<<Inventore e luce
della buona e vera
architettura>>
S. Serlio
Donato Bramante (1444-1514)
Basilico Chiara
Carrus Barbara
Prussi Matteo
Sala Elena
Viganò Vittoria
INDICE
 Biografia e formazione pagine 3-4
 Santa Maria presso San Satiro pagine 5-6-7
 Santa Maria della Pace pagine 8-9
 San Pietro in Montorio pagine 10-11
 Cortile del Belvedere pagine 12-13
 San Pietro pagine 14-15
 Curiosità pagine 16-17-18
 Bibliografia 19
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Biografia e Formazione
Donato di Pascuccio di Antonio, detto Bramante, nasce nel 1444 da una famiglia di
contadini nel Ducato di Urbino, fervente centro culturale dell’Umanesimo, in un
piccolo paese detto Monte Asdrualdo (oggi Fermignano). Suo nonno materno era già
detto Bramante e la sua famiglia, pur vivendo coltivando la terra, non doveva essere
del tutto priva di risorse economiche. E’ probabile che precocemente si sia manifestata
nel giovane Donato l’insoddisfazione per il lavoro in campagna e insieme la vocazione
artistica. Dalle sue origini contadine egli trasse forse quel suo realismo, quella
terrestre concretezza, quel badare all’essenziale, che costituiscono una componente
del suo carattere umano ed un elemento qualificante la sua stessa produzione di
pittore e di architetto. Secondo il Vasari, Bramante “fu lo stesso padre che, vedendo
che egli si dilettava molto nel disegno, lo indirizzò ancora fanciulletto all’arte della
pittura”. Inizia molto giovane il suo apprendistato artistico nella città di Urbino, presso
la bottega di fra’ Carnevale, dove diviene pittore “prospectivo”, cioè specializzato nel
realizzare le scene architettoniche poste da sfondo alle rappresentazioni. Con molta
probabilità, partecipa al cantiere del Palazzo Ducale di Federico da Montefeltro, come
appartenente alla sua bottega. Lo studio dell’arte nell’ambiente ricco e colto di Urbino
lo porta in contatto con autori quali Mantegna, Piero della Francesca, Luca Signorelli,
Melozzo da Forlì. L’originale formazione urbinate si pone senza dubbio per Bramante
come una delle componenti fondamentali della sua personalità artistica. Nel 1476
Bramante decide di spostarsi verso il settentrione. L’anno dopo è a Bergamo, dove
lavora come pittore, affrescando la facciata del Palazzo del Podestà, con soggetti di
filosofi in inquadrature architettoniche. Codesta esperienza, inserita forse in un
contesto di aggiornamento della città da un punto di vista artistico, si esaurisce
brevemente e Bramante decide di recarsi a Milano, ove resterà a lungo. Vi approda per
la prima volta nel 1478, forse su richiesta di Federico da Montefeltro, che invita
l’artista ad eseguire dei lavori sul suo Palazzo a Porta Ticinese, dono di Galeazzo Maria
Sforza. Pochi anni più tardi, la sua presenza a Milano è stabile. Ne è testimonianza
l’Incisione Prevedari, realizzata su suo disegno. Fino ai primi anni ‘90 del
Quattrocento, Bramante continua la sua attività di pittore; realizza, infatti, gli
“Uomini d’arme”, il “Cristo alla Colonna” e gli affreschi - non di certa attribuzione - in
casa Fontana Silvestri. Ivi Bramante conosce Leonardo e i due rimangono legati da una
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solida amicizia, lavorando insieme anche nei cantieri del Castello Sforzesco e di Santa
Maria delle Grazie. Tra l’80 e il ‘90, l’artista lavora alacremente come architetto
traendo i caratteri architettonici dall’Alberti.
Nel 1492 progetta la tribuna di Santa Maria delle Grazie, imposta la Sagrestia Vecchia e
il chiostro minore. Nello stesso periodo progetta la canonica di Sant’Ambrogio - rimasta
incompiuta - e nel 1497 i due chiostri del monastero cistercense di Sant’Ambrogio, la
cui realizzazione sarà effettuata da altri. Lavora poi alla chiesa milanese di Santa Maria
presso San Satiro dove applicherà l’architettura prospettica, anzi, illusionistica del
finto coro alla cui ricostruzione Bramante attese dal 1482 al 1486. Questa prima
applicazione era stata data da Masaccio.
E’ il tempo dell’occupazione francese di Milano; molti artisti, fra i quali Leonardo,
lasciano la città. Alla fine del 1499, anche Bramante si allontana definitivamente e si
trasferisce a Roma, ove si fermerà. A lui si deve la realizzazione del Chiostro di Santa
Maria della Pace, del Tempietto di San Pietro in Montorio e del Cortile del Belvedere.
Roma è il luogo d’incontro e di confronto con architetti quali fra’ Giocondo, Giuliano
da Sangallo e Baldassarre Peruzzi, oltre che con le menti geniali di Raffaello e
Michelangelo. Nel 1506, Giulio II nomina Bramante architetto pontificio, incaricandolo
della demolizione e ricostruzione dell’antica basilica costantiniana di San Pietro. Il
progetto del Bramante è originale e grandioso, ma egli muore prima di portarlo a
termine, nel 1514.
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Santa Maria presso San Satiro
Coro di Santa Maria presso San Satiro
1482-1486
Milano
Dal 1482 al 1486, Donato Bramante , su richiesta di Ludovico Sforza, cura la
sistemazione della Chiesa di Santa Maria presso San Satiro a Milano e ne rinnova anche
il battistero.
La chiesa di Santa Maria era un antico oratorio di forma stretta e allungata, adiacente
al Sacello di San Satiro, di epoca carolingia. Bramante progetta un edificio a croce
commissa a tre navate, che domina il vasto corpo longitudinale e un transetto
sovrastati da monumentali volte a botte. Una grande cupola emisferica a cassettoni,
sovrasta l’incrocio tra i corpi della chiesa , coordinandoli in modo da ottenere un
impianto fortemente centralizzato. La soluzione architettonica della cupola e quella
delle navate laterali, risentono invece dell’influenza brunelleschiana.
E’ un interno grandioso per il rapporto tra lunghezza e larghezza, memore di quello
albertiano di Sant’Andrea a Mantova. La cupola non è visibile all’esterno, perché
nascosta dal tiburio.
La pianta a croce commissa faceva risultare la chiesa sbilanciata, poiché non era stato
possibile costruire una cavità absidale sufficientemente profonda per la presenza di
una strada, via del Falcone, che corre all’esterno e impediva lo sviluppo in lunghezza
dell’abside. La terminazione improvvisa dello sviluppo della chiesa, con un muro pieno
dietro all’altare senza coro e senza una vera abside, creava un effetto sgradevole di
interruzione troppo brusca.
Il problema viene risolto da Bramante con un finto coro in stucco dipinto che
razionalizzasse l’intera struttura. Esso quindi si pone come una sorta di supporto
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psicologico all’equilibrio della cupola, che altrimenti sarebbe apparso precario. Infatti,
secondo le normali regole costruttive, una cupola ha bisogno di ampie strutture
(navate, transetti, cori, absidi, absidìole) tutt’attorno, affinché le tensioni che essa
genera possano essere efficacemente contrastate. Allo stesso tempo, il finto coro
ricompone visivamente quel senso di dilatazione spaziale di cui la cupola è il centro e
che il muro pieno avrebbe arrestato troppo bruscamente, e riequilibra lo spazio
maestoso del resto della chiesa. L’intervento di Bramante si gioca tutto in uno spazio
esiguo di soli 90 cm., ma riesce a creare l’immagine di un’abside monumentale,
profonda e coperta da volte a botte con cassettoni. Bramante, conoscendo a fondo la
prospettiva, riesce a mascherare la mancanza di spazio con un coro illusionistico.
Applicando i principi illusionistici della prospettiva ad un’architettura reale propone
una soluzione ingannevole e scenografica, ma fortemente suggestiva. Realizza un
perfetto trompe l’oeil sulla parete retrostante l’altare della navata maggiore, che dà
l’impressione di proseguire, tramite un braccio longitudinale con volta a botte, la
navata centrale.
Questo non è solo un artificio, è il modo in cui il Bramante riequilibra gli spazi della
chiesa a croce commissa, assimilandola ad una croce greca.
La percezione visiva è di una magnifica vastità spaziale, seppure creata dalla
prospettiva di una parete dipinta e modellata a stucco con un bassissimo rilievo,
sull’esempio dello schiacciato donatelliano.
A conferire maggiore “realtà” alla finzione, contribuiscono anche gli ori luminosi, i
fregi azzurri, il cotto e la profusione di decorazioni. Bramante crea una spettacolare
rappresentazione di spazio in una fusione tra strutture reali e illusionistiche suggerite
dall’arte prospettica. Se ci troviamo nella chiesa nel punto di vista giusto, l’illusione e
perfetta e l’effetto è spettacolare.
La soluzione di San Satiro mostra che in questa fase Bramante vede ancora
l’architettura con gli occhi del pittore.
A orientarlo verso l’impiego di forme architettoniche possenti e classiche e verso una
concezione organica delle masse strutturali, tale che ogni parte dell’edificio risultasse
in armonico equilibrio con tutte le altre e la funzione statica dei vari elementi
progettati fosse chiara, contribuirono in seguito si alo studio del trattato vitruviano, sia
quello degli edifici dell’antichità classica e tardo-antichi milanesi. Di sicuro effetto
furono senza dubbio anche le discussioni con Leonardo che, tra gli anni Ottanta e
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Novanta del Quattrocento, aveva maturato uno spiccato interesse per l’architettura specie per quella a pianta centrale – e per la resistenza delle strutture.
Un esempio del mutamento d’indirizzo e dell’evoluzione stilistica di Bramante è
rappresentata dalla Tribuna di Santa Maria delle Grazie a Milano. Bramante vi lavorerà
dopo l’intervento nella fabbrica del Duomo di Pavia, in cui collabora con i principali
architetti locali.
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Santa Maria della Pace
Chiostro della Pace
1500-1504
Roma
All’interno della chiesa di Santa Maria della Pace, si può ammirare il complesso
monumentale del Chiostro del Bramante: la sua architettura elegante ed al tempo stesso
suggestiva lo rende la cornice ideale per conferenze e seminari, ma soprattutto per le
numerose esposizioni internazionali d’arte che ospita dal 1997, data del suo totale
restauro.
Il Chiostro situato all’interno della chiesa di Santa Maria della Pace è la prima opera
realizzata a Roma da Donato Bramante. Il Chiostro gli venne commissionato dal
Cardinale Oliviero Carafa al suo arrivo a Roma, nel 1500, dopo le esperienze maturate a
Mantova e Milano: i lavori si conclusero nel 1504.
Quest’opera è estremamente tipica della fase conclusiva del periodo di approfondimento
e di verifica metodologica che costituisce la premessa della ricerca di Bramante a Roma.
A S. Maria della Pace, egli deve essersi preoccupato anzitutto di individuare una legge di
proporziona mento di insieme capace di regolare la posizione e la dimensione dei singoli
elementi; infatti la forma del terreno è irregolarmente trapezoidale.
Il complesso monumentale del Chiostro del Bramante è circondato da un portico ad
arcate che poggiano su pilastri e da un loggiato, intorno ai quali sono disposti gli
ambienti per la vita collettiva e gli spazi abitativi.
Una notevole difficoltà deve esserglisi presentata al momento di precisare il pilastro
d’angolo. Nel chiostro, perché il reticolo planimetrico risulti completamente e
solamente formato da quadrati, occorre che i sostegni, compresi quelli dell’angolo,
presentino tutti la stessa dimensione. Bramante, mantenendo inalterata la misura degli
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intercolumni, riduce al minimo le dimensioni del pilastro d’angolo introducendo la
parasta ionica su un piedistallo sotto forma di elemento filiforme. Questa soluzione
angolare del chiostro può apparire in sé come un nodo espressivamente non risolto.
Bramante sovrappone il sistema architravato del piano superiore al sistema di archi del
piano inferiore: un’invenzione tanto audace e sofisticata, quanto equilibrato e
armonioso è il risultato finale che annulla i modelli claustrali medievali.
L’architettura è nel complesso raffinata quanto semplice, e quasi totalmente priva di
decorazioni, facendo del Chiostro un’opera molto differente dalle altre elaborate dal
Bramante, soprattutto nel periodo milanese.
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San Pietro in Montorio
Tempietto di San Pietro in Montorio
1502
Roma
Ancora tramite il cardinale Carafa, Bramante ricevette l’incarico della costruzione del
tempietto di San Pietro in Montorio sul Gianicolo.
L’edificio realizzato sembra a prima vista pensato come un volume puro slegato dal
contesto,ma Bramante non aveva pensato il tempietto come un oggetto plastico
autonomo. Infatti come accenna il Vasari e come mostrato dai disegni del Serlio, uno
spazio circolare, inscritto in un quadrato, delimitato da un portico anulare a colonne,
doveva racchiudere il tempietto.
Il programma iniziale di Bramante prevede una strutturazione dello spazio ad anelli
concentrici, variamente caratterizzati e qualificati. Il numero quattro, ed i suoi multipli,
è il numero privilegiato che ricorre in tutto l’edificio. Nell’impianto d’insieme Bramante
stabilisce una successione di quattro spazi: la cella, il suo peribolo a colonne, lo spazio
scoperto, il portico anulare esterno. Lo schema di partenza doveva sembrare perfetto a
Bramante, e concepito come l’immagine della concezione umanistica del mondo: un
microcosmo armonico che riecheggiasse l’armonia dell’universo. Il tempietto periptero
circolare, di spunto classico, poggia su uno stilobate di tre gradini ed è quindi
sopraelevato rispetto al piano del cortile in cui è situato. Attorno al corpo centrale
cilindrico, che si eleva con un tamburo scandito da nicchie e sormontato da una cupola,
corre un peristilio delimitato da sedici colonne tuscaniche trabeate prelevate da un
monumento antico ignoto. Le metope del fregio recano decorazioni a tema liturgico che
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rinviano a San Pietro e alla Chiesa. Al di sopra della cornice anulare assiste una
balconata.
Quest’opera fu una delle maggiori del Bramante e fu interpretata come un ritorno in vita
dell’arte classica, tanto che divenne un esempio a cui guardare per tutti gli archetti
successivi.
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Cortile del Belvedere
Cortile del Belvedere
1504
Roma
Nel 1503 Bramante incontra papa Giulio II, un incontro fondamentale. Il papa vede qui in
Bramante l’architetto ideale per un rinnovamento della città. Gli affida una serie di
incarichi e nel 1504 viene incaricato di sistemare un ampia area fra i palazzi vaticani
(Raffaello) e la villa di Nocendo VII, papa antecedente.
L’idea a cui si ispira Bramante per questo intervento è il modello della villa imperiale,
che prendeva vaste aree,e collega dunque questi edifici preesistenti.
L’area viene sistemata costruendo una sequenza di tre cortili posti su diversi livelli
collegati mediante scale, per coprire il dislivello presente fra i due edifici.
Nel cortile più basso, pensato come un teatro e concluso con un'esedra semicircolare,
furono posti da Bramante, tre ordini di loggiati differenti: dorico,ionico e corinzio, che si
interrompono nella prima scalinata con scalini dolci e leggermene inclinati. Gli ordini
sovrapposti che inquadrano archi, ripropongono l'esempio del Colosseo già utilizzato,
anche da Bramante, ma qui utilizzato a grande scala e con una ormai consapevole
conoscenza del lessico degli ordini fin nei particolari di ogni membratura.
Il cortile ai lati è chiuso da un loggiato e dalla parte dei gradini è chiuso da due torri che
restringevano la visuale mettendo a fuoco lo spazio successivo.
Il secondo terrazzamento, più piccolo, fu concluso da pareti con un unico ordine.
Il cortile superiore, al quale si accedeva per mezzo di una doppia scalinata a farfalla,
presentava una scansione delle pareti a doppio ordine con paraste binate a formare una
"travata ritmica" con interassi alternati, in cui quello più ampio inquadra un arco.
È tutto leggermente in salita e si conclude con la villa, uno spazio pensato come un
giardino.
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Alla fine si trova questa grande villa con una vasta nicchia, a concludere questa
prospettiva, davanti alla quale si trova una grandissima pigna in bronzo, una manifattura
di origine romana, che all’epoca era stata recuperata all’interno di un edificio termale
e posta in questo contesto; questo spazio assume infatti il nome di cortile della pigna.
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San Pietro
Progetto per San Pietro
1505-1514
Roma
Dopo aver consultato i maggiori artisti del tempo, i lavori furono affidati a Bramante del
quale ci rimangono alcuni progetti, tra i quali il famoso "piano pergamena" (disegno di
presentazione conservato agli Uffizi), in cui propose una perfetta pianta centrale,
a croce greca, caratterizzata da una grande cupola emisferica posta al centro del
complesso e con altre quattro croci greche più piccole disposte simmetricamente
a quincunx (disposizione sfalsata in cui di cinque elementi quattro sono collocati
secondo gli angoli di un quadrato, il quinto al centro) intorno alla grande cupola
centrale.
Il progetto rappresenta un momento cruciale nell'evoluzione dell'architettura
rinascimentale, ponendosi come conclusione di varie esperienze progettuali ed
intellettuali. La grande cupola era ispirata a quella del Pantheon ed avrebbe dovuto
essere realizzata in conglomerato cementizio; in generale tutto il progetto fa
riferimento all'architettura romana antica nella caratteristica di avere le pareti murarie
concepite come masse plastiche capaci di articolare lo spazio in senso dinamico.
Tuttavia non tutti i disegni di Bramante indicano una soluzione di pianta centrale
perfetta, segno forse che la configurazione finale della chiesa era ancora questione
aperta. Vennero, nei mesi del 1505, elaborate soluzioni capaci di integrare quanto già
costruito del nuovo ed il corpo longitudinale della navata con una nuova crocera
con transetto e cupola. Nei lavori in cantiere, infatti, fu mantenuto quanto costruito dal
Rossellino per il coro absidale, portato a termine completandolo con lesene doriche, in
contrasto con il progetto del "piano pergamena". La sola certezza sulle ultime intenzioni
di Bramante e Giulio II è la realizzazione dei quattro possenti pilastri uniti da quattro
grandi arconi destinati a sorreggere la grande cupola, fin dall'inizio, dunque, elemento
fondante della nuova basilica. Pertanto nonostante una serie di lunghissimi
avvicendamenti alla conduzione del cantiere, i progetti bramanteschi influenzarono
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comunque lo sviluppo dell'edificio, con l'uso della volta a botte e con i quattro piloni
sormontati da altrettanti pennacchi diagonali a sostegno di una vasta cupola emisferica.
Benché l'esterno e buona parte dell'interno dell'attuale San Pietro parlino il linguaggio di
Michelangelo, furono Giulio II e Donato Bramante i veri ideatori di questo centro
spirituale e materia le della città.
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Curiosità
Il palazzo di raffaello
In Borgo Nuovo, Bramante costruì anche un palazzo per conto del suo giovane amico
Raffaello, allora all’apice del successo e desideroso – dice il Vasari – “ di lasciare traccia
di sé”.
Questo palazzo, secondo alcuni costruito per i Caprini, e successivamente aquistatao da
Raffello, fu demolito quando fu realizzato il colonnato berniniano; di esso restano solo
documentazioni grafiche.
Caratteristiche del progetto bramantesco sono le semicolonne, impiegate per la prima
volta dall’artista al posto della paraste e la facciata rifinita a stucco: due motivi che
furono presi a modello da una serie di palazzi rinascimentali.
Lo scalone elicoidale
La scala a chiocciola, progettata da Bramante nel Belvedere, suscitò l’entusiasmo dei
suoi contemporanei per la sua “impegnosità, artificiosità e singolarità”(Vasari). È certo
che essa appare come una geniale invenzione, nella quale la forma scaturisce
naturalmente dalla funzione e la struttura si palesa nella sua essenzialità, con una
prevalenza dei vuoi sui pieni. Il vibrante intreccio di forma e struttura, nella scala
bramantesca, è controllato da un uso completamente nuovo degli ordini classici, così
come le virtualità espressive dell’elicoide (figura geometrica sorretta da leggi
matematiche) sono pienamente sfruttate con sapiente magistero per la realizzazione di
uno straordinario effetto plastico e dinamico. Secondo Caronia Bramante “crea il nuovo
adoperando il vecchio”. Il tema della rampa elicoidale ha continuato a sedurre la
fantasia e a sfidare l’ingegno degli architetti dei secoli successivi. La scala di Bramante
è pertanto un modello di architettura, una sintesi di arte e tecnica.
Bramante “trattatista”
Nei primi anni del suo soggiorno a Roma, Bramante, oltre che continuare a comporre
sonetti per il proprio divertimento, scrisse alcune opere di architettura delle quali,
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purtroppo, sono pervenuti soltanto i titoli e qualche scarna notizia sui contenuti. I suoi
trattati sono i seguenti:
 Dell’architettura libri cinque;
 Pratica di Bramante libro uno;
 Modo di fortificare libro tre.
Il primo trattato è diviso appunto in cinque libri, secondo il seguente schema: il primo
tratta dello stile Rustico, il secondo del Dorico, il terzo dello Ionico, il quarto del
Corinzio e il quinto del Composto.
Il secondo trattato invece tratta di come costruire edifici e di come far si che essi siano
proporzionati; mentre il terzo trattato riporta le piante degli edifici più belli e tratta di
architettura e prospettiva.
Le poche notizie che si hanno su Bramante trattatista contrastano certo con quella sua
“ignorantia”, sulla quale lo stesso Bramante soleva talvolta ironizzare.
Donato e Leonardo
Dall’inizio degli anni ottanta, Bramante fu attivo a Milano dove ebbe l’opportunità e la
fortuna di conoscere il grande Leonardo, con il quale entrò poi in strettissimi rapporti.
Dal confronto con il grande Vinciano prese le mosse quella riflessione sull’architettura
che diede i frutti migliori a Roma. Nella fase di realizzazione di Santa Maria presso S.
Satiro si può notare come Bramante veda ancora l’architettura con gli occhi del pittore.
A orientarlo verso l’impiego di forme architettoniche possenti e classiche furono senza
dubbio anche le discussioni con Leonardo che tra gli anni ottanta e novanta del
quattrocento, aveva maturato uno spiccato interesse per l’architettura, specie per
quella a pianta centrale, tanto caratteristica dello stile bramantesco.
Il loro rapporto non fu solo strettamente professionale, ma furono legati da una sincera
e profonda amicizia tanto che, dopo che Leonardo si trasferì a Roma, Bramante fece lo
stesso anche per stargli vicino.
Donato,una presenza costante nelle nostre gite scolastiche.
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Senza rendercene veramente conto, l’anno scorso, durante la gita a Vigevano abbiamo
potuto osservare l’operato architettonico di Bramante camminando sulla celebre piazza
della città progettata appunto dallo stesso.
Eretta nel punto più alto della città, la torre fu costruita a più riprese, a partire dal 1198
sino alla fine del Quattrocento, quando venne ultimata dal Bramante. Con la sua
caratteristica sagoma “filaretiana”, a corpi scalari, offre dalle sue merlature una
panoramica completa sulla piazza, sul castello e sull’intera città.
Una delle più belle piazze d’Italia, ideata dal Bramante, fu fatta costruire a partire dal
1492 dal duca Ludovico il Moro, come anticamera nobile del castello. E’ uno dei primi
modelli di piazza rinascimentale ed al tempo stesso uno dei pochi esempi di piazza
concepita come opera architettonica unitaria: nel suo insieme costituisce una delle più
compiute realizzazioni urbanistiche di tutto il quattrocento lombardo. La piazza si
presenta come un allungato rettangolo di 134 metri di lunghezza e 48 di larghezza,
circondata da portici ad arcate, sorretti da 84 colonne con capitelli lavorati e tutti
differenti fra loro. Originariamente i portici si interrompevano ai piedi della torre, in
corrispondenza dell’attuale scalone di accesso al castello; una rampa, percorribile anche
a cavallo, saliva dal centro della piazza fino al portone del castello, ingresso d’onore
della reggia vigevanese.
In altrettanto modo,con straordinaria sorpresa, tra le tante opere che a Roma abbiamo
potuto osservare da vicino nei Musei Vaticani, ci siamo imbattuti in uno straordinario
congegno che Bramante inventò per le bolle di piombo della cancelleria pontificia.
Dopo aver speso gran parte della sua vita impegnandosi per migliorare le città da lui
visitate, dimostrò di essere, come sostenne Sebastiano Servio, “intentore e luce della
buona e vera architettura”.
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Bibliografia
 Ritratto di Bramante – Giuseppe Caronia
 Bramante – Arnaldo Bruschi
 Geometrie fluide – Itinerari d’arte (sito internet)
 Wikipedia (sito internet)
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