Conti pubblici, l`economista tedesco: “C`è una

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Conti pubblici, l’economista tedesco:
“C’è una fuga di capitali dall’Italia. Se
l’euro ostacola la crescita meglio
lasciarlo”
Clemens Fuest, presidente dell'istituto di ricerca Ifo ed ex consulente del
ministero delle Finanze di Berlino, commenta gli ultimi dati del sistema dei
pagamenti interbancari dell'area euro: "A luglio il saldo negativo della
Penisola era di meno di 292 miliardi, in ottobre era salito a 355".
Un livello mai toccato, che si spiega anche con gli acquisti massicci di bond
da parte della Bce
di F. Q. | 16 dicembre 2016
“La liquidità sta lasciando l’Italia. I venditori esteri di titoli di Stato italiani
alla Banca d’Italia potrebbero comprare altro nel vostro Paese ma non lo fanno.
Questa la chiamo una fuga dei capitali“.
L’avvertimento arriva da Clemens Fuest, presidente dell’istituto di ricerca economica
tedesco Ifo ed ex consulente del ministero delle Finanze di Berlino, che in un’intervista
al Corriere della Sera sostiene anche che la Penisola dovrebbe uscire dall’euro se la
moneta unica “è un ostacolo” che impedisce di “tornare a livelli soddisfacenti di
crescita” nonostante “miglioramenti della competitività e riforme“.
Certo, “è una decisione che deve prendere il governo italiano”, chiosa l’economista, ma in
Germania “c’è un’opinione diffusa che l’alto livello di debito pubblico e la bassa
crescita sollevino interrogativi sul fatto che l’Italia voglia restare nell’area euro”.
La diagnosi sulla fuga dei capitali deriva dagli ultimi dati del sistema dei pagamenti
interbancari dell’area euro Target 2, che tiene traccia dei trasferimenti di liquidità
effettuati dagli istituti dell’Eurozona da e verso altre banche, pubbliche amministrazioni
e banche centrali degli altri Stati.
I flussi incorporano gli acquisti dititoli di Stato effettuati dalla Bce nell’ambito
del quantitative easing. Come evidenziato da Fuest, “a luglio il saldo negativo
dell’Italia in Target 2 era di meno di 292 miliardi, ma in ottobre era salito a 355”.
Il deficit italiano è il maggiore dell’area euro e non è mai stato raggiunto da nessun
altro Paese. Compresa la stessa Penisola, il cui saldo negativo anche al picco della
crisi, nel 2011 e 2012, non ha superato i 255 miliardi di euro. Invece nel corso del
2016 il debito Target 2 ha continuato ad aumentare senza sosta, dai 263 miliardi del
primo semestre ai 355,5 di ottobre, ultimo dato reso disponibile dalla Bce.
Un chiaro segnale di quanto l’Italia abbia beneficiato delle misure straordinarie
dell’Eurotower di Mario Draghi, che effettua gli acquisti di bond attraverso le banche
centrali nazionali: evidentemente la Banca d’Italia nell’ultimo anno ha rastrellato Btp
per conto di Francoforte acquistandoli da banche e investitori esteri, con conseguente
deflusso di liquidità dalla Penisola.
Sul fronte opposto, il surplus tedesco si è gonfiato a 708 miliardi dai 609 del primo
semestre.
All’intervistatore che fa notare come il deficit Target 2 italiano sia “del 22% del pil,
mentre in Spagna supera il 30%”, Fuest risponde che “in Spagna l’aumento (da
luglio, ndr) è stato da 293 a 313 miliardi”, molto inferiore a quello italiano.
Ce n’è abbastanza per chiedersi che cosa accadrà all’Italia quando, nel 2018, l’ombrello
protettivo della Bce verrà chiuso.
“Se la stabilità dell’economia italiana dipendesse da questo, anche se l’inflazione risale,
vorrebbe dire che in essa c’è qualcosa di fondamentalmente sbagliato.
Qualcosa da affrontare con strumenti diversi dalla politica monetaria“, ammonisce
l’economista.
L’INTERVISTA
Fuest: «Se l’Italia non cresce, valuti l’uscita
dall’euro. Berlino è preoccupata»
L’economista tedesco: «Il timore è che altri Paesi finiscano per sopportare il costo del debito
di Roma. Renzi era considerato una speranza per la modernizzazione»
di Federico Fubini
Clemens Fuest, presidente dell’Istituto Ifo di Monaco, non è niente di ciò che si
immagina dei tedeschi quando criticano l’Italia.
Non è antieuropeo: fa parte con i commissari Ue Frans Timmermans e Pierre Moscovici del «gruppo di alto
livello» guidato da Mario Monti, incaricato di ridisegnare parte del bilancio dell’Unione. Né fa parte della
generazione nostalgica del marco, perché ha 48 anni. A maggior ragione l’uomo che guida il più influente centro di
studi economici in Germania riflette idee ramificate in profondità, e in silenzio, nei palazzi di Berlino.
Il risultato del referendum costituzionale ha cambiato la percezione sull’Italia nell’establishment
tedesco?
«Matteo Renzi era considerato una speranza per le riforme. La bocciatura del suo progetto e di lui stesso
viene letta come un segnale di resistenza alla riforme e alla modernizzazione. Anche se il contenuto di
quella proposta costituzionale non era molto ben compreso in Germania».
Il governo di Paolo Gentiloni probabilmente coincide con l’ultima fase intensa di interventi della
Banca centrale europea. Sarà possibile farne a meno?
«Che il governo italiano resti in funzione o meno non dovrebbe dipendere dalle operazioni della Bce. Se
la stabilità dell’economia italiana dipendesse da questo, anche se l’inflazione risale, vorrebbe dire che in
essa c’è qualcosa di fondamentalmente sbagliato.
Qualcosa da affrontare con strumenti diversi dalla politica monetaria».
Perché lei parla di «fuga di capitali dall’Italia» in riferimento al deficit crescente del Paese in
Target 2, il sistema dei pagamenti interbancario dell’area euro?
«A luglio il saldo negativo dell’Italia in Target 2 era di meno di 292 miliardi di euro, ma in ottobre era
salito a 355».
È un deficit del 22% del Pil, mentre in Spagna supera il 30% e, correttamente, non ci si preoccupa.
«In Spagna l’aumento è stato da 293 a 313 miliardi».
Eppure sulla Spagna non si parla di «fuga di capitali». Sono effetti degli interventi Bce. In più in
Italia i depositi bancari salgono del 3,5%. Come fa a dire cose del genere?
«È un fatto che la liquidità sta lasciando l’Italia, l’aumento dei saldi di Target 2 ne è la prova. I venditori
esteri di titoli di Stato italiani alla Banca d’Italia potrebbero comprare altro nel vostro Paese ma non lo
fanno. Questa la chiamo una fuga di capitali.
Lo stesso accade in Spagna ma a velocità molto minore. Non c’è modo di provare che i timori legati al
referendum abbiano determinato queste scelte, ma quali altre spiegazioni esistono?»
Lei dice anche che se l’Italia lasciasse l’euro ci sarebbe un’altra crisi, ma sarebbe sempre meglio di
una stagnazione permanente e di «una continua dipendenza dai trasferimenti da altri Paesi». Pensa
che l’Italia debba valutare l’uscita dall’euro, se non riesce a crescere?
«Sì. C’è un forte interesse dell’Europa nel suo complesso nel tenere l’Italia nell’euro, ma questo è
accettabile per la popolazione italiana solo se il Paese riesce a tornare a livelli soddisfacenti di crescita.
L’Italia deve riuscirci attraverso miglioramenti della competitività e riforme. Se poi risulta che l’euro è un
ostacolo alla crescita in Italia, sembra preferibile che il Paese lasci l’euro.
Certo, è una decisione che deve prendere il governo italiano».
Quanto sono presenti idee del genere negli ambienti di politica economica in Germania oggi?
«Le preoccupazioni per la stabilità dell’euro sono molto presenti e c’è un’opinione diffusa che l’alto
livello di debito pubblico e la bassa crescita sollevino interrogativi sul fatto che l’Italia voglia restare
nell’area euro. C’è anche la preoccupazione che, se l’Italia avesse bisogno di finanziamenti dall’esterno,
altri Paesi dovrebbero sopportare il costo del debito italiano. Come per la Grecia».
Dal 1991, come dal 1998, o dal 2010, il surplus di bilancio italiano prima di pagare gli interessi
supera sempre quello della Germania. Non è sbagliata l’idea del Paese-cicala?
«No. Un Paese con un debito al 140% del Pil e crescita cronicamente bassa deve avere surplus molto più
alti di un Paese con meno debito».
Perché gli investimenti in Germania sono scesi addirittura del 5% del Pil dal 2008, benché il Paese
accumuli risparmi in eccesso per 300 miliardi l’anno?
«Perché si considera più redditizio l’investimento all’estero. Non sorprende, in un Paese che invecchia
rapidamente».
16 dicembre 2016 (modifica il 16 dicembre 2016 | 02:40)
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