Risposta al commento di Ferruccio a: “Nella terra di mezzo” Part. 8° Unitariani Sito della Congregazione Italiana Cristiano Unitariana CHI SONO Nome: Roberto Rosso mercoledì, 25 ottobre 2006 REV. TRAVAGLIONI: "GESÙ EBREO" Gesù “Ebreo”: una Teologia del “Dinamismo” Nell’ottica esegetico-dottrinale della figura del Cristo (così come riferita dai Vangeli e dagli altri scritti) e nelle elaborazioni dottrinali successive (sia in relazione agli scritti dei Padri della Chiesa che alle speculazioni teologiche), non si accenna – neanche minimamente – alla radice ebraica sia del Cristo come uomo che del Cristo come latore della Parola1. Occorre puntualizzare, per puro spirito di completezza ed oggettività, come il Cristo “nasce” ebreo, viene circonciso, vive da ebreo seguendo gli insegnamenti Toraici, muore da ebreo (ed in tal senso gli Evangeli ci riferiscono con chiarezza i riti della Sua morte puntualmente aderenti alla ritualità ebraica). Questo breve riferimento al carattere di “ebraicità” della persona di Cristo non può sfuggire neanche al più disattento lettore degli Evangeli, né può essere messo in discussione attesa la sua oggettiva rispondenza alla lettera delle Scritture ed alla “biografia” in esse contenuta. Occorre ripercorrere le tappe della vita di Gesù per poi esaminare la Sua “ebraicità” in relazione agli insegnamenti contenuti nelle Scritture. a) Vita di Gesù “storico”. Nasce in una famiglia di Ebrei osservanti e come tale viene educato, in un momento storico in cui la cultura e la spiritualità israelite subiscono numerosi e ripetuti attacchi da parte dell'ellenismo non tollerante ed in cui la dominazione dell'Impero Romano coinvolge tutti i paesi del bacino mediterraneo, spingendosi anche oltre. Lo scritto Lucano riferisce che “Quando furon passati gli otto giorni prescritti per la circoncisione, gli fu messo nome Gesù…..” ((Luca, 2, 21) ed inoltre “Quando venne il tempo della loro purificazione secondo la legge di Mosè, portarono il bambino a Gerusalemme per offrirlo al Signore” (Luca 2, 22), quindi Gesù fu circonciso e presentato al Tempio, come qualsiasi altro ebreo. Gesù, quindi, appartiene al mondo dei rabbini, per nascita, educazione, conoscenza della Torah, disputa con questi2, ma sempre nel rispetto della legge Toraica ed esprimendo soltanto un diverso modo di concepire la religione ebraica, pur senza discostarsene. "Ora il bambino cresceva e si fortificava, era pieno di sapienza e la grazia di Dio era sopra di lui. I genitori di Gesù andavano ogni anno a Gerusalemme per la festa di Pasqua...", specifica Luca (2,40-41). Ingiunge alla folla e ai suoi discepoli di seguire le prescrizioni degli scribi e dei farisei: "Gli scribi e i farisei sono seduti sulla cattedra di Mosè: fate dunque tutto quello che vi dicono", con l’unica raccomandazione di non comportarsi come loro: "Ma non fate come loro fanno, perché dicono ma non fanno" (Matteo 23,2-3). Gesù si sottopone addirittura al rito tradizionale delle “due dracme” che gli ebrei erano obbligati a pagare ogni anno per il tempio: "Quando arrivarono a Cafarnao, quelli che raccoglievano le due dracme si rivolsero a Pietro e gli dissero: Il vostro maestro non paga le due dracme? Si, rispose" (Matteo 17,24-25). In ogni caso, queste pratiche di Gesù, il recarsi di sabato nella sinagoga, il leggere la Torah e poi un brano dei Profeti ed assistere ad un sermone, corrispondono agli usi e costumi degli ebrei, così come risulta dalle fonti rabbiniche e da quelle non rabbiniche3. Già sotto tale aspetto, la figura del Gesù “storico” appare di tutta evidenza nella sua connotazione di uomo ebreo, che viveva da ebreo nella pratica quotidiana, che interagiva con il popolo secondo schemi e canoni ebraici, senza nulla di nuovo (o di diverso) da apportare, se non la “scienza” ed una forma di perfezione (o di perfettibilità?) che lo contraddistingueva dai rabbini dell’epoca, legati più al potere religioso esercitato sul popolo che ad una sana ed incondizionata fede nel Signore di Israele che aveva riscattato il popolo ebraico per farlo divenire un popolo eletto. Gesù, infatti, ripete sovente che l’uomo deve conformarsi alla Legge ed agli insegnamenti dei Profeti, così ribadendo la propria natura ebraica ed il suo modus vivendi ed operandi (è sintomatico, di questo, un passo di Matteo 7,12: “Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro: questa infatti è la Legge ed i Profeti”, quasi a voler ribadire l’importanza della Legge nell’azione umana, Legge alla quale l’uomo deve conformarsi al fine di raggiungere il Paradiso promesso). L’esempio poc’anzi rappresentato non è una mera estrapolazione di un passo evangelico isolato, ma è uno dei continui riferimenti contenuti nella Scrittura neotestamentaria, a conferma e riprova che Gesù ben conosceva la Legge (Mosaica), ma che anche ben conosceva quali fossero gli insegnamenti rabbinici: il passo di Matteo sopra riferito si riallaccia all’insegnamento della tradizione rabbinica, laddove era detto “Non fare a nessun altro ciò che non ti piace; questa è la Torah intera e tutto il resto non è che spiegazione. Va e impara!”, e quindi Gesù ben conosceva tali insegnamenti e mai ha pensato di discostarsene. Negando il substrato ebraico del Cristo e la sua appartenenza alla religione di Israele, ci si dovrebbe chiedere perché ha vissuto ed insegnato – mutatis mutandi – da ebreo, secondo la Legge Toraica, secondo gli insegnamenti dei rabbini e secondo la tradizione orale ebraica: del resto è dimostrato come Gesù conoscesse l’Aggadah e l’Halachah! E’ interessante notare come anche tutti quelli che “ruotavano” attorno a Gesù non erano che ebrei, e che – anche nei rapporti con Gesù – non si comportavano che da ebrei. Riflettiamo un attimo sulla morte e sulla sepoltura del Cristo. Questi viene posto nel sepolcro secondo il rito ebraico, e secondo questo rito viene fatto l’Aveluth (la celebrazione rituale dei sette giorni successivi alla morte): quindi il Cristo nasce, cresce e muore da ebreo, e mai ha “pensato” a dichiararsi “non ebreo”, ma ciò comunque anche a riprova della sua unica ed assoluta natura umana. b) Gli insegnamenti di Gesù. Abbiamo visto sopra, seppur molto sinteticamente, come il Gesù “storico” sia stato un ebreo in ogni forma quotidiana della Sua vita, e nondimeno lo era negli insegnamenti. Analizzando puntualmente il pensiero dell’ebreo Gesù, del Gesù nato da Maria vergine, dal Gesù uomo, il più grande figlio e profeta di Dio (Dicendo "credo in Gesù" noi esprimiamo la nostra convinzione per cui sia il più grande figlio e profeta di Dio e per cui i suoi insegnamenti siano il modo più sicuro attraverso cui noi possiamo ricevere una vera conoscenza di Dio” – Catechismo Unitariano Ungherese, 57), notiamo come tutto l’insegnamento nasce da una forte radice ebraica mista ad elementi dinamici, in contrapposizione soltanto alla staticità degli insegnamenti rabbinici dell’epoca, che miravano più ad incutere timori di una “ira” di Dio sul popolo qualora si discostassero dalla Legge Mosaica, che a contemperare le continue mutazioni sociali e di pensiero di un popolo comunque in evoluzione, tratto dall’ignoranza e dal politeismo. Gesù si pone fra i rabbini ed il popolo, ammonisce il popolo, ma ammonisce anche i rabbini, fa sì che la stretta osservanza non abbia più radici nell’”ira” di Dio, ma nell’amore per un Dio che accoglie nel suo Regno le proprie pecorelle smarrite e le tratta con amore e con dedizione. Gesù non viene per “cambiare” ma per “migliorare” per “compiere” e questo è il punto essenziale della nostra analisi (“Non pensiate ch’io sia venuto per abrogare la Legge o i Profeti; non sono venuto per abrogare, ma per compiere” – Matteo, 5:17). L’espressione usata da Gesù “non sono venuto per abrogare” è la chiave di volta ed il verbo “πληρώσαι” assume il significato di “compiere”, “realizzare”, ma non nel senso di novità, ma nel senso di “migliorare”, quindi di ripristinare il senso originario della Legge, o di perfezionare un codice di vita già esistente4. Gesù non è il Profeta della “Parola nuova od innovativa” o della Parola “diversa”, ma della Parola volta a perfezionare quell’antico codice di vita esistente fra il popolo della Torah. Preferiamo dare il senso di “perfezionare” siccome più logico e più aderente alle fonti, tant’è che il versetto citato si riallaccia a quello precedente contenuto in Matteo 1,22: “Tutto questo avvenne perché si adempisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del Profeta”, quasi a voler introdurre (in Mt. 1,22) il concetto dinamico di adempimento e successivamente (in Mt. 5,17) la grande linea guida della propria venuta al fine di porre in essere concretamente tale adempimento, e quindi perfezionare ciò che già esisteva, ma che verosimilmente era stato o disatteso o travisato. Gesù ricorda lo “Shemà Israel” come punto cardine del Suo insegnamento (Viene chiesto a Gesù: “Qual è il più importante di tutti i comandamenti5?” Gesù rispose: “Il primo è: "Ascolta, Israele: Il Signore, nostro Dio, è l'unico Signore: Ama dunque il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta l'anima tua, con tutta la mente tua, e con tutta la forza tua". Il secondo è questo: "Ama il tuo prossimo come te stesso". Non c'è nessun altro comandamento maggiore di questi” – Marco 12:28b-31), ed inizia ad elaborare quella che sopra abbiamo definito una Parola volta a perfezionare il credere del popolo ebraico, riferendosi senza dubbio ai Comandamenti come Legge fondamentale della fede, quindi alla Legge dell’Antico Testamento, alla Legge di Mosè. Senz’ombra di dubbio, il riferimento ai Comandamenti6 diviene un ribadire la vigenza della Legge Mosaica, ma anche un ribadire un insegnamento dal quale il popolo di Israele si era discostato, rimanendo ancorato a principi desueti e comunque privi della giusta e necessaria dinamicità. Se avesse voluto portare al popolo ebraico una Parola “nuova” non avrebbe ritenuto il primo Comandamento quale il più importante, ma avrebbe – per converso – “modificato” la linea guida sostituendola con altra e così “abrogando” la vecchia Legge per sostituirla con una “nuova Legge”: ma mai e poi mai ha sostituito la Legge Mosaica, mai e poi mai ha “rinnegato” il proprio ebraismo, mai e poi mai ha inteso opporsi a tale Legge. Ed allora, come dobbiamo inquadrare – all’interno di questa “ebraicità” la figura del Cristo? Certamente la domanda si presta a variegate risposte, tutte molto fondate, ma nessuna risolutiva, a causa della troppa “distanza” che nei secoli abbiamo voluto marcare fra il Vecchio ed il Nuovo Patto. Ma, forse, la risposta è proprio in questa distinzione, e forse era questo ciò che ha voluto trasmettere Gesù con i suoi insegnamenti. Rimarcavano, sopra, i concetti di dinamicità e di staticità del pensiero (dinamicità del pensiero e degli insegnamenti del Cristo e staticità del pensiero rabbinico), quasi a voler distinguere i due attributi. Per vero, sicuramente nella mente di Gesù non si voleva operare un distinguo così netto, ma in pratica tale distinguo assume un carattere di specificità che addirittura Origene ha velatamente (ma pur sempre volutamente) rimarcato, laddove ritiene che l'Antico Testamento è una prefigurazione del Nuovo Testamento: nel loro insieme essi costituiscono un'unità , che ha il suo fondamento nell'Unità divina , incorporea e inconoscibile nella sua natura. Questa “prefigurazione” origeniana fa nascere i due attributi di staticità – da una parte – e di dinamicità dall’altra. La “prefigurazione” diviene la base logica del successivo, ma presuppone che il successivo sia dinamico rispetto al precedente nel senso che lo “migliori” e lo “completi” secondo un passaggio ideologico transeunte fra il primo ed il secondo. Quindi, il Gesù ebreo di nascita e di pensiero, diviene il Gesù del “miglioramento” e pertanto passa dalla fase ideologica della staticità in quella della dinamicità del pensiero, volto ad “universalizzare” dinamicamente il pensiero basico stesso, al quale – in ogni caso - è legato da un vincolo non solo di appartenenza ma anche di pensiero: non più, quindi, un Dio continuamente “irato” dal discostarsi del popolo ebraico dagli insegnamenti Toraici, ma un Dio perdonatore, misericordioso, pieno di amore, ma che pretende anche amore dalle Sue creature che ha creato per essere inneggiato con le lodi, come afferma il Salmista. Il punto centrale dell’amore, diviene un punto di “centralità” (e quindi non più meramente centrale), attorno al quale ruotano tutti gli insegnamenti del Gesù “miglioratore” dell’antica Parola, tant’è che nel c.d. “Discorso della Montagna” (Matteo, 5, 6 e 7) ribadisce i concetti della Legge, limitandosi soltanto a criticare il comportamento degli Scribi e dei Farisei, ma senza modificare concettualmente la Legge, soltanto “migliorandola” mediante insegnamenti (appunto dinamici) che costituiscono un diverso e meraviglioso filone di pensiero. In buona sostanza, il Vecchio ed il Nuovo Testamento non sono che un tutt’uno da leggere e sui quali riflettere soltanto mediante due diverse chiavi di lettura, ma senza che costituiscano due diversi pensieri religiosi che diano vita a due diverse religioni.7 Il Vecchio Patto viene visto da Gesù come la fonte del credere e della fede in un unico Dio, la fonte da seguire quale linea guida della vita del credente, mentre il Nuovo Patto viene posto in essere quale miglioramento ed adeguamento alle mutate esigenze di un popolo che – sì era eletto – ma che comunque aveva subito influenze che non rispondevano più ai “canoni” degli insegnamenti Toraici ed all’esempio dei rabbini. Se il Gesù del Nuovo Patto era il Profeta del rinnovamento, doveva essere inevitabile che tale rinnovamento partisse dal presupposti di insegnamenti precedenti: Gesù, per l’appunto, non era venuto per “abrogare” ma per “compiere”, per “migliorare”; non si era assunto l’onere di cambiare o di portare una nuova “religione” fra il Popolo di Israele, ed infatti non portò alcuna nuova “religione”, ma compì ciò che non era stato fatto, o che era stato fatto soltanto parzialmente. La Riforma pone dei termini ben precisi ed un punto limite di “vigenza” dell’antica Legge, durata sino a Giovanni, ed una nuova Legge iniziata appunto con Giovanni, sulla base testuale di Luca 16:16: “La Legge e i Profeti fino a Giovanni; da allora in poi viene annunziato il regno di Dio ed ognuno si sforza per entrarvi”, tant’è che Lutero si spinge oltre, traducendo il testo in questo modo: “Das gesetz und die propheten weyβ sagen bis auf Johannes, und for der zeyt an, Wirrt das reych Gottis durchs Evangelion prediget, und yderman dringt mit gewallt hyn eyn. Es ist aber leychter das hymel und erden vergehen, den das eyn tuttel am gesetz falle“ (WADB 6,286). In tal senso, sembrerebbe come l’insegnamento “migliorativo“ di Gesù (o comunque volto a “compiere“) fosse in sostanza una innovazione, un pensiero “nuovo” che – abrogando il pensiero veterotestamentario – avesse un inizio e fosse il “nuovo filone” di una “nuova religione”, espressione di un “tempo ormai finito” (come annota la TOB, pag. 2379 nota a). Ma ciò non lo è, né ragionevolmente, né logicamente. Gesù non ha “inventato” nulla nei Suoi insegnamenti, né ha voluto intendere che con Giovanni il tempo fosse finito, ha semplicemente, ancorché meravigliosamente, posto dei punti fermi ed un pensiero, questa volta “nuovo”, al fine di compiere ciò che antecedentemente il popolo di Israele non aveva recepito in maniera decisa, sviando continuamente o comunque staticizzando il proprio credere: è sintomatico quando Gesù ordina di tirar fuori dal pozzo l’asino, ancorché fosse Shabbat, in quanto l’asino sarebbe morto ed all’indomani non lo avrebbero potuto più utilizzare per il proprio lavoro! Questo esempio non costituisce l’affermare una nuova idea della religione (quasi a voler implicitamente abrogare il precetto del sabato), o l’espressione di un “nuovo tempo” che doveva sostituire un tempo ormai finito, o un Vecchio Patto ormai non più in vigore, ma costituisce semplicemente un punto di logico comportamento improntato in una stupefacente dinamicità nell’applicazione del pensiero ebraico.8 Quindi, nulla di nuovo in senso assoluto (non in senso semantico, ovviamente), ma una radice rimasta inalterata nel pensiero cristologico. Per altro, lo stesso Papa Giovanni Paolo II ha detto che “chiunque incontra Gesù Cristo incontra l'ebraismo” (cfr. "Incontro con la comunità ebraica di Magonza. Discorso di Giovanni Paolo II"…, citazione del documento dei vescovi tedeschi, “ Dichiarazione sui rapporti della Chiesa con l'ebraismo ”, aprile 1980), riconoscendo – seppur solo implicitamente – le radici ebraiche di Gesù, senza arrivare – ovviamente – al paradosso di ritenere Gesù soltanto un rabbino, come in alcuni ambienti ebraici si è cercato di dimostrare. Di tutta evidenza, quindi, appare il concetto esposto sopra circa la staticità (prima) e la dinamicità (dopo) del pensiero (prima) Toraico e (dopo) cristologico. Il passaggio dall’uno all’altro costituisce l’essenza del pensiero cristologico, laddove Gesù parte dal presupposto della Legge Mosaica per giungere ad un compimento della stessa, in una chiave più aderente allo spirito del popolo ebraico al fine di “universalizzare” il proprio insegnamento, al fine di non dover essere ritenuto il Profeta del solo popolo ebraico (come dovevano essere considerati i Profeti succedutisi prima di Lui), ma il Profeta universale che non conosceva limiti, frontiere, popoli, e che – al contrario – doveva compiere per tutti, in favore di tutti, a beneficio di tutti, ciò che precedentemente (ma staticamente) apparteneva all’insegnamento del Vecchio Patto e dei precedenti Profeti. Ecco il dinamismo del pensiero cristologico e l’esigenza di un diverso modo di concepire la religione ebraica, secondo criteria di interazione fra il divino e l’uomo, ed anche per questo fu diverso dagli altri uomini (“Gesù fu diverso dalle altre persone per il fatto che egli visse in ottemperanza alle leggi di Dio. E tutte le sue azioni furono in accordo con la volontà del suo Padre provvidenziale; perciò è divenuto per noi “la via, la verità e la vita” Gv 14:6a] – Catechismo Unitariano Ungherese, 73). L’interazione fra il divino e l’uomo era – per Gesù – il punto di partenza acciocché l’uomo potesse comprendere la natura di Dio, potesse ascoltare i Suoi insegnamenti e metterli in pratica, appunto interagendo, mediante la preghiera, l’esempio, il rinnovamento dell’anima. L’uomo doveva arrivare a conoscere Dio, mentre nell’esempio dei rabbini dell’epoca, Dio era conosciuto soltanto da questi; erano i rabbini i detentori della scienza, mentre Gesù insegna affinché il popolo apprenda, agisca, ed insegni a sua volta agli altri uomini, alle altre generazioni posteriori. Erano i rabbini ad interpretare le Scritture, ed il popolo doveva attenersi a tali insegnamenti, senza poter interpretare, con l’unico onere di seguire quanto i rabbini insegnavano, mentre nella dinamicità del pensiero cristologico, Gesù insegna, insegna gli stessi principi Toraici, compiendo la Parola, ma il popolo interpreta relazionandosi con il divino in una speranza escatologica, in una speranza di vita futura che costituisce il tutto di una parte della vita terrena9. Si potrebbe obiettare che i Sacramenti del Battesimo e della Cena del Signore siano espressione cultuale di una nuova religione (appunto il Cristianesimo in contrapposizione all’Ebraismo). La deduzione, per altro logica, quanto legittima, non appare però ondata da un punto di vista scritturale. Questi servizi hanno per scopo ”la capacità di rafforzare la nostra vita morale e religiosa. I servizi sono risorse che ci rammentano i nostri doveri e che ci inducono a seguire l'esempio di Gesù ed a compiere buone azioni“ (cfr. Catechismo Unitariano Ungherese, 115). Il Battesimo costituisce la mera espressione cultuale del Nuovo Patto, che Gesù istituisce acciocché il credente diventi membro della Chiesa Cristiana. Ma tutto ciò non costituisce una contrapposizione fra religioni, quanto semplicemente ribadisce l’esigenza del compimento dell’antica Legge, rinnovata nella forma e nella sostanza, che si riallaccia alla pratica ebraica del Mikvèh (per altro allacciato al rituale del Bar Mizvà), del bagno rituale che purifica dal peccato e che fa essere un nuovo uomo, un uomo rinnovato e purificato dall’acqua e nell’acqua. Il Battesimo vuol essere – anche solo simbolicamente, se vogliamo – espressione di tale rinnovamento e di entrata a far parte di una Comunità che fa propri gli insegnamenti di Gesù e che pur sempre – giova ripeterlo – costituiscono il “compimento” dell’antico insegnamento ebraico, di quell’insegnamento statico che diviene dinamico mediante il rinnovamento battesimale. Anche nella Cresima, attraverso la quale diveniamo membri indipendenti della chiesa e ci assumiamo la responsabilità di fronte a Dio di tutte le nostre azioni e della nostra fedeltà, troviamo un dinamismo contrapposto alla staticità della cultualità ebraica, laddove quella responsabilità di fronte a Dio viene in essere con la cerimonia del Bar Mizvà10, ove il giovane ebreo – già circonciso – entra a far parte dell’ebraismo quale membro indipendente della Comunità. Il Cristo, al contrario, non abbandona tale concetto, ma compie la Parola attraverso un rinnovamento cultuale che spezza le catene dell’immobilismo ebraico. Anche in tal senso, il Gesù “ebreo” opera non un cambiamento, ma un rinnovamento interiore dell’uomo, lo fa essere membro attivo della Comunità di credenti, lo sprona a seguire la Parola secondo modelli concettuali avanzati e più in linea con le esigenze socio-culturali non più di un ristretto popolo, ma erga omnes. Non par dubbio come tale avanzamento sia espressione di un dinamismo non solo concettuale, ma anche applicativo, che conferma un passaggio dall’ebraismo “rabbinico” legato alla percezione del divino come un qualcosa di mera sublimazione, ad una cristianesimo dinamico e fluido, ove la percezione del divino risiede nella Parola e nell’esempio quotidiano. La fede ebraica diviene una fede cristiana in senso trascendentale da adattarsi alle singole esigenze e per un popolo indifferenziato: un universalismo unico nel suo genere, non legato all’elezione di un popolo specifico, ma aperto a chiunque voglia accogliere in sé la Parola come fonte di vita e di azione. Il Gesù “ebreo” agisce, ma nel contempo sprona il popolo all’azione, dando un volto nuovo all’ebraismo, pur senza abrogare la Legge ed i Profeti. Non abroga nulla: migliora, compie, solidifica il pensiero antico e lo allarga alla generalità dei popoli, senza distinzione alcuna, senza distinzione di elezione o meno. Non esiste più un popolo eletto, esistono i popoli eletti, che coincidono con l’universalità dei popoli. Esistono i singoli che riflettono, che accolgono il pensiero, che giustificano le proprie azioni alla luce dell’Evangelo, dell’insegnamento del Gesù “ebreo”, volto nuovo di una nuova era religiosa, ove la fede non è soltanto personale, ma è anche di massa, si tramanda con l’esempio e con lo studio, con uno studio semplice e facilmente approcciabile, non più con lo studio dei soli testi talmudici, appannaggio dei soli eruditi. La Torah, quindi, viene ad assumere il ruolo di una Rivelazione limitata nel tempo e nello spazio, una Rivelazione da integrare ed interpolare, una Rivelazione che costituisce la base della fede giudaico-cristiana, arricchita e completata da elementi più aderenti alle mutate esigenze ed al mutato ambiente che il Gesù “ebreo” introduce quale figlio e Profeta di Dio ed invita gli uomini (tutti) a seguire come espressione di una fede senza dubbio nuova non nei contenuti base, ma nella sua forma dinamico-espressiva, che per altro apre un largo spiraglio ad un modo rinnovato di credere e di affrontare la vita da credenti nell’unità Divina, un diverso modo di vivere nel mondo la cui regola è la volontà Divina: “La Torah orale parla in spirito e in verità anche quando sembra "triturare" dei versetti e dei testi della Torah scritta. E' per questo che noi abbiamo intitolato il presente libro con delle parole che, a usare un linguaggio appropriato, concernono soltanto il tema trattato dal sacro al santo” (cfr. E. Levinas, Du sacré au saint; 1977, p. 10). Un passaggio, quindi, dal “sacro” al “santo”, che rinnova l’idea di religione, che perpetua nelle generazioni successive una concettualità più spiccata non della sacralità Toraica, ma della santità evangelica e della figura del Cristo uomo, del Profeta che opera una netta demarcazione fra questi due concetti, che non sono mera espressione di un pensiero, ma costituiscono una riscoperta dell’uomo in termini metafisici, dell’uomo “nuovo” in quanto santificato dalla fede e da essa giustificato secondo il concetto Pauliano. Possiamo senza dubbio affermare, come ha autorevolmente sostenuto il Neusner (in The Academic Study of Judaism , 1975, pp. 33-34) che esiste un Nuovo Testamento che porta a compimento l’Antico Testamento, così come affermato da Gesù in Mt. 5:17. Un Nuovo Testamento che introduce un nuovo11 Patto da seguire con fede, umiltà ed amore, un Nuovo Patto che non abroga o modifica, ma pur sempre finalizzato a migliorare il proprio Io e la propria fede in un Dio che guarda le Sue creature con misericordia e giustifica le loro azioni mediante il pentimento. L’Antico Patto era una fede filosofica con una tradizione consolidata, ma non aderente alle esigenze socio-culturali del popolo, esigenze che erano contaminate dal progressivo avanzamento sociale: il Nuovo Patto costituiva, sì, una fede filosofica, ma con una tradizione ebraica in continua evoluzione, che il Gesù “ebreo” voleva compiere come opera di un più ampio disegno, così da scorporare l’antica tradizione (che soffriva di un immobilismo culturale) da quella metafisica ragionata e razionale che coinvolgeva la fede nell’espressione finanche del quotidiano, ma pur senza perdere il carattere ed il connotato di discendenza dalla tradizione ebraica. Il Cristianesimo del Gesù “ebreo” diviene, così, un movimento, una Comunità, una Chiesa, ma senza perdere le proprie radici storico-concettuali proprie della tradizione ebraica e – soprattutto- dell’ispirazione della Legge, come discesa con e per mezzo della Torah e dei Profeti antecedenti al grande Profeta e figlio di Dio, Gesù, che non volle essere un “Riformatore”, ma un “Liberatore”: “Questa attività di Gesù, tramite la quale egli si fa carico del pesante fardello della nostra vita spirituale, noi la chiamiamo liberazione. In questo senso noi crediamo che egli sia il nostro liberatore” (Catechismo Unitariano Ungherese, 68)12. Rev. Dr. Guido Travaglioni categoria:approfondimenti ANTITRINITARI Perchè "antitrinitari"? Il concetto fondamentale del nostro modo di approcciare il Vangelo è che Gesù non sia Dio. Per molti dei nuovi lettori di queste pagine questo può essere davvero sorprendente. Se avrete la pazienza e la bontà di seguirmi in queste pagine tenterò di darvi una ragione semplice e precisa di quanto sosteniamo supportata dallunica vera prova possibile: le parole di Gesù stesso e il suo vangelo. Anzitutto se uno fosse Dio, ci aspetteremmo che lo affermasse in più punti. Invece per quanto possiate cercare nell'Evangelo non troverete mai una frase virgolettata di Gesù che affermi “Io sono Dio” . Ebbene questa frase non c'è. Troviamo invece: A) Affermazioni della assoluta unicità del Padre Eccone alcune: (I) Marco 12:29-34 Mar 12:29 Gesù rispose: «Il primo è: "Ascolta, Israele: Il Signore, nostro Dio, è l'unico Signore: 30 Ama dunque il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta l'anima tua, con tutta la mente tua, e con tutta la forza tua". 31 Il secondo è questo: "Ama il tuo prossimo come te stesso". Non c'è nessun altro comandamento maggiore di questi». 32 Lo scriba gli disse: «Bene, Maestro! Tu hai detto secondo verità, che vi è un solo Dio e che all'infuori di lui non ce n'è alcun altro; 33 e che amarlo con tutto il cuore, con tutto l'intelletto, con tutta la forza, e amare il prossimo come sé stesso, è molto più di tutti gli olocausti e i sacrifici». 34 Gesù, vedendo che aveva risposto con intelligenza, gli disse: «Tu non sei lontano dal regno di Dio». E nessuno osava più interrogarlo. (II) Giovanni17:3 Giov 17:3 Questa è la vita eterna: che conoscano te, il solo vero Dio, e colui che tu hai mandato, Gesù Cristo. B) Gesù stesso non ha mai detto di essere Dio (I) Marco 10:18 Mar 10:18 Gesù gli disse: «Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, tranne uno solo, cioè Dio. (II) Giovanni 14:10-11 Giov 14:10 Non credi tu che io sono nel Padre e che il Padre è in me? Le parole che io vi dico, non le dico di mio; ma il Padre che dimora in me, fa le opere sue.11 Credetemi: io sono nel Padre e il Padre è in me; se no, credete a causa di quelle opere stesse. Perfino questo passo, ogni tanto citato come argomento contrario alla nostra tesi, ci dà ragione: rileggetelo con attenzione. Gesù non dice di essere il Padre, ma di essere NEL Padre, e che il Padre è IN lui. La differenza è enorme. Con questo Gesù dice semplicemente di sentire la presenza del Padre in lui come quella scintilla divina che tutti dobbiamo alimentare, come quel seme che tutti dobbiamo coltivare. Con questo Gesù dice di sentirsi parte del Regno di Dio e di sentire la presenza di Dio in lui. In questo Gesù non è per nulla differente da un qualunque essere umano, in quanto il seme del Padre è presente in tutti i suoi figli Dio non è solo il lui, è in tutti noi e noi, come lui dobbiamo sforzarci di sentire la presenza di Dio in noi e di essere degni di prendere parte al Regno di Dio (III) Matteo 21:23-27 Mat 21:23 Quando giunse nel tempio, i capi dei sacerdoti e gli anziani del popolo si accostarono a lui, mentre egli insegnava, e gli dissero: «Con quale autorità fai tu queste cose? E chi ti ha dato questa autorità?» 24 Gesù rispose loro: «Anch'io vi farò una domanda; se voi mi rispondete, vi dirò anch'io con quale autorità faccio queste cose. 25 Il battesimo di Giovanni, da dove veniva? dal cielo o dagli uomini?» Ed essi ragionavano tra di loro: «Se diciamo: "Dal cielo", egli ci dirà: "Perché dunque non gli credeste?" 26 Se diciamo: "Dagli uomini", temiamo la folla, perché tutti ritengono Giovanni un profeta». 27 Risposero dunque a Gesù: «Non lo sappiamo». E anch'egli disse loro: «E neppure io vi dirò con quale autorità faccio queste cose. Faccio notare che nemmeno qui Gesù ha rivendicato un qualsiasi primato ontologico o attributo divino. (IV) Un altro luogo molto importante per noi unitariani è questo a) Diodati: Giovanni 8:40 Giov 8:40 Ma ora voi cercate d'uccider me, uomo, che vi ho proposta la verità ch'io ho udita da Dio; . b) Riveduta (Luzzi): Giovanni 8:40 Giov 8:40 ma ora cercate d'uccider me, uomo che v'ho detta la verità che ho udita da Dio; c) testo confermato dalla Vulgata Vulgata: Giovanni 8:40 Giov 8:40 nunc autem quaeritis me interficere hominem qui veritatem vobis locutus sum quam audivi a Deo d) Giov 8:40 nun de zêteite me apokteinai, anthrôpon hos tên alêtheian humin lelalêka hên êkousa para tou Theou; Il testo è confernato dai codici greci e riportato in questo modo sia dal Nestle-Aland che dal Merk E' un vero peccato che alcune versioni italiane si dimentichino di tradurre la parola anthropon, (uomo), saltandola completamente. Sia come sia, è una altra prova al nostro arco. C) Perchè Dio è definito Padre? Dobbiamo pensare che l'Evangelo è un testo ebraico. Precetto fondamentale per ciascun ebreo non blasfemo è quello di non pronunciare mai (invano) il nome di Dio. I Commentatori della Torah, aggiravano questa norma attraverso alcune metafore. Una di queste è sicuramente quella del Padre, e dei Figli Dio dunque è Padre NON PERCHE' ABBIA AVUTO UN UNIGENITO FIGLIO, MA PERCHE' E' IL PADRE BUONO DI TUTTI NOI Se Il Padre fosse Padre per via del suo unico figlio mi spiegate perchè nell'unica preghiera che Gesù ci ha insegnato noi diciamo “PADRE NOSTRO”? Noi siamo tutti FIGLI DI DIO per parafrasare il detto del compianto Cellarius (Martin Borrhaus) Queste sono parole di Gesù che indicano come egli non si considerasse il solo figlio di Dio (I) Matteo 6:4 Mat 6:4 affinché la tua elemosina sia fatta in segreto; e il Padretuo, che vede nel segreto, te ne darà la ricompensa. (II) Matteo 6:6 Mat 6:6 Ma tu, quando preghi, entra nella tua cameretta e, chiusa la porta, rivolgi la preghiera al Padretuo che è nel segreto; e il Padretuo, che vede nel segreto, te ne darà la ricompensa. D) Gesù visto da Paolo Nemmeno Paolo considerava Gesù un Dio a) Paolo riteneva chiaramente che Dio fosse uno: Efesini 4,6 6 Un solo Dio Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, agisce per mezzo di tutti ed è presente in tutti. Prima lettera ai Corinzi 8:6 1Co 8:6 per noi c'è un solo Dio, il Padre, dal quale tutto proviene e noi siamo per lui; b) E Paolo pensava che Gesù fosse uomo, il più grande Maestro tra i figli di Dio Prima Lettera a Timoteo 2:5 Uno solo, infatti, è Dio e uno solo il mediatore fra Dio e gli uomini, l'uomo Cristo Gesù" E) I Figli di Dio Quindi è un dato assodato che non esista un solo passo in cui Gesù si autodefinisca figlio di Dio. Piuttosto compare innumerevoli volte l’espressione al plurale “i figli di Dio” sia come tecna Theou che come uioi Theou. Classico esempio lo traiamo dall’Evangelo di Giovanni Giovanni 1:12-13 Giov 1:12 ma a tutti quelli che l'hanno ricevuto [scil. il logos] egli ha dato il diritto di diventar figli di Dio: a quelli, cioè, che credono nel suo nome; 13 i quali non sono nati da sangue, né da volontà di carne, né da volontà d'uomo, ma sono nati da Dio. Giovanni qui dice esplicitamente che i figli di Dio sono più di uno. La lezione è confermata dal Nestle e dal Merk. a) PRECISAZIONE negare la Trinità non significa negare che Gesù sia figlio di Dio. Tutt'altro. Gesù è figlio di Dio, ma per gli unitariani Gesù è figlio di Dio tanto quanto lo è qualsiasi essere umano. Noi piuttosto neghiamo a Gesù qualsiasi attributo che lo renda una figura ontologicamente diversa da un uomo come tutti b) IL VALORE DI TECNA I trinitari han tentato di vedere nella differenza fra tecnon e uios una qualche differenza ontologica, sostenendo che uios fosse un attributo proprio di Gesù e tecnon di tutti gli altri. In realtà i testi smentiscono tale tentativo, eccovi altri usi di uioi Theou (figli di Dio) significativamente al plurale e non riferiti a Gesù (I) Matteo 5:9 Mat 5:9 Beati quelli che si adoperano per la pace, perché saranno chiamati figli di Dio. (II) Luca 20:35-37 Lu 20:35 ma quelli che saranno ritenuti degni di aver parte al mondo avvenire e alla risurrezione dai morti, non prendono né danno moglie;36 neanche possono più morire perché sono simili agli angeli e sono figli di Dio, essendo figli della risurrezione. Fermiamoci un secondo su queste parole di Luca. Luca sostiene che CHIUNQUE sia ritenuto degno di aver parte al Regno di Dio è chiamato, in ragione di questa sua dignità, Figlio di Dio e in forza di ciò risorge dai morti. Nessun problema a dire che in ragione del suo percorso sapienziale e morale Gesù si è guadagnato la dignità di essere chiamato figlio di Dio e quindi di risorgere, ma questo A PATTO CHE la stessa cosa debba capitare a CHIUNQUE compia lo stesso percorso sapienziale e morale compiuto da Gesù. (III) Infine lo smentisce il verso sopracitato GV 1:13, nei quali i cattolici leggono attributi del solo Gesù, ma che qui a ben vedere sono attribuiti a tutti i figli di Dio F) I figli di Dio e il Logos Qual è il compito allora di noi tutti, figli di Dio? Accogliere Dio e la sua Parola (Logos) che ci ha trasmesso per permetterci di seguire il retto cammino. < ne fu fatta neppure una.Ciò che è stato fatto 4 nel Logos era vita e la vita era la luce degli uomini. 5E la luce risplende nelle tenebre e le tenebre non l'hanno accolta.>> questi versi, come vedete, non si riferiscono alla nascita di Gesù, bensì alla cosmogonia:Dio ha creato il mondo attraverso un logos, una ragione ultima che gli uomini possono e devono comprendere per poter percepire la presenza di Dio e ritornare a Dio stesso. Questi concetti permeano TUTTA la filosofia antica, tra tutti: PLATONE (il demiurgo che plasma la materia secondo idee iperuranee) ARISTOTELE (per cui il logos è ciò che primamente qualifica tutti gli uomini come tali) iNEOPLATONICI (per cui il logos è la prima delle emanazioni di Dio, e attraverso il logos si producono le realtà inferiori) ma soprattutto una vera e propria filosofia del logos intesa in questo senso era propria di ERACLITO, padrone di casa a Efeso, dove il vangelo fu scritto dai discepolidi Giovanni. G) Conclusione Abbiamo dunque dimostrato che il concetto di Trinità era dunque estraneo sia a Gesù che ai suioi apostoli. Esso in fatti nascerà molto tardi, ben 300 anni dopo con il concilio di Nicea, uno dei più gravi fraintendimenti del Vangelo avvenuti nella storia dell'umanità Non vogliamo entrare nel dibattito aperto sulle ragioni politiche e utilitaristiche che ispirarono tale concilio. Vogliamo semplicemente chiamarcene fuori in maniera netta e dura, per recuperare la sola cosa che ci interessi: La Parola di Gesù, il Messia H) Bibliografia 1) Nuova Riveduta: La Nuova Riveduta sui testi originali (1994, nona edizione 2003), a cura della Società Biblica di Ginevra. 2) La Versione Riveduta in testo originale dal Dott. GIOVANNI LUZZI, già Prof. alla Facoltà Teologica Valdese di Roma. Stampata dalla Società Biblica Britannica & Forestiera. 3) Diodati, Giovanni Sacra Bibbia - Nuovo testamento e Apocrifi Tradotta in lingua italiana e commentata da Giovanni Diodati http://www.liberonweb.com/mondadori/mer_diodati.asp 4)Un grazie particolare al software "La parola" www.laparola.net di Richard Wilson per le versioni italiane 5)Testo Greco della United Bible Societies 6) NESTLE-ALAND, Nuovo Testamento Interlineare, San Paolo, Milano Torino, 1991 7) MERK-BARBAGLIO, Nuovo Testamento Greco e Italiano, EDB, Bologna, 1990