Non si muore più - Premio letterario Santa Margherita

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No se mòre più.
“Vien qua, bevi un’ombra coi fìoi. Ti gà presente quei sìori dei dipinti antichi, co’
le rughe, i pochi cavéi e le barbe canute, bianche de sagéza? Ben, quei vèci i
gàveva sì e no trent'ani. L’imperator Zuliàn “Apostata”, el gà vissuo apena
vintisette ani, nei nostri tempi co “la prostata” ne vivemo zènto. Varda la foto in
bianco e nero del vècio nonno (pardon, anziano). El gèra sessantenne. Noialtri
no. Ne dimostremo sempre quaranta, perché l’immortalità gà tre età: sbarbà,
maturo e “te vedo ben, ti fa paestra?”. I paga medici dentisti, massaggiatori,
fitness, solarium e via cussì, perché xè la vita che ne vol sani e reattivi!
Insomma, vècio mio, per cause naturali no se mòre più.
Questa notte ho sognato che ero morto. A Venezia coi funerali ci sappiamo fare:
la gente partecipa numerosa se il buffet è ricco. Il gran finale l’avevano ben
pensato, più che un addio pareva la vernice della Biennale, una vera cerimonia
con un catering speciale. In omaggio ai miei viaggi di gioventù, il Ministro della
Cultura Norvegese, sponsor dell’evento, si prodigava a reperire i migliori
stoccafissi che uno chef stellato trasformava in simpatici stuzzichini finger food.
Con il baccalà mantecato, adagiato sul crostino di polenta bianca, gli invitati
potevano sorseggiare un flute di Prosecco. Venivano servite piccole porzioni di
baccalà alla vicentina, sopra posatine in finto legno: l’abbinamento allo
Chardonnay del Veneto era discutibile, ma tant’è. A scottadito ecco il baccalà
fritto con un giovane Bardolino. Nel complesso un po’ monotono, ma niente
male. Quando arrivano i dessert mi distraggo: una giovane donna è venuta a
posare la mano sulla bara. Una sola mano, perché con l’altra regge un calice.
Tristemente dice che sono sempre i migliori ad andarsene: “era così giovanile!”
Mi viene da toccarmi, ma non posso, sono morto. Un ragazzo cinquantenne
annuisce alzando le sopracciglia: “eravamo tanto amici…” Ma chi t’ha mai visto?
Il brizzolato accenna un sorriso e continua: “stessa passione per i Led
Zeppelin… sapessi che casini facevamo assieme!” Ma questo è tutto scemo?
Tende la mano: “non ci siamo presentati, ciao io sono Antonio, mi chiamano tutti
Tony… strano non esserci già conosciuti.” Il cretino viene a cuccare al mio
funerale, ma sono cose dell’altro mondo, appunto. “Sei molto carina, sai? Io
faccio il blogger: c’ho un paio di siti gourmet, culinary art, haute cuisine, food and
drink. Mi diverto, così… Certo che ai party non si sa mai dove appoggiare i calici
vuoti.” Ma porca miseria, mi appoggia il bicchiere sulla bara! “Vieni cara,
cominciano a suonare…” Però, gli amici hanno pensato proprio a tutto. Per il
defunto, anche la musica dal vivo! Spiritosi, loro sanno che l’ho sempre
desiderato così: niente facce tristi, una bella festa e via. Da qui dentro l’audio è
pessimo, è colpa del basso elettrico che rimbomba sulle pareti di faggio del
cofano funebre. Purtroppo riconosco lo stile cover band dei rincoglioniti. A me
dedicano gli evergreen dei Beatles? Ma roba da matti. E si mettono a ballare:
prima in due, poi quattro, cinque, dieci. Tutti che ballano. Ragazzi, occhio alla
bara che succede un casino! E loro ballano. Mi scappa da ridere, ma sono morto.
Si agitano, ballano, scherzano come sbarbati, si avvicinano pericolosamente.
State attenti, cazzo! Eccolo là, il cretino di prima che insiste con la bionda. Alla
sua età basta un passo falso. S’inciampa… è fatta: “hei ragazzi, si è rovesciata la
bara del morto!”
Mi sveglio di soprassalto madido di sudore. C’è mia figlia sulla porta della
camera da letto, mi guarda. “Papà, la mamma è uscita. È andata in palestra, dice
di ricordarti che bisogna pagare il dentista. Ti è arrivato un messaggino sul
telefono, credo sia del tuo amico che fa il blog di cucina. C’è scritto: se sei vivo
batti un colpo!”
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