Dettaglio dalla Scuola d`Atene (1511) di Raffaello Sanzio

Dettaglio dalla Scuola d'Atene (1511) di Raffaello Sanzio raffigurante
Pitagora
Pitagora (Samo, c. 575 a.C. – Metaponto, c. 495
a.C.) è stato un matematico, legislatore e filosofo
greco antico secondo quanto tramandato dalla
tradizione.
Storia e leggenda
« Quanto Pitagora comunicava ai discepoli più stretti, nessuno è in
grado di riportare con sicurezza: in effetti presso di loro, il silenzio
era osservato con grande cura. »
(Porfirio, DK 14 A 8a; in Pitagora, Versi aurei. Seguiti dalle vite di
Porfirio e Fazio, da testi pitagorici e da lettere di donne pitagoriche, a
cura di S. Fumagalli, Milano, Mimesis, 1996, p. 72)
La figura storica di Pitagora, messa in discussione da diversi studiosi,
si mescola alla leggenda narrata nelle numerose Vite di Pitagora, composte nel periodo del tardo neoplatonismo e del neopitagorismo dove
il filosofo viene presentato come figlio del dio Apollo. Secondo la leggenda, il nome stesso di Pitagora risalirebbe etimologicamente ad una
parola che trova il suo significato in "annunciatore del Pizio", e cioè di
Apollo. Si riteneva infatti che egli, autore di miracoli e profeta, guaritore e mago, fosse figlio del dio stesso.
È quasi impossibile distinguere, nell'insieme di dottrine e frammenti a
noi pervenuti, non solo ciò che sicuramente appartiene al pensiero di
Pitagora ma neppure, nonostante i tentativi di John Burnet, di separare il pensiero del primo pitagorismo da quello successivo.
Anche Aristotele, che possiamo considerare il primo storico della filosofia, nella difficoltà evidente di identificare la dottrina del maestro,
parla genericamente de «i cosiddetti pitagorici» [3].
Cenni biografici
La Testa del Filosofo, parte di una statua bronzea custodita al Museo nazionale della Magna Grecia di Reggio Calabria, è un probabile ritratto di Pitagora[4]
Busto marmoreo romano di Pitagora
La storia di Pitagora è avvolta nel mistero, di lui sappiamo pochissimo
e la maggior parte delle testimonianze che lo riguardano sono di epoca
più tarda.
Alcuni autori antichi o suoi contemporanei come Senofane, Eraclito ed
Erodoto ci danno testimonianze tali da far pensare alla effettiva esistenza storica di Pitagora pur se inserita nella tradizione leggendaria[5].
Secondo queste fonti Pitagora nacque nell'isola di Samo nella prima
metà del VI secolo a.C. dove fu scolaro di Ferecide e Anassimandro subendone l'influenza nel suo pensiero.
Da Samo Pitagora si trasferì nella Magna Grecia dove fondò a Crotone,
all'incirca nel 530 a.C., la sua scuola. Dei suoi presunti viaggi in Egitto e
a Babilonia, narrati dalla tradizione dossografica, non vi sono fonti
certe e sono ritenuti, almeno in parte, leggendari.
Sulla sua morte i resoconti dei biografi non coincidono: essendo scoppiata una rivolta dei democratici contro il partito aristocratico pitagorico, la casa dove si erano riuniti gli esponenti più importanti della setta fu incendiata. Si salvarono solo Archippo e Liside che si rifugiò a
Tebe. Secondo una versione, Pitagora prima della sommossa si era già
ritirato nel Metaponto dove era morto. Secondo altri invece era casualmente assente alla riunione nella casa incendiata e quindi riuscì a
salvarsi fuggendo prima a Locri, quindi a Taranto e da lì a Metaponto
dove morì.
Quasi sicuramente Pitagora non lasciò nulla di scritto e quindi le opere
attribuitegli i Tre libri e i Versi aurei vanno ascritte piuttosto ad autori
sconosciuti che li scrissero in epoca cristiana o di poco antecedente.
Giamblico (Siria, 245 – 325) fondatore di una nota scuola neoplatonica
ad Apamea, in Siria, attesta invece che i primi libri a contenuto pitagorico pubblicati erano opera di Filolao.
Limitazioni alimentari
L'astensione dalle fave
Una versione della morte di Pitagora è collegata alla nota idiosincrasia
del filosofo e della sua Scuola per le fave: non solo si guardavano bene
dal mangiarne, ma evitavano accuratamente ogni tipo di contatto con
questa pianta. Secondo la leggenda, Pitagora stesso, in fuga dagli scherani di Cilone di Crotone, preferì farsi raggiungere ed uccidere piuttosto che mettersi in salvo attraverso un campo di fave.
A proposito di questo divieto pitagorico di cibarsi di fave, Giovanni Sole nel libro Pitagora e il tabù delle fave (Rubettino editore) ne dà un'interpretazione fisica e una spirituale. La prima è collegata al favismo
che secondo studi medici era diffuso proprio nella zona del crotonese,
mentre la seconda fa riferimento a credenze antiche, messe in luce da
Levi Strauss, secondo cui le fave erano considerate connesse al mondo
dei morti, della decomposizione e dell'impurità (op. cit., pp. 142 e sgg.)
dalle quali il filosofo si deve tenere lontano.
Il vegetarismo
Pitagora è tradizionalmente considerato l'iniziatore del vegetarismo in
Occidente grazie ad alcuni versi delle Metamorfosi di Ovidio, che lo descrivono come il primo degli antichi a scagliarsi contro l'abitudine di
cibarsi di animali, reputata dal filosofo un'inutile causa di stragi, dato
che già la terra offre piante e frutti sufficienti a nutrirsi senza spargimenti di sangue; Ovidio lega inoltre il vegetarismo di Pitagora alla
credenza nella metempsicosi, secondo cui negli animali non vi è un'anima diversa da quella degli esseri umani.
Il pensiero
Euclide e Pitagora, ovvero la Geometria e l'Aritmetica, formella del
Campanile di Giotto, Luca della Robbia, 1437-1439, Firenze
Pochi sono gli elementi certi della dottrina pitagorica, tra questi quello
della metempsicosi su cui tutte le fonti sono concordi e tra le prime
Senofane che la critica aspramente.
Derivato dall'orfismo, nella dottrina pitagorica vi è dunque un sicuro
aspetto religioso, il quale sosteneva la trasmigrazione delle anime che,
per una colpa originaria, erano costrette, come espiazione, ad incarnarsi in corpi umani o bestiali sino alla finale purificazione (catarsi).
La novità del pensiero di Pitagora rispetto all'orfismo è rappresentato
dalla considerazione della scienza come strumento di purificazione nel
senso che l'ignoranza è ritenuta una colpa da cui ci si libera con il sa-
pere. Questa particolarità della dottrina è ritenuta dagli studiosi sicuramente appartenente a Pitagora che viene tradizionalmente definito,
a partire da Eraclito, come polymathés (erudito). In che consistesse la
sua erudizione però mancano notizie certe[13]. Si sa che nella sua scuola vigeva una distinzione tra i discepoli: vi erano gli acusmatici, gli ascoltatori obbligati a seguire le lezioni in silenzio e i mathematici che
potevano interloquire con il maestro e ai quali erano rivelate le parti
più profonde della scienza.
Da questa distinzione, dopo la morte di Pitagora ne seguì una contesa
tra le due fazioni di discepoli che si attribuivano l'eredità filosofica del
maestro.
È quasi certo che l'insegnamento (màthema) pitagorico avesse un aspetto mistico-religioso consistente in un addottrinamento dogmatico,
secondo il noto motto della scuola “αὐ τὸ ς ἔ φα” o “ipse dixit” (lo ha
detto lui), e un contenuto che molto probabilmente riguardava gli opposti ed i numeri (in quanto principi cosmologici), da intendersi però,
come hanno osservato vari autori, tra cui Edouard Schuré e René Guénon, in un senso non solo quantitativo, ma anche qualitativo e simbolico.
Riguardo alle elaborazioni scientifiche attribuite a Pitagora, gli storici
della filosofia non sono in grado di averne certezza.
Le dottrine astronomiche sono sicuramente state elaborate dai suoi
discepoli nella seconda metà del V secolo a.C.
Il teorema, per cui il filosofo è famoso, era già noto agli antichi Babilonesi ma alcune testimonianze, tra cui Proclo riferiscono che Pitagora
ne avrebbe intuito la validità mentre si deve a lui avere indicato come
sostanza primigenia (archè) l'armonia determinata dal rapporto tra i
numeri e gli accordi musicali.