVE, presenta una SITUAZIONE
PIACEVOLE e interessante (a volte una vera e propria miniavventura), la quale spesso coinvolge “BAMBINI ATTORI” (con i
quali i piccoli spettatori tendono ad identificarsi).
 Educatori e psicologi stanno sempre di più esprimendo le proprie
perplessità, sostenendo che una continua esposizione alla pubblicità
crea insoddisfazione nei bambini e li induce a ritenere che la felicità
stia tutta nel consumare.
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L’AFFOLLAMENTO PUBBLICITARIO
 Uno semplice modello di funzionamento della persuasione
pubblicitaria è quello, a 4 fasi, denominato AIDA. Esso ci spiega il
processo generale attraverso cui uno stimolo commerciale diventa
un effettivo comportamento di acquisto e consumo:
ATTENZIONE
INTERESSE
DESIDERIO
Emozioni
AZIONE
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L’AFFOLLAMENTO PUBBLICITARIO
 La pubblicità televisiva raggiunge già i bambini di un anno e mezzo o due anni.
I messaggi pubblicitari vengono inseriti nelle storie destinate ai più piccini e
sono veicolati dai personaggi stessi.
 Osservando i character tridimensionali (personaggi) televisivi, il piccolo vive
sensazioni piacevoli e confortanti; così, quando riconosce lo stesso character
nella forma di un oggetto-pupazzo nella vetrina di un negozio, desidera
possederlo.
 Molto spesso il pupazzo-giocattolo ha un logo, lo stesso che appare sullo
schermo, così che il piccolo, inconsapevolmente, associando questo logo al
giocattolo che lo attrae, inizia un legame di “fedeltà” nei confronti della
marca.
 I dati riguardanti l’Italia sono allineati a quelli dei maggiori paesi
“consumisti”. Secondo un’indagine europea condotta da Eurodata TV, gli
italiani sono i terzi “consumatori” di televisione in Europa, preceduti sono da
Gran Bretagna e Spagna. I dati Auditel ci dicono che in media, i bambini e
ragazzini di 4-14 anni passano ogni giorno circa due ore e mezza davanti al
televisore (ma il 19% dei bambini supera la media nazionale e guarda la TV
per circa 5-6 ore al giorno, mentre il 4% arriva addirittura a 7 ore).
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IL NAG FACTOR
 Per nag factor si intende il “tormento” (richieste insistenti,
capricci, paragoni con gli altri bambini, e così via) che un bambino
ben condizionato dalla pubblicità dà ai suoi genitori e parenti
affinché acquistino per lui un determinato prodotto, gli consentano
di vestire e comportarsi in un certo modo, di mangiare determinati
alimenti, compresi i cosiddetti cibi spazzatura che possono rendere
obesi e danneggiano l'organismo.
 Una campagna pubblicitaria ben costruita può per certi versi
mettere in crisi il rapporto genitore-bambino: il piccolo a cui si dice
che una serie di prodotti sono “per lui”, considera “cattivo” l'adulto
che non soddisfa le sue “legittime” richieste. Se il messaggio che
proviene dai media contrasta apertamente con la volontà dei
genitori, questi dovranno fare un lavoro supplementare per
convincere i figli a seguire la loro linea educativa; in caso contrario
ad avere la meglio saranno i messaggi pubblicitari, nuovi educatori di
molti bambini contemporanei (Oliverio Ferraris).
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IL NAG FACTOR
 Chi ha come target i bambini - dai 2 anni in su e a volte anche di età
inferiore - si preoccupa di “fidelizzarli” al prodotto, alla marca (brand) il più
presto possibile e per ottenere questo mette a punto strategie volte a
incanalare le loro emozioni: per esempio, l'attaccamento che i bambini di età
prescolare sviluppano nei confronti degli oggetti con cui vengono in contatto,
le persone e i personaggi (compresi quelli che compaiono sugli schermi) che
incontrano quotidianamente.
 L'obiettivo è infatti triplice: renderli insistenti nella richiesta di
determinati prodotti indirizzati a loro (nag factor); ottenere che con le loro
richieste influenzino gli acquisti degli adulti (non solo cibi e giocattoli ma
anche prodotti per la casa, auto, telefonini ecc.); fidelizzarli, appunto, ad
una marca, una confezione, uno slogan che acquisisce, per il piccolo
consumatore, una risonanza emotiva che, nelle intenzioni dei pubblicitari,
dovrebbe accompagnarlo anche negli anni successivi, così da renderlo
dipendente da quel determinato prodotto per molti anni ancora.
 L'immagine del prodotto, di per sé, dovrebbe evocare sensazioni gradevoli,
protezione, affetto, sicurezza oppure avventura, curiosità, autonomia. A
volte la frustrazione di non possedere un determinato prodotto può creare
una vera e propria ferita narcisistica se altri bambini o ragazzi sono invece
in possesso dello status symbol del momento, (Oliverio Ferraris).
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IL NAG FACTOR
 Se da una parte è indiscutibile l'abilità dei cosiddetti "manipolatori" di
professione nell'andare incontro a quelle che sono le necessità evolutive del
piccolo (in termini di età) pubblico, d'altro canto è anche vero che il
successo delle varie strategie adottate è facilitato dalla crisi che la famiglia
di oggi attraversa soprattutto a livello di funzioni genitoriali. La fragilità di
quest'ultime trova espressione nella delega: i genitori demandano all'esterno
compiti e funzioni.
 Così, nella prima infanzia è dall'esterno, dai media, che vengono forniti i
cosiddetti "oggetti transizionali", ossia quegli oggetti che facilitano al
bambino il passaggio dalla relazione esclusiva con la madre alle relazioni con
gli altri e che per tanto tempo conservano il loro valore affettivo. Sempre
dai media provengono i modelli di identificazione ed è dura per i genitori
competere con gli ideali di perfezione che quotidianamente i media
propongono ed enfatizzano.
 I bambini di oggi sono poco contenuti dai propri genitori e il "bambino
tiranno" è l'evidente risultato di questo scarso contenimento. La delega
genitoriale favorisce inoltre il conformismo e l'indifferenziazione, perché
scarsa attenzione viene prestata alle caratteristiche e alle differenze
individuali, nel nome di un adeguamento ai dettami di massa.
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IL NAG FACTOR
 C'è anche uno scarso sentire rispetto alla sfera emotiva di
ogni singolo bambino e forse l'aumento di problematiche
legate alla sfera dell'oralità, come l'obesità, sta ad indicare
anche
un'incapacità
di
distinguere
e
rispondere
adeguatamente alle differenti sensazioni ed emozioni
provate dai piccoli. L'ingestione dei cibi, soprattutto di quelli
proposti in maniera accattivante, arriva quindi a costituire un
sistema di autoregolazione che viene attivato anche laddove
bisogni di fame o sete non siano realmente presenti.
 In sintesi, mi pare che sarebbe utile aiutare i genitori a
riappropriarsi delle loro funzioni contenitive, sia in termini
affettivi che disciplinari. Un interscambio più equilibrato tra
famiglia e mondo esterno faciliterebbe a mio avviso un
percorso di crescita maggiormente rispettoso delle
differenze individuali e aiuterebbe i bambini ad acquisire un
personale senso critico (Oliverio Ferraris).
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COME DIFENDERSI
 Appurato che il problema esiste (i bambini guardano molta pubblicità TV, la
pubblicità induce al consumo eccessivo di prodotti alimentari non necessari,
questo consumo provoca rischi di obesità, parallelamente i desideri e
comportamenti tendono ad omologarsi), e una volta misurato sia pure
sommariamente il fenomeno, la domanda diventa: cosa possiamo fare, da
subito, per difenderci?
 Ecco qualche suggerimento pratico:
 bisogna portare i bambini a passare meno ore al giorno davanti alla
televisione, incentivando comportamenti alternativi, dallo sport al
gioco, dalla frequentazione di amici alla lettura;
 occorre assolutamente evitare che il bambino abbia la sua televisione in
camera da letto: questa condizione infatti si correla fortemente con il
rischio di obesità;
 reti diverse hanno indici di affollamento pubblicitario differente: è
opportuno orientarsi verso reti meno affollate (e magari, se proprio è
inevitabile che i figli guardino la televisione, optare per canali dedicati
satellitari o digitali terrestri a basso affollamento pubblicitario).
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CONCLUDENDO
 Gli esperti suggeriscono che un bambino dedichi al massimo due ore
al giorno tra TV, videogiochi e PC (ossia alla fruizione del cosiddetto
SIC, Sistema Integrato delle Comunicazioni). La soluzione in ogni
caso non sta nel cronometro, bensì nell’indurre come detto il
bambino e l’adolescente ad avere abitudini di vita più sane:
alimentazione corretta, attività fisica, opportunità di svago legate
all’età.
 Dopo aver all’inizio messo la televisione sul banco degli imputati, è
anche giusto in conclusione spendere una parola di almeno parziale
difesa in suo favore. Se i bambini guardano molta, troppa TV, è
anche perché i genitori dedicano poco tempo ai propri figli. Per
esempio in media i padri italiani giocano per appena 15 minuti al
giorno con i figli. La televisione è di fatto una baby sitter
elettronica, e questo fa anche comodo, solletica la nostra pigrizia.
In altre parole la televisione rischia di diventare il capro espiatorio
di un più ridotto e povero rapporto ludico e comunicativo nell’ambito
familiare tra genitori e figli.
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CONCLUDENDO
 Insomma, se vogliamo difenderci dalla televisione dobbiamo
recuperare una più intensa relazione comunicativa con i
nostri figli. Parlando di più con loro, giocando più
frequentemente, costruendogli un palinsesto fatto più di
videocassette e DVD scelti assieme che di reti televisive di
parcheggio, magari regalandogli un animale (un ottimo
antidoto al tempo dedicato passivamente alla fruizione
televisiva).
 In un certo senso, la troppa TV guardata dai bambini è lo
specchio di un problema che sta più nei genitori che nei figli.
Possiamo perciò così chiudere citando Jung:
“Se c’è qualcosa che desideriamo cambiare nel bambino,
dovremmo prima esaminarlo bene e vedere se non è qualcosa
che faremmo meglio a cambiare in noi stessi.”
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