Pier Davide Guenzi Statuto epistemologico della

12/11/2016
Pier Davide Guenzi
Statuto epistemologico
della bioetica
Master Universitario in Bioetica
I anno
Torino, 12 novembre 2016
1. Epistemologia
• L’epistemologia è l’indagine critica non in merito
ai contenuti di una scienza, ma sulla forma e
struttura logica di un particolare sapere
scientifico.
• «Indagare sulla struttura logica di una singola
scienza significa indagare sulla condizione
indispensabile del suo esistere in quanto
scienza e in quanto scienza distinta da altre
scienze. Condizione indispensabile dell’esistere
di una scienza, infatti, è la specificità del suo
statuto epistemico, che costituisce al tempo
stesso il principio di identità e quello di diversità
della stessa singola scienza» (S. Privitera)
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2. Un dubbio epistemologico
fondativo
• La bioetica nasce con un’incertezza
relativamente al suo statuto di sapere e
sulla specificità del suo contributo
scientifico.
• Tre tesi:
– Continuità
– Rottura
– Tipicità di un sapere “post-moderno”
2.1 La tesi della continuità
• La “cosa” ha preceduto il “nome”.
• La condensazione del problema durante il
processo di Norimberga e la «Dichiarazione dei
diritti dell’uomo» (1948).
• La rinascita dell’etica tradizionale di matrice
ippocratica negli anni ’50.
• La ripresa di interesse per il giusnaturalismo.
• Non una nuova disciplina, ma in continuità con
la tradizionale etica medicale, sostenuta dalla
consapevolezza
per
la
necessaria
regolamentazione delle nuove pratiche biomediche.
• In questa linea si pongono di preferenza gli
studiosi di matrice cattolica (cfr. Sgreccia).
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2.2 La tesi della rottura
• La bioetica è un caso-test dell’emergenza di una
nuova etica connessa con il processo di
democratizzazione della società occidentale e
con i cambiamenti del senso morale comune
compiutosi negli anni ’60 del XX secolo,
particolarmente
nell’ambito
sessuale
e
procreatico.
• Ciò porta, insieme con l’insostenibilità della base
giusnaturalistica, la critica ad una comprensione
“sacrale” della vita umana, cui occorre opporre
l’idea della “qualità della vita” e la tutela di
espressione delle libertà individuali.
• In questa linea si pongono maggiormente gli
interpreti “laici” della bioetica (cfr. in Italia S.
Maffettone, M. Mori).
2.3 La tesi “post-moderna”
• Considera la bioetica come una forma di sapere
che nasce dalle ceneri del progetto illuministico
di costituire un ordine morale razionale e
universale, alternativo a quello posto da una
fede religiosa, e che vorrebbe porsi come unica
possibile alternativa al nichilismo.
• Nell’arcipelago politeista dei valori e dei sistemi
etici è possibile tracciare una rotta, stabilendo
una morale procedurale che lasci intatte le
convinzioni dei singoli agenti.
• In questa linea si colloca la proposta di H.T.
Engelhardt jr.
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3. Un dubbio epistemologico
persistente
• Bioetica come campo applicativo della filosofia
morale
• Bioetica come disciplina autonoma dotata di una
sua propria specificità discorsiva che non
coincide con la “filosofia morale”.
• Tuttavia, «particolarmente stretto è il legame fra
bioetica e filosofia, dovuto alla natura etica dei
problemi bioetici e al carattere esistenziale dei
suoi dilemmi», implicanti, dunque, un orizzonte
filosofico di base e una connessa visione
complessiva del mondo (G. Fornero).
• «La bioetica si interroga sulla vita e lo fa a
partire dai valori, dai linguaggi e dalle tradizioni
culturali e spirituali degli uomini.
• Il progresso sposta ogni giorno la frontiera di ciò
che possiamo, mentre crescono le differenze e i
conflitti su quel che vogliamo, che dovremmo
fare.
• Le domande della bioetica nascono dalla
scienza e tuttavia la scienza, da sola, non è in
grado di trovare le risposte.
• Anche per questo pensare diversamente non
significa pensare male» (S. Semplici, Undici tesi
di bioetica, Brescia, Morcelliana 2009, p. 9).
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• «La bioetica deve porsi come coscienza critica
della civiltà tecnologica. Dove il termine
“coscienza
critica”
indica
il
livello
di
chiarificazione e di valutazione morale dello
specifico contenuto pratico e teorico introdotto
dalle tecnoscienze […]. Da questo punto di vista
la bioetica si configura come un’attività filosofica
[…] poiché le domande (l’oggetto formale) che
investono le tecnoscienze (l’oggetto materiale)
sono di natura filosofica e riguardano il
significato della costruzione dell’identità umana
all’interno dell’azione tecnologica» (A. Pessina,
Bioetica. L’uomo sperimentale, Milano, Bruno
Mondadori, 2000, p. 41).
• Cosa implica questa descrizione dell’identità
della bioetica?
• Differenza tra “bioetica” e “deontologia”: la
bioetica nasce a partire da situazioni che la
“deontologia professionale” non riusciva a
risolvere, permanendo all’interno del quadro
valoriale tradizionale. Inoltre la bioetica ha
esteso la sua prospettiva di studio oltre l’ambito
strettamente riferibile a ciascuna professione
medico/scientifica.
• Differenza tra “bioetica” e “medicina legale”: in
quanto le riflessioni della prima non sono
totalmente inseribili all’interno di un ordinamento
giuridico nazionale o più allargato. Ciò implica il
pensare simultaneamente la distinzione e la
correlazione tra l’etico e il legale.
• Ciò non toglie che in questi anni vi siano stati
processi osmotici tra la riflessione bioetica, la
deontologia professionale e la medicina legale.
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• Definizione di un “orizzonte problematico” che può
rendere ragione della “novità” della bioetica rispetto ad
una
qualsiasi
“etica
applicata”
secondo
un’interpretazione rigida del modello della “continuità”,
per il quale vi sono basi etiche consolidate
semplicemente da tradurre nelle nuove situazioni
originate dal progresso tecno-scientifico.
• Definizione di un “orizzonte problematico” per il quale
questa “novità” della bioetica non debba configurarsi,
come nella tesi della “discontinuità”, in una riflessione i
cui presupposti di riferimento debbano ritenersi
alternativi a quelli proposti nel passato.
• Definizione di un “orizzonte problematico” che non si
limiti a mettere un ordine pragmatico e consensuale al
“politeismo dei valori” proprio della contemporaneità, ma
si radichi in una “verità” dell’umano rintracciabile come
punto unificante al di sotto delle differenti espressioni in
cui prende forma.
• Meno convincente è l’idea per cui, in base alla
qualificazione della bioetica come “coscienza critica della
civiltà tecnologica”, come continua Pessina «non tutti i
problemi dell’etica medica rientrano nella bioetica,
poiché non tutta la medicina è ad alto contenuto
tecnologico».
• L’affermazione ha una sua ragion d’essere, tuttavia, in
quanto pone una distinzione tra la più ampia “etica
medica” e ciò che ricadrebbe strettamente nel campo di
riflessione proprio della “bioetica”. Ma tale distinzione
nella pratica attuale non appare così netta. Anzi
l’ordinarietà dell’etica medica nel dar forma alle “buone
pratiche” (la bioetica del quotidiano) svolge un influsso
positivo anche sulla maniera di affrontare le questioni “di
confine” oggetto specifico della bioetica.
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5. La bioetica come “caso serio”
dell’etica
• La medicina ha “salvato al vita” all’etica (S.
Toulmin), destinata ad estinguersi nelle
secche della filosofia analitica (logica del
discorso morale o “metaetica) riscoprendo
la specificità normativa della morale (etica
normativa); la sua componente applicativa
(etica casistica e narrativa); l’attenzione al
soggetto agente e alla sua competenza di
attore morale (etica della vitrtù).
• «La bioetica è un terreno di confronto fra
argomentazioni morali che poggiano su più
ampie strutture teoriche, che non sempre
traspaiono».
• «Le questioni bioetiche rappresentano un banco
di prova assai interessante per vagliare i profili
metodologici e contenutistici, nonché l’ambito di
migliore applicazione di una teoria morale» [R.
Mordacci, Una introduzione alle teorie morale.
Confronto con la bioetica, Milano, Feltrinelli,
2003, p. 9].
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• Il fatto del pluralismo etico e bioetico
impone la necessità di elaborare
strumenti di analisi delle differenti teorie
etiche e bioetiche, mostrandone il loro
principio logico strutturale, cioè l’idea
centrale a partire dalla quale si sviluppa
una teoria etica e, in modo più o meno
coerente, si elaborano chiavi interpretative
per la lettura dei fenomeni e la risoluzione
di singole problematiche.
II. Analizzare una teoria morale
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1. Cos’è una teoria morale
• Un insieme strutturato di proposizioni che
riguardano tre questioni…
• A. Il significato e le forme del discorso
morale e dei termini che impiega e dei
concetti che presuppone (metaetica)
• B. L’interrogativo sulla vita buona per
l’uomo e su cosa, in generale, debba
essere buono, giusto o doveroso fare
(etica normativa)
• C. La riflessione normativa su questioni
controverse (casistica)
A. Il livello metaetico
• 1. Semantica del linguaggio morale
“Giusto” – “ingiusto” / “buono” – “cattivo”:
qual è il significato che ciascuna teoria
attribuisce a queste valutazioni?
• 2. Ontologia dei valori
Qual è lo statuto dei valori morali?
• 3. Teoria della normatività
Perché dobbiamo seguire le norme morali?
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1. Semantica del linguaggio morale
• Cognitivismo: gli asserti morali hanno un
contenuto cognitivo (vero/falso).
• Forme principali: naturalismo (gli asserti morali
hanno come referenti delle proprietà naturali
delle cose) e intuizionismo (gli asserti morali si
riferiscono all’intuizione diretta di proprietà e
dunque sono indefinibili e inderivabili, cioè
autoevidenti).
• Non-cognitivismo: emotivismo (gli enunciati
morali esprimono emozioni o sentimenti).
2. Ontologia dei valori
• Realismo: i valori sono concepiti come dotati di
una realtà propria, naturale o metafisica
• Antirealismo: i valori non hanno realtà propria,
ma sono la proiezione all’esterno di aspettative
del soggetto; o frutto di convenzione sociale; o di
un processo di costruzione culturale, tuttavia non
arbitrario.
• La validità dei valori è indipendente dal soggetto
(universalismo)
oppure
strettamente
dipendente dalla sua particolare visione etica
(particolarismo).
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3. Teoria della normatività
• Sentimentalismo: sorgente della normatività è
una
qualche
forma
di
sensibilità
(piacere/dispiacere che suscitano in noi la virtù o
il vizio: Hume). Il senso morale suscita un
sentimento che all’origine dei giudizi normativi.
• Razionalismo: deriva l’autorità dell’imperativo
dalla ragion pratica, a prescindere dalle
inclinazioni o dai sentimenti (Kant). I principi
morali vincolano ogni soggetto agente in forza
dello loro validità universale, che deriva dal loro
carattere di legge razionale.
L’imprescindibile concezione
antropologica sottesa
alle teorie morali
• Termini uguali, ma con una semantica differente:
persona.
• Concezione sostanzialista: un ente dotato “per natura”
di determinate caratteristiche (anche solo potenziali).
• Concezioni funzionalista: identificano la persona con la
presenza effettiva di queste capacità e dunque usano il
concetto di persona per discriminare chi “persona” non
è, giustificando alcune forme di trattamento (per es.
eutanasia su paziente non-consenziente o clonazione
“terapeutica” ecc.).
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Una possibile “replica”
alla concezione funzionalista
• La nozione di persona «non fu originariamente
introdotta come stipulazione astratta, e poi riferita
agli esseri umani per vedere se essi siano
persone. Al contrario, essa fu il risultato della
considerazione degli esseri umani, come tentativo
di caratterizzarli concettualmente, distinguendo un
certo numero dello loro proprietà salienti, proprietà
che per così dire furono riassunte sotto la
caratteristica dell’essere “persone”».
• La distinzione concettuale e ontologica tra
persona e uomo, così, sembra introdurre una vera
e propria manipolazione semantica «per la
giustificazione di nuove forme di discriminazione
tra gli esseri umani» (E. Agazzi).
B. La teoria morale normativa
• 1. Una teoria morale normativa è un
insieme strutturato di proposizioni definito
dai requisiti della giustificabilità, della
coerenza e della normatività.
• «Ogni ricerca teorica sulla morale tenta
almeno di spiegare come siano possibili i
giudizi morali e di comprendere se siano o
no giustificabili» (R. Mordacci).
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• La coerenza è il rapporto di non
contraddizione che deve sussistere a vari
livelli di un discorso teorico:
– Tra le premesse o i principi generali (che
devono essere tra loro compatibili)
– Tra i principi generali e le conclusioni
particolari.
• Una teoria rigorosa è riconoscibile per la
coerenza delle sue affermazioni.
• La normatività è la pretesa che le affermazioni
morali formulate all’interno della teoria valgano
come guide per l’azione.
• È il carattere distintivo dell’etica rispetto alle
teorie scientifico-teoretiche che hanno valenza
descrittiva.
• «Una teoria etica intende anzitutto fornire una
guida per individui che agiscono da soli o
all’interno di comunità o società complesse. La
teoria morale dovrebbe fornire loro ragioni in
grado di giustificare e orientare le scelte, anche
in vista della realizzazione di un ideale di vita (o
almeno
non
incompatibile
con
esso)»
(R. Mordacci).
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• Possiamo distingue tre tipi
teorie morali:
–Teorie delle virtù
–Teorie deontologiche
–Teorie consequenzialiste
di
Teorie delle virtù
• Buono e giusto è in primo luogo il soggetto
agente (per es. il totum bene vivere di
Aristotele).
• «Che tipo di persona devo/posso essere?».
• Vita buona ed etiche della “prima persona”
(del “carattere”).
• L’impostazione teleologica di queste teorie
fa riferimento alla realizzazione piena
(integrale) di ciò che il soggetto umano può
essere.
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Teorie deontologiche
• Buone o giuste sono le azioni.
• Azione: atto deliberato in base a precise
ragioni.
• Le azioni sono oggetto di doveri che
prescrivono certi tipi di atti, in quanto
compiuti in forza di intenzioni determinate,
a prescindere dalle conseguenze, o meglio:
il carattere morale delle azioni non è
determinato solo dalle conseguenze.
Teorie consequenzialiste
• Basano la valutazione delle azioni morali
esclusivamente sulle loro conseguenze.
• Così non ci sono azioni che a-priori siano
incondizionatamente prescritte o vietate
• Un atto è buono (giusto) se determina buone
conseguenze.
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C. La bioetica come “casistica”
• Il passaggio dalla teoria normativa alla casistica
si rivela importante per mettere in guardia da
una possibile riduzione di visuale che
costringe l’ampiezza del discorso bioetico ad
un tecnicismo applicativo di alcuni principi,
ma, soprattutto, per richiamare l’importanza del
ricorso, accanto alla rigorosa formulazione
morale, di una saggezza pratica conseguente
ad una piena comprensione della conflittualità
che attraversa l’agente morale nelle decisioni
relative alla vita umana e alle incerte situazioni
di confine in cui, non solo la morale normativa
pubblica, ma soprattutto l’etica nella sua
applicazione concreta è chiamata a sviluppare il
suo discorso.
III. Analisi epistemologica di alcune
teorie bioetiche
•
•
•
•
•
•
La bioetica dei principi
L’utilitarismo in bioetica
Le teorie liberali in bioetica
La proposta proceduralista
Il “modello cattolico-romano”
Cfr. il testo pubblicato sul Manuale. Qui
presentiamo solo una riflessione sulla “bioetica
dei principi” e sul “modello cattolico-romano”.
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1. La bioetica dei principi
• Un’etica applicata – etica pratica
• Principi validi al di là delle teorie normative
confliggenti, come terreno di mediazione
per raggiungere accordi pragmatici; uno
“schema” (framework) per l’analisi dei
problemi.
• Base teorica: il pluralismo normativo che genera principi
validi prima facie (non assoluti, dotati di eguale forza
normativa, non di rado confliggenti).
• Dalla moralità di senso comune (intuizionismo)
contenente regole per l’espressione di “giudizi ponderati”
a regole di più ampia portata e finalmente a principi di
carattere generale, per esprimere un insieme coerente
(coerentismo) di regole, principi e giudizi particolari
(equilibrio riflessivo).
• La componente eclettica di questo modello è desumibile
dalle matrici proprie di ciascun principio e dal «rifiuto di
ogni forma di fondazionalismo (che si traduce nel rifiuto
di adottare qualsiasi teoria normativa fra quelle
esistenti), ottenuto riconducendo la giustificazione non
ad un criterio normativo ultimo, ma a un complesso
procedimento di raffronto fra giudizi ponderati, regole e
principi» (R. Mordacci).
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• Si porta l’interesse sulla necessità di
stabilire consensualmente principi di
giustizia che assicurino l’esercizio
effettivo della libertà individuale, ma anche
garantiscano
a
livello
normativo
l’imparzialità e la validità intersoggettiva
delle regole di etica pubblica per tutti gli
agenti
razionali,
prescindendo
dai
particolari orizzonti etici di riferimento di
ciascuno.
4. Il modello “cattolico-romano”
• Al di là delle differenze di prospettiva, presenti
all’interno della teologia morale, si assume dal
punto di vista di analisi il modello generale di
bioetica offerto attraverso le tesi del Magistero
cattolico, come esempio specifico di correttezza
epistemologica
• Al di là del dato teologico, si è insistito sulla
valenza “filosofica” della bioetica cattolica,
particolarmente attraverso il ricorso alla “legge
naturale” come garanzia di universalità e
comunicabilità degli asserti normativi.
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• Antropologia: sostanzialista (la persona
come realtà ontologica-assiologica)
• Semantica del linguaggio morale:
cognitivismo - prescrittivismo
• Ontologia dei valori: realismo universalista
• Epistemologia della ragione pratica:
concezione fondazionalista
• Teoria della normatività: razionalista
Giustificazione
• La giustificazione degli asserti morali ha come
premessa una chiave teologica da cui derivare
l’indisponibilità della vita umana
• Tale aspetto incontra una critica esterna da
parte della morale “laica”, circa la validità di tale
base teologica in un processo fondativo
razionale.
• Essa introdurrebbe un presupposto di “autorità”
extra-razionale.
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Coerenza
• La
matrice
deontologica
(abitualmente
sintetizzata nell’idea di “sacralità della vita”)
sviluppa in modo conseguente il passaggio dalle
premesse alle conclusioni etiche.
• Le critiche dal fronte “laico” si appuntano sul
fatto che i “divieti negativi assoluti”, sono
sottoposti a tensione all’interno della casistica, e
necessitano di ulteriori strumenti concettuali per
dirimere i dilemmi (per esempio “diretto-indiretto”
o “sproporzionato-proporzionato”…).
• Il profilo deontologico della morale cattolica,
tuttavia non dà ragione in modo esaustivo del
suo modello.
• Piuttosto esso comporta un
orizzonte
teleologico di fondo, secondo cui il bene resta il
fine dell’azione.
• Il senso ultimo dell’agire morale sta
nell’autocompimento integrale della persona.
• In questo senso la teleologia della morale
cattolica non è consequenzialistica (assumendo
unilateralmente per la valutazione dell’agire e
dell’azione il criterio delle conseguenze).
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• La tesi dell’indisponibilità della vita umana
si lascia esprimere nella nota formula:
“l’inviolabilità assoluta della vita umana
innocente” (cfr. Evangelium vitae, 57).
• L’idea di assolutezza, domanda comunque
di essere precisata, stante una sua
polisemantica:
– Sciolto da ogni legame con le conseguenze
dell’azione
– Autofondantesi o autoevidente
– Che non ammette eccezioni
Una lettura del “Manifesto di
bioetica laica” (1996)
• «Al contrario di coloro che divinizzano la natura,
dichiarandola un qualcosa di sacro e di intoccabile, i laici
sanno che il confine tra quel che naturale e quel che non
lo è dipende dai valori e dalle decisioni degli uomini.
Nulla è più culturale dell'idea di natura. Nel momento in
cui le tecnologie biomediche allargano l'orizzonte di quel
che è fattualmente possibile, i criteri per determinare ciò
che è lecito e ciò che non lo è non possono in alcun
modo derivare da una pretesa distinzione tra ciò che
sarebbe naturale e ciò che naturale non sarebbe. Essi
possono soltanto derivare da principi espliciti,
razionalmente giustificati in base a come essi riescono a
guidare l'azione umana a beneficio di tutti gli uomini».
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• «Il cambiamento delle visioni del bene e dei
principi morali è un fenomeno che ha sempre
caratterizzato le culture. Neppure le società più
tradizionaliste ne sono prive. Noi laici pensiamo
che i cambiamenti possano essere considerati
dei veri e propri progressi. Non pensiamo,
tuttavia, che il progresso in quanto tale sia
automatico, né che sia garantito o inarrestabile.
Ma proprio per questa ragione insistiamo sulla
capacità degli uomini di giudicare volta per volta,
in che senso certi cambiamenti possano essere
interpretati come effettivi miglioramenti e altri
invece no, in un processo in cui l'analisi
concettuale e la ragion critica svolgono un ruolo
determinante».
• «Quando sono in gioco scelte difficili, come quelle della
bioetica, il problema per il laico non è quello di imporre una
visione 'superiore', ma di garantire che gli individui possano
decidere per proprio conto ponderando i valori - talvolta tra
loro confliggenti - che quelle scelte coinvolgono, evitando di
mettere a repentaglio le loro credenze e i loro valori.
Questo rispetto per le convinzioni religiose non ci fan
tuttavia dimenticare che dalla fede religiosa non derivano di
per sé prescrizioni e soluzioni precise alle questioni della
bioetica. Vi può essere una discussione e una
giustificazione razionale dei principi morali anche senza la
fede. Vi può essere una discussione e una giustificazione
razionale che parte dai presupposti della fede. Ma non vi
può essere alcuna derivazione automatica di una
giustificazione razionalmente accettabile a partire dalla sola
fede».
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• Per i “laici”, i principi morali si fondano
sull'adesione volontaria da parte degli
individui. La loro diffusione deriva
dall'accordo
consapevole
che
essi
ricevono. Come tali, essi sono diversi dalle
norme giuridiche, le quali inevitabilmente
vincolano l'individuo in base a sanzioni
imposte dall'esterno.
Per concludere
•
•
•
«La caratteristica più singolare dell’espressione morale
contemporanea è che una parte così grande di essa è utilizzata per
manifestare dissensi; e la caratteristica più singolare dei dibattiti in
cui questi dissensi si manifestano è la loro interminabilità. Con ciò
non intendo dire solamente che tali dibattiti si trascinano fino alla
nausea (benché lo facciano), ma anche che non sembrano poter
provare alcuna conclusione legittima. Pare che non vi siano mezzi
razionali per garantire l’accordo morale nella nostra cultura» (A.
McIntyre)
Ma, come ritiene lo stesso McIntyre, l’incommensurabilità delle
morali è il «prodotto di una congiuntura storica particolare», quella
che manifesta una precisa opzione culturale e politica per
l’affermazione del valore assoluto della libertà del soggetto
individuale.
Il grande interrogativo e l’impegno “serio” sia per il teologo cattolico,
sia per il filosofo di qualsiasi orientamento, è di comprendere (ed
argomentare) la diversità e la varietà non come una fatale
incommensurabilità delle morali: «pensare diversamente non
significa pensare male» (S. Semplici).
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