PARTE PRIMA
IL DIRITTO DELL’UNIONE EUROPEA
CAPITOLO I
STORIA DELL’INTEGRAZIONE EUROPEA:
L’EUROPA COMUNITARIA E LA SUA EVOLUZIONE
GUIDA 1. L’origine delle Comunità europee: il Trattato istitutivo della Comunità europea del
carbone e dell’acciaio (CECA) 2. Il Trattato istitutivo della Comunità economica europea (CEE) e
della Comunità europea per l’energia atomica (indifferentemente “Euratom” o “CEEA”) 3. L’unificazione del quadro istituzionale: il Trattato di Bruxelles del 1965 sulla fusione degli esecutivi 4.
L’attuazione degli obiettivi fissati dal Trattato CEE: il periodo transitorio 5. L’integrazione europea e la progressiva adesione degli Stati 6. L’integrazione europea ed il progressivo ampliamento
degli obiettivi comuni: i Trattati modificativi dell’originario assetto comunitario 6.1. L’Atto unico
europeo (AUE) 6.2. Il Trattato di Maastricht, anche detto Trattato sull’Unione europea (TUE) 6.3.
Il Trattato di Amsterdam 6.4. Il Trattato di Nizza 7. I Trattati di Atene e Bruxelles e le conseguenze
di una Europa a 27 Paesi membri 8. La Costituzione europea
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1. L’origine delle Comunità europee: il Trattato istitutivo della Comunità europea del carbone e dell’acciaio (CECA).
L’attuale Unione europea trae le proprie origini dalla nota dichiarazione resa
il 9 maggio 1950 dall’allora ministro degli esteri francese, Robert Schuman, il
quale proponeva di “mettere l’intera produzione del carbone e dell’acciaio sotto
una comune Alta Autorità, nel quadro di un’organizzazione alla quale possono
aderire gli altri paesi europei”.
La proposta politica francese, ponendosi in linea con il movimento europeo
nato dopo la fine della seconda guerra mondiale che condusse alla creazione di
importanti organizzazioni internazionali (il Consiglio d’Europa, l’Organizzazione per la cooperazione economica europea), assumeva notevole importanza per
più aspetti.
Da un lato, essa rappresentava una rilevante misura volta alla eliminazione
dell’antica inimicizia tra Francia e Germania, posto che lo sfruttamento, da parte
dei due Paesi, dei ricchi giacimenti di acciaio e carbone delle regioni della Saar e
della Ruhr erano spesso sfociati in veri e propri conflitti a detrimento dell’equilibrio politico europeo.
Dall’altro, tale proposta, se attuata, avrebbe assunto un carattere fortemente
innovativo poiché, per la prima volta, si sarebbe realizzata un’organizzazione
internazionale cui gli Stati aderenti avrebbero ceduto parte della propria sovranità, sebbene in un settore determinato e limitato, andando oltre il tradizionale
modello di cooperazione intergovernativa.
La cosiddetta “proposta Schuman” incontrò il favore di Italia, Lussemburgo,
Belgio e Paesi Bassi tanto che tali Stati, unitamente alla Francia ed alla Germania, giunsero ben presto alla negoziazione del Trattato istitutivo della Comunità
europea del carbone e dell’acciaio (CECA).
Il Trattato CECA venne firmato a Parigi il 18 aprile 1951 ed entrò in vigore il 25
luglio 1952 tra i sei Paesi firmatari: Francia, Germania, Italia, Belgio, Paesi Bassi,
Lussemburgo.
La creazione della CECA, fondata essenzialmente sulla fiducia reciproca da
parte degli Stati membri alla creazione di un ente cui cedere parte della sovranità statale in ben determinati settori, rappresentava senza dubbio un’impor-
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PARTE PRIMA – DIRITTO DELL’UNIONE EUROPEA
tante svolta nell’ambito delle forme di collaborazione tra Stati a livello internazionale e sulla scia della positiva esperienza di tale organizzazione vennero poi
create sia la Comunità economica europea (CEE, successivamente denominata
“CE” in seguito alle modifiche apportate al relativo Trattato istitutivo dal Trattato
di Maastricht, detto anche Trattato sull’Unione europea TUE) sia la Comunità
europea per l’energia atomica (indifferentemente “Euratom” o “CEEA”).
La struttura organizzativa ed istituzionale della CECA, conformemente all’idea della realizzazione di un ente sopranazionale dotato di competenze proprie,
venne definendosi intorno al concetto di potere sovrano conferito ad un apposito
organo, l’Alta Autorità, che doveva però essere esercitato nel pieno rispetto del
suo Trattato istitutivo (frutto dell’imprescindibile consenso degli Stati) e sotto il
controllo di un’assemblea di tipo parlamentare.
Di conseguenza, nell’originario sistema delineato dal Trattato di Parigi, la
CECA prevedeva, tra i suoi organi, l’Alta Autorità, il Consiglio speciale dei Ministri, l’Assemblea comune e la Corte di giustizia.
L’Alta Autorità rappresentava l’organo cui venivano attribuite le competenze
necessarie per la realizzazione degli obiettivi del Trattato. Essa, infatti, era dotata di poteri normativi nel settore carbo-siderurgico e condivideva, insieme al
Consiglio speciale dei Ministri, il potere esecutivo.
L’organo in parola era composto di nove membri, nominati per un periodo di
sei anni che, per espressa dizione del Trattato, esercitavano le proprie funzioni
in posizione di piena indipendenza e nell’interesse generale della Comunità. Si
trattava, quindi, di un organo formato da “individui” e non da “rappresentanti di
Stati”, al pari di quanto venne poi previsto per i membri della Commissione della
Comunità economica europea.
Il Consiglio speciale dei Ministri era composto dai Ministri degli esteri o degli
affari economici di ciascuno Stato membro (non “individui”, quindi, ma “rappresentanti di Stati”) ed era dotato di poteri consultivi ed esecutivi, questi ultimi
condivisi con l’Alta Autorità.
L’Assemblea comune (in seguito denominata Parlamento europeo) si componeva dei rappresentanti dei popoli degli Stati membri ed era dotata di poteri
consultivi e di controllo politico. Il Trattato istitutivo prevedeva che i membri
dell’assemblea parlamentare venissero eletti a suffragio universale diretto, ma
in una prima fase i rappresentanti dei popoli degli Stati membri vennero scelti
dai Parlamenti nazionali.
Con la successiva creazione della CEE e dell’Euratom, peraltro, l’Assemblea
comune della CECA operò anche nell’ambito delle due nuove Comunità seppure
esercitando, in ciascuna di esse, le rispettive competenze ad essa attribuite dai
Trattati istitutivi.
Infine, la Corte di giustizia, composta, inizialmente, di sette giudici e di due
avvocati generali nominati di comune accordo dai governi degli Stati membri per
un periodo di sei anni e parzialmente rinnovati ogni sei anni, era l’organo cui
veniva attribuito il potere giurisdizionale in ordine alle controversie tra gli Stati
membri, o tra Istituzioni e Stati membri, relative al Trattato ed alle questioni
inerenti l’interpretazione e la corretta applicazione delle norme ivi contenute.
CAPITOLO I – STORIA DELL’INTEGRAZIONE EUROPEA
La CECA si è estinta il 23 luglio 2002 in seguito alla mancata proroga del
termine di scadenza previsto nel Trattato che l’aveva istituita.
In un Protocollo allegato al Trattato di Nizza, entrato in vigore il 1º febbraio
2003, è stato stabilito che tutte le attività e passività della CECA esistenti al 23
luglio 2002 erano trasferite alla Comunità europea (CE) a partire dal 24 luglio
2002.
2. Il Trattato istitutivo della Comunità economica europea (CEE) e della
Comunità europea per l’energia atomica (indifferentemente “Euratom” o
“CEEA”).
La positiva esperienza della CECA condusse gli Stati membri a tentare un’analoga forma di collaborazione internazionale nel settore militare. Vennero,
quindi, avviati i necessari negoziati al termine dei quali, il 27 maggio 1952, i Paesi
membri della CECA firmarono il Trattato istitutivo della Comunità europea di
difesa (CED) che, però, non entrò mai in vigore a causa della mancata ratifica da
parte francese, preoccupata del necessario riarmo della Germania, nonché delle
manifeste ostilità britanniche.
Nonostante la momentanea tappa d’arresto nel processo di integrazione europea dovuta al fallimento del progetto CED, gli Stati membri della CECA,
constatati ben presto i positivi risultati dell’integrazione condotta nel settore
carbo-siderurgico, perseverarono nell’opera di unificazione sino a giungere alla
firma, a Roma nel 1957, dei Trattati istitutivi della CEE e dell’Euratom. I due
Trattati entrarono in vigore il 1º gennaio 1958.
L’obiettivo principale fissato dal Trattato CEE era quello di creare un mercato
comune all’interno dell’area comunitaria non più delimitato ad un determinato
settore economico, ma comprensivo di tutte le attività di mercato al fine di
realizzare non soltanto un’area di libero scambio tra Paesi membri, ma giungere
anche all’adozione di una tariffa doganale comune nei rapporti tra gli Stati della
Comunità ed i Paesi terzi.
Il quadro istituzionale delineato dal Trattato CEE prevedeva la creazione dell’Assemblea, del Consiglio, della Commissione e della Corte di giustizia.
L’Assemblea (dal 1958, Assemblea parlamentare europea ed ora Parlamento
europeo) era composta dai rappresentanti dei popoli degli Stati riuniti nella
Comunità. I membri dell’Assemblea, secondo le originarie previsioni statutarie
tutt’oggi in vigore, sarebbero stati eletti a suffragio universale diretto, ma si
giunse a tale risultato solo molto tempo dopo.
Come già sottolineato, non venne creata una nuova Assemblea della CEE, e
neppure della CEEA, bensì vennero attribuite le funzioni e competenze delineate dai rispettivi Trattati istitutivi delle due nuove Comunità all’Assemblea
già istituita in virtù del Trattato CECA che, quindi, operò come unica assemblea
parlamentare dell’ordinamento comunitario sin dalla nascita delle tre Comunità.
Il Consiglio, formato dai rappresentanti di ciascuno Stato membro, venne
dotato di una funzione di coordinamento delle politiche economiche generali
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PARTE PRIMA – DIRITTO DELL’UNIONE EUROPEA
degli Stati membri e di un potere di decisione che ne fece l’organo legislativo
della Comunità.
La Commissione, inizialmente, era composta di nove membri scelti di comune
accordo dai governi degli Stati membri in base alla loro competenza generale. I
Commissari avrebbero dovuto esercitare le proprie funzioni in piena indipendenza dai rispettivi Governi di appartenenza e nell’esclusivo interesse della
Comunità. Il Trattato, infatti, nel delineare il requisito della necessaria indipendenza dei membri della Commissione, sottolineava l’impegno da parte dei singoli Commissari a non sollecitare né accettare istruzioni da alcun governo né da
alcun organismo nell’esercizio delle funzioni ad essi attribuite.
In realtà, nella prassi, l’appartenenza di un membro della Commissione ad un
determinato Stato si traduce in una garanzia del fatto che gli interessi di detto
Stato siano presi in considerazione (GAJA).
La Corte di giustizia era l’organo giurisdizionale cui venne affidato il compito
di assicurare l’uniforme ed esatta interpretazione delle norme del Trattato.
Anche l’organo giurisdizionale della CEE e dell’Euratom non venne creato ad
hoc per ciascuna delle due Comunità, bensì vennero affidate le relative funzioni
alla Corte di giustizia della CECA sulla base di una Convenzione, firmata tra gli
Stati membri il 25 marzo 1957, ove si convenne, tra le Alte Parti contraenti,
l’istituzione di un’Assemblea e di una Corte di giustizia uniche per tutte e tre le
Comunità.
Il Trattato Euratom, firmato e ratificato dagli stessi Stati membri della CECA e
della CEE, si proponeva di creare un ente dotato di poteri di controllo e di
indirizzo politico nel settore dell’energia atomica.
Il Trattato Euratom prevedeva, al pari del Trattato CEE, l’istituzione ed il
funzionamento di un proprio Consiglio e di una propria Commissione cui venivano attribuiti compiti esecutivi sulle materie oggetto del Trattato.
Mentre nel Trattato CECA l’organo centrale era rappresentato dall’Alta Autorità, cui spettavano, oltre che poteri esecutivi condivisi con il Consiglio speciale
dei ministri, anche competenze propriamente normative all’interno del settore
carbo-siderurgico, nel quadro istituzionale delineato dai Trattati CEE e Euratom
l’organo dotato di potere decisionale e del potere di adozione di atti normativi era
riservato non alla Commissione, organo di “individui” indipendenti dagli Stati al
pari dell’Alta Autorità, bensì al Consiglio, organo formato da “rappresentanti di
Stati”.
Il motivo di una tale scelta risiede nella volontà degli Stati di poter incidere in
maniera diretta e ben più incisiva, per il tramite dei propri rappresentanti presenti nel Consiglio, nell’ambito delle due Comunità sorte dai Trattati di Roma, in
particolar modo nel quadro del Trattato CEE, ove la cessione di sovranità non
riguardava più un delimitato settore economico, bensì l’insieme delle attività di
mercato.
3. L’unificazione del quadro istituzionale: il Trattato di Bruxelles del
1965 sulla fusione degli esecutivi.
Con la firma dei Trattati di Roma e la conseguente creazione della CEE e
dell’Euratom gli Stati membri sentirono sin da subito l’esigenza di semplificare
CAPITOLO I – STORIA DELL’INTEGRAZIONE EUROPEA
la complessità del quadro d’integrazione europea caratterizzato da tre distinte
Comunità, ciascuna dotata di proprie istituzioni cui venivano conferite le relative competenze per la realizzazione degli obiettivi fissati nei tre Trattati istitutivi.
Tale esigenza si tradusse, in un primo momento, con la firma della già citata
Convenzione del 1957 in virtù della quale gli Stati, concordemente, attribuivano
alle tre Comunità un’Assemblea e una Corte di giustizia uniche, ferme restando
le relative competenze che le due istituzioni avrebbero esercitato nell’ambito di
ciascun Trattato.
Solo in un secondo momento, con il Trattato firmato a Bruxelles l’8 aprile 1965
(entrato in vigore nel 1967), gli Stati membri si adoperarono per l’unificazione
delle altre istituzioni comunitarie prevedendo la creazione di una Commissione
unica e di un Consiglio unico.
Nell’istituendo “Consiglio” sarebbero state conglobate le competenze originariamente devolute al Consiglio speciale dei Ministri della CECA, al Consiglio
della CEE ed al Consiglio dell’Euratom.
La “Commissione” unica avrebbe svolto le funzioni attribuite in origine all’Alta
Autorità della CECA, alla Commissione della CEE, ed alla Commissione dell’Euratom.
In difetto dell’attribuzione in capo agli organi delle Comunità del potere di
apportare modifiche strutturali all’ordinamento comunitario, la realizzazione di
uniche istituzioni dotate di competenze e funzioni esercitabili entro i limiti di
ciascuna Comunità non poteva che essere attuata mediante un “ordinario” accordo fra Stati (ovviamente nel caso in esame si tratta degli Stati membri delle tre
Comunità), quale è il cosiddetto “Trattato sulla fusione degli esecutivi”, disciplinato dal diritto internazionale e fondato sul consenso unanime delle Parti contraenti.
Con l’entrata in vigore dell’accordo sulla fusione degli esecutivi le tre Comunità, pur mantenendo ciascuna di esse una propria distinta soggettività giuridica, sono state guidate dagli stessi organi.
Il Trattato di Bruxelles, peraltro, rappresenta il raggiungimento di un’ulteriore
ed importante tappa nel processo di integrazione europea prima di un momentaneo arresto dovuto alla crisi, verificatasi soltanto qualche mese dopo, in seguito alla cosiddetta “politica della sedia vuota” inaugurata dal Governo francese
fermamente ostile all’istituzione di un bilancio autonomo della Comunità.
La Commissione, infatti, aveva proposto la creazione di un bilancio della
Comunità ove le voci d’entrata non dovevano più essere costituite dai finanziamenti degli Stati membri, come solitamente accade per le organizzazioni internazionali, bensì dai versamenti dei prelievi e dei diritti doganali.
Il Governo francese, contrario alla proposta, disertò le sedute delle istituzioni
comunitarie (da qui la locuzione “politica della sedia vuota”) impedendo, così,
qualsiasi decisione in proposito posto che le relative delibere del Consiglio
dovevano essere adottate all’unanimità.
Soltanto il 29 gennaio 1966, a Lussemburgo, venne raggiunto un accordo per
porre fine alla crisi aperta dalla Francia. In quell’occasione venne deciso che il
principio dell’unanimità avrebbe sostituito quello della maggioranza, in seno al
Consiglio, ogni qualvolta fossero stati in gioco “interessi molto importanti” anche
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di uno solo degli Stati membri, senza ulteriormente precisare, però, cosa dovesse
intendersi per “interesse molto importante”, lasciando così ampia discrezionalità in proposito agli Stati membri.
4. L’attuazione degli obiettivi fissati dal Trattato CEE: il periodo transitorio.
I primi dodici anni di vita della Comunità economica europea vengono tradizionalmente definiti come “periodo transitorio”.
I sei Paesi membri della CEE, infatti, anziché prevedere un’immediata attuazione degli obiettivi fissati dal Trattato, optarono per una graduale realizzazione
degli stessi, da compiersi nell’arco di un periodo di dodici anni suddiviso in tre
tappe di quattro anni, onde consentire a ciascuno degli Stati membri un progressivo adeguamento capace di tener conto delle esigenze interne di ognuno.
In tale arco temporale la Comunità, nel quadro della realizzazione di un mercato comune, si prefiggeva di approdare ad un’unione doganale fra Stati membri
in virtù della quale, nello scambio di merci tra i membri della Comunità, sarebbero stati aboliti ogni forma di dazio o altre misure equivalenti e, oltre a tali
misure, si sarebbe dovuta adottare una tariffa doganale comune che tutti i Paesi
aderenti avrebbero dovuto applicare agli scambi commerciali con gli Stati terzi.
Più precisamente, l’attuazione dell’Unione doganale prevedeva, da un lato,
l’abolizione dei dazi doganali e delle tasse d’effetto equivalente, nonché l’eliminazione degli ostacoli non tariffari, nello scambio di merci tra Paesi membri e,
dall’altro, l’adozione della tariffa doganale comune a tutti gli Stati nei rapporti
commerciali tra questi ultimi ed i Paesi terzi.
Il periodo transitorio si sarebbe dovuto completare, con la piena attuazione
delle misure sopra descritte, entro il 1969. In realtà e nonostante il momento di
crisi determinato dall’ostilità francese all’adozione di un bilancio autonomo della Comunità, la spinta alla collaborazione e la fiducia nell’attuazione di un mercato comune avevano consentito di approdare ai risultati programmati già nel
1968.
I successi ottenuti ed i risultati raggiunti accrescevano sia l’idea di un’estensione a settori economici inizialmente non previsti, ma assai importanti nel
quadro dell’integrazione europea, sia l’ipotesi di allargamento ad altri Paesi
europei, in particolare alla Gran Bretagna, inizialmente contraria all’idea di un
organismo sopranazionale quale quello della CECA. Le stesse competenze attribuite alla CEE, ed in particolare la realizzazione delle libertà di circolazione
delle merci, dei lavoratori e dei capitali, erano considerate ampie e conseguentemente veniva realizzata, quale alternativa, la cosiddetta “EFTA” (acronimo
dall’inglese), ossia l’Associazione europea di libero scambio, limitata alla soppressione delle barriere doganali senza alcuna effettiva integrazione.
5. L’integrazione europea e la progressiva adesione degli Stati.
Il processo di integrazione europea ha conosciuto un primo ampliamento delle
CAPITOLO I – STORIA DELL’INTEGRAZIONE EUROPEA
Comunità con l’adesione, a far data dal 1º gennaio del 1973, di Danimarca, Regno
Unito e Irlanda.
L’ingresso nell’ordinamento comunitario di tali Paesi è avvenuto in un periodo
di grande instabilità economica e monetaria (si pensi alla grave crisi petrolifera
del 1973) che ha però contribuito ad una maggiore determinazione dei Paesi
europei, forti della positiva esperienza sino ad allora maturata in ordine alla
conduzione di azioni comuni in campo economico, a proseguire nella realizzazione degli obiettivi comunitari.
Successivamente, grazie alla caduta dei regimi autoritari del Portogallo e della
Grecia ed alla compiuta realizzazione del processo di democratizzazione della
Spagna, anche tali Paesi poterono finalmente fare il loro ingresso nelle Comunità.
Nel 1981, infatti, si è unita la Grecia e, nel 1986, il Portogallo e la Spagna.
Nel periodo a cavallo tra la fine degli anni ottanta e i primissimi anni novanta,
periodo peraltro caratterizzato da forti cambiamenti sul piano internazionale
(segnatamente, la caduta del muro di Berlino e la fine della contrapposizione tra
blocco comunista ed occidente), quattro nuovi Stati presentarono domanda di
adesione alle Comunità: l’Austria nel 1989, la Svezia nel 1991, la Finlandia nel
1992 e la Norvegia nel 1992.
Di tali Paesi solo Austria, Finlandia e Svezia ratificarono i Trattati di adesione
ed entrarono a far parte dell’Unione europea (nel frattempo l’entrata in vigore,
nel 1993, del Trattato di Maastricht aveva determinato la nascita dell’Unione
europea ove le tre Comunità costituivano il primo dei tre pilastri creati dal
Trattato) a far data dal 1º gennaio 1995, mentre la Norvegia non entrò a farne
parte a causa del negativo esito referendario ostativo alla ratifica del Trattato.
L’Europa dei quindici ha caratterizzato tutto il successivo periodo nel quale si
sono raggiunte importanti tappe e siglati altrettanto importanti Trattati — dall’Atto unico europeo al recente Trattato di Nizza — che hanno modificato numerosi aspetti dell’originario ordinamento comunitario.
Il 1o maggio 2004 altri dieci Stati, Cipro, Estonia, Lettonia, Lituania, Malta,
Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Slovenia ed Ungheria, la cui principale
caratteristica è quella di essere, per lo più, Paesi appartenenti all’ex area socialista, hanno fatto ingresso nell’area comunitaria per un totale, quindi, di venticinque Stati membri.
Il 1o gennaio 2007 sono entrati a far parte altri due Stati, Bulgaria e Romania,
e con l’ingresso della Croazia, a far data dal 1° luglio 2013, si è raggiunto il
numero di 28 Stati.
Il processo di integrazione europea è, ad oggi, un processo “permanente”.
L’Unione europea, infatti, è sempre aperta alla partecipazione di ogni Paese
europeo, purché lo stesso soddisfi le condizioni economiche e politiche previste
dall’art. 49 NTUE (per un maggiore approfondimento sul procedimento di adesione di cui al citato articolo si rinvia oltre, al capitolo VI).
Affinché la domanda di adesione sia accettata lo Stato candidato deve essere
sostanzialmente in grado di garantire la democrazia, lo stato di diritto, i diritti
dell’uomo, il rispetto delle minoranze e la loro tutela. Esso deve, inoltre, avere un
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apparato amministrativo ed un’economia di mercato funzionanti e in grado di far
fronte agli impegni derivanti dall’adesione all’Unione europea.
Al momento i Paesi candidati all’adesione all’Unione Europea sono la Turchia
(negoziati avviati nel 2005), il Montenegro (negoziati avviati nel giugno 2012), la
Serbia (negoziati avviati il 21 dicembre 2014), l’ex Repubblica iugoslava di Macedonia e l’Albania, che ha ricevuto lo status di Paese candidato nel giugno 2014.
Il Kosovo e Bosnia Erzegovina sono invece ritenuti candidati potenziali. Quanto
all’Islanda, quest’ultima ha bloccato nel 2013 i negoziati per l’adesione che
avevano avuto inizio nel 2010.
6. L’integrazione europea ed il progressivo ampliamento degli obiettivi
comuni: i Trattati modificativi dell’originario assetto comunitario.
Il percorso verso l’unificazione europea è sempre stato caratterizzato, da un
lato, da un progressivo ampliamento degli obiettivi comuni, dall’altro, da un
numero sempre più ampio di Stati che nel corso del tempo, condividendo la linea
politico-economica condotta con successo dalle Comunità, sono entrati a far
parte dell’ordinamento comunitario.
I risultati oggi raggiunti sul piano comunitario e su quello proprio delle altre
politiche dell’Unione europea — segnatamente Politica estera e sicurezza comune e Cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale — non furono
predeterminati al momento dell’entrata in vigore degli originari Trattati istitutivi
delle Comunità, bensì rappresentano il frutto di una costante spinta volta alla
realizzazione di politiche comuni dai contenuti sempre più ampi ogni qual volta
gli Stati e le istituzioni comunitarie ritenevano compiute, con successo, le singole
fasi del processo di integrazione di volta in volta fissate dai Trattati istitutivi,
prima, e da quelli di modifica, poi.
Dall’originaria previsione della realizzazione di un mercato comune, contenuta nel Trattato di Roma istitutivo della CEE, si è passati, per successive tappe i cui
termini di attuazione venivano fissati nei Trattati di modifica in itinere siglati
dagli Stati membri, alla previsione della realizzazione di un mercato unico europeo ove venisse garantita la libera circolazione delle persone, merci, servizi e
capitali (Atto unico europeo).
Raggiunti gli obiettivi fissati, il cammino verso l’unificazione europea è proseguito con la previsione della creazione di un’Unione europea avente finalità
politiche generali, nonché di un’integrazione economica e monetaria che si
concludesse con l’adozione di una moneta unica valevole per tutti gli Stati membri (Trattato di Maastricht o Trattato sull’Unione europea TUE) sino a giungere,
dopo altri importanti Trattati di modifica (Trattato di Amsterdam, Trattato di
Nizza) al Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa siglato a Roma il 29
ottobre del 2004 ma mai entrato in vigore a causa del mancato completamento
delle procedure di ratifica e degli esiti negativi dei referendum tenutisi in Francia e nei Paesi Bassi.
Soltanto dopo un “periodo di riflessione” avviato dall’Unione europea sul futuro dell’Europa con l’intenzione di ristabilire il legame tra i cittadini ed il pro-
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getto europeo e di decidere sul futuro del Trattato costituzionale è stato dato
mandato ad una Conferenza intergovernativa (CIG) per l’adozione di un testo di
riforma dell’attuale sistema europeo.
La CIG ha concluso i propri lavori con l’approvazione del Trattato di Lisbona,
firmato il 13 dicembre 2007 dai 27 Paesi membri, mettendo finalmente fine ai
diversi negoziati istituzionali che hanno peraltro decretato il definitivo abbandono del progetto costituzionale.
Il Trattato di Lisbona, entrato in vigore il 1o dicembre 2009, ha determinato,
come avremo modo di approfondire nel corso dei successivi capitoli, una profonda e radicale modifica del precedente assetto.
L’analisi contenuta nei paragrafi che seguono del presente capitolo, quindi,
attiene alla struttura dell’Unione europea così come essa si era venuta a delineare sino all’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, ossia del Trattato che ha
provveduto ad importanti modifiche del Trattato dell’Unione europea e del
Trattato che istituisce la Comunità europea, e il cui esame non può prescindere
da una preliminare, seppure sommaria, esposizione del precedente quadro europeo.
6.1.
L’Atto unico europeo (AUE).
I Trattati istitutivi delle Comunità, come già rilevato, hanno subito numerose
modifiche, sia per effetto dei Trattati di adesione dei nuovi Stati membri che, nel
corso degli anni, si sono aggiunti alle Comunità, sia per la conclusione degli altri
importanti Trattati volti ad una sempre più penetrante attuazione del processo
di integrazione comunitaria.
Nel giugno del 1985, la Commissione della CEE pubblicò un Libro Bianco ove
venivano indicate le linee di sviluppo della Comunità per il completamento del
mercato interno.
Nel documento elaborato dall’istituzione comunitaria venivano precisati gli
ulteriori ostacoli che si frapponevano ad una piena realizzazione del mercato
interno e le misure volte ad un superamento degli stessi.
Il Libro Bianco evidenziava, in particolare, la necessità di superare tre tipi di
ostacoli.
Innanzitutto venivano prese in esame le barriere fisiche ostative ad una libera
circolazione delle persone. La progressiva eliminazione delle stesse avrebbe
certamente consentito una mobilità fisica ma anche, e soprattutto, una mobilità
intellettuale e della forza lavoro.
Un ulteriore ostacolo era rappresentato dalle barriere tecniche rappresentate
dalla diversità di prescrizioni normative presenti nei vari Paesi membri in ordine ai requisiti tecnici riferiti ai prodotti che poteva e doveva essere superato
tramite un processo di armonizzazione delle diverse discipline.
Infine, la Commissione indicava nelle barriere fiscali, determinate dalle differenti aliquote IVA e dalle accise presenti negli Stati membri, un ultimo, ma certo
non meno importante, ostacolo da rimuovere.
Il 17 febbraio 1986 venne firmato l’Atto unico europeo (AUE), entrato in vigore
il 1º luglio 1987, con il quale si concludevano i lavori della Conferenza intergo-
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vernativa, nel frattempo avviata, per tradurre in concrete azioni le linee di
sviluppo contenute nel Libro Bianco.
L’AUE si proponeva di realizzare, entro il 31 dicembre 1992, il grande “mercato
interno”, cioè “uno spazio senza frontiere interne, nel quale è assicurata la libera
circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali”.
L’AUE è un Trattato di diritto internazionale e non un atto comunitario. Esso
promana, quindi, direttamente dalla volontà, necessariamente concorde ed unanime, di tutti gli Stati e non dalle istituzioni delle Comunità. Queste ultime,
infatti, esprimono la volontà statale in maniera indiretta, in virtù dei poteri e
delle competenze alle stesse conferite tramite i Trattati istitutivi o, comunque,
anche quando l’istituzione risulta composta da rappresentanti di Stati, i desiderata di ciascuno di essi si fondono in un’unica volontà espressa, a seconda dei
casi, sulla base del principio dell’unanimità o di quello della maggioranza, semplice o qualificata, secondo le regole pattuite nel Trattato.
L’AUE costituisce la prima revisione davvero significativa degli originari Trattati istitutivi delle tre Comunità. Il raggiungimento dell’obiettivo inerente il mercato interno, fissato nel Trattato in parola, ha comportato, di fatto, una graduale
eliminazione degli ostacoli esaminati dalla Commissione nel Libro Bianco.
Il 1º gennaio del 1993 i Paesi aderenti alle Comunità erano, così, riusciti a
creare uno spazio libero da tutti quegli ostacoli che impedivano una piena attuazione della libera circolazione dei beni e dei servizi nell’Europa comunitaria.
In quegli stessi anni, peraltro, sulla scia delle linee di sviluppo esaminate nel
Libro Bianco ed afferenti agli aspetti legati alla libera circolazione delle persone,
non propriamente intesa nella sua valenza economica e di mercato, venne firmato il cosiddetto “Accordo di Schengen” (14 giugno 1985).
Si trattava, anche in questo caso, di un vero e proprio Trattato di diritto internazionale, integrativo della Comunità, ma concluso al di fuori di essa, con il quale
si sarebbe completata la libera circolazione delle persone che il Trattato CE
(prima Trattato CEE) circoscriveva, invero, alle sole attività economiche (BALLARINO). In tale prospettiva, l’Accordo prevedeva l’attuazione di misure dirette a
contenere e contrastare le problematiche connesse alla libera circolazione delle
persone di dimensione “comunitaria” e relative, in particolare, al terrorismo, alla
criminalità organizzata ed al traffico di stupefacenti.
Con un apposito Protocollo allegato al successivo Trattato di Amsterdam gli
accordi di Schengen sono stati inseriti nel Trattato CE in una apposita parte dello
stesso, il Titolo IV della Parte III del Trattato denominato “Visti, asilo, immigrazione ed altre politiche connesse con la libera circolazione delle persone”.
6.2.
Il Trattato di Maastricht, anche detto Trattato sull’Unione europea (TUE).
Con il Trattato di Maastricht, firmato il 7 febbraio 1992 ed entrato in vigore il 1º
novembre 1993, detto anche Trattato sull’Unione europea (TUE), il quadro comunitario subisce un’ulteriore ed importante modifica.
Con tale Trattato si viene a creare una Unione europea avente finalità politiche
generali ed una Unione monetaria dai programmi attuativi più penetranti e
precisi.