Bakunin: un pensatore anarchico 1.1 La libertà come dimensione

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Bakunin: un pensatore anarchico
1.1 La libertà come dimensione umana compiuta
1.2 Le fonti dell’alienazione umana
L’anarchia è stata, nella seconda metà dell’Ottocento, l’altra componente
ideologica che, con il marxismo, ha caratterizzato il movimento operaio. Il
termine nella seconda metà del secolo indicava la posizione che estende la
richiesta egualitaria fino a rifiutare ogni gerarchia sociale e politica, considera legittime
solo le scelte collettive che vengano concordemente accettate da tutti i membri della
comunità, e dunque condanna lo stato e in generale qualsiasi forma di autorità.
Il russo M. A. Bakunin (1814-1876) è stato, con il francese P. J. Proudhon (1809-1865), il
maggior esponente del movimento anarchico. Bakunin fu più che un pensatore
sistematico un attivista, un divulgatore e un organizzatore; il suo pensiero è affidato a una
raccolta di saggi “Stato e anarchia” pubblicato nel 1873.
Al centro del pensiero di Bakunin vi è l’idea di libertà intesa come la prerogativa
fondamentale dell’uomo. Libertà che non viene identificata nel godimento dei diritti
formali dei liberali, né nella libertà politica dei democratici, in quanto è intesa come la
possibilità di raggiungere una dimensione umana compiuta che coincida con la piena
autonomia, la piena padronanza di sè e la capacità di organizzare il proprio destino
insieme agli altri. La libertà del singolo, infatti, deve essere intesa come assoluta e
illimitabile, tuttavia la libertà non è pensabile come condizione esclusivamente
individuale, in quanto l’individuo in quanto tale può essere libero solo quando tutti gli
individui sono liberi, dal momento che le esistenze individuali sono indissolubilmente
legate tra loro.
Per raggiungere la libertà così intesa occorre eliminare le principali fonti dell’alienazione
umana costituite in primo luogo dalla religione e dallo stato. Dio e la religione sono viste,
sulle orme di Feuerbach, come fonti di alienazione in quanto ammettere un creatore
equivale ad ammettere una volontà a cui l’individuo deve per forza obbedire e
sottomettersi. Il primo atto di liberazione è dunque l’ateismo’ perché “finché avremo un
padrone in cielo saremo schiavi in terra”.
Lo stato è, agli occhi di Bakunin, in ogni sua forma uno strumento di oppressione,
negazione della libertà e della responsabilità dell’individuo. Lo stato rappresenta il
maggior ostacolo in vista del raggiungimento della felicità individuale, perché con la
forza obbliga l’individuo ad accettare le altre fonti dell’alienazione umana, le norme
sociali e le disuguaglianze, originate dalla proprietà privata dei mezzi di produzione,
utilizzando a tale scopo la religione. Lo Stato rappresenta, insieme alla religione, lo
strumento di cui si servivano le classi dominanti per mantenere la maggioranza della
popolazione in condizioni di inferiorità economica e intellettuale. Abbattuto il potere
statale, il sistema di sfruttamento economico basato sulla proprietà privata sarebbe
inevitabilmente caduto. Il comunismo si sarebbe instaurato spontaneamente come
l'ordine più consono alle esigenze naturali delle masse, senza che allo Stato dovesse
sostituirsi nessuna organizzazione di tipo centralizzato e coercitivo.
Conseguentemente Bakunin pensava che la rivoluzione delle masse oppresse avrebbe
dovuto comportare, come suo obiettivo primario, non l’abbattimento delle attuali forme
dello stato ma all’eliminazione di qualsiasi forma di stato.
È evidente quanto queste concezioni fossero distanti da quelle di Marx. Anche Marx vedeva
nella religione e nello Stato degli strumenti al servizio delle classi dominanti; ma
collocava l'uno e l'altra nella sfera della sovrastruttura, li considerava cioè come il
prodotto della struttura economica basata sullo sfruttamento: solo la distruzione di
quella struttura - ossia del sistema capitalistico - avrebbe reso possibile la distruzione
dello stato borghese. Anche per Marx l'avvento del comunismo avrebbe portato con sé
l’«estinzione dello Stato»; ma questo stadio finale sarebbe stato raggiunto solo dopo una
fase transitoria, quella della «dittatura del proletariato», necessaria per neutralizzare la
reazione delle classi dominanti. Per Bakunin, uno stato proletario non era meno
oppressivo dello stato borghese, al servizio dei capitalisti, in quanto si sarebbe
inevitabilmente tradotto nel dispotismo di una nuova classe, la burocrazia del partito;
pertanto, il concetto marxista di dittatura del proletariato, che Marx aveva abbozzato
nel Manifesto (e che avrebbe trovato in Russia, dopo il 1917 e nella particolare versione
leninista-stalinista, la sua attuazione pratica), fu oggetto di radicale avversione da parte
di Bakunin e di tutti i militanti anarchici dopo di lui.
La società sognata da Bakunin, dunque, si caratterizzava in primo luogo per
1'anarchia (= assenza di comando), cioè sarebbe dovuta essere priva di stato. Gli
uomini, subito dopo essersi ribellati ai tiranni con un gesto di radicale rottura
rivoluzionaria, si sarebbero radunati in unità, in comunità di modesta entità, in cui il
potere coercitivo dell’autorità sarebbe stato minimo, e quindi incapace di opprimere
di nuovo l’individuo.
Altre fondamentali divergenze tra Marx e Bakunin riguardano i soggetti
promotori e i tempi e le modalità del passaggio alla nuova società portatrice di
felicità a tutto il genere umano. Marx, infatti, era convinto che il ruolo principale nel
processo rivoluzionario spettasse al proletariato industriale, mentre Bakunin
riteneva che gli operai, in virtù della loro capacità organizzativa, sarebbero
riusciti con il tempo ad ottenere buoni salari e condizioni dignitose: i lavoratori
dell'industria, a quel punto, avrebbero perduto ogni volontà di riscatto e si
sarebbero adattati a convivere con il capitalismo e con il potere statale. Quindi, per
Bakunin, gli unici elementi veramente rivoluzionari erano i contadini più miserabili (che
Marx considerava ottusi, ignoranti, troppo facilmente manipolabili dal potere), il
sottoproletariato e tutti gli individui più disperati marginali, non esclusi i
delinquenti comuni. Inoltre, Marx insisteva, che la rivoluzione proletaria avrebbe
avuto possibilità di successo solo quando il capitalismo fosse giunto al limite della
propria espansione, al punto di crollare sotto il peso insopportabile delle sue
interne contraddizioni, e, pur non credendo nella possibilità di trasformare il
sistema borghese dall'interno, riteneva utile che la classe operaia cominciasse a
combattere le sue battaglie già dentro il sistema. Bakunin era decisamente contrario a
ogni prospettiva del genere: per lui l’unica forma di lotta era, oltre alla ribellione
individuale alle convenzioni sociali e alla religione, la rivolta armata che avrebbe
risvegliato la volontà delle masse di abbattere il sistema.
La convinzione che il comunismo si sarebbe spontaneamente imposto si fonda, in
Bakunin, sulla convinzione che l’uomo è naturalmente socievole e che lo stato e la
sua inevitabile violenza non servano a tenere uniti la società ma solo ad opprimere
gli individui, a sottometterli a vantaggio di qualcuno. L’equilibrio tra impulsi
egoistici e altruistici non richiede alcuna coercizione esterna ma può essere
raggiunta attraverso la solidarietà, sentimento che spinge alla libera coesione
sociale.
Con l’abbattimento del regime oppressivo esistente, gli individui vivranno in una
dimensione comunitaria che pone come unico vincolo alla libertà individuale i
vincoli sociali di solidarietà. Ma, perché la libertà dell’individuo possa conciliarsi
con il massimo di solidarietà, occorre che ognuno possa collaborare all’elaborazione
delle leggi e alla gestione politica della comunità in modo che la dimensione sociale
costituisca una parte essenziale del suo essere uomo.
L’abbattimento dello stato, oltre alla partecipazione diretta degli individui alla
gestione della comunità, comporta anche l’abbattimento della terza fonte di
alienazione umana: la proprietà privata che è la diretta responsabile della
disuguaglianza sociale e della miseria delle masse.
La proprietà privata dei mezzi di produzione, e quindi le attuali industrie, saranno
sostituite da associazioni spontanee di produttori in quanto il lavoro diventerà un
bisogno naturale, un modo di esprimersi dell’individualità.
Mentre la tradizione marxista propende per una gestione centralizzata
dell’economia, almeno nel periodo di transizione al comunismo maturo, Bakunin, e
con lui l’intera tradizione anarchica, propende per un’organizzazione dal basso delle
attività economiche, incentrate su piccole unità produttive che agiscono
autonomamente coinvolgendo nella produzione e nella gestione tutti i loro membri.
Secondo Bakunin tali associazioni di produttori si uniranno ad altre associazioni,
dando vita a confederazioni sempre più grandi sino ad estendersi all’intera Europa,
dapprima, e, in seguito, a tutto il mondo.
L’ultima fonte di alienazione dell’uomo è costituta dalle convenzioni sociali, in
particolare dalla morale. Esse rappresentano un impedimento alla felicità
individuale ponendo dei limiti alle possibilità dell’individuo di vivere una vita
emotiva ed affettiva piena, regolando in maniera repressiva le relazioni tra
individui. In particolare Bakunin evidenzia i limiti all’espressione degli affetti e
della sessualità, costretti entro il limitato e soffocante ambito della famiglia.
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