I Informazione sanitaria, divulgazione scientifica, promozione della salute, prevenzione delle malattie tiroidee e da carenza iodica sono gli obiettivi che si prefigge l’ATTA, associazione onlus che da oltre quindici anni opera in Sicilia. Nel corso di questi anni è stata vicina ai Malati ed alle loro Famiglie ma anche al Cittadino - Utente che “vuole” sapere, conoscere; è infatti ben evidente che il sapere modifica i comportamenti e quindi facilita l’approccio preventivo e di diagnosi precoce. Le malattie tiroidee hanno un grande impatto sociale sia perché sono molto frequenti sia perché legate all’ambiente, alla carenza iodica; la conoscenza del problema ha già contribuito a modificare l’epidemiologia e l’entità del fenomeno. E’ comunque necessario un ulteriore sforzo promozionale; non bisogna “abbassare la guardia” proprio adesso che la diffusione del consumo di sale iodato ha già iniziato a modificare l’entità del fenomeno. In quest’ottica l’ATTA, continuando in una tradizione pluriennale, ha promosso la pubblicazione di questo opuscolo che raccoglie articoli scritti da Specialisti che quotidianamente lavorano in questo campo: rigore scientifico e semplicità di linguaggio sono alla base di tutti i contributi. Vogliamo ringraziare Tutti coloro che a titolo gratuito e con spirito di servizio hanno contribuito alla realizzazione dell’opuscolo. Marco Attard Responsabile Scientifico Elio Bonfanti Presidente L Le malattie della tiroide a centralità del sistema endocrino può essere riassunta in una sola espressione; gli ormoni sono i “registi della vita” e quindi i garanti del mantenimento della specie umana. Altri organi ed apparati (cuore, reni, polmoni..) sono indispensabili per la sopravvivenza del singolo ma l’integrità del sistema endocrino è indispensabile per il mantenimento e la perpetuazione del genere umano. Gli ormoni infatti regolano gli aspetti maturativi fisici e psichici, condizionano lo stimolo all’accoppiamento, regolano i tempi e le modalità della riproduzione, assicurano anche lo sviluppo neuro-psichico dei singoli e le normali performances intellettivo-motorie. Fra i vari protagonisti di questa molteplicità di azioni la tiroide riveste un ruolo centrale per la crescita somatica , lo sviluppo psico-intellettivo, la sfera cognitivo emozionale. E’ per questo che, come società scientifica endocrinologica, accogliamo con vivissimo interresse tutte le iniziative formative ed educazionali miranti ad una migliore conoscenza della funzione tiroidea e delle sue alterazioni. I percorsi di conoscenza aperti ai pazienti ma sopratutto ai “non pazienti” di qualsiasi età ed estrazione socio-culturale creano buona informazione. L’informazione a sua volta genera responsabilità da parte di tutti ad operare con funzione vicaria nell’ambito della prevenzione, tanto utile in tempi in cui gli aspetti di cassa hanno purtroppo la meglio sulle istanze valoriali che dovrebbero ispirare l’azione sanitaria di una società civile e solidale L’AME si pone come strumento di informazione e formazione non solo della classe sanitaria ed infermieristica ma privilegia sopratutto il cittadino “senza volto” del quale si fa carico con una vocazione specifica di supporto e tutela. E’ con questi sentimenti che auguro a nome mio personale e della società che ho l’onore di presiedere l’augurio di una proficua e serena attività a tutti voi. Piernicola Garofalo Presidente Nazionale Associazione Medici Endocrinologi La tiroide: cosa è, a che serve, come funziona, come si ammala… Notiziario ATTA Jimmy D'Azzò - U.O. di Endocrinologia - A.O. “V. Cervello” - Palermo LA TIROIDE: COSA E', A CHE SERVE, COME FUNZIONA, COME SI AMMALA… La tiroide è una ghiandola endocrina posta nella regione anteriore del collo, anteriormente alla trachea; essa ha dimensioni modeste seppure si collochi fra le più rilevanti dell'intero sistema endocrino considerato nella sua interezza morfo-funzionale (ghiandole come pancreas, ovaio, testicolo hanno carattere "misto", contengono cioè strutture tipicamente endocrine frammiste ad altre che endocrine non sono). Il concetto di ghiandola endocrina può essere espresso in modo relativamente semplice: una ghiandola è un organo formato da strutture cellulari capaci di "organizzarsi" secondo una particolare architettura e capace di produrre e liberare sostanze in grado di esercitare specifici effetti morfo-funzionali anche a distanza: queste sostanze, gli ormoni, vengono secrete nel sangue ed, attraverso esso, raggiungono il loro od i loro bersagli per esercitare l'azione ormonale. E' importante sottolineare che, nel nostro organismo, esistono numerosissime ghiandole ma non tutte sono dotate di funzione endocrina: è endocrina la ghiandola che libera il proprio prodotto di secrezione nel sangue mentre non lo è (si definisce esocrina) quella che libera il proprio prodotto in cavità che sono, in qualche modo, collegate con l'esterno (un tipico esempio di ghiandola esocrina è rappresentato dalla ghiandola salivare il cui prodotto, la saliva, viene liberato nella cavità orale oppure dalle ghiandole gastriche secernenti nello stomaco il succo gastrico). Gli ormoni prodotti dalla tiroide, che conosciamo familiarmente come T3 e T4, svolgono importanti funzioni di controllo e regolazione del metabolismo cellulare ed agiscono pressoché su tutte le cellule dell'organismo purché queste siano dotate di un sistema che ne consenta l'attività (i cosiddetti recettori per gli ormoni tiroidei). La produzione degli ormoni tiroidei è regolata da effetti stimolatori ed effetti inibitori con un meccanismo di bilanciamento che consente di mantenere, in condizioni normali, un adeguato livello asse ipotalamo - ipofisi - tiroide La tiroide: cosa è, a che serve, come funziona, come si ammala… Notiziario ATTA Jimmy D'Azzò - U.O. di Endocrinologia - A.O. “V. Cervello” - Palermo circolante di ormoni. L'effetto stimolante è esercitato dal TSH, un ormone prodotto dall'ipofisi che stimola la produzione e la secrezione di T3 e T4; questi ultimi, a loro volta, inibiscono la secrezione di TSH attivando così un meccanismo di autoregolazione. Tale sistema di feedback (letteralmente "controllo retrogrado") consente di attivare processi che tendono a far aumentare la sintesi e la secrezione degli ormoni tiroidei quando il loro livello ematico diminuisce ed, al contrario, di limitarne la produzione quando il loro livello nel sangue è elevato. Gli ormoni tiroidei (T3 e T4 di cui, nella pratica diagnostica quotidiana misuriamo la quota cosiddetta libera, che circola, cioè, nel sangue non "legata" a particolari proteine che hanno il compito di veicolare gli ormoni; queste "quote libere" sono universalmente definite come free T3 e free T4 o FT3 ed FT4 che sono esattamente gli ormoni che misuriamo nella pratica diagnostica) hanno la caratteristica di essere iodati: ognuno di essi, cioè, contiene atomi di Iodio (3 per ogni molecola di T3 e 4 per la T4); lo Iodio, dunque, è l'elemento fondamentale per un regolare funzionamento della tiroide considerando che, senza di esso, le sostanze prodotte dalla ghiandola perderebbero ogni efficacia; da ciò deriva lo sviluppo di numerose patologie secondarie alla carenza, ed, in taluni casi, all'eccesso di Iodio. Le malattie da carenza iodica si possono manifestare in ogni parte del mondo laddove vi siano condizioni che determinano un apporto giornaliero di Iodio significativamente inferiore a quello necessario per garantire un buon funzionamento della tiroide; fra esse la più diffusa è certamente l'ipertrofia della ghiandola (il suo aumento volumetrico genericamente definito "gozzo") che, in particolari condizioni, può assumere carattere nodulare e che, probabilmente, favorisce una maggiore incidenza di tumori (tiroidei) caratterizzati da una maggiore aggressività biologica. Altre patologie più frequenti nelle aree di carenza iodica sono l'ipotiroidismo congenito ed il cosiddetto cretinismo endemico; si calcola che, a tuttoggi, circa 200.000.000 di persone siano affette da malattie da carenza iodica anche se va sottolineato che l'incremento dei programmi di profilassi iodica correlati con l'aumento del consumo di sale iodato e, soprattutto, i fenomeni di globalizzazione che, anche nei posti più sperduti, tende ad uniformare i consumi (specialmente alimentari) favorisce, seppure lentamente, un aumento dell'apporto iodico con conseguente riduzione dell'entità dei fenomeni patologici. Ecografia: tiroide normale La tiroide: cosa è, a che serve, come funziona, come si ammala… Notiziario ATTA Jimmy D'Azzò - U.O. di Endocrinologia - A.O. “V. Cervello” - Palermo Gli ormoni tiroidei esercitano il proprio effetto pressoché su tutte le cellule dell'organismo, regolandone il metabolismo attraverso l'attivazione di processi biochimici endocellulari che, a loro volta, hanno conseguenze fisiologiche ed, in caso di eccesso o carenza ormonale, patologiche; è questo il motivo per cui la patologia funzionale tiroidea si esprime clinicamente con disturbi variegati e per lo più aspecifici che, nel loro insieme, caratterizzano l'iper o l'ipotiroidismo ma la presenza di uno o più di questi disturbi non significa necessariamente che la loro causa sia una malattia della tiroide. E' per questo che si fa un discreto abuso di dosaggi ormonali che cercano nella tiroide la causa di disturbi o sintomi che invece hanno altre determinanti (un tipico esempio è rappresentato dall'obesità, condizione per la quale si cerca nella "disfunzione tiroidea" la causa mentre, nella gran parte dei casi la tiroide è normalmente funzionante). La tiroide, come altri organi, può andare soggetta a processi infiammatori, alcuni abbastanza peculiari come la tiroidite subacuta, ed è frequentemente oggetto di patologia immunitaria, di "aggressione" delle sue strutture da parte di anticorpi, in genere prodotti dal proprio sistema immunitario (c.s. autoanticorpi) che caratterizzano la tireopatia autoimmune, una condizione di frequente riscontro che, tuttavia, non necessariamente si traduce in un danno funzionale e per la quale non vi è indicazione a trattamento terapeutico; in altri casi, invece, l'aggressione anticorpale può determinare danni per la struttura cellulare con conseguenze patologiche in senso funzionale. La patologia tiroidea più frequente è rappresentata dal gozzo nodulare caratterizzata da aumento volumetrico della ghiandola che diviene sede di uno o più noduli (aggregati di cellule tiroidee in qualche modo alterate rispetto alla cellule normali che possono evolvere in vario modo caratterizzando così noduli solidi, cistici, misti e di natura diversa, benigna o maligna). Il nodulo tiroideo è spesso causa di allarme per il soggetto che se ne scopre portatore, perché quasi sempre identificato come possibile tumore maligno ma, per fortuna, la maggior parte dei tumori definiti maligni della tiroide ha grandi possibilità di guarire sia per una relativa bassa aggressività di essi sia per la sempre più frequente precocità della diagnosi sia per la possibilità di strumenti terapeutici efficaci e risolutivi come lo Iodio radioattivo. In ultima analisi la tiroide è una ghiandola di piccole dimensioni (pesa fra i 25 ed i 30 g per un volume di circa 1825 ml in relazione alla costituzione del soggetto) ma di grande importanza poiché il suo malfunzionamento è causa di patologie che, se non curate adeguatamente, possono condizionare fortemente la qualità di vita del soggetto; la sua assenza in epoca fetale, per mancato sviluppo, è causa di gravi conseguenze irreversibili per inadeguato sviluppo del sistema nervoso centrale (da ciò la necessità assoluta non solo di non interrompere una terapia con ormoni tiroidei in gravidanza ma di aumentarne il dosaggio in funzione dell'assenza della tiroide nell'embrione nelle prime 10 settimane di gravidanza, epoca in cui l'embrione stesso utilizza quelli che la madre gli fornisce attraverso il sangue materno). Gozzo e Noduli Notiziario ATTA Marco Attard - U.O. di Endocrinologia - A.O. “V. Cervello” - Palermo GOZZO E NODULI Definizione Con il termine di gozzo si indica l'aumento volumetrico della tiroide. Questo incremento delle dimensioni può essere diffuso a tutta la ghiandola (c.d. "gozzo semplice") o circoscritto a determinate aree in modo tale da realizzare la presenza di uno o più noduli clinicamente apprezzabili (c.d. "gozzo nodulare"). Quali sono le cause del gozzo? La carenza alimentare di iodio è la causa più frequente della comparsa del gozzo: lo iodio è infatti un elemento essenziale per la formazione degli ormoni tiroidei. Nelle condizioni di carenza iodica (ancora oggi molto frequenti in numerosi Paesi del mondo) la ghiandola, per produrre quantità sufficienti di ormoni, incrementa il suo volume realizzando il gozzo che può quindi essere considerata una risposta dell'organismo al deficit alimentare. Il gozzo è quindi "malattia dell'adattamento, della nutrizione, dell'ecosistema". Esistono comunque altre cause (genetiche, infiammatorie, "neoplastiche" …..) che possono essere causa del gozzo. Quali sono i sintomi? Un modesto incremento di volume della tiroide e/o la presenza di noduli della ghiandola sono generalmente asintomatici e la loro scoperta può essere del tutto occasionale. I noduli di maggiori dimensioni possono dare disturbi locali: fastidio con sensazione di "impaccio", tosse, difficoltà respiratorie, difficoltà alla deglutizione ed alterazioni del timbro della voce. Il gozzo è per definizione normofunzionante (cioè con normalità dell'assetto ormonale) e non può quindi essere causa di disturbi generali (variazioni di peso, tachicardia, "nervosismo", disturbi del sonno ……). E' una malattia frequente? Le malattie da carenza iodica sono tra le patologie più diffuse nel mondo; in alcune regioni il gozzo è Scintigrafia: “nodulo freddo” presente in diffusi strati della popolazione tanto da realizzare aree di endemia. Il gozzo si definisce endemico quando è riscontrabile in almeno il 10% della popolazione generale; l'Italia può essere considerata a tutt'oggi una regione a lieve-media carenza di iodio, sub-endemica. Negli ultimi decenni si è assistito ad un significativo incremento di diagnosi di noduli tiroidei; questa apparente "epidemia" è quasi certamente da correlare all'utilizzazione routinaria dell'ecografia ed è quindi conseguenza di una migliorata capacità diagnostica e non esprime un incremento dell'incidenza della malattia. In altri termini numerosi piccoli noduli tiroidei, clinicamente insignificanti, vengono diagnosticati grazie alle migliorate possibilità diagnostiche. Gozzo e Noduli Notiziario ATTA Marco Attard - U.O. di Endocrinologia - A.O. “V. Cervello” - Palermo Come si fa la diagnosi? Il rilievo di un aumento di volume della tiroide e/o la presenza di noduli nella ghiandola richiede l'intervento del Medico di Famiglia che valuterà clinicamente, con metodiche di laboratorio e strumentali, il singolo paziente. Nella maggioranza dei casi si tratta di riscontri privi di vero "significato patologico" che non richiedono indagini specialistiche e/o terapie; il Medico di Famiglia selezionerà quei casi meno frequenti, con alterazioni funzionali della ghiandola e/o con formazioni nodulari "sospette" per essere neoplastiche, che saranno studiati con indagini più approfondite ed eventualmente indirizzati allo Specialista Endocrinologo. Oltre alle valutazioni di laboratorio (dosaggio di FT3, FT4, TSH ed in casi selezionati degli autoanticorpi e della calcitonina) il Medico può ricorrere alla scintigrafia tiroidea; questa metodica diagnostica viene oggi sempre meno utilizzata ed il suo significato è adesso limitato alla identificazione dei cosidetti "noduli caldi" (e cioè formazioni nodulari capaci di produrre un eccesso di ormoni). Grande valore diagnosticato occupa invece l'ecografia del collo che consente di precisare struttura e dimensioni della tiroide, di identificare la presenza dei noduli e di individuare quelli "sospetti". La diagnosi "di natura", e cioè la possibilità di identificare il nodulo tumorale, è invece appannaggio dell'esame citologico di agoapirato. Questo esame, effettuato da personale qualificato, è privo di rischi ed ha una accuratezza diagnostica molto alta; consente quindi di selezionare i pazienti destinati alla soluzione chirurgica e, di converso, evita l'intervento ai numerosi pazienti che non ne hanno necessità. Si può prevenire la comparsa del gozzo e dei noduli? L'utilizzazione estensiva del sale iodato ha già significativamente ridotto l'entità dell'endemia di gozzo; le patologie riscontrate negli ultimi anni sono peraltro "meno gravi" (gozzi di dimensioni più contenute, meno compressivi sugli altri organi del collo….). La normalizzazione dell'apporto iodico ha peraltro ricadute fondamentali sulle altre patologie da carenza iodica che sono meno frequenti ma certamente più gravi (malformazioni congenite, natimortalità, ipotiroidismo neonatale, ritardi di crescita, deficit intellettivi….). L'utilizzazione del sale iodato deve essere costante ed estesa a tutta la popolazione. Qual è la cura? Il gozzo diffuso e la patologia nodulare della tiroide raramente richiedono la soluzione chirurgica; a questa si ricorre soltanto nei gozzo casi particolarmente avanzati con importanti disturbi locali e/o nei casi di sospetto tumorale. La terapia medica del gozzo si avvale dell'utilizzazione dell'ormone tiroideo (l-tiroxina); il razionale della terapia muove dall'assunto che la somministrazione di ormone al paziente "mette a riposo" la ghiandola che quindi non è più stimolata alla crescita di volume. Tale terapia non è esente da rischi e va evitata nei soggetti anziani, nei cardiopatici ed anche nei pazienti con gozzi di grandi dimensioni e/o inveterati, condizioni nella quali è certamente priva di efficacia. Tireopatie in età pediatrica Notiziario ATTA Giovanna Lupo - U.O. di Endocrinologia - A.O. “V. Cervello” - Palermo TIREOPATIE IN ETÀ PEDIATRICA Le più frequenti: n Ipotiroidismo congenito 1/3000-4000 n Ipotiroidismo acquisito l Tiroidite di Hashimoto 2-3 % dei soggetti in età scolare n Ipertiroidismo l Morbo di Graves 0,1 / 100.000 nel bambino a 3.0 /100.000 nell'adolescente n Gozzo Gozzo Aumento di volume della tiroide dovuto a replicazione di cellule follicolari con formazione di nuovi follicoli; colpisce prevalentemente il sesso femminile e in epoca puberale ed è dovuto a fattori genetici (familiarità per tireopatie), ambientali (carenza I, fumo, farmaci e fattori gozzigeni), endogeni, ambiente fetale. Viene distinto in: n Semplice o nodulare sulla base della presenza o meno di lesioni focali nodulari formi. n Ipotiroideo (Tiroidite cronica Hashimoto, Carenza di iodio, Difetti ormonogenesi, Eccessiva introduzione Iodio, Farmaci) n Ipertiroideo (Malattia di Graves, Resistenza ipofisaria agli ormoni tiroidei) n Eutiroideo (Gozzo semplice - idiopatico, colloide, non tossico, ambientale - cibi, eccessiva introduzione Iodio, farmaci - infiltrazione leucemica, tumori differenziati, cisti tiroidee) Ipotiroidismo acquisito n Tiroidite autoimmune, deficit di iodio endemico, sovraccarico di iodio, post-tiroidectomia o irradiazione cervicale, azione di farmaci antitiroidei o agenti gozzi geni, malattie sistemiche (cistinosi, insufficienza renale, infiltrazione leucemica), difetti acquisiti ipotalamo-ipofisari, tiroide disgenetica o ectopica (quadri lievi), disormonogenesi Quando pensare alla tiroide n Sovrappeso, ritardo di apprendimento, familiarità per tireopatie, scarso accrescimento, astenia, stancabilità, disturbi del sonno, irritabilità, tachicardia, perdita di peso, alopecia Ipotiroidismo congenito: Viene distinto in Ipotiroidismo congenito permanente ed Ipotiroidismo transitorio Ipotiroidismo congenito permanente Dovuto ad anomalie tiroidee (ipotiroidismo primario) Difetti di sviluppo (disgenesia tiroidea), agenesia tiroidea (atireosi), ipoplasia tiroidea, ectopia tiroidea, errori congeniti della biosintesi degli ormoni tiroidei Tireopatie in età pediatrica Notiziario ATTA Giovanna Lupo - U.O. di Endocrinologia - A.O. “V. Cervello” - Palermo Dovuto ad anomalie extratirodee Difetti ipotalamo-ipofisari (ipotiroidismo terziario-secondario), resistenza periferica agli ormoni tiroidei, resistenza generalizzata dei tessuti, extra ipofisaria o ipofisaria isolata Disturbi della funzione tiroidea transitori neonatali Ipotiroxinemia transitoria, ipotiroidismo primario transitorio, ipotirotropinemia transitoria, sindrome del T3 basso del pretermine Frequenza, distribuzione per sesso ed etiologia n n n n n 1 caso ogni 3047 nati M / F: 1/2,5 Agenesie 42% Ectopie 38% Ghiandole in sede 20% E' importante ricordare come la diagnosi precoce dell'ipotiroidismo congenito mediante screening neonatale è una condizione indispensabile per prevenire con un corretto trattamento sostitutivo il danno neurologico irreversibile causato dalla carenza postnatale di ormone tiroideo Ipertiroidismo Viene distinto in ipertiroidismo neonatale ,ITN, e IT nel bambino e nell'adolescente ITN: frequenza % dei segni e sintomi clinici in Letteratura n Esoftalmo 83% n Agitazione 73% n Tachicardia 73% n Gozzo 71% n Basso peso 63% n Cute calda 46% n Ipersudorazione 35% n Polipnea 34% n Appetito 27% n Tremori 25% n Cardiomegalia con scompenso 22% n Diarrea ed ipertermia 20% Tireopatie in età pediatrica Notiziario ATTA Giovanna Lupo - U.O. di Endocrinologia - A.O. “V. Cervello” - Palermo Ipertiroidismo Neonatale Cause Bisogna considerare inoltre anche l'ipertiroidismo iodio indotto (ioduria elevata) Prognosi: n n n n Decorso da poche settimane a 3 mesi (mai più di 7) in rapporto alla scomparsa dal circolo degli anticorpi materni Prognosi buona se il neonato è adeguatamente trattato Mortalità rilevante (fino al 20%) senza trattamento Sequele: ritardo di crescita, craniosinostosi, iperattività, problemi caratteriali. IT nel bambino e nell'adolescente È una condizione caratterizzata sul piano biologico da un aumento degli ormoni tiroidei circolanti e di quelli liberi in particolare Tireopatie in età pediatrica Notiziario ATTA Giovanna Lupo - U.O. di Endocrinologia - A.O. “V. Cervello” - Palermo Cause di IT nel bambino e nell'adolescente n Malattia di Graves (è di gran lunga la causa più frequente di ipertiroidismo nell'infanzia e adolescenza), hashitossicosi (fase iniziale ipertiroidea di T. di H.), tiroidite subacuta, eccessiva introduzione di Iodio, nodulo solitario iperfunzionante (adenoma tossico), gozzo multinodulare tossico, Ipertiroidismo factitio , resistenza periferica agli oo tiroidei (ipofisaria), adenoma ipofisario TSH-secernente , sindrome di McCuneAlbright Sintomatologia n Turbe del comportamento, ipercinesia, tremori, insonnia, astenia, scarso rendimento scolastico, insofferenza al calore, bulimia, perdita o presa di peso, accelerazione della crescita, aumento età ossea, ritardo puberale, esoftalmo, diarrea, strategia terapeutica, iniziare con il trattamento medico, riservare la chirurgia ai casi di insuccesso (dopo 1-2 recidive) dei farmaci antitiroidei di sintesi, iodio radioattivo. Conclusioni Non c’è dubbio che nel campo delle patologie tiroidee è stato profondamente ridisegnato, in questi ultimi anni, l’approccio diagnostico, grazie sia allo screening neonatale dell’ipotiroidismo congenito, che all’ impiego sempre più diffuso dell’indagine ecotomografia e tutto ciò chiaramente ha reso possibile anche un radicale cambiamento nell’ambito della prognosi a distanza della tireopatia dell’età evolutiva. Ipotiroidismo Congenito Notiziario ATTA Daniela Gucciardino - U.O. di Endocrinologia - A.O. “V. Cervello” - Palermo IPOTIROIDISMO CONGENITO La tiroide produce ormoni (sostanze che controllano i processi che avvengono all'interno di un organismo) che svolgono funzioni molto importanti, tra cui la crescita, lo sviluppo del sistema nervoso centrale ed il metabolismo in generale. Il bambino affetto da ipotiroidismo presenta una diminuita o assente produzione di ormoni tiroidei. Premesse Nel 1850, per la prima volta, venne individuato l'ipotiroidismo congenito come causa di ritardo mentale ma solo negli ultimi anni del XX secolo, grazie alle sofisticate metodologie biomolecolari, neuroendocrinologiche, neuropsichiche e neurofarmacologiche, è stato possibile valutare gli effetti degli ormoni tiroidei nel controllo dello sviluppo postatale del sistema nervoso centrale, oggi prevenibili grazie alla diagnosi precoce dello stato ormonocarenziale formulata mediante lo screening neonatale di massa dell'ipotiroidismo congenito. Nella specie umana il periodo critico, durante il quale gli ormoni tiroidei influenzano in maniera determinante lo sviluppo cerebrale, si estende dall'ultimo trimestre della vita fetale, fino almeno al primo anno di vita extrauterina. Epidemiologia L'ipotiroidismo congenito è, congiuntamente al diabete, la più frequente endocrinopatia dell'infanzia, L'incidenza dell'Ipotiroidismo Congenito nei diversi Paesi è mediamente di 1:4000 nati all'anno, con una variabilità negli ultimi anni che ha portato la frequenza, almeno in Italia, da 1:3047 nati nel 1993 a 1:2262 nel 1997. Il rapporto maschi/femmine è di 2,5/1. È verosimile che, data la diffusione dello screening neonatale, sempre meno pazienti sfuggano alla diagnosi. In Italia peraltro si riscontra una certa diversità di incidenza tra Nord (1/2540), Centro (1/2409) e Sud (1/1926). La Sardegna mostra l'incidenza più bassa (1/1744). Eziologia Dal punto di vista eziologico si distinguono : 1. IPOTIROIDISMO PRIMITIVO MALFORMATIVO: responsabile del 90% casi, è dovuto all'assenza della tiroide o ad una riduzione del suo volume, o alla presenza in sede atipica (ipo-a-genesia della tiroide, ectopia) 2. IPOTIROIDISMO PRIMITIVO DA DIFETTO MOLECOLARE: comprende il 10% circa dei casi. Si tratta dei difetti della produzione di ormoni tiroidei 3. IPOTIROIDISMO SECONDARIO/TERZIARIO: da difetto ipofisario o ipotalamico (sintesi di TSH o TRH o di panipotiroidismo sporadico o familiare). E' un evento raro (1:60000, 1:140000 casi). 4. IPOTIROIDISMO TRANSITORIO NEONATALE: è stato scoperto grazie all'avvio dello screening: i soggetti affetti risultano falsamente positivi a causa di una carenza o di un eccesso di iodio durante la gravidanza, di una sofferenza neonatale o di un'immaturità dell'asse ipotalamo-ipofisario. È probabile, comunque, che nell'eziopatogenesi entrino in causa fattori genetici (maggior frequenza di IC nelle femmine rispetto ai maschi; presenza di aggregazioni familiari tra IC e altre patologie tiroidee; ricorrenza di IC tra gemelli omozigoti o tra componenti della stessa famiglia; diverse prevalenze nelle diverse etnie negli USA); Fattori nutrizionali, soprattutto una ridotta disponibilità di iodio in zone ad alta incidenza gozzigena, e alcuni fattori immunologici, sembrano invece spiegare meglio i casi di IC transitorio. Esistono due condizioni che possono essere rilevate alla nascita Ipotiroidismo Congenito Notiziario ATTA Daniela Gucciardino - U.O. di Endocrinologia - A.O. “V. Cervello” - Palermo con l'effettuazione dello screening di massa dell'IC: n Ipotiroxinemia neonatale Una ipotiroxinemia neonatale (T4) interessa il 50% dei soggetti nati pretermine (< 30a settimana di gravidanza). Questa condizione corrisponde a quella situazione (fisiologica nel feto) di ipotiroidismo da difetto di maturazione dell'asse ipotalamo-ipofisario, ed è quindi del tipo definito come ipotiroidismo ipotalamico o terziario. Non richiede alcun tipo di terapia, ma solo l'attesa della fisiologica maturazione. n Ipotiroidismo transitorio con TSH alto Si tratta di un ipotiroidismo lieve, transitorio, primario, espressione di una sofferenza tiroidea da cause esogene (eccesso di carenza di iodio, immaturità, altra noxa). v ITN da carenza iodica La carenza iodica severa può essere una causa di ITN, con livelli ormonali sovrapponibili a quelli che si riscontrano nell'IC. Questa forma può interessare fino al 10% dei neonati e può portare, nelle zone con carenza endemica di iodio, a difetto mentale anche importante. v ITN da eccesso di iodio Non soltanto la carenza di iodio é responsabile di ITN, anche l'eccesso di iodio lo può determinare. La tiroide del neonato contiene basse quantità di iodio e quindi il turnover di questo elemento nella ghiandola è particolarmente elevato, questa situazione, associata alla relativa immaturità dei meccanismi deputati alla protezione della ghiandola da parte di un carico di iodio, favorisce l'insorgenza dell'ITN da eccesso iodico, che può derivare da pratiche chirurgiche perinatali: taglio cesareo alla madre, disinfezione dell'ombelico del bambino, in particolare in quelle zone, spesso a carenza iodica, dove si utilizzano disinfettanti iodati; altre cause possono essere farmaci, somministrati alla madre contenenti iodio. v ITN da meccanismi immunologici Una madre con patologia tiroidea autoimmune può produrre nel figlio, per passaggio di autoanticorpi, un IC o un ITN. Immunoglobuline bloccanti il recettore del TSH passerebbero da madre a feto attraverso la placenta, e darebbero origine a un ipotiroidismo transitorio, dal momento che il loro effetto inibente durerebbe non più di 21-28 giorni Ipotiroidismo Congenito Notiziario ATTA Daniela Gucciardino - U.O. di Endocrinologia - A.O. “V. Cervello” - Palermo Diagnosi clinica Indipendentemente dal fattore etiologico, il quadro clinico dell'ipotiroidismo congenito è sovrapponibile, e la severità della sintomatologia appare essenzialmente legata all'entità del deficit ormonale. Lo stato ormonocarenziale si riflette in maniera elettiva sul sistema nervoso e su quello scheletrico, i quali, nella fase critica dello sviluppo, esigono una quantità di ormoni iodati superiore a quella necessaria per gli altri tessuti. Il quadro clinico dell'ipotiroidismo congenito si instaura gradualmente, e si rende manifesto a partire dalla 6a settimana di vita extrauterina, quando l'apporto di ormoni iodati con il latte materno diventi insufficiente L'ipotiroideo alla nascita si presenta di peso e di lunghezza normali. Il protrarsi dell'ittero fisiologico del neonato può essere il primissimo segno della malattia. Altri segni presenti durante il primo mese di vita sono la difficoltà di alimentazione, la scarsa interazione con l'ambiente, la sonnolenza, gli episodi di soffocamento durante l'allattamento. Difficoltà respiratorie dovute in parte alla macroglossia (si possono contare anche episodi asfittici), una respirazione rumorosa, l'ostruzione nasale possono essere altri segni d'accompagnamento. I bambini affetti piangono poco, dormono molto, hanno scarso appetito e sono poco reattivi. Vi può essere stipsi che non risponde al trattamento convenzionale. L'addome è globoso e può essere presente un'ernia ombelicale. Spesso è presente anemia refrattaria al trattamento. Col passare del tempo il piccolo stenta a crescere, gli arti si presentano corti, le fontanelle sono ampie, la dentizione è ritardata. La cute appare secca, squamosa, mixedematosa. I segni dell'ipotiroidismo congenito si fanno progressivamente più evidenti con il passare dell'età (progressivo deterioramento delle facoltà mentali, caratteristico rallentamento della velocità di crescita staturale). La loro aspecificità (ittero, ernia ombelicale, stipsi), o la loro scarsa rilevanza (suzione torpida, ipotonia, bradicardia), o la non rilevabilità all'esame clinico (assenza di nuclei di ossificazione) spiegano il ritardo della diagnosi clinica in assenza di dosaggio ematico degli ormoni tiroidei. Aspetti clinici rilevanti nelle forme congenite neonatali Nel neonato Ernia ombelicale Persistenza dell' ittero fisiologico Persistenza fontanella posteriore Macroglossia Ipotonia Sonnolenza Deficit di suzione Bradicardia (<125/m) Ipotensione Stipsi Gozzo (in casi particolari) Ritardo della maturazione ossea Ipotiroidismo Congenito Notiziario ATTA Daniela Gucciardino - U.O. di Endocrinologia - A.O. “V. Cervello” - Palermo Nelle età successive Mixedema Cute secca Capelli radi Ipotonia Sonnolenza Pallore Gozzo (soprattutto nelle fm acquisite) Bradicardia Ipotensione Stipsi Ritardo di accrescimento (epifidi distale del femore e prossimale della tibia) Ritardo dell'età ossea Ritardo nell'ideazione e mentale (nelle fm congenite non trattate) Diagnosi Se tempestivamente diagnosticato, con adeguato trattamento sostitutivo possono essere corretti gli effetti prodotti dalla carenza di ormoni tiroidei durante lo sviluppo intrauterino e quelli correlati con il deficit ormonale nelle prime fasi dello sviluppo postnatale. La diagnosi di ipotiroidismo congenito viene attualmente effettuata con il test di screening. I centri che si occupano dello screening in Italia dell'IC sono 25. Undici centri su 25 (44%), corrispondenti al 48% dei soggetti sottoposti a screening, utilizzano i dosaggi di T4 e TSH, 14 su 25 (56%), corrispondenti al 52% dei soggetti sottoposti a screening, utilizzano esclusivamente il dosaggio del TSH. Presso il punto nascita è prelevata dal tallone di tutti i neonati una goccia di sangue che viene depositata su di un apposito cartoncino assorbente. Il campione viene inviato al Centro di Screening che provvede al dosaggio del TSH ipofisario e del T4. Il prelievo deve essere effettuato in 4a - 5a giornata poiché subito dopo la nascita si ha una brusca elevazione di tali ormoni che renderebbe poco affidabile la interpretazione del test. Lo screening dell'IC ha tra l'altro permesso di far conoscere condizioni di alterata funzionalità tiroidea, transitorie (ITN), secondarie a fattori nutrizionali, carenza iodica, o secondari a trattamenti farmacologici materni che altrimenti non sarebbero stati rilevati o forse solo tardivamente. Ipotiroidismo Congenito Notiziario ATTA Daniela Gucciardino - U.O. di Endocrinologia - A.O. “V. Cervello” - Palermo Mezzi diagnostici complementari In caso di segni clinici precoci inequivocabili, anche prima della risposta del centro deputato allo screening, o in caso di segnalazione di sospetto di IC, è possibile avviare alcune procedure diagnostiche che possono confermare la diagnosi. Innanzi tutto va rinviato al centro di screening un altro campione di sangue su carta da filtro, e contemporaneamente possono essere dosati gli ormoni tiroidei su prelievo venoso. Tutte le procedure dovrebbero avvenire nel minor tempo possibile, in modo da poter avviare la terapia sostitutiva in maniera tempestiva. Comunque in caso di sospetto diagnostico, o di chiarimento della diagnosi possono essere utili altre pratiche diagnostiche. Ecografia tiroidea L'ultrasonografia tiroidea nel neonato con sospetto di IC non è di facile esecuzione, può solo indicare la presenza di una tiroide in sede, quindi definire una condizione di ipoplasia o ancora un difetto congenito dell'ormonogenesi; scintigrafia tiroidea Scintigrafia tiroidea È un'indagine che ancora oggi è indispensabile per un corretto inquadramento diagnostico dell'IC. La captazione del tracciante permette di valutare non solo la sede e le dimensioni della ghiandola, ma anche le sue capacità funzionali; L'esame deve essere effettuato prima dell'avvio del trattamento sostitutivo, e comunque non oltre il 4°-5° giorno dall'inizio della terapia; Valutazione della maturazione ossea Un difetto di maturazione ossea è frequente, se non costante. È dimostrata peraltro una correlazione tra ritardo di maturazione ossea ed entità del difetto ormonale. Soprattutto vanno valutati il nucleo distale del femore e quello prossimale della tibia. Terapia Il trattamento sostitutivo deve iniziare il più precocemente possibile, non appena posta la diagnosi. La terapia sostitutiva con L-tiroxina sintetica (in Italia Eutirox),si effettua al mattino, a digiuno, 20 minuti prima di colazione. Un attento follow-up dei livelli di TSH, di fT3 e fT4, sono indispensabili per un corretto trattamento. Follow-up e prognosi Nel primo anno di vita sarà opportuno un frequente controllo degli ormoni tiroidei, poi dal secondo anno di vita ogni 3-6 mesi. Nel corso del follow-up sarà opportuno un controllo periodico dell'età ossea e della crescita, una valutazione neurologica e della funzionalità uditiva e visiva (PEV/PEU). Nei casi precocemente diagnosticati e tempestivamente trattati con terapia sostitutiva la prognosi è eccellente. Gli ipotiroidismi Notiziario ATTA Francesco Iannì - U.O. di Endocrinologia - A.O. “V. Cervello” - Palermo GLI IPOTIROIDISMI L'ipotiroidismo esprime la condizione clinico-funzionale che consegue ad una insufficiente produzione di ormoni tiroidei. Nella maggior parte dei casi (95%) le sue cause risiedono nella stessa tiroide e l'ipotiroidismo è definito primario o primitivo. La causa più frequente di ipotiroidismo primario è costituita dalla riduzione della massa di tessuto tiroideo funzionante che può dipendere o da cause congenite (agenesia, ipogenesia, ectopia del tessuto tiroideo…) conseguenti ad alterazioni del processo di differenziazione e/o di migrazione caudale dell'abbozzo tiroideo o, più spesso, da cause acquisite, per lo più iatrogene (post-chirurgiche, post-radioisotopiche) o collegate a processi di tiroidite autoimmune, che danneggiano in maniera irreversibile la ghiandola compromettendone la funzione. In altri casi il deficit funzionale dipende da una turba dell'ormonosintesi, come avviene nei deficit enzimatici congeniti o in seguito alla assunzione di farmaci (litio, iodio, tionamidi…) che bloccano a vari livelli il processo di sintesi ormonale. Anche un marcato deficit di apporto alimentare di iodio può essere causa di ipotiroidismo. Altri ipotiroidismi (5% dei casi) dipendono da processi patologici a carico dell'ipofisi, dell'ipotalamo, o di entrambi. Spesso viene distinto un ipotiroidismo secondario da deficit di TSH ipofisario ed un ipotiroidismo terziario conseguente ad un deficit di TRH ipotalamico; ma nella pratica non sempre le due condizioni sono clinicamente e biologicamente distinguibili, per cui abitualmente esse sono accomunate sotto la dizione di ipotiroidismo centrale, senza riferimento localizzativo specifico. Esiste, paziente ipotiroidea infine, un ipotiroidismo periferico (molto raro) dovuto a mutazioni recettoriali che condizionano una resistenza tissutale all'azione degli ormoni tiroidei, normalmente prodotti. L'ipotiroidismo è, nella stragrande maggioranza dei casi, definitivo (ed irreversibile); solo raramente può essere transitorio, quando la causa che lo ha provocato è rimovibile. Nella maggior parte dei casi ha una espressione clinica ben definita ma, in alcune evenienze, è sub-clinico, rappresentato solo da una più o meno evidente elevazione di TSH, con valori normali/bassi degli ormoni tiroidei ed assenza di specifiche manifestazioni cliniche. Si discute se questo ipotiroidismo provochi effetti funzionali (soprattutto metabolici) negativi e se richieda, comunque, la terapia sostituitiva. Sul piano funzionale il parametro più importante per la diagnosi di ipotiroidismo primario è il dosaggio del TSH. Un valore di TSH al di sopra del limite massimo normale, associato ad una riduzione del valore di FT4 circolante, è sufficiente per la conferma diagnostica di ipotiroidismo primario. Un aumento di TSH con contemporanea elevazione degli ormoni tiroidei e con un quadro clinico di ipotiroidismo per lo più non molto pronunciato, chiama in causa la rara condizione di resistenza tissutale agli ormoni tiroidei, con inappropriata secrezione di TSH. L'ipotiroidismo centrale non si accompagna, ovviamente, ad aumento del TSH che è, spesso, indosabile in presenza di bassi valori di ormoni tiroidei e di segni clinico-funzionali indicanti l'abituale coinvolgimento delle altre tropine ipofisarie nell'ambito di un panipopituitarismo: infatti il deficit isolato di TSH è evenienza poco frequente. Sul piano clinico è, ormai, raro riscontrare il quadro della cachessia strumipriva che aveva nel mixedema il sintomo capitale; esso è rimasto appannaggio della iconografia della vecchia trattatistica medica. Oggi l'ipotiroidismo suole presentarsi in forme cliniche più attenuate, pauci o monosintomatiche, spesso con prevalenza di manifestazioni d'organo o d'apparato che non raramente possono fuorviare la diagnosi. Le ragioni della odierna patomorfosi degli ipotiroidismi sembra vadano ricercate nella attuale prevalenza, fra di essi, di quelli dipendenti da patologie autoimmuni nei quali il processo tiroiditico conquista gradualmente il parenchima Gli ipotiroidismi Notiziario ATTA Francesco Iannì - U.O. di Endocrinologia - A.O. “V. Cervello” - Palermo ghiandolare e fa sì che l'ipotiroidismo si instauri molto lentamente e non prima che si abbia la possibilità di documentarne la presenza, o perché sia stato effettuato un esame ecografico, o perché siano stati dosati, spesso non sempre sotto la spinta di specifiche motivazioni cliniche, gli ormoni tiroidei e/o gli specifici autoanticorpi, od anche in seguito all'affioramento di qualche isolato sintomo di richiamo. Inoltre, il sistematico impiego dello screening neonatale, che consente di intraprendere precocemente il trattamento degli ipotiroidismi congeniti, impedisce il conclamarsi del corrispettivo quadro clinico-funzionale un tempo vistosamente e drammaticamente espresso. Allo stesso modo, il tempestivo inizio della terapia sostitutiva dopo l'intervento di tiroidectomia o dopo la terapia radiometabolica, rende poco o per nulla manifesta la espressione clinica dell'ipotiroidismo. La terapia dell'ipotiroidismo si fonda sull'impiego "sostitutivo" della l-tiroxina che è terapia esclusiva, insostituibile e da assumersi a tempo indefinito tranne che nei rari casi di ipotiroidismo transitorio. Nell'ipotiroidismo congenito il trattamento deve essere intrapreso il più precocemente possibile al fine di evitare l'instaurarsi delle gravi menomazioni della sfera psichica, motoria e sensoriale nei piccoli pazienti, controllando che si pervenga ad una rapida normalizzazione del TSH e degli ormoni tiroidei e verificando periodicamente la normalità dei parametri clinici ed auxologici di maturazione psico-somatica. Nell'adulto invece, specialmente nei casi in cui l'ipotiroidismo si sia instaurato da lungo tempo e/o siano presenti concomitanti patologie cardiocircolatorie, la terapia sostitutiva deve essere intrapresa con gradualità, partendo da bassi dosaggi di T4 per raggiungere la dose ottimale (che è quella che normalizza i parametri ematochimici e che assicura la regressione della sintomatologia clinica) nell'arco di 5-6 settimane: ciò al fine di evitare l'insorgenza di manifestazioni anginose (più frequenti) o la comparsa di insufficienza cortico-surrenalica (più rara) come conseguenza del repentino incremento delle richieste funzionali da parte del cuore e/o dei surreni ad opera di una dose bruscamente elevata di T4. La posologia ottimale raggiunta deve essere controllata periodicamente tramite il dosaggio del TSH e degli ormoni tiroidei, soprattutto quando intervengano nuove condizioni, fisiologiche (pubertà, gravidanza…) o patologiche (malassorbimento, assunzione di farmaci interferenti con la T4…) che possano incrementare il fabbisogno dell'ormone. La T4 deve essere utilizzata anche nella terapia dell'ipotiroidismo centrale, associata, nella maggioranza dei casi, alla terapia sostitutiva delle altre insufficienze ormonali ipofisarie: in questi casi si deve avere cura di iniziare la terapia dell'ipotiroidismo solo dopo avere avviato la terapia del coesistente iposurrenalismo per le ragioni precedentemente esposte. La terapia dei rari ipotiroidismi da resistenza tissutale agli ormoni tiroidei, nei quali i livelli circolanti di ormoni tiroidei sono aumentati, è più problematica: in questi casi, nonostante la situazione ormonale esistente, è consigliata la terapia con T4 ad elevati dosaggi, finalizzata a "forzare", con l'eccesso di ormone, il difetto recettoriale. Tale trattamento viene spesso limitato al periodo infantile e puberale allo scopo di prevenire le influenze negative che il deficit di azione tissutale dell'ormone tiroideo può esercitare sullo sviluppo psico-somatico del paziente. Gli Ipertiroidismi Notiziario ATTA Adele Maniglia - U.O. di Endocrinologia - A.O. “V. Cervello” - Palermo GLI IPERTIROIDISMI Con il termine di tireotossicosi si definisce la sindrome clinica da eccesso di T4 e T3 circolanti indipendentemente dalla causa che determina la malattia. Il termine ipertiroidismo indica più specificatamente forme ad aumentata sintesi e secrezione di T4 e T3 da parte della tiroide. Altre cause di tireotossicosi in assenza di iperfunzione tiroidea comprendono le seguenti condizioni: la liberazione di ormoni tiroidei preformati per lesioni tiroidee (tiroiditi), l’assunzione di ormoni tiroidei esogeni (tiroidite factitia o medicamentosa). Le principali cause di tireotossicosi sono: n il gozzo diffuso tossico n il gozzo multinodulare tossico n l’adenoma tossico n la fase ipertiroidea della tiroidite di Hashimoto n la tiroidite subacuta n l’ipertiroidismo e la tireotossicosi da assunzione di iodio n la tireotossicosi factitia e medicamentosa n l’ipertiroidismo da inappropriata secrezione del TSH n forme rare: mola vescicolare, struma ovario, carcinoma tiroideo con metastasi funzionanti. Scintigrafia: “nodulo caldo, tossico” L’incidenza dell’ipertiroidismo (morbo di Basedow, gozzo multinodulare tossico e adenoma tossico) nella popolazione generale è stimata intorno a 0,1 - 0,2 % negli uomini e tra 1,2 - 2% nelle donne. Le classi di età più colpite sono la quarta quinta decade (relativamente al morbo di Basedow) mentre le forme nodulari colpiscono generalmente soggetti più anziani (oltre 50 - 60 anni). La distribuzione relativa delle principali forme di ipertiroidismo dipende dall’apporto iodico, con prevalenza del morbo di Basedow nelle aree iodosufficienti mentre il gozzo nodulare tossico prevale nelle zone endemiche. La sintomatologia comune a tutte le forme di tireotossicosi comprende in misura variabile a seconda della gravità del quadro morboso: n manifestazioni metaboliche: aumento del metabolismo basale, aumento della produzione di calore (febbricola, ipersudorazione), calo ponderale, ridotta tolleranza glucidica, n manifestazioni cardiovascolari: aumento della gittata sistolica e del volume/minuto, aumento della pressione arteriosa differenziale, scompenso cardiaco, tachicardia, n manifestazioni neuropsichiche: nervosismo, insonnia, fini tremori, agitazione psicomotoria n manifestazioni a carico dell’apparato digerente: diarrea e/o frequenza dell’alvo, iperemesi, n manifestazioni neuromuscolari: astenia, retrazione della palpebra superiore Gli Ipertiroidismi Notiziario ATTA Adele Maniglia - U.O. di Endocrinologia - A.O. “V. Cervello” - Palermo Nelle forme infiammatorie (tiroidite acuta e subacuta) si ha tumefazione tiroidea diffusa e localizzata, associata a dolore e dolorabilità Nelle forme di tireotossicosi da iperfunzione tiroidea si ha aumento di volume della ghiandola. Il gozzo è diffuso e generalmente associato ad oftalmopatia e talora mixedema pretibiale nel morbo di Basedow. I noduli sono multipli nel gozzo multinodulare tossico e singoli nell’adenoma tossico. Le manifestazioni cardiovascolari contribuiscono in larga misura al quadro clinico delle sindromi Mixedema pretibiale: rara complicanza tireotossiche. In realtà bisogna distinguere tra dell'ipertiroidismo autoimmune giovani ed anziani. Nei giovani l’ipertiroidismo, generalmente dovuto al morbo di Basedow, si manifesta principalmente con sintomi neuropsichici mentre le manifestazioni cardiovascolari sono modeste e spesso limitate a: cardiopalmo, tachicardia, dispnea da sforzo. Nei pazienti anziani, dove è relativamente più frequente il gozzo multinodulare tossico, le manifestazioni cardiovascolari sono frequenti e includono: scompenso congestizio, aritmie sopraventricolari, angina pectoris. Nel morbo di Basedow la malattia è diagnosticata clinicamente sulla base dell’associazione di gozzo, oftalmopatia ed ipertiroidismo e confermata da valori elevati di FT3, FT4 circolanti, da valori soppressi di TSH e dalla presenza di anticorpi anti recettore del TSH. Ruolo di primo piano nella diagnosi è svolto dall’ecografia tiroidea in grado di Ecocolor Doppler: tireotossicosi autoimmune Esoftalmo in ipertiroideo differenziare tra gozzo diffuso (Morbo di Basedow) e gozzo nodulare (gozzo multinodulare o gozzo uninodulare ) Nel gozzo nodulare la scintigrafia tiroidea permette di identificare i noduli iperfunzionanti e le aree autonome all’interno della tiroide. Lo scopo della terapia è quello di rendere eutiroideo il paziente. Nel Morbo di Basedow la terapia di prima scelta è medica e si basa sull’uso di farmaci antitiroidei (metimazolo, propiltiouracile) e di farmaci adiuvanti (betabloccanti). Se la terapia medica non riesce ad indurre la remissione è necessario prendere in considerazione terapie alternative quali il trattamento radiometabolico con 131I e/o l’intervento chirurgico di tiroidectomia totale. La terapia chirurgica costituisce invece trattamento di prima scelta nel gozzo multinodulare e nel nodulo tossico. Malattie tiroidee e gravidanza Notiziario ATTA Marco Attard - U.O. di Endocrinologia - A.O. “V. Cervello” - Palermo MALATTIE TIROIDEE E GRAVIDANZA I rapporti tra gravidanza e malattie della tiroide sono numerosi ed abbastanza complessi. Da un punto di vista pratico i temuti danni sul prodotto del concepimento, preoccupazione forte e costante delle future mamme, possono essere correlati da una parte alla malattia materna e dall'altra all'assunzione dei farmaci utilizzati per curare la stessa. In questo articolo vengono fornite informazioni e dati suggerimenti sui rapporti tra gravidanza e "disfunzioni" tiroidee (iper ed ipotiroidismo); saranno analizzati i rischi per il feto ed il neonato ed indicate modalità di trattamento e di follow up delle patologie in questione. Ovviamente le malattie disfunzionali tiroidee curate in maniera non adeguata possono avere anche riflessi negativi sulla salute materna (anemizzazione, emorragia postpartum, eclampsia, ipertensione, disfunzioni cardiache, distacco di placenta, aborto ….). Ne consegue che il riconoscimento precoce della malattia materna e l'adeguato trattamento consentono di evitare (o almeno di limitare fortemente) ricadute negative sulla salute di mamma e figlio. Bisogna però premettere che la gravidanza, evento da programmare ed affrontare in maniera adeguata, rappresenta per l'organismo femminile un impegno rilevante, caratterizzato da una serie di adeguamenti che coinvolgono quasi tutti gli organi ed apparati. Per quanto riguarda la tiroide l'apporto iodico vittuale, spesso deficitario anche in condizioni di "normalità", diventa quasi sempre inadeguato. Primo consiglio è quindi quello di aumentare l'apporto iodico: durante la gravidanza bisogna incrementarlo fino ad un mimino di 150-200 mcg/die; ciò molto semplicemente può essere realizzato con l'utilizzazione in cucina del sale iodato. Gravidanza ed ipotiroidismo Le complicanze dell'ipotiroidismo conclamato (ma anche dell'ipotiroidismo frustro, subclinico) sono numerose: interruzione della gravidanza, parto pretermine, basso peso alla nascita, malformazioni congenite, gozzo, danni neurologici, deficit uditivi, morte del feto….; la prevalenza della malattia conclamata in gravidanza è 0,3 - 0,5% ma considerando anche l'ipotiroidismo subclinico raggiunge il 2 - 3% . Il trattamento tempestivo ed adeguato azzera ogni rischio e "riporta" la donna ipotiroidea in cura alle stesse probabilità statistiche di complicanze delle gravide con funzione tiroidea normale. Compito del Medico è quello di diagnosticare tempestivamente la patologia (al momento della programmazione della gravidanza o quando questa viene accertata) ed avviare subito la terapia sostitutiva con l-tiroxina programmando prelievi ematochimici cadenzati (ogni 30-60 gg) al fine di ottimizzare la cura e mantenere l'assetto ormonale nella norma. Il Medico deve altresì comunicare alla paziente l'importanza di praticare una terapia adeguata e di monitorare l'efficacia e la congruità della stessa durante la gestazione; il Medico ha l'obbligo di accertarsi che "il problema" sia ben chiarito e che quindi la futura mamma abbia superato l'assunto culturale che in gravidanza è bene evitare ogni farmaco. Gli Altri Specialisti coinvolti (ginecologo-ostetrico, neonatologo-pediatra) devono essere informati in modo da realizzare un lavoro d'equipe volto alla salvaguardia della salute di mamma e figlio. Nella tabella 1 sono riportati i suggerimenti degli Esperti di due Società Scientifiche che hanno schematizzato il da farsi e quindi realizzato una linea guida di comportamento. Malattie tiroidee e gravidanza Notiziario ATTA Marco Attard - U.O. di Endocrinologia - A.O. “V. Cervello” - Palermo Tab. 1 Position Statement AME (Associazione Medici Endocrinologi) & ISGE (International Society of Gynecol. Endocrinology) Gravidanza ed ipertiroidismo La diagnosi di ipertiroidismo in gravidanza non è sempre semplice dato che alcuni cambiamenti che occorrono fisiologicamente durante la gestazione "mimano" l'ipertiroidismo (nervosismo, cardiopalmo…). Stante i seri rischi che la tireotossicosi (attiva o "guarita") può comportare durante la gestazione vi è però la necessità di attuare una diagnosi precoce e di avviare un trattamento adeguato. Le complicanze dell'ipertiroidismo conclamato sono numerose e rilevanti: interruzione della gravidanza, distacco di placenta, parto pretermine, basso peso alla nascita, malformazioni congenite, ipertiroidismo ed ipotiroidismo fetale / neonatale, ritardo di crescita Malattie tiroidee e gravidanza Notiziario ATTA Marco Attard - U.O. di Endocrinologia - A.O. “V. Cervello” - Palermo intrauterina….. L'ipertiroidismo subclinico (di lieve entità) non sembra invece avere effetti negativi rilevanti su mamma e feto/neonato; generalmente non richiede alcun trattamento farmacologico ma ovviamente non si può prescindere da un accurato monitoraggio del caso. La prevalenza della malattia in gravidanza è 0,1 - 0,4%; nell'85% dei casi si tratta di malattie a patogenesi autoimmune: questo aspetto è rilevante perchè gli effetti negativi sul feto e sul neonato possono essere correlati sia all'eccesso di ormoni tiroidei materni sia all'effetto (stimolatorio o inibitorio) che gli autoanticorpi possono avere sulla tiroide fetale. L'attività della tireotossicosi in gravidanza è generalmente fluttuante con una esacerbazione iniziale ed un graduale miglioramento nella seconda metà. Compito del Medico è quello di diagnosticare tempestivamente la patologia (al momento della programmazione della gravidanza o quando questa viene accertata) ed avviare subito la cura programmando prelievi ematochimici cadenzati (ogni 30-60 gg) al fine di ottimizzare la terapia mantenendo l'assetto ormonale nella norma. Anche se i dati in letteratura non sono concordanti è buona norma somministrare alla donna ipertiroidea durante la gravidanza il propiltiouracile (PTU) e non il più diffuso ed utilizzato metimazolo (MMI); il PTU non sembra avere effetti collaterali rilevanti (anche se una relazione certa tra somministrazione di metimazolo e le sua rare complicanze -aplasia cutis ed atresia del tubo digerente- non è dimostrata). Così come per l'ipotiroidismo anche in questa circostanza il Medico deve comunicare alla paziente l'importanza di praticare una terapia adeguata e di monitorare l'efficacia e la congruità della stessa durante la gestazione; la futura mamma deve sapere che la realizzazione degli ipotetici effetti collaterali dell'antitiroideo è statisticamente molto meno probabile di quella degli eventi avversi correlabili alla patologia iperfunzionante. Ancora una volta gli Altri Specialisti coinvolti (ginecologo-ostetrico, neonatologo-pediatra) devono essere informati in modo da realizzare un lavoro d'equipe volto alla salvaguardia della salute di mamma e figlio. I principali consigli sono riassunti nella tabella 2. Tab. 2 Ipertiroidismo e gravidanza n Somministrare la minima dose utile di PTU per mantenere gli ormoni materni entro il range di norma. L'assetto ormonale materno deve essere controllato ogni 30 - 40 giorni. n Dosare TRAb (anticorpi tireostimolanti) alla XX e alla XXX settimana di gestazione. n Controllare frequenza cardiaca fetale. n Controllare l'accrescimento fetale con ecografia (verificare eventuale presenza di gozzo). n Controllare funzione tiroidea del neonato (sangue del cordone, I e II settimana) e dosare i TRAb. Il tumore tiroideo Notiziario ATTA Marco Attard - U.O. di Endocrinologia - A.O. “V. Cervello” - Palermo IL TUMORE TIROIDEO Definizione Il carcinoma della tiroide è un tumore maligno poco frequente (1-2% di tutti i tumori maligni) e a crescita lenta derivante dalle cellule che compongono la ghiandola tiroidea; colpisce più frequentemente le donne ed i soggetti di età media. Il tumore tiroideo può dare metastasi e cioè ha la capacità di "trapiantarsi" e di crescere a distanza; le sedi metastatiche più frequenti sono i linfonodi del collo ed altri organi (polmoni, ossa, cervello….). Esistono varie forme di tumore maligno della tiroide; possono essere distinte dall'esame istologico e cioè dall'esame microscopico del pezzo operatorio. Il carcinoma papillifero è il tumore più frequente e nel contempo, fortunatamente, il meno aggressivo ed il meglio curabile; le altre forme istologiche sono il carcinoma follicolare, il carcinoma midollare (che prende origine da cellule distinte definite parafollicolari) e l'anaplastico (molto raro e di fatto poco curabile). Nella maggioranza dei casi comunque il tumore tiroideo, specie se diagnosticato tempestivamente, può essere curato e guarito. Quali sono le cause? La causa del tumore tiroideo non è nota; l'unico fattore di rischio noto ed accertato è rappresentato dalle radiazioni. I pazienti che hanno ricevuto radiazioni terapeutiche (per la cura di altre malattie) o i soggetti che accidentalmente sono stati esposti a forti irradiazioni (per esempio gli abitanti di Chernobyl) possono sviluppare, anche molti anni dopo l'esposizione, un tumore tiroideo. Solo pochi tumori della tiroide hanno cause genetiche ed ereditarie (tra questi alcune forme di carcinoma midollare). Quali sono i sintomi? Il tumore della tiroide è scarsamente sintomatico; quasi sempre la prima ed unica manifestazione della ecografia: tumore tiroideo malattia è la comparsa di un nodulo a carico della regione anteriore del collo. Raramente (nelle forme più aggressive) il tumore si manifesta con la disfonia (l'alterazione del timbro della voce è causata dall'infiltrazione dei nervi che fanno muovere le corde vocali) o con il rilievo di una metastasi nei linfonodi del collo oppure a distanza, in altre sedi. E' una malattia frequente? Come già detto il tumore tiroideo è una malattia poco frequente (solo il 5% dei noduli tiroidei è neoplastico) ma la sua incidenza sembra essere in aumento. Questo cambiamento può essere solo in parte attribuito alle migliorate capacità diagnostiche (e quindi alla possibilità di individuare tumori molto piccoli) ed è invece correlato a cause, ancora ignote, che ne favoriscono l'insorgenza. Il tumore tiroideo Notiziario ATTA Marco Attard - U.O. di Endocrinologia - A.O. “V. Cervello” - Palermo Come si fa la diagnosi? Il sospetto diagnostico può essere clinico (noduli duri, poco mobili, in crescita lenta e progressiva…) ma la conferma è data dall'esame citologico di agoaspirato. Questo esame rappresenta il "gold standard" (il migliore sistema a disposizione a tutt'oggi) riguardo alla diagnosi di natura dei noduli tiroidei. Dal nodulo "sospetto" viene prelevato con un ago (l'aspirazione deve essere guidata dall'ecografia) materiale cellulare che, opportunamente preparato, viene analizzato al microscopio. Le caratteristiche delle cellule tumorali sono particolari e lo Specialista incaricato di analizzare il materiale potrà dare una diagnosi di certezza o di forte sospetto; questi pazienti saranno indirizzati al Chirurgo. Come detto questa metodica diagnostica è molto accurata ma come per tutte le indagini mediche sono possibili i falsi negativi (noduli tumorali con caratteristiche citologiche di benignità) ed i falsi positivi (noduli citologicamente tumorali che poi risultano all'esame istologico post-operatorio sede di patologia benigna). Qual è la cura? Alla diagnosi di tumore fa seguito l'intervento chirurgico; la scelta della tiroidectomia totale (allargata all'asportazione dei linfonodi del collo interessati dalla malattia) è oramai consigliata da quasi tutti gli Esperti. Solo in casi selezionati l'intervento può essere parziale (asportazione del lobo tiroideo contenente il nodulo tumorale risparmiando l'altra metà di tiroide). L'intervento chirurgico di tiroidectomia non comporta grandi rischi ma ovviamente le complicanze, seppur rare, sono possibili. La lesione dei nervi laringei, che consentono la motilità delle corde vocali, comporta una alterazione del timbro della voce e, meno frequentemente, anche difficoltà respiratorie; l'asportazione accidentale delle paratiroidi (piccole ghiandole poste nei pressi della tiroide) comporta alterazioni delle concentrazioni di calcio nel sangue con conseguente comparsa di crampi ed altri disturbi. Questa complicanza può comunque essere corretta dall'assunzione di vitamina D e calcio. Dopo l'intervento sarà valutato il rischio di recidiva della malattia tumorale che dipende da numerosi fattori: età del paziente, dimensioni ed estensione del tumore, tipo istologico….; fatta eccezione per i casi "a basso rischio" gli altri pazienti saranno indirizzati alla terapia radiometabolica con 131I. Tale terapia consiste nella somministrazione di iodio radioattivo con l'obiettivo di "bruciare" i residui ghiandolari (che potrebbero contenere altri focolai tumorali) ed anche di curare le metastasi. Infatti il tessuto ecografia: tumore tiroideo e linfonodo metastatico Il tumore tiroideo Notiziario ATTA Marco Attard - U.O. di Endocrinologia - A.O. “V. Cervello” - Palermo tiroideo tumorale conserva, quasi sempre, la capacità propria del tessuto tiroideo normale di captare lo iodio; lo iodio radioattivo somministrato al paziente si raccoglierà nei focolai tumorali ed agirà sul tessuto tumorale distruggendolo. Il tumore tiroideo è quindi una neoplasia curabile (e spesso guaribile) per due ragioni: è un tumore poco aggressivo e può essere trattato con una terapia specifica, molto efficace e priva di significativi effetti collaterali. Dopo la tiroidectomia totale è necessario che il paziente assuma per tutta la vita le compresse contenenti l'ormone tiroideo al fine di fornire all'organismo la quantità di ormoni necessaria per condurre una vita normale; la qualità della vita del paziente senza tiroide sarà comunque assolutamente sovrapponibile a quella di un soggetto sano. Dopo la cura che bisogna fare? Il paziente operato per tumore tiroideo dovrà restare sotto osservazione per tutta la vita ed essere sottoposto a periodici controlli clinici, strumentali e di laboratorio volti a sorvegliare la possibilità di una recidiva di malattia tumorale e a verificare la congruità della terapia sostitutiva con ormone tiroideo. Che caratteristiche ha il carcinoma midollare? Come detto il carcinoma midollare della tiroide è un tumore che prende origine dalle cellule parafollicolari o cellule C; si tratta di cellule che producono un ormone che si chiama calcitonina e che non possono essere considerate facenti parte della tiroide in senso stretto. La tiroide normale è infatti costituita dalle cellule follicolari (dalle quali traggono origine tutti gli altri tumori dei quali sinora si è detto) e da queste cellule particolari che hanno diversa origine embriologica e diverso significato biologico. I tumori midollari possono essere familiari (20-30% dei casi) o sporadici; possono anche essere associati ad altre neoplasie nel contesto di una sindrome definita MEN (neoplasie endocrine multiple). Il carcinoma midollare è un tumore dal comportamento ambiguo che può essere anche abbastanza aggressivo. La diagnosi tempestiva ed una terapia chirurgica ben fatta rappresentano l'arma vincente; non abbiamo infatti a disposizione a tutt'oggi trattamenti terapeutici efficaci per le forme in stato avanzato. esame citologico di carcinoma midollare della tiroide Epidemiologia dei tumori tiroidei Notiziario ATTA Ivana Fratantonio - U.O. di Endocrinologia - A.O. “V. Cervello” - Palermo EPIDEMIOLOGIA DEI TUMORI TIROIDEI Il carcinoma tiroideo è la più frequente neoplasia endocrina la cui prevalenza fa registrare un costante incremento nelle ultime decadi a fronte della mortalità che risulta in costante decremento. I dati sulla sopravvivenza a 30 anni dalla diagnosi indicano che l'assoluta maggioranza dei soggetti con carcinoma papillare o follicolare sono viventi in conseguenza di diagnosi precoci e di programmi terapeutici multidisciplinari. Il carcinoma tiroideo differenziato ha una lenta evoluzione e prognosi generalmente buona, ma resta una neoplasia potenzialmente letale in una percentuale di casi non trascurabile. L'epidemiologia riporta tassi di incidenza e di mortalità, in funzione di differenti parametri, area geografica, anno di osservazione, istotipo tumorale, tipo di paziente. Per quanto concerne la distribuzione geografica, l'incidenza annuale del cancro della tiroide in Italia è di 3.0 casi su 100.000 abitanti (donne 5,4-6,8/100.000; uomini 1,5-2,8/100.000), ma esistono ampie variazioni tra i registri nazionali. Negli Stati Uniti l'incidenza è pari a 2.5/100.000 abitanti, in altri paesi, come l'Islanda, le Filippine e le Hawaii si registra un'incidenza da due a tre volte superiore, istologia: carcinoma tiroideo pari a 7-8/100.000 abitanti. È probabile che l'elevato grado di medicalizzazione di questi paesi possa spiegare un migliore screening dei tumori tiroidei e una loro registrazione più accurata. In Sicilia si osserva la più elevata incidenza, superiore a quella riportata in letteratura per alcune zone vulcaniche (Hawaii, Islanda, Filippine), ossia pari a 10/100.000 abitanti. La geografia dell'isola risulta perfettamente circoscritta e sono state identificate aree a diversa nutrizione iodica e disordini correlati. Sono disponibili dati preliminari indicanti una più alta incidenza dei tumori tiroidei e di alcuni istotipi nella popolazione siciliana quali il carcinoma papillifero che costituisce quasi il 90% dei casi, contro il 7.8% del carcinoma follicolare, l' 1,9% del carcinoma midollare, l'1,3% del carcinoma indifferenziato, lo 0,3% del linfoma e lo 0,5% dei restanti istotipi. Inoltre più del 50% dei tumori tiroidei risultano essere microcarcinomi. L'Isola costituisce un modello di particolare interesse per lo studio dei diversi aspetti dell'oncologia tiroidea inclusi quelli relativi ai fattori di rischio (genetici, ambientali, preesistenti tireopatie benigne) ed alle basi molecolari della loro azione carcinogenetica. Epidemiologia dei tumori tiroidei Notiziario ATTA Ivana Fratantonio - U.O. di Endocrinologia - A.O. “V. Cervello” - Palermo Registro Siciliano Tumori tiroidei Tassi grezzi di incidenza per distretto (per 100.000/anno) Fra i fattori ambientali è noto che il carente apporto di iodio incrementa la prevalenza dei noduli benigni e di conseguenza anche l'incidenza del cancro alla tiroide. Rispetto alle regioni con normale apporto iodico, i tipi istologici follicolare e anaplastico sono più frequenti in percentuale rispetto alle forme papillari. Quindi, la profilassi iodica è seguita da un aumento relativo degli istotipi papillari e una diminuzione di quelli follicolari e anaplastici. Numerosi studi dimostrano che una storia di nodulo tiroideo benigno è frequente nei soggetti affetti da carcinoma tiroideo, suggerendo ma non provando l'esistenza di fattori eziologici comuni. In letteratura alcuni studi depongono per un maggior tasso di malignità dei noduli nel Morbo di Basedow, ma non nelle tiroiditi di Hashimoto. In quest'ultimo caso i pazienti sono invece a rischio di sviluppare una malattia linfoproliferativa, specie il linfoma della tiroide. Tra gli altri fattori di rischio evidenziati negli studi epidemiologici meritano attenzione: precedenti irradiazioni esterne, storia familiare. Infine per la corretta gestione dei pazienti con carcinoma tiroideo è fondamentale tener conto dei fattori prognostici più significativi: personali, demografici, istopatologici, molecolari e fattori legati alle dimensioni del tumore al fine di pianificare il trattamento iniziale ottimale (estensione del primo intervento e asportazione di eventuali ripetizioni linfonodali) e il monitoraggio post-chirurgico da utilizzare. Fra i fattori genetici è ben riconosciuta l'influenza del sesso e dell'età sull'incidenza del carcinoma tiroideo, infatti la frequenza nelle femmine risulta da due a quattro volte più alta rispetto ai maschi. Inoltre si osserva un aumento dell'incidenza età-correlata, se infatti è raro prima dei 16 anni, con un incidenza annua tra 0.02-0.3 su 100.000 bambini, risultando addirittura eccezionale prima dei 10 anni, con l'avanzare dell'età si registra un aumento dell'incidenza con un età media alla diagnosi compresa tra 45 e 50 anni. Il tasso di malignità dei noduli è più elevato oltre i 60 anni. REGISTRO REGIONALE DEI TUMORI TIROIDEI U.O. Catania (Resp. prof. Riccardo Vigneri) U.O. Palermo Osp. V. Cervello (Resp. dott. Marco Attard) U. O. Palermo Università (Resp. prof.ssa Carla Giordano) U.O. Messina Università (Resp. prof. Francesco Trimarchi) O.E.R Assessorato Sanità Regione Sicilia ( Resp. dott.ssa Gabriella Dardanoni) La terapia radiometabolica con I131 nel carcinoma della tiroide Notiziario ATTA Umberto Ficola - U.O. di Medicina Nucleare e Terapia Radiometabolica Dipartimento Oncologico “La Maddalena” Palermo LA TERAPIA RADIOMETABOLICA CON I131 NEL CARCINOMA DELLA TIROIDE Il termine "nucleare" deriva dall'uso di radiazioni emesse dai nuclei di alcuni atomi radioattivi prodotti a scopo medico. Tali atomi vengono legati a diverse sostanze chimiche non tossiche che, dopo la loro somministrazione al paziente, per via orale o endovenosa, vengono incorporate nei processi metabolici in modo analogo a quelle assunte fisiologicamente e permettono di esaminare i meccanismi biochimico-metabolici che sono alla base delle funzioni vitali. Grazie al segnale che essi emettono, facilmente misurabile dall'esterno del corpo con apposita strumentazione, è possibile localizzarne la distribuzione nell'uomo, "fotografando" l'organo che si vuole esaminare. Le immagini che si ottengono, comunemente chiamate "scintigrafie", consentono di evidenziare, precocemente, molte modificazioni dello stato di salute. La Medicina Nucleare permette di riconoscere quindi le alterazioni funzionali, che spesso esprimono la malattia nella sua fase iniziale, fornendo al medico informazioni utili per un inquadramento diagnostico per la definizione di terapie, per i successivi controlli (follow-up) e a fini prognostici. I radiofarmaci impiegati sono inoltre privi di rischio tossico e non inducono manifestazioni di tipo allergico. Con il termine di terapia radiometabolica si indica la somministrazione di significative quantità di radioattività, sotto forma di radiofarmaci marcati con radioisotopi caratterizzati da un elevato potere irradiante, allo scopo di danneggiare focolai patologici insorti a carico di vari organi, nei quali gli stessi radiofarmaci si accumulano. Uno dei radiofarmaci di maggiore impiego è rappresentato dall'isotopo radioattivo dello iodio I131, disponibile in forma liquida o in capsule per ingestione orale. La terapia radiometabolica con I131 è indicata per l'ablazione del tessuto tiroideo residuo dopo tiroidectomia totale, per il trattamento di eventuali recidive, delle metastasi linfonodali loco-regionali e delle metastasi a distanza: infatti, una significativa percentuale di cellule tiroidee neoplastiche mantengono la capacità di captare ed utilizzare lo iodio per la sintesi ormonale. Dopo l'ingestione viene rapidamente assorbito nei primi tratti dell'intestino tenue: la terapia, tradizionalmente, viene eseguita con dosi di radioiodio comprese tra 30 e 100 mCi. In genere, prima della terapia, si esegue la misura della capacità di captazione dello I131 sulla regione del collo per avere una indicazione qualitativa e quantitativa del tessuto tiroideo residuo, utilizzando una dose 'traccia' non superiore a 50-100 uCi. La siderazione del residuo tiroideo con I131 ha diversi vantaggi: n diminuisce la frequenza di recidive e, secondo alcuni, anche la mortalità, eradicando foci anche microscopici di tumore all'interno del residuo; n facilita la precoce scoperta di recidive tramite il dosaggio della tireoglobulina circolante e l'esecuzione della scintigrafia globale corporea con I131, eliminando l'interferenza del tessuto tiroideo normale; n la scintigrafia corporea totale eseguita sfruttando la radioattività della dose ablativa permette di svelare metastasi locali e/o a distanza non sospettate al momento dell'intervento chirurgico. La terapia radiometabolica con I131 nel carcinoma della tiroide Notiziario ATTA Umberto Ficola - U.O. di Medicina Nucleare e Terapia Radiometabolica Dipartimento Oncologico “La Maddalena” Palermo Dal punto di vista pratico, la terapia ablativa si esegue 4-6 settimane dopo la tiroidectomia totale, senza che il paziente abbia intrapreso la terapia ormonale sostitutiva con L-Tiroxina. Laddove vi siano impedimenti ad eseguire la radioablazione entro questi termini, il paziente viene avviato alla terapia con L-tiroxina, che verrà comunque interrotta almeno 45 giorni prima dell'esecuzione della terapia: infatti, rispetto alle cellule tiroidee normali, le cellule tiroidee neoplastiche presentano una ridotta capacità di trasporto dello iodio, per cui è necessario ottenere una intensa stimolazione tireotropinica indicata da un incremento del valore di TSH in genere > 30 uUI/ml, indicativo del raggiungimento di un adeguato grado di 'avidità' da parte del tessuto tiroideo residuo o metastatico per lo iodio radioattivo. Durante questo periodo il paziente viene trattato con dosi giornaliere di triiodotironina comprese tra 40 e 60 mcg divise in tre somministrazioni, che vengono comunque sospese almeno 15 giorni prima dell'assunzione dello iodio radioattivo: in questo periodo i pazienti sviluppano segni e sintomi dell'ipotiroidismo. Attualmente, lo stato di ipotiroidismo necessario per l'esecuzione della terapia radioablativa può essere indotto mediante l'utilizzo del TSH umano ricombinante (ThyrogenR), una preparazione di TSH umano ottenuto con la metodica del DNA ricombinante, che viene somministrata per via i.m. nei due giorni precedenti l'assunzione della dose terapeutica di radioiodio, consentendo comunque la somministrazione quotidiana di L-tiroxina, per cui il paziente non svilupperà la sintomatologia legata alla deprivazione dell'ormone tiroideo. La scintigrafia corporea totale (WBS) viene eseguita a distanza di 3-7 giorni dalla somministrazione della dose terapeutica di radioiodio. Inoltre durante il periodo antecedente l'esecuzione della terapia, il paziente dovrà evitare l'assunzione di sostanze contenenti dosi farmacologiche di iodio stabile: infatti un carico di iodio potrebbe indurre saturazione delle cellule tiroidee precludendo la successiva captazione di I131. Tale parametro può essere valutato con il dosaggio della ioduria, che deve mantenersi < 250 mcg/l. L'efficacia del trattamento ablativo viene verificata 6-12 mesi dopo l'esecuzione dello stesso, mediante l'esecuzione dell'esame scintigrafico o tramite il dosaggio della tireoglobulina adeguatamente stimolata dalla somministrazione del TSH umano ricombinante. In considerazione della dose di radioiodio assunta, per motivi di radioprotezione, la terapia radiometabolica viene effettuata in regime di ricovero protetto, in opportune stanze di degenza dotate di speciali elementi di schermatura per le radiazioni e di un impianto fognario dedicato alla raccolta di rifiuti biologici radioattivi. Durante il ricovero, il paziente osserverà alcune semplici norme precauzionali, volte a contenere l'esposizione alle radiazioni del personale medico e paramedico nonchè della popolazione generale (non potrà, per esempio, ricevere visite). La degenza del paziente ha una durata di 3-5 giorni, intervallo di tempo durante il quale avviene l'eliminazione, per via urinaria ed intestinale, della quota maggiore del radioattivo: infatti il paziente viene sottoposto quotidianamente a misurazione della radioattività, e quando il livello obiettivato scende al di sotto dei limiti di legge il paziente potrà essere dimesso. Il periodo di dimezzamento fisico dello iodio radioattivo è, tuttavia, di circa 8 giorni: ciò significa che la metà della quota assunta entro quest'arco di tempo viene trasformata in un prodotto del catabolismo, che si chiama xenon-131, che viene rapidamente eliminato dal corpo. Inoltre, le cellule tiroidee danneggiate perdono la loro capacità di metabolizzare lo iodio, e di conseguenza esso ritorna nel flusso sanguigno e viene poi eliminato. Di conseguenza, per alcuni giorni, sarà opportuno proteggere familiari, colleghi ed amici dall'esposizione alla quota eventualmente residuata nel suo organismo, osservando alcune semplici precauzioni: La terapia radiometabolica con I131 nel carcinoma della tiroide Notiziario ATTA Umberto Ficola - U.O. di Medicina Nucleare e Terapia Radiometabolica Dipartimento Oncologico “La Maddalena” Palermo 1. Per circa una settimana, sarà opportuno bere 2-3 litri di acqua al giorno, ed in caso di stipsi fare uso di blandi lassativi: ciò faciliterà l'eliminazione dello iodio radioattivo non captato dal tessuto o dalle cellule tiroidee, riducendo così l'eventuale irradiazione degli organi interni. Dopo l'uso, lavare accuratamente con acqua i servizi igienici ed utilizzare biancheria da bagno personale. 2. In caso di comparsa, nei giorni immediatamente successivi all'assunzione dello iodio radioattivo, di nausea, dolenzia, o tumefazione a carico della regione anteriore del collo, su prescrizione medica, si potranno assumere farmaci ad azione antiemetica, antinfiammatoria o antiedemigena. 3. Non sedersi e non stazionare vicino al altre persone sia in casa che a lavoro: è opportuno rispettare una distanza di almeno un metro per brevi periodi di tempo, e di almeno due metri per periodi di tempo superiori ad un'ora. 4. Per quanto concerne il proprio partner, ogni contato ravvicinato deve essere limitato a non più di mezz'ora al giorno, evitando comunque rapporti intimi per almeno 10 giorni dopo l'assunzione dello iodio radioattivo. Si consiglia, inoltre, di dormire in letti separati, distanti almeno due metri, anche se vi è una parete divisoria in mezzo, poiché le pareti di casa non forniscono alcuna protezione dalle radiazioni ionizzanti: in particolare queste precauzioni vanno osservate per i primi 8 giorni se il partner ha un'età inferiore a 60 anni, mentre per gli ultrasessantenni il rischio è notevolmente inferiore, per cui non sono necessarie precauzioni speciali. 5. I bambini di età inferiore a tre anni ed i feti sono le categorie maggiormente esposte dal punto di vista dei rischi legati all'irradiazione, per cui qualsiasi contatto con donne in gravidanza va minimizzato, rimanendo ad una distanza di almeno due metri per i primi 28 giorni dall'assunzione dello iodio radioattivo. Analogamente, è opportuno evitare tutti i contatti non necessari soprattutto con bambini di età inferiore ai dieci anni, mantenendo una distanza non inferiore a due metri, almeno per i primi 12 giorni dall'assunzione dello iodio radioattivo; in particolare i bambini di età inferiore a tre anni dovrebbero essere accuditi presso familiari o amici per almeno 28 giorni. Infine, poiché una seppur minima quantità di iodio radioattivo può persistere nell'organismo fino ad 8 mesi dopo l'assunzione, per tutto questo periodo è opportuno adoperare misure anticoncezionali. Si ricorda, inoltre, che lo iodio radioattivo contamina il latte materno per lunghi periodi di tempo, per cui l'allattamento è assolutamente controindicato. 6. Si possono ricevere visite brevi, cioè della durata inferiore a due ore, mantenendo comunque una distanza non inferiore a due metri ed evitando contatti ravvicinati. 7. Non vi sono controindicazioni all'attività lavorativa, mantenendo comunque una distanza di almeno due metri dai colleghi per almeno 8 giorni; se l'attività lavorativa presuppone contatto con bambini, è opportuno astenersi per almeno 28 giorni. 8. E' opportuno evitare di frequentare cinema o locali pubblici, o di partecipare ad eventi sociali che comportino contatti ravvicinati con altre persone per più di un'ora 9. E' consigliabile evitare di utilizzare mezzi di trasporto pubblici per i primi 13 giorni dopo l'assunzione dello iodio radioattivo; viaggi lunghi dovrebbero essere fatti solo se indispensabili. 10. Il paziente può tornare a casa con un mezzo privato, viaggiando solo con un'altra persone e sedendo l'uno davanti e l'altro dietro, ai lati opposti dell'autoveicolo. 11. Si può utilizzare la stessa toilette di cui si servono altre persone, avendo cura di evitare qualsiasi dispersione di urine: per cui è imporante urinare seduti, azionare più volte lo sciaquone, e lavare subito e accuratamente le mani. 12. Poiché lo iodio radioattivo viene eliminato dal corpo anche attraverso la saliva e il sudore, è opportuno utilizzare stoviglie e bicchieri monouso almeno per la prima settimana dopo l'assunzione di I131, nonchè La terapia radiometabolica con I131 nel carcinoma della tiroide Notiziario ATTA Umberto Ficola - U.O. di Medicina Nucleare e Terapia Radiometabolica Dipartimento Oncologico “La Maddalena” Palermo lenzuola ed asciugamani assolutamente personali tenendo conto che dopo il lavaggio saranno completamente sicuri e non è quindi necessario eliminarli. 13. In caso di ricovero imprevisto in ambiente ospedaliero, informare subito il personale medico e paramedico che siete stati recentemente sottoposti a terapia con iodio radioattivo scintigrafia total body I131 La terapia radiometabolica con I131 è dunque un mezzo estremamente efficace, in genere ben tollerato, e relativamente privo di effetti indesiderati nel trattamento del carcinoma tiroideo differenziato. Nella pratica clinica la sua esecuzione viene accuratamente valutata, programmata e gestita tenendo conto delle caratteristiche del singolo paziente in termini di sesso, età ed esame istologico, grazie alla collaborazione di un team multidisciplinare, il cui elemento fondamentale è rappresentato dall'interazione tra l'endocrinologo ed il medico nucleare. La terapia radiometabolica con I131 nel carcinoma tiroideo Notiziario ATTA Simona Merlino - U.O. di Medicina Nucleare e Terapia Radiometabolica Dipartimento Oncologico 'La Maddalena' - Palermo LA TERAPIA RADIOMETABOLICA CON I131 NEL CARCINOMA TIROIDEO: NOTE PRATICHE DI ESECUZIONE ED EFFETTI AVVERSI. La terapia radiometabolica con I131 è un'arma di estrema efficacia nel trattamento del carcinoma tiroideo differenziato, in quanto consente l'eradicazione di foci neoplastici residui anche microscopici nonchè il trattamento di eventuali secondarismi iodocaptanti. Al fine di ottimizzare per ogni paziente tempi e modi di esecuzione del trattamento, ogni singolo caso clinico viene accuratamente studiato grazie all'interazione tra il personale medico dell'U.O. di Terapia Radiometabolica e del Centro Endocrinologico di riferimento, In particolare, il paziente, il cui ricovero viene programmato con adeguato anticipo dal centro endocrinologico di riferimento, viene contattato e sottoposto a visita medico-nuclare pretrattamento: durante questo colloquio, in considerazione di parametri quali sesso, età, esame istologico, condizioni cliniche del paziente, dosaggio della tireoglobulina, eventuali patolgie correlate, il medico nucleare ha la possibilità di valutare la dose di I131 ottimale per il paziente. Inoltre il paziente stesso viene informato relativamente alle modalità di esecuzione del ricovero, alla durata della degenza ed alle norme di radioprotezione cui dovrà attenersi. All'atto del ricovero, i pazienti degenti presso la nostra U.O. di Terapia Radiometabolica, previa somminitrazione del radiofarmaco, vengono sottoposti ad accurata valutazione delle condizioni cliniche generali e dei parametri ematochimici. In particolare si effettua: n l'esame obiettivo, con valutazione di peso, altezza, PAO, temperatura corporea; n prelievo venoso per valutazione di: emocromo, funzionalità epatica e renale, elettroliti sierici, calcemia e fosforemia, es. urine, TSH, tireoglogulina, Ab-Tireoglobulina; n ECG e visita cardiologica; Laddove le condizioni cliniche e gli esami ematochimici del paziente risultino adeguati, ed il valore del TSH sia sufficientemente elevato, viene effettuata la somministrazione del radioiodio. Si tratta di un trattamento ben tollerato dal paziente che, nella maggior parte dei casi, non lamenta effetti collaterali o avversi. Inoltre il paziente viene supportato mediante la somministrazione precauzionale di alcuni farmaci (steroide ed antistaminico in fase di preparazione alla somministrazione del radiofarmaco, antiemetico e gastroprotettore successivamente). Il radiofarmaco I131 può, tuttavia, presentare effetti collaterali o indesiderati, la cui incidenza è comunque estrememente limitatata. Tali effetti si distinguono in precoci e tardivi. n effetti collaterali precoci: l dolenzia a livello della loggia tiroidea: è legata all’infiammazione attinica dei residui tiroidei, e si manifesta in genere tra i I e il X giorno dalla somministrazione dello I131; La terapia radiometabolica con I131 nel carcinoma tiroideo Notiziario ATTA Simona Merlino - U.O. di Medicina Nucleare e Terapia Radiometabolica Dipartimento Oncologico 'La Maddalena' - Palermo l anomalia o perdita temporanea del gusto e/o dell’olfatto: si verifica nel 25-50% dei casi, può manifestarsi sia precocemente che tardivamente e perdurare a lungo; l nausea e vomito, che si manifestano in genere nelle prime 24-48 ore; l sialoadenite: si verifica nel 10-60% dei pazienti, e sono più colpite le parotidi, per la presenza di cellule l l l l n duttali che concentrano in maggior misura lo ioidio rispetto al tessuto mucoso prevalente nelle ghiandole sottomandibolari. La sintomatologia può essere mono- o bilaterale ed è caratterizzata da dolore, tumefazione delle ghiandole interessate, secchezza delle fauci, disgeusia, che si manifestano tra il I ed il X giorno dall’assunzione dello iodio e possono perdurare per anni, con cronica secchezza delle mucose fino alla xerostomia; xeroftalmia: il 25% circa dei pazienti trattati lamenta secchezza oculare ed il 18% presenza riduzione della lacrimazione dopo un anno dal trattamento; a tre anni dal trattamento fino al 7.6% dei pazienti può presentare congiuntivite sicca persistente; alopecia: rara e transitoria, si ritiene sia legata all’ipotiroidismo più che all’azione del radioiodio; riduzione della funzionalità emopoietica, in genere a risoluzione spontanea; cistite e gastrite attinica, emorragie intralesionali, complicanze neurologiche, dovute all’improvviso incremento volumetrico del tessuto metastatico; danni tardivi: possono instaurarsi dopo anni dal trattamento e si distinguono in danni di tipo deterministico, correlati all’entità della dose cumulativa assorbita a livello dei tessuti bersaglio (polmoni, midollo emopoietico), e di tipo stocastico, relativi cioè al rischio di induzione di altre neoplasie o di difetti genetici nei discendenti: in realtà, il rischio che la terapia con I131 induca un secondo carcinoma o una leucemia è molto limitato, ma non assente, ed è proporzionale all’attività cumulativa di I131 somministrata. I dati attualmente disponibili non concordano sulle sedi a maggior rischio, ma sembra confermata la suscettibilità all’induzione neoplastica delle sedi di fisiologico accumulo del radioiodio, quali le ghiandole salivari o il tratto gastroenterico; la leucemogenesi, invece, sembra fortemente connessa alla somministrazione di elevate attività cumulative di I131 (> 18.5 GBq pari a 500 mCi), ed è probabile un effetto cumulativo legato ad eventuale associazione con radioterapia esterna. Per quanto riguarda invece il rischio genetico, studi condotti su discendenti di pazienti trattati con I131 non hanno evidenziato un incremento significativo di malformazioni, ma solo un aumento degli aborti spontanei in caso di terapia con dosi elevate di I131 nell’anno precedente il concepimento. L'insorgenza di tali effetti può tuttavia essere fortemente limitata mediante l'applicazione di misure precauzionali che tendano a limitare l’accumulo di radioiodio negli organi sani, quali l’induzione della salivazione, l’idratazione, la minzione frequente e l’uso di blandi lassativi. Altrettanto imporante è limitare l’attività cumulativa somministrata a < 30 GBq (< 800 mCi) ed interporre tra ogni ciclo di terapia un intervallo di tempo non inferiore ad un anno: durante questo periodo il paziente verrà sottoposto a monitoraggio dell’attività emopoietica attraverso l'esecuzione ripetuta periodicamente dell'esame emocromocitometrico, nonchè mediante il dosaggio del marcatore oncologico specifico. Il tsh ricombinante umano (rhtsh) Notiziario ATTA Adele Maniglia - U.O. di Endocrinologia - A.O. “V. Cervello - Palermo IL TSH RICOMBINANTE UMANO (rhTSH) La determinazione della tireoglobulina sierica e la scintigrafia total body costituiscono lo standard nel follow up dei pazienti con carcinoma differenziato della tiroide. Tale procedura richiede il raggiungimento di alti livelli di TSH endogeno tali da stimolare la secrezione di tireoglobulina e la captazione del radioiodio da parte del tessuto neoplastico. L’incremento dei valori di TSH (>25 mcU/ml) aumenta l’uptake dello 131I e magnifica la produzione e la secrezione di hTg. Tale effetto, che si esplica sul residuo ghiandolare, sul tessuto neoplastico recidivato e/o residuato in loggia tiroidea e sulle metastasi, può essere sfruttato per finalità diagnostiche e terapeutiche. L’elevazione dei livelli di TSH si può ottenere attraverso due vie: a) ipotiroidismo, b) uso dell’rhTSH. Nel primo caso è necessaria una sospensione della l-tiroxina per 4-6 settimane, successiva sospensione della triiodo-tironina (che si assume al posto del primo ormone) per 2-3 settimane con la conseguente comparsa di una serie di effetti collaterali collegati alla deprivazione dell’ormone. Nel secondo caso basta somministrare il TSH ricombinante umano (Thyrogen). Negli ultimi anni la disponibilità dell’rhTSH ha reso possibile l’utilizzazione sempre più frequente di questa seconda modalità. L’alfa TSH è una glicoproteina sintetizzata con la tecnica del DNA ricombinante da una linea cellulare di ovaio di hamster, geneticamente modificata; il rhTSH è altamente purificato e presenta le stesse proprietà biologiche del TSH nativo. Secondo i principali risultati degli studi il TSH ricombinante umano assicura efficace stimolazione dell’uptake dello 131I e consente quindi di eseguire una scintigrafia Total body attendibile, stimola efficacemente la produzione e la secrezione di hTg aumentando la sensibilità del dosaggio rispetto a quello effettuato in corso di terapia soppressiva, consente di individuare tutti i pazienti con malattia metastatica Il protocollo diagnostico dell’rhTSH prevede la Campo operatorio dopo tiroidectomia totale e linfectomia Il tsh ricombinante umano (rhtsh) Notiziario ATTA Adele Maniglia - U.O. di Endocrinologia - A.O. “V. Cervello - Palermo somministrazione i.m. di due fiale di rhTSH in due giorni consecutivi (I e II giornata) mantenendo la terapia con ltiroxina e determinando i valori di Tg basali (in I giornata) e in III e V giornata dopo lo stimolo. In III giornata va somministrata la dose diagnostica di 131I finalizzata all’effettuazione contemporanea della scintigrafia Total body (V giornata). Nel corso della rivalutazione del paziente viene effettuata l’ecografia del collo che mantiene sempre un ruolo prioritario nella diagnosi precoce delle recidive neoplastiche locoregionali, anche quando il “marker” bioumorale (tireoglobulina) è negativo. La valutazione dopo lo stimolo con rhTSH si basa quindi sulla determinazione della Tg ed eventualmente sulla effettuazione della scintigrafia total body. L’uso dell’rhTSH rispetto all’ipotiroidismo quindi permette di evitare l’insorgenza dei disturbi dipendenti dalla prolungata fase di ipotiroidismo, è perciò meglio tollerato e pressocchè privo di effetti collaterali, evita concentrazioni elevate di TSH endogeno che potrebbero stimolare la crescita tumorale, riduce i tempi di effettuazione delle valutazioni, da la certezza di ottenere livelli sufficientemente elevati di TSH, elimina i problemi correlati alla bassa compliance di alcuni pazienti (errori nelle modalità di sospensione della terapia …..), non riduce la clearance dello 131I che viene quindi eliminato più velocemente dal paziente. Studi recenti hanno dimostrato che la sensibilità del dosaggio della Tg dopo lo stimolo con rhTSH è altamente superiore alla stessa scintigrafia nell’individuare recidiva di malattia pertanto sempre più frequentemente il test con rhTSH viene effettuato dosando solo la hTg e non sottoponendo il paziente a scintigrafia Total body tranne in casi selezionati (positività per AAT…). Qualunque sia la “conclusione” della rivalutazione dopo stimolo con rhTSH, il paziente resterà comunque in osservazione e sarà ricontrollato periodicamente. Ecografia: paziente tiroidectomizzato Chirurgia della Tiroide Notiziario ATTA Salvo Ferrara, Gaspare Solina, Armando Speciale, Giuseppe Termine U.O. Chirurgia Generale II A.O. "V. Cervello" Palermo CHIRURGIA DELLA TIROIDE La chirurgia della tiroide comprende essenzialmente due tipi d’intervento: Emitiroidectomia: asportazione di metà tiroide. Tiroidectomia: asportazione di tutta la tiroide. L'approccio chirurgico può essere tradizionale attraverso un taglio alla base del collo di alcuni cm oppure mininvasivo (dal 1998 alcuni interventi di emitiroidectomia e di tiroidectomia per ghiandole di piccole dimensioni possono essere eseguiti anche con tecniche endoscopiche, la più affermata delle quali è la Tiroidectomia videoassistita o MIVAT (Mini-Invasive Video Assisted Thyroidectomy che significa tiroidectomia mini-invasiva videoassistita) attualmente eseguita da pochi centri per la controversa utilità. La tiroidectomia totale è l'intervento chirurgico per l'asportazione della tiroide in maniera completa. Questo intervento viene eseguito comunemente per gozzo multinodulare, tumore della tiroide e ipertiroidismo (malattia di Graves-Basedow nei casi non passibili di terapia radiometabolica, struma basedowizzato). La tecnica chirurgica prevede una dissezione extracapsulare della tiroide con interruzione dei peduncoli vascolari (che possono venire legati o coagulati con apparecchi che coagulano e tagliano i vasi venosi e arteriosi) e preservazione delle ghiandole paratiroidi (generalmente due per lato) e dei nervi laringei inferiori o ricorrenti (uno per lato) che determinano l’articolazione della voce. In alcuni casi di tumori si effettua anche una linfectomia (asportazione di linfonodi) latero cervicali e/o del comparto centrale. L'intervento si conclude con la ricostruzione del piano muscolare (muscolo sternoioideo e sternotiroideo) e con la sutura del piano sottocutaneo e della cute. Secondo i casi vengono posizionati uno o due drenaggi in aspirazione, lateralmente alla ferita per rimuovere eventuali secrezioni sierose ed ematiche nelle logge. Il drenaggio abitualmente si rimuove dopo 24-48 ore. Complicazioni della tiroidectomia totale: Una delle complicanze immediate è l'emorragia (il sangue si può raccogliere nel collo e comprimere le vie respiratorie) in tal caso il paziente è rioperato immediatamente per decomprimere la trachea ed eseguire l’emostasi. Raramente vi sono perdite di entità tale da richiedere una trasfusione di sangue. Altra complicanza è l'ipoparatiroidismo (consiste nella scarsa funzionalità delle ghiandole paratiroidi, deputate a mantenere un adeguato livello di calcio nel sangue). Dopo tiroidectomia l'ipoparatiroidismo si verifica frequentemente poiché le ghiandole paratiroidi condividono gli stessi vasi che nutrono la tiroide e che sono sezionati per asportarla. L'ipoparatiroidismo di manifesta con formicolii alle dita delle mani o attorno alla bocca (in gergo tecnico chiamate "parestesie") e solo eccezionalmente con tetania (contrazione involontaria dei muscoli) che è trattato con infusione di calcio. Altra complicanza è la lesione di uno o di entrambi i nervi laringei inferiori o ricorrenti. Attenzione: è molto probabile che dopo l'intervento si abbia sia un calo della voce sia un'ipocalcemia. Queste condizioni sono temporanee nella stragrande maggioranza dei casi, quindi se accadono non bisogna all’armarsi troppo. Le lesioni permanenti, in mano ad un buon chirurgo, sono molto rare ma possono sempre verificarsi. Chirurgia della tiroide e alterazioni della voce Notiziario ATTA Federico Ingria - Otorinolaringoiatra CHIRURGIA DELLATIROIDE E ALTERAZIONI DELLAVOCE Negli ultimi anni la diffusione e l’incremento degli interventi di chirurgia cervicale e toracica per patologie della tiroide, delle paratiroidi, dell’esofago, della trachea, e dei linfonodi cervico-mediastinici ha portato l’eziologia iatrogena al primo posto fra le cause di paralisi delle corde vocali. Le paralisi laringee possono essere mono o bilaterali e possono riguardare il nervo laringeo superiore o il nervo laringeo inferiore (nervo ricorrente) il cui interessamento determina il tipo più frequente di paralisi della corda vocale (paralisi ricorrenziale). Attualmente le paralisi cordali si verificano , in seguito ad interventi sulla tiroide , con una frequenza variabile tra lo 0,3% e il 3-4% e diventa più frequente nei casi di intervento per recidiva neoplastica (10-15%). La causa del danno chirurgico è spesso legata a varianti di decorso anatomiche o patologiche del nervo per cui può avvenire, in fase operatoria o postoperatoria, la sezione, la lacerazione, la compressione, lo schiacciamento o lo stiramento del nervo stesso. La lesione del nervo determina la paralisi di tutti i muscoli della corda vocale ad eccezione del crico-tiroideo (innervato dal laringeo superiore) con corda vocale vera ferma in posizione paramediana e notevole alterazione della voce (disfonia) che può essere soffiata, diplofonica, rauca, di intensità ridotta, talvolta associata a disfagia e a lieve dispnea. Decorso dei nervi laringei superiore ed inferiore di destra Tali sintomi necessitano di una approfondita valutazione otorinolaringoiatrica e foniatrica fondata sulla videolaringoscopia a fibre ottiche rigide o flessibili, sulla laringostroboscopia, sull’analisi elettroacustica della voce. Questi esami consentono oltre la diagnosi anche la possibilità di definire un adeguato protocollo terapeutico e la successiva valutazione dei risultati ottenuti. In molti casi si osserva, nelle prime settimane successive all’intervento, una regressione della paralisi con recupero spontaneo della voce. In altri casi, pur non regredendo la paralisi, si osserva comunque un miglioramento della voce per compenso della corda vocale sana. Nell’uno e nell’altro caso e comunque anche nei casi in cui non si osserva alcun miglioramento della voce la terapia d’elezione della paralisi ricorrenziale monolaterale è la terapia logopedica che attraverso adeguati esercizi di respirazione e fonazione favorisce il compenso funzionale della corda vocale sana. In alcuni casi, infine, è possibile ricorrere ad un trattamento di tipo fonochirurgico che può consentire un buon recupero funzionale della voce anche quando la terapia logopedica non ha sortito risultati positivi. L’importanza della voce ai fini di un corretto equilibrio psichico e di più agevoli contatti sociali e lavorativi giustifica, pertanto, la piena collaborazione dell’endocrinologo e del chirurgo con l’otorino-foniatra ed eventualmente con il logopedista ai fini di una corretta diagnosi e di un adeguato protocollo terapeutico nei casi di alterazione della voce dopo chirurgia tiroidea. L'agobiopsia ecoguidata per esame citologico Notiziario ATTA Gianluigi Savoia - Endocrinologo L'AGOBIOPSIA ECOGUIDATA PER ESAME CITOLOGICO DIAGNOSTICA DELLA PATOLOGIA NODULARE TIROIDEA: Introduzione La biopsia mediante ago sottile della tiroide per esame citologico, sintetizzata nell'acronimo anglosassone FNAB (fine needle aspiration biopsy), é l'esame diagnostico che negli ultimi dieci anni, grazie alla relativa semplicità di esecuzione, alla sensibilità diagnostica ed all'ideale rapporto costo-beneficio, è divenuto "centrale" nell'approccio alle tumefazioni tiroidee. L'esame citologico del materiale ottenuto permette, con una buona accuratezza, di distinguere noduli benigni da noduli tiroidei sospetti o maligni evitando quindi "inutili" interventi alla tiroide; ciò ha portato ad una riduzione fino al 75 % degli interventi alla tiroide. Inoltre l'uso intensivo dell'ecotomografia nella diagnostica tiroidea ha portato ad un importante cambiamento nella tecnica di esecuzione dell'esame tant'é che oggi, la FNAB costituisce sempre di più un binomio inscindibile con l'esame ecotomografico. La tecnica Per l'aspirazione eco-guidata si usano sonde ecografiche da 7.5 o da 10 Mhz come "assistenza" all'aspirazione tanto che è più corretto parlare di agoaspirato eco-assistito (piuttosto che eco-guidato) distinguendolo dall'agoaspirato convenzionale. La tecnica prevede, dopo l'individuazione della formazione focale da sottoporre a biopsia, l'introduzione dell'ago che viene fatto scorrere lungo il bordo superiore o inferiore della sonda. Sul monitor vengono visualizzati gli echi generati dalla punta dell'ago e in agoaspirato ecoguidato questo modo é possibile indirizzare l'aspirazione verso le aree più significative. L'aspirazione viene condotta con un ago da 23 gauge montato su una siringa da 5, da 10 o da 20 ml; la siringa può essere montata su una pistola da aspirazione (CAMECO) (fig.2). Gli strisci vengono generalmente colorati sia con il metodo May Grunwald-Giemsa (strisci essiccati all'aria) sia con il metodo Papanicolau (strisci fissati in alcool); la preferenza verso l'una o l'altra colorazione è legata all'esperienza del citologo ma è importante sottolineare come la prima colorazione rende ben evidente la colloide e le cellule linforeticolari, la seconda la struttura cromatinica del nucleo cellulare. Inoltre il fissaggio in alcool permette di procedere eventualmente alle colorazioni immunocitochimiche. Complicanze La complicanza più rilevante della FNAB è il dolore locale o irradiato; questo, talvolta, può essere molto intenso e durare alcuni giorni. Il dolore dopo l'aspirazione è legato al formarsi di ematomi sottocapsulari o sottocutanei. Tale L'agobiopsia ecoguidata per esame citologico Notiziario ATTA Gianluigi Savoia - Endocrinologo spiacevole quanto imprevedibile effetto collaterale è presente, nella nostra casistica, in circa il 4% dei casi. L'aspirazione può inoltre indurre necrosi, infarcimento emorragico del nodulo e variazioni volumetriche dello stesso. ma l'ago sottile genera, di solito, un trauma assolutamente minimo. Infine l'impianto lungo il tragitto dell'ago di cellule neoplastiche deve essere considerato un "complicanza" assolutamente eccezionale; da segnalare comunque che, nella nostra casistica, sono presenti due casi di metastasi sottocutanee avvenute dopo aspirazioni di carcinomi anaplastici. La FNAB ecoguidata L'assistenza ecotomografica riduce due tra i maggiori problemi della FNAB: i prelievi inadeguati e i falsi negativi. L'ecotomografia può essere di grande aiuto evitando le aree calcifiche e di fibrosi "guidando" correttamente l'ago nell'area da esaminare e permette: a) di visualizzare e quindi campionare aree focali non altrimenti individuabili (a tal proposito è stato riportato che nel 40% circa di tiroidi con un solo nodulo palpabile l'ecografia dimostra la presenza di patologia multinodulare); b) di effettuare prelievi mirati nelle aree solide o comunque ecograficamente più "interessanti" delle grosse formazioni focali disomogenee. Per quanto riguarda la diminuizione dei risultati inadeguati, l'aspirazione ecoguidata porta ad una diminuizione dei falsi negativi e ad un miglioramento della sensibilità e della specificità media che va dal 2% al 15% circa. L'osservazione del materiale ottenuto con la FNAB ecoguidata ha permesso inoltre di verificare come, alcuni parametri ecografici specie se associati (fra questi ricordiamo la presenza di microcalcificazioni e le irregolarità - o l'assenza - dei margini focali e la presenza di flussi ematici disordinati all'interno della formazioni nodulari), corrispondano citologicamente ad una diagnosi di sospetto o di franca malignità e come, invece, alcuni "segni" ecografici (contenuto cistico e multinodularietà), prima ritenuti rassicuranti in assoluto, possano corrispondere a patologia neoplastica. La classificazione dei risultati Una classificazione semplificata e di facile interpretazione divide i risultati degli esami citologici in: Esami citologici "benigni": tale diagnosi viene fatta in circa l'80 % dei noduli sottoposti a FNAB. Esami citologici indeterminati/sospetti: gli strisci appartenenti a tale categoria costitutiscono dal 15% al 30% di tutti gli agoaspirati. Nel gruppo degli esami indeterminati/sospetti si pongono le diagnosi di proliferazione follicolare (o neoplasia follicolare) che costituiscono la zona "grigia" dell'esame citologico poiché al suo interno sono spesso comprese le diagnosi istologiche di adenoma follicolare (circa il 15% di tutti i noduli tiroidei) ma anche di carcinoma follicolare ben differenziato (circa l'1% dei noduli tiroidei). Esami citologici maligni: in tale categoria si pone il 5 % delle diagnosi citologiche. Esami citologici inadeguati: tale "conclusione non diagnostica" è opportuna là dove l'esiguità del materiale aspirato, spesso dovuta all'inquinamento ematico o alle zone di fibrosi, non permette di esprimere un giudizio certo. Il limite della citologia: i noduli sospetti. Altre tecniche diagnostiche Dal 15 al 30% dei noduli tiroidei viene classificato citologicamente sospetto o indeterminato e fino al 24% di questi noduli risulta istologicamente maligno. Il Clinico si trova quindi nel dilemma se avviare tutti i pazienti con tale diagnosi al tavolo operatorio (anche se circa il 90 % di questi casi risulta poi "benigno" all'esame istologico), oppure "sottovalutare" la diagnosi inserendo i pazienti in follow up citologico "breve". L'agobiopsia ecoguidata per esame citologico Notiziario ATTA Gianluigi Savoia - Endocrinologo Le diagnosi che più frequentemente vengono definite sospette, come detto, sono quelle di proliferazione follicolare e di proliferazione a cellule di Hurthle. In tutti e due i casi vi è l'impossibilità a distinguere citologicamente tra neoplasia maligna (il carcinoma follicolare ben differenziato, la variante follicolare del carcinoma papillare e il carcinoma a cellule di Hurthle) e l'adenoma follicolare benigno (ed in certi casi anche l'iperplasia follicolare nodulare); inoltre nel caso della neoplasia a cellule di Hurthle, la diagnosi differenziale si può porre nei confronti della tiroidite di Hashimoto a ricca componente epiteliale. Per tutti questi motivi, nel corso degli anni, sono stati ricercati parametri citologici che potessero con ragionevole accuratezza operare una distinzione diagnostica; lo studio morfometrico dei nuclei e la misurazione del DNA sono stati di fatto abbandonati per i mediocri risultati raggiunti mentre sempre maggiore risalto viene dato a vere e propri "marcatori" molecolari evidenziabili attraverso l'immunocitochimica e le tecniche di biologia molecolare. Met, Telomerasi, Perossidasi tiroidea, sono le molecole che più spesso sono state prese in considerazione con buoni risultati in termini di specificità e sensibilità ma é soprattutto la Galectina-3 il marcatore che sembra possedere i requisiti più interessanti. Tale proteina coinvolta nella interazione tra cellule e matrice extracellulare, sembra essere espressa solo nel citoplasma di tireociti che hanno subito una trasformazione maligna. In uno studio multicentrico effettuato su 1000 noduli tiroidei, attraverso un approccio immuno-citochimico ed utilizzando un anticorpo monoclonale specifico si sono ottenuti valori di sensibilità del 99% e di specificità del 98%. esame citologico di tumore tiroideo Note Notiziario ATTA