LA PATOLOGIA AUTISTICA Giovanni Polletta QUADRO

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LA PATOLOGIA AUTISTICA
Giovanni Polletta
QUADRO GENERALE
L’autismo è considerato oggi un disturbo della funzione del Sistema Nervoso
Centrale, ossia del cervello: secondo i criteri indicati dal DSM-IV la sua incidenza è
di dieci casi su diecimila soggetti, con una percentuale maggiore di maschi rispetto
alle femmine. Esso è compreso nel più ampio gruppo dei Disturbi Pervasivi dello
Sviluppo (DPS): i DPS sono un gruppo di sindromi che pur non condividendo sempre
la medesima eziologia, manifestano aspetti clinici talvolta molto simili. La loro
caratteristica più importante è che le difficoltà principali riguardano l’acquisizione di
abilità cognitive, linguistiche, motorie e sociali. La genesi di questi disturbi risale alla
prima infanzia ed è associata ad una chiara riduzione delle capacità sociali,
comunicative e cognitive di base.
I DPS, oltre all’autismo, comprendono la Sindrome di Rett, il Disturbo Disintegrativo
dello Sviluppo (o Sindrome di Heller), la Sindrome di Asperger e il Disturbo
Pervasivo dello Sviluppo Non Altrimenti Specificato.
L’autismo è fra queste l’entità clinica meglio conosciuta e definita: nel 75% dei casi
si presenta associato a ritardo mentale e colpisce maggiormente tre aree dello
sviluppo infantile, quella della relazione con gli altri, quella della comunicazione,
quella del comportamento; ad esse ci si riferisce quando si parla della “triade di
sintomi”. Proprio sulla triade si incentrano le principali classificazioni internazionali
attualmente disponibili, il DSM-IV e l’ICD-10, per definire i criteri diagnostici di
riferimento e inquadrare con maggior precisione le caratteristiche del disturbo. I
criteri diagnostici per il Disturbo autistico secondo il DSM-IV (1996) sono quelli di
seguito indicati:
1- Compromissione qualitativa dell’interazione sociale (per la diagnosi di autismo
devono essere presenti almeno due elementi fra quelli seguenti):
a) marcata compromissione nell’uso di svariati comportamenti non verbali, come
lo sguardo diretto, l’espressione mimica, le posture corporee e i gesti che
regolano l’interazione sociale;
b) incapacità di sviluppare relazioni con i coetanei adeguate al livello di sviluppo;
c) mancanza di ricerca spontanea nella condivisione di gioie, interessi od obiettivi
con altre persone (ad esempio: non mostrare, portare, né richiamare
l’attenzione su oggetti di proprio interesse);
d) mancanza di reciprocità sociale ed emotiva.
2- Compromissione qualitativa della comunicazione sociale (per la diagnosi di
autismo deve essere presente almeno un elemento fra quelli seguenti):
a) ritardo o totale mancanza dello sviluppo del linguaggio parlato (non
accompagnato da un tentativo di compenso attraverso modalità alternative di
comunicazione come gesti o mimica);
b) i soggetti con linguaggio adeguato, marcata compromissione della capacità di
iniziare o sostenere una conversazione con altri;
c) uso di linguaggio stereotipato e ripetitivo o linguaggio eccentrico;
d) mancanza di giochi di simulazione vari e spontanei o di giochi di imitazione
sociale adeguati al livello di sviluppo.
3- Modalità di comportamento, interessi e attività ristretti, ripetitivi e stereotipati (per
la diagnosi di autismo deve essere presente almeno un elemento fra quelli seguenti):
a) dedizione assorbente ad uno o più tipi di interessi ristretti e stereotipati anomali
o per intensità o per focalizzazione;
b) sottomissione del tutto rigida ad inutili abitudini o rituali specifici;
c) manierismi motori stereotipati e ripetitivi (battere o torcere le mani o il capo,
complessi movimenti di tutto il corpo ecc.);
d) persistente ed eccessivo interesse per parti di oggetti.
(Cottini, 2002)
“I segni dell’autismo sono vari e, presi isolatamente, non patognomici. Sono dunque
significativi il loro raggruppamento, la loro persistenza e, per alcuni, il loro carattere
peculiare, per quanto non specifico” (Lebovici S., Weil-Halpern F., 1994).
È molto difficile individuare e diagnosticare con certezza l’autismo, in quanto si
presenta con estrema variabilità ed eterogeneità, sia per la molteplicità dei sintomi
che si possono presentare, sia per la loro disparità da un caso all’altro. Alcuni autori
anglosassoni ritengono più corretto parlare di ‘spettro autistico’ (Wing) per indicare,
dalla più grave alla più lieve, tutte le caratteristiche difficoltà dell’autismo
immaginate lungo un ininterrotto continuum.
La sindrome si presenta con caratteristiche simili indipendentemente dal contesto
geografico, culturale ed economico (Wing, 1996) nel quale si manifesta.
Per definizione l’autismo compare prima dei tre anni di età; è possibile percepire
segnali anche prima dei diciotto mesi, ma essi possono essere confusi con semplici
condizioni di disagio che il bambino prova in quel momento. È soltanto intorno ai
due anni che il bambino può essere riconosciuto come autistico.
“Questo aspetto dell’insorgenza è il cardine del concetto che ha trasformato il mondo
dell’autismo per cui oggi si ritiene che l’autismo sia un disturbo dello sviluppo: il
bambino non ha potuto maturare quelle abilità necessarie per sviluppare una naturale
relazione sociale, una naturale comunicazione, e una capacità di cambiare, di essere
flessibile, di essere simbolico; è una difficoltà dello sviluppo, e queste difficoltà si
manifestano molto precocemente” ( Xaiz C., Micheli M., 2001).
Aspetti Motorio-Comportamentali
Dal punto di vista motorio il comportamento è caratterizzato dalla presenza di
stereotipie e atti compulsivi: essi, anche se si riscontrano in quasi tutti i bambini
affetti da autismo, si manifestano in ognuno in maniera diversa e peculiare.
Le stereotipie (espressioni motorie ripetitive apparentemente prive di finalità
adattive) possono presentarsi in due forme, autolesive e non autolesive. Purtroppo di
frequente le stereotipie autolesive raggiungono livelli estremi, per esempio quando il
soggetto arriva a staccarsi le falangi a morsi o a battere violentemente il capo contro
una parete. Le sterotipie non autolesive più frequenti, a cui vengono associate finalità
autostimolatorie, sono:
- l’altalena, che consiste in un continuo movimento di oscillazione del busto;
- i movimenti delle mani, costituiti da gesti di sfarfallio, di picchiettamento o di
azione inferita sugli oggetti, di solito fatti ruotare come trottole;
- l’andatura particolare in punta di piedi;
- i movimenti del capo, che si caratterizzano spesso per una serie di contrazioni
facciali che provocano smorfie.
Oltre alle stereotipie vanno segnalati i cosiddetti ‘ritualismi comportamentali’, cioè
azioni ripetute in sequenza e a lungo senza un motivo apparentemente valido. Gli
autistici sono persone estremamente abitudinarie: si impegnano molto nell’allineare
oggetti e mostrano un forte interesse per auto, targhe automobilistiche od orari dei
treni. È importante ricordare, come sostiene la Frith (1989), che le sterotipie non sono
presenti solo nei movimenti, ma anche nei pensieri, e sono quindi invisibili.
Questo aspetto del comportamento agli occhi delle persone normali sembra assurdo e
insensato, ma ha un preciso significato per chi lo mette in atto: esso rappresenta uno
sforzo per far fronte all’ambiente circostante, un ambiente che è imprevedibile, che è
stato definito da un autistico ad alto funzionamento ‘caos sociale’. Percepire caos
sociale vuol dire sentirsi socialmente disorganizzati, vivere in un mondo in cui le cose
mutano in continuazione: questa è la sfida fondamentale che i soggetti autistici si
trovano a dover fronteggiare. Il bambino autistico riceve una forte rassicurazione
affettiva nella presenza di un ambiente assolutamente stabile: ogni variazione
inaspettata, anche banale, provoca reazioni di collera esagerate fino a che non è
entrata nella routine, in quanto è interpretata come un tentativo di scalfire quel mondo
privato che egli si è costruito a scopo difensivo. Ecco allora che il ritualismo autistico
può manifestarsi, oltre che con una collocazione stabile degli oggetti nell’ambiente,
anche con il rifiuto di variare l’abbigliamento, con la scelta di un solo alimento, di
utensili particolari e altre stranezze ancora. È logico che chi vive in una situazione
caotica tale trovi poi sollievo nelle cose immutabili o che si ripetono sempre nello
stesso modo, al contrario delle nostre relazioni sociali.
È evidente che i deficit a livello motorio non colpiscono soltanto il comportamento
manifesto, ma anche i processi cognitivi e di comunicazione: è necessario avere la
corretta condotta motoria per parlare, utilizzando la gola, la lingua, la bocca per
formare dei suoni che diventeranno parole. Allo stesso tempo se il bambino non ha
una buona motricità avrà delle difficoltà per apprendere e comunicare con i gesti, per
imparare a scrivere e per tutto ciò che appartiene alla sfera quotidiana (come vestirsi
o apparecchiare la tavola).
Una delle cause maggiori responsabili dei problemi di comportamento è proprio il
disturbo della comunicazione, in quanto essi spesso insorgono proprio perché il
soggetto autistico non riesce ad esprimersi tramite modalità adeguate.
Aspetti linguistico-comportamentali
La compromissione qualitativa della comunicazione sociale è uno degli aspetti più
seri che coinvolge chi è colpito da autismo. Nello sviluppo normale della
comunicazione è presente fin dall’inizio una componente sociale, che contribuisce ad
inserire il soggetto nelle relazioni sociali.
È sbagliato affidarsi al luogo comune per cui i bambini autistici vivono chiusi in se
stessi, nel loro mondo senza entrare in relazione con gli altri.
Si parla di compromissione qualitativa proprio per sottolineare il fatto che la
comunicazione non è assente ma deviante; spesso questa forma comunicativa è
definita ‘privata’, perché può essere compresa solo dai genitori o da chi sta
quotidianamente vicino al bambino. Quando si lavora con un soggetto autistico è
quindi necessario conoscerlo il più a fondo possibile, conoscerne ogni dettaglio per
poter capire i suoi atteggiamenti.
Soltanto circa la metà dei soggetti autistici arriva a possedere un linguaggio verbale
più o meno affinato, ma molti non riescono ad acquisire nemmeno gli aspetti più
elementari del linguaggio universale; spesso non vengono sviluppate forme
significative di linguaggio sia di tipo espressivo che ricettivo, e soprattutto non viene
assorbita né sfruttata la funzione pragmatica del linguaggio stesso, cioè l’uso pratico
che ne viene fatto nelle relazioni sociali.
Ciò sta a significare che il deficit non si limita al funzionamento linguistico: il
problema fondamentale è che l’autistico non sa a cosa serva la comunicazione, non sa
che essa ha uno scopo, un fine ben preciso, che è quello di interagire con gli altri, i
loro pensieri e modificare il mondo intorno a sé.
Nell’autismo si verifica una situazione paradossale: anche quando viene acquisita una
discreta abilità linguistica il soggetto non ne conosce gli usi per la comunicazione:
capita spesso che egli parli a sproposito, senza considerare le conoscenze altrui, che
pronunci frasi inadeguate al momento o al contesto sociale, magari ripetendo parole o
frasi sentite nell’immediato (ecolalia immediata) o altrove (ecolalia ritardata). Questo
fenomeno riguarda oltre il 75% dei soggetti autistici: essi, esprimendosi in questo
modo, ed essendo incapaci di usare il linguaggio in modo creativo, imitano con molta
precisione l’accento e il tono di voce di chi parla, con modalità simili al vuoto
echeggiare di un pappagallo.
Secondo il parere della Frith (1989) la comunicazione con una persona autistica non è
affatto un insuccesso completo, seppure sia estremamente limitata. Malgrado ci sia
uno scambio di informazioni, c’è sempre un distacco caratteristico, una profonda
mancanza di interesse per il dialogo stesso.
Significativa, a questo proposito, una testimonianza di Sean Barron, autistico di alto
livello, riportata da Peeters (1994):
“All’epoca non sapevo esprimere i miei sentimenti con le parole. Non pensavo
assolutamente che avrei potuto chiedere a mia madre perché fossi così strano oppure
dirle che avevo bisogno di aiuto. Non avevo idea che le parole potessero essere usate
in questo modo. Il linguaggio per me era semplicemente un’estensione delle mie
ossessioni, uno strumento da usare per i miei comportamenti ripetitivi”.
Il deficit comunicativo comporta dunque una marcata impossibilità a iniziare o
sostenere ogni tipo di conversazione con gli altri (e a rispettare le regole di tale
conversazione), l’utilizzo di un linguaggio stereotipato e ripetitivo, l’inversione
pronominale, forme di comprensione letterale e un linguaggio idiosincratico.
I bambini autistici, anche bravi nel parlare, non riescono ad usare le parole con
flessibilità e ad esprimere le sottigliezze; tendono ad apprendere un unico significato
per ogni termine e a fissarsi su quello, e ad essere letterali e concreti, fornendo
risposte spesso spiazzanti data la loro semplicità; ‘vivono alla lettera’, nella
significativa definizione di Peeters; il linguaggio autistico è stato paragonato per
questo motivo a quello di un calcolatore che traduce da una lingua straniera in modo
quasi automatico, e ciò può dare l’idea del tipo di difficoltà che si presentano. Spesso
non ce ne rendiamo conto, ma le nostre modalità di espressione quotidiane sono
ricche di doppi sensi, di modi di dire e di fare difficilmente decifrabili per gli
autistici; la conseguenza di tutto ciò, da un punto di vista sociale, è la solitudine.
L’intervento sulla comunicazione diventa quindi un intervento efficace anche sul
piano emotivo.
Le crisi di comportamento vengono spesso individuate come tentativi falliti di
comunicare che il soggetto mette in atto: a questo livello l’intervento terapeutico deve
ricorrere a situazioni per cui la persona autistica arrivi alla conclusione che è più
efficace esprimersi attraverso un simbolo o una parola piuttosto che con urla o crisi di
rabbia.
“La drammatica realtà degli autistici è che spesso vogliono comunicare, ma non
sanno come fare” (Peeters 1994).
Per aiutare questi bambini è indispensabile creare momenti in cui la comunicazione
risulti necessaria, perché si rendano conto che tramite essa è possibile domandare,
rifiutare, attirare l’attenzione di qualcuno, comunicare le proprie intenzioni, desideri
ed emozioni, in sostanza agire nel e sul mondo. Per questo occorre cercare di far
comunicare il soggetto con qualunque mezzo possibile, che si tratti di lettura,
immagini o linguaggio gestuale.
“La comunicazione è molto più che saper pronunciare delle parole. Sebbene non sia
possibile insegnare a tutte la persone affette da autismo a parlare, è certamente
possibile insegnare a tutte le persone affette da autismo a comunicare” (Peeters,
Declerq 2000).
Sviluppo sociale
La deviazione del comportamento sociale deve essere considerata uno degli aspetti
principali, se non il principale, della patologia autistica. Non bisogna dimenticare che
fu proprio questo aspetto che indusse Kanner a chiamare ‘autistici’ i suoi undici
piccoli pazienti.
La difficoltà ad andare oltre la percezione letterale riscontrata a livello cognitivo si
evidenzia ancora di più nella comprensione sociale.
Non la totalità ma la grande maggioranza dei bambini autistici si comporta come se
gli altri intorno a loro non esistessero: non ascolta quando gli si parla, non risponde
quando lo si chiama per nome, mantiene un viso inespressivo e totalmente
disinteressato verso ciò che lo circonda. Preso in braccio il bambino non mostra alcun
interesse per il volto della madre, evita ‘l’aggancio visivo’ e non le sorride, rimane
rigido e non risponde all’abbraccio verso il quale può dimostrare anche una forte
avversione. Addirittura può giocare con una parte del corpo dell’adulto con cui si
trova (i capelli, una mano, un lembo del vestito…) e rifiutare apparentemente il
rapporto con la persona.
“I bambini autistici non possiedono, per cause biologiche, lo sviluppo necessario per
avere una risonanza emotiva, per un vero comportamento di attaccamento” (Peeters,
1994).
L’aspetto più evidente nell’interazione a due è che egli sembra ‘attraversare le
persone con lo sguardo’ con grande indifferenza: se in principio pareva che il
soggetto autistico attuasse volontariamente un rifiuto per i contatti sociali, in seguito
agli esperimenti di Hermelin e O’Connor si è giunti alla conclusione che non vi è
evitamento dello sguardo in particolare (in quanto l’autistico guarda poco tutto), ma
piuttosto è lo sguardo a non essere considerato nè utilizzato a fini comunicativi. E’
errato dunque affermare che i bambini autistici sono neutri dal punto di vista sociale.
Non rifiutano le altre persone (perlomeno quelle familiari), anzi, in molti casi le
cercano. Tuttavia, data la loro condizione, restano mentalmente sole.
Nella prima infanzia, sino circa ai cinque anni, l’isolamento del bambino autistico è
abbastanza netto: ma se in famiglia questa mancanza di risposte emozionali viene in
un certo senso preventivata e assorbita, non sempre essa in altre circostanze può
essere compresa allo stesso modo. Ecco che quando per esempio il soggetto si trova a
scuola con i coetanei o in altri ambienti non protetti direttamente dalla famiglia, la
sua solitudine aumenta vistosamente e il distacco fisico dagli altri cresce tanto quanto
diminuisce la prevedibilità della situazione vissuta.
Una cosa è valutare il comportamento del soggetto in una situazione sicura come
quella familiare, ma se si vuole essere obiettivi è necessario valutarlo in altre
circostanze. Si può così notare che egli non presta attenzione alle persone, non si
sforza di entrare in un rapporto comunicativo; le relazioni che può talvolta stabilire
sono frammentarie: egli sceglie l’altro, ma non ha né partecipazione né scambio. Al
contrario di quanto avviene con le persone, l’autistico ha un intenso rapporto con gli
oggetti, tale che la loro perdita può gettare il bambino in uno stato di grande
sconforto e determinare crisi di angoscia irragionevoli.
“Questi
bambini
riescono
a
tagliarsi
fuori
dall’ambiente
difendendosi
‘meccanicamente’, cioè chiudendo gli occhi o, cosa altrettanto comune, tappandosi le
orecchie con le mani, ma qualche volta si proteggono anche ‘isolando’ il sistema
nervoso centrale, senza alcun segno visibile esterno: semplicemente si rifiutano di
vedere o di sentire, e forse effetivamente non vedono e non sentono. (…) Sono
sempre le stesse circostanze esterne a provocare queste reazioni, ovvero il trovarsi di
fronte a persone sconosciute e a situazioni non familiari. (…) Questi bambini evitano
di fare il minimo gesto o rumore che potrebbe eventualmente provocare l’adulto a
cercare di stabilire un contatto con loro, il che è ancora meglio di dover evitare il
contatto” (Timbergen, 1984).
Un’altra area molto significativa che viene colpita è quella del gioco, condotto sia in
solitaria che con altri bambini. La partecipazione è molto scarsa (per non dire
assente), il giocattolo nelle mani di un autistico non ha funzione, non stimola la sua
immaginazione, ma viene manipolato per il puro scopo di trarne semplici sensazioni
che danno loro piacere. Per esempio il divertimento nella costruzione dei puzzle per
le persone normali è dato dall’immagine finale che ne risulta, dal vederla finita e
completata; è questo il motivo che ci spinge a farlo, è questo che gli dà un senso. Gli
autistici invece non raccolgono alcuna informazione dall’immagine che nasce, e
mettono insieme i pezzi aiutandosi soltanto toccando i bordi delle tessere, e traendo
soddisfazione dal semplice incastro dei pezzi tra loro, senza vedere l’immagine nella
sua totalità.
“Tendono, in altre parole, a percepire molto bene l’albero, ma non il bosco” (Cottini,
2002).
Il deficit a livello sociale è stato definito dalla Frith (1989) anche come ‘mancanza di
empatia’: provare empatia vuol dire essere in grado di sentire gioia, tristezza o altri
sentimenti per o con un’altra persona nonostante il nostro stato mentale sia differente
dal suo. Questo modo di relazionarsi agli altri è uno dei fattori chiave che ci consente
di instaurare le amicizie e i rapporti personali.
È quasi scontato sottolineare come il deficit della teoria della mente sia collegato a
questa mancanza di empatia sociale, e come entrambi vadano poi a compromettere le
relazioni dei soggetti autistici con i coetanei fin dalla prima infanzia.
Questa situazione è aggravata dal fatto che gli autistici non apprendono molto sui
sentimenti condivisi nemmeno attraverso l’imitazione, una struttura molto importante
sia per la comprensione delle emozioni che per il comportamento sociale. Essendo
differente in loro lo sviluppo imitativo, i bambini autistici perdono le opportunità per
confrontarsi con l’empatia, i sentimenti degli altri e i propri. Questi soggetti non
utilizzano gesti per comunicare le loro emozioni: provano sentimenti, ma è difficile
per loro esprimerli, così come risulta complicato riconoscerli negli altri (un bacio è
umido, una lacrima è bagnata).
Un aspetto che è importante affrontare sin dall’inizio è quello riguardante i tabù
sociali: gli autistici faticano non poco a comprendere ciò che si può o non si può fare.
Il loro comportamento non muta a seconda degli ambienti, delle persone o delle
situazioni come il nostro: caratterialmente essi sono estremamente sinceri e onesti,
ma paradossalmente in certe circostanze la loro franchezza risulta imbarazzante per i
genitori o per chi segue da vicino il bambino. È necessario quindi spendere parecchie
energie per istruirlo a rispettare le regole sociali, le nostre ‘buone maniere’e il nostro
‘buon senso’.
Il soggetto autistico non ha nessuna comprensione delle situazioni sociali, perciò non
le imita e può reagire solitamente con due modalità: può evitarle, e fare tutto da solo,
oppure può arrabbiarsi, perché con il suo modo di essere vuol dire di non capire.
“Potremmo dire che l’autismo è una difficoltà ad andare al di là dell’informazione
data nello sviluppo del linguaggio e allo stesso tempo, e anche di più, nello sviluppo
della comprensione sociale” (Peeters, Declerq, 2000).
Sviluppo cognitivo
Lo sviluppo cognitivo del bambino autistico è stato motivo di notevole dibattito fra i
vari autori che si sono occupati dell’argomento. Alcuni esperti come la Tustin hanno
insistito sull’esistenza di un notevole potenziale intellettivo; lo stesso Kanner ha
sempre ritenuto di trovarsi di fronte a bambini con “una fisionomia pensierosa e
intelligente” (1954).
Al contrario alcuni studi recenti e approfonditi hanno rilevato la presenza di
problematiche nello sviluppo cognitivo: circa l’80% dei soggetti autistici si colloca
nell’ambito del ritardo mentale (QI < 70), ottenendo in genere un punteggio
compreso fra 35 e 50.
Il deficit nello sviluppo cognitivo colpisce aree molto importanti, come quella
dell’attenzione, della memoria, del linguaggio, dello sviluppo della funzione
simbolica.
Secondo il parere di Peeters (1994) negli autistici risulta difettosa (ma non assente!)
una capacità biologica che nelle persone normali è innata. Essa consiste nella
“capacità di aggiungere significato alle percezioni con un minimo di stimolazione
sociale e, attraverso questa capacità, istintivamente, preferiscono i suoni umani,
analizzano e capiscono la comunicazione umana per arrivare infine a comunicare.
Allo stesso modo riescono dapprima a capire il comportamento umano e poi a
comportarsi in modo socialmente accettabile. Agli autistici manca proprio questo
talento biologico innato. La capacità non è ‘assente’, ma difettosa. In realtà molti di
loro
capiscono
certi
significati
espressi
attraverso
la
comunicazione,
il
comportamento sociale e l’immaginazione, ma le loro difficoltà ad aggiungere
significato possono trovarsi a livelli più alti” (Peeters, 1994).
Esiste ed è molto radicata una grande difficoltà nell’attribuire un significato alle
percezioni: per questo motivo gli autistici devono affrontare enormi problematiche
nel momento in cui devono comprendere e reagire ai cosiddetti ‘gesti espressivi’
(quei gesti che non esprimono direttamente qualcosa ma necessitano di una
interpretazione e di una codifica a livello culturale ed emotivo, in quanto vengono
usati per comunicare le emozioni complesse e gli stati d’animo), mentre non
presentano alcun ostacolo in rapporto ai ‘gesti strumentali’, quei gesti che parlano da
soli, che sono ‘iconici’, in cui non c’è separazione fra percezione e significato (ad
esempio ‘stai zitto’ o ‘vai via’).
Un ulteriore aspetto da considerare è quello relativo alla incapacità caratteristica degli
autistici di generalizzare le nozioni apprese quotidianamente (da quelle di base a
quelle più complesse) al fine di formarsi un quadro coerente e uniforme di ciò che lo
circonda.
“La Frith ha proposto al riguardo l’ipotesi che il sistema cognitivo normale abbia una
naturale propensione a formare una coerenza interna, a cui sia riconducibile il
maggior numero di stimoli possibile e ad identificare elementi comuni nei vari
contesti (…). Nell’autismo questa capacità di tendere a una coerenza interna sarebbe
carente” (Cottini, 2002).
A questo proposito la Frith (1989) riporta l’esempio dei bambini brasiliani che fanno i
venditori ambulanti: essi sono bravissimi nel fare i conti e calcolare i prezzi quando
commerciano i loro prodotti (una forma di intelligenza applicata e contestualizzata),
ma falliscono se devono eseguire calcoli simili in una situazione artificiale come
quella di un test (una forma intellettiva astratta). In loro si riscontra un deficit simile a
quello dell’autismo, ma che va nella direzione opposta.
Vedremo in seguito come il TEACCH cerchi di affrontare tale aspetto dell’autismo
estendendo il suo campo d’azione a tutti gli ambiti di vita del soggetto, proprio per
favorire la generalizzazione delle abilità acquisite: questo perché la generalizzazione
delle abilità chiave è ancora più importante dell’acquisizione di nuove abilità.
Abilità particolari
Un aspetto sorprendente dell’autismo è che presenta, specialmente nei soggetti highfunctioning, capacità che sembrano rimaste intatte e non coinvolte dal disturbo.
Spesso ci si è domandati come sia possibile che all’interno della stessa personalità
convivano prestazioni rilevanti con altre assolutamente carenti: i cosiddetti ‘isolotti di
capacità’ hanno spesso fornito false speranze ai genitori, “dando la sensazione che i
loro figli sarebbero del tutto normali se solo si riuscisse a trovare la chiave di questa
specie di rompicapo” (Wing, 1971).
Di frequente il comportamento dei bambini autistici rivela delle capacità fuori
dall’ordinario, talvolta persino dei talenti. Tuttavia la natura di questi picchi di
prestazione è isolata: le abilità riscontrate con maggiore evidenza riguardano la
memoria automatica, capacità costruttive, visuo-spaziali, musicali e artistiche.
E’ importante notare che tutte queste abilità particolari non dipendono direttamente
da quella linguistica, ed è per questo motivo che esse rappresentano per i soggetti
autistici la fonte di maggior soddisfazione nella vita.
In merito alla memoria automatica (memory rote) , e cioè la capacità di ricordare alla
perfezione orari, date, lunghe poesie o elenchi di nomi, la Frith (1989) ritiene che sia
scorretto considerarla un pregio: questo perché di solito ciò che viene ricordato dal
soggetto non è per lui significativo, non ha un senso, e manca la volontà di sfruttare
tali conoscenze: è un escamotage che egli mette in atto per tenere sotto controllo la
realtà esterna, che in questo modo rimane ordinata, prevedibile e quindi sicura. La
memoria automatica risulta essere quindi più un segno di disfunzione che un isolotto
di capacità intatta.
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