Biol. Mar. Mediterr. (2012), 19 (1): 2-5 R. Casotti Stazione Zoologica A. Dohrn, Villa Comunale - 80121 Napoli, Italia. [email protected] L’ECOLOGIA MICROBICA: DAI GENOMI AI BIOMI E LE INTERAZIONI TRA GLI ORGANISMI MEDIATE DAI METABOLITI SECONDARI MICROBIAL ECOLOGY: FROM GENOMES TO BIOMES AND THE BIOTIC INTERACTIONS MEDIATED BY SECONDARY METABOLITES Abstract - Plankton marine microbes are as abundant as stars in the universe, being present at billions of cells per litre. Their unique and diversified metabolisms, deriving from their extraordinary genetic diversity, allow them to carry out key steps of the biogeochemical cycles of major elements. The new “omics” approaches have provided new ground for discoveries of new organisms and new functions. Among the latter, biotic interactions mediated by secondary metabolites are key to understand ecosystems biodiversity and functioning. Marine diatoms produce a plethora of secondary metabolites with multiple roles, as allelochemicals, infochemicals, deterrents, antipredatory and signalling. Among these, polyunsaturated aldehydes have been thoroughly studied for their antipredatory effect on grazers. They also have a putative role in intrapopulation fate determination at the final stages of blooms and are suggested to determine bacterial community composition. The capacity of producing and dealing with such compounds is one of the possible key to explain the ecological success of this group of microalgae. Key-words: microbial ecology, biotic interactions, polyunsaturated aldehydes, allelopathy, infochemical. Numericamente, i microbi (virus, funghi, Archaea, batteri, eukarya unicellulari) sono gli organismi più abbondanti sulla terra, sia per numero che per biomassa, eppure molto resta ancora da scoprire sulla loro dinamica di popolazione, la complessità metabolica e le interazioni tra di loro e con i livelli trofici superiori. In ogni momento, miliardi di geni appartenenti a microbi marini sono responsabili di processi ecologici fondamentali in tutto il mondo, eppure né la loro identità né i fattori che regolano questi processi sono pienamente conosciuti. Lo studio dei microbi marini ha visto una fase di grande sviluppo in coincidenza con l’applicazione di nuove tecniche di analisi, quali la microscopia ad epifluorescenza, la citometria a flusso e la biologia molecolare. Una nuova fase di sviluppo ha coinciso con la possibilità, tecnica ed economica, di sequenziare interi genomi di microbi marini, tra questi, batteri e fitoplancton. Sulla scia di grandi progetti di sequenziamento quali il Progetto Genoma Umano, il sequenziamento di microbi marini genera oggi sequenze in maniera indipendente, e più di 180 microbi marini coltivati sono stati sequenziati ad oggi, inclusi batteri e fitoplancton. Dal sequenziamento dei genomi interi si sono ottenute molte informazioni sulle potenzialità di questi organismi in termini di filogenesi e di attività metaboliche ed anche di possibili applicazioni biotecnologiche. Inoltre, i genomi sequenziati servono da riferimento per i successivi studi di metagenomica, nei quali il DNA ambientale di intere comunità miste viene sequenziato per ricostruirne la composizione e la potenziale attività. Questi approcci metagenomici allo studio della biodiversità microbica hanno iniziato una vera e propria fase di Rinascimento dell’ecologia microbica, concentrata oggi sullo sforzo di comprendere il potenziale genetico degli organismi unicellulari non coltivabili. I primi studi hanno inoltre evidenziato come meno dello 0.01% delle sequenze presenti in situ siano rappresentate nelle collezioni di culture. Ciò ha portato ad una sempre maggiore coscienza della necessità di sviluppare tecniche di analisi dirette, che prescindano dalla coltivazione, al fine di ottenere una rappresentazione realistica dei processi effettivamente presenti in natura. L’ecologia microbica: dai genomi ai biomi e le interazioni tra gli organismi mediate dai metaboliti secondari 3 La metagenomica rappresenta la base per ottenere una fotografia della composizione di una comunità in un dato luogo e tempo e di tutte le possibili attività realizzabili da questa comunità. Il passo successivo consiste nel restringere il campo di azione da tutte le possibili attività di un organismo (metagenomica), a quelle che sono realmente in corso in un dato momento e sito, e cioè l’insieme dei pattern di espressione genica (metatrascrittomica). Questo permette di contestualizzare i dati ottenuti alle condizioni ecologiche presenti e, infine, di identificare le cause che modulano questa espressione. In questa maniera si potrà procedere alla comprensione dei fattori che legano un genoma ed il suo funzionamento ai cicli biogeochimici che regolano la vita del nostro pianeta. I nuovi approcci, che usano anche tecniche innovative quali citometria a flusso e Next Generation Sequencing, si orientano su diversi campi di applicazione, come il ciclo del Carbonio, la produzione di nuovi metaboliti con potenzialità biotecnologiche e nuovi processi metabolici finora sconosciuti. Grande interesse suscita anche lo studio delle interazioni biotiche ed i fattori che le determinano e regolano, per il riconoscimento del ruolo che queste hanno nei flussi dei nutrienti in ambiente marino. Tra i fattori che governano le interazioni tra organismi marini, particolare attenzione riceve il ruolo dei metaboliti secondari nel plancton, campo di studio dell’ecologia chimica, che studia i composti chimici coinvolti nelle interazioni tra organismi, e si concentra sulla produzione e la risposta a molecole di segnale (infochemicals), a tossine, e altri composti organici. In ambito marino le prime indagini di ecologia chimica si sono concentrate su invertebrati bentonici che producono sostanze a forte attività biologica come deterrenti e difesa contro i predatori (Pawlik, 2012, per una review). Simili esempi nel plancton sono più rari ma recentemente diverse linee di ricerca ne hanno identificati alcuni. Questa presentazione si concentra su alcuni composti prodotti dalle diatomee che mediano le loro interazioni intra-popolazioni, quelle con altri organismi fitoplanctonici, e con i batteri. Negli anni ’90 diversi studi hanno dimostrato che le diatomee hanno un effetto negativo sulla riproduzione dei loro principali predatori, i Copepodi, inducendo difetti e malformazioni nei naupli (Miralto et al., 1999; Ianora et al., 2004). I responsabili di questo effetto teratogeno sono stati identificati come appartenenti alla classe delle ossilipine, e tra loro le più studiate sono le aldeidi poliinsature (polyunsaturated aldehydes, PUA). A partire dalla scoperta di questi composti nelle diatomee e del loro effetto sui predatori, questi sono stati testati su diversi modelli, animali e vegetali, dimostrando un effetto antiproliferativo (review in Ianora et al., 2012). Sul fitoplancton, incluso le diatomee, le PUA bloccano la crescita interferendo con il ciclo cellulare, e sono in grado di indurre morte cellulare con meccanismi che somigliano alla morte cellulare programmata (apoptosi) delle cellule umane (Casotti et al., 2005). A basse concentrazioni, le PUA agiscono come molecole portatrici di informazione, mediando la comunicazione tra le cellule e determinando il loro destino nelle fasi finali di una fioritura. Questo ruolo viene esercitato attraverso la mobilizzazione del Calcio intracellulare e diverse molecole reattive dell’Ossigeno o dell’Azoto. I primi studi su Phaeodactylum tricornutum hanno mostrato che l’Ossido Nitrico viene prodotto in risposta all’esposizione alle PUAs (Vardi et al., 2006). La diatomea Skeletonema marinoi, invece, una specie che forma intensi e ricorrenti fioriture in Nord Adriatico e produce elevate concentrazioni di PUA, risponde allo stress indotto dalle PUA con un’aumentata produzione di ROS (Reactive Oxygen Species) (A. Gallina e R. Casotti, com. pers.). Queste diverse risposte fisiologiche sono probabilmente alla base del diverso ruolo e successo ecologico di queste due specie. Le PUA hanno un effetto negativo anche sui batteri marini. Sono state testate 32 4 R. Casotti colture di batteri marini che hanno mostrato tre tipi di risposta: nessun effetto, lieve riduzione della crescita, aumento della crescita (Ribalet et al., 2008). Quest’ultimo effetto dimostra che alcuni batteri sono in grado di utilizzare le PUAs come fonte di carbonio per il proprio metabolismo e pone diversi interrogativi sulle interazioni a mare, soprattutto quando le concentrazioni di diatomee sono al loro massimo e i batteri sono a stretto contatto con esse e con i loro prodotti di escrezione e degradazione. Nonostante i batteri mostrino in generale un’elevata resistenza alle PUA, l’effetto di queste molecole si esercita rallentando il metabolismo batterico in maniera differenziale, a seconda dei gruppi coinvolti. Questo è stato dimostrato utilizzando metodi diretti di analisi delle comunità batteriche accoppiando la Fluorescence In Situ Hybridization e la Microautoradiografia con Leucina triziata. Questo metodo ha permesso di evidenziare come le PUAs abbiano un effetto sul metabolismo batterico, diverso a seconda del gruppo tassonomico. Inoltre queste conferiscono ai batteri resistenti un vantaggio nell’utilizzo delle risorse pur senza eliminare completamente i diretti competitori (Balestra et al., 2011). In considerazione del fatto che durante una fioritura c’è una forte produzione di materia organica che viene utilizzata dai batteri, le PUA possono dunque esercitare un ruolo fondamentale nel determinare la composizione della comunità batterica associata ed il suo funzionamento. In mare le PUA sono rilasciate tramite meccanismi indipendenti dalla predazione. Nonostante non siano ancora conosciuti i tempi di residenza ed i fattori che contribuiscono al loro decadimento, concentrazioni ecologicamente significative di PUA sono state misurate a mare in zone interessate da blooms di diatomee (Vidoudez et al., 2011). La presenza di PUA a mare supporta le evidenze di laboratorio e stimola gli studi in situ per determinare il ruolo effettivo esercitato sulle varie componenti della rete trofica e anche i fattori che ne determinano l’osservata variabilità. Infatti, l’effetto delle fioriture di diatomee sui loro predatori è molto variabile di anno in anno e sembra essere indipendente dalle massime concentrazioni raggiunte. Questo suggerisce un’elevata diversità all’interno di una singola popolazione per quanto riguarda la produzione di PUA, come evidenziato anche da dati sperimentali non pubblicati. I fattori che determinano la comparsa e la dominanza relativa di cloni ad alta capacità produttiva di PUA sono ancora sconosciuti, ma sono sicuramente quelli che determinano l’effetto delle diatomee sui predatori durante le fioriture e quindi il passaggio di materia attraverso la rete trofica fino ai livelli superiori. In conclusione, i metaboliti secondari prodotti dalle diatomee esercitano diverse funzioni, da quella antipredatoria a quella allelopatica e sottostanno a diversi processi, dalla comunicazione tra cellule alla determinazione della composizione delle comunità batteriche. Questi diversi ruoli contribuiscono alla biodiversità ed al funzionamento dell’ecosistema pelagico ed al successo ecologico di questo gruppo algale. Ringraziamenti: Si ringrazia il Dr. Vincenzo Saggiomo per i suoi commenti su questo manoscritto. Bibliografia BALESTRA C., ALONSO-SAEZ L., GASOL J.M., CASOTTI R. (2011) - Group-specific effects on coastal bacterioplankton of polyunsaturated aldehydes produced by diatoms. Aquat. Microb. Ecol., 63: 123-131. CASOTTI R., MAZZA S., BRUNET C., VANTREPOTTE V., IANORA A., MIRALTO A. (2005) Growth autoinhibition and genotoxicity of the diatom aldehyde 2-trans-4-trans decadienal on Thalassiosira weissflogii (Bacillariophyceae). J. Phycol., 41: 7-20. 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