nuovi farmaci antiaggreganti

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NUOVI FARMACI ANTIAGGREGANTI
LAURA CONTI
Responsabile UOSD Patologia Clinica IRE, Istituto Nazionale Tumori Regina Elena, Roma
Abstract
Platelets play key roles in the formation of the atheromatous plaque and in the acute thrombosis following
plaque rupture. The antiplatelet treatment with aspirin and thienopyridines (as clopidogrel) can modify the
mortality and the morbidity in patients with atherothrombotic disease. In this article, the role of both old and
new drugs (new thienopyridines, direct P2Y12 inhibitors, inhibitors of platelet glycoproteins GPIIb/IIIa,
inhibitor of platelet thrombin-receptor PAR-1) with antiplatelet activity is analyzed in relation to relevant clinical
trials.
Introduzione
L’aterosclerosi costituisce un processo patologico
che interessa la parete arteriosa, caratterizzato dallo
sviluppo di placche ateromatose, con possibile loro
ulcerazione, rottura ed emorragia intraplacca, e successiva attivazione del sistema emostatico, con formazione infine di trombi, che costituiscono la principale complicanza del processo aterosclerotico, specialmente nell’ambito delle sindromi coronariche
acute.
Diverse condizioni intervengono nella patogenesi
dell’aterosclerosi:
1. disfunzioni delle cellule endoteliali;
2. disturbi del metabolismo delle lipoproteine;
3. processi flogistici cronici, che possono modificare
la struttura della parete arteriosa, modulare le interazioni cellula-cellula e favorire lo sviluppo della rottura della placca;
4. stress ossidativi, che possono modificare la struttura e le funzioni delle lipoproteine, provocare attivazione cellulare, indurre flogosi cronica e promuovere l’apoptosi;
5. stati di ipercoagulabilità, in cui le piastrine ed il sistema coagulativo svolgono un ruolo essenziale.
In questo processo evolutivo dell’aterosclerosi le piastrine svolgono un ruolo fondamentale sia nella formazione della placca ateromatosa sia nella trombosi
acuta che segue la rottura della placca.
I pazienti aterosclerotici possono ricevere un notevole beneficio da un trattamento, anche su base preventiva, indirizzato su tre punti fondamentali:
1. modificazione dei fattori di rischio presenti nel
singolo paziente, come ipertensione, diabete mellito,
dislipidemia, fumo, obesità, scarsa attività fisica;
2. ricanalizzazione di vasi arteriosi occlusi, ottenuta
attraverso la somministrazione di farmaci trombolitici o interventi coronarici percutanei;
3. inibizione della formazione del trombo e della sua
estensione, mediante somministrazione di farmaci
anticoagulanti e di farmaci antiaggreganti.
Questo ultimo intervento è fondamentale per la sua
capacità di prevenire la formazione dei trombi; in par-
ticolare, il trattamento antiaggregante ha lo scopo di
prevenire un’eccessiva attivazione delle piastrine.
Ruolo delle piastrine nella patogenesi dell’aterosclerosi
La rottura dell’intima di un’arteria coronarica, dopo
la rottura di una placca, espone le strutture sottoendoteliali alla corrente sanguigna. Le strutture sottoendoteliali che vengono esposte comprendono il
fattore Von Willebrand e il collageno. Diversi, specifici recettori della membrana piastrinica (le glicoproteine GPIa/IIa, GPIb/V/IX, GPVI, etc.) interagiscono
con le strutture sottoendoteliali, provocando l’adesione delle piastrine ad esse. Si formano successivamente ponti intercellulari tra le singole piastrine che,
attraverso ponti di fibrinogeno (che si lega alla
GPIIb/IIIa), formano degli aggregati. Tutti questi fenomeni sono stati studiati ed analizzati più volte anche con la scanning electron micrograph (SEM) (Davi e Patrono, 2007; Jennings, 2009).
Le piastrine così attivate liberano diverse sostanze, come l’ADP, l’acido arachidonico e il PAF (platelet activating factor). La secrezione di fattori procoagulanti (come il fattore V) da parte delle piastrine e l’interazione di
fosfolipidi carichi negativamente sulla superficie piastrinica (meeting place) favoriscono la formazione della trombina, iniziata con la liberazione di fattore tessutale al momento della lesione, che porta infine alla formazione della fibrina (Brummel et al, 2002). (Fig. 1).
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Per comprendere il meccanismo d’azione dei vari farmaci antiaggreganti, è necessario ricordare come agiscono i principali agonisti dell’aggregazione piastrinica.
L’ADP, secreto dai granuli densi delle piastrine, ha un
ruolo fondamentale nell’attivazione piastrinica interagendo con i recettori purinergici P2X1, P2Y1 e
P2Y12, localizzati sulla superficie piastrinica. Il recettore P2X1 agisce nella prima fase dell’attivazione
piastrinica, favorendo un rapido afflusso di ioni calcio e quindi lo shape change; il recettore P2Y1 (che
provoca un transitorio incremento del calcio citoplasmatico) è attivo nella fase iniziale dell’aggregazione
reversibile, mentre il recettore P2Y12 agisce durante
la fase irreversibile e prolungata dell’aggregazione
piastrinica; esso presenta una distribuzione tessutale
molto selettiva, che lo rende il target ideale dei farmaci antitrombotici (Gachet, 2008).
L’acido arachidonico si forma dai fosfolipidi di
membrana durante l’attivazione piastrinica per intervento di una fosfolipasi. Esso viene metabolizzato
dalla cicloossigenasi, fino alla formazione di trombossano A2, capace a sua volta di attivare altre piastrine e di provocare un effetto pro-infiammatorio
sulle cellule della parete arteriosa (Yuhki et al,
2010).
Le piastrine svolgono un ruolo molto importante anche sulla formazione della placca ateromatosa. Esse
infatti aderiscono alle cellule endoteliali in particolari condizioni di flogosi, attirano i monociti che penetrano nel sottoendotelio, trasformandosi in macrofagi. Diverse molecole di adesione (P-selettina, ICAM1) e chemochine (MCP-1, SDF-1, IL1β, IL8, CD40L,
etc.) partecipano in queste interazioni intercellulari
e favoriscono il processo flogistico nella parete arteriosa. Anche le endothelial progenitor cells (EPCs)
possono essere reclutate dalle piastrine attivate e trasformarsi in foam cells favorenti l’aterogenesi, o in
cellule endoteliali, favorendo la rigenerazione endoteliale (Lindermann et al, 2007).
Il trattamento antiaggregante
La terapia antiaggregante piastrinica riducendo significativamente l’incidenza degli eventi clinici associati alla formazione di trombosi arteriose ha rivoluzionato il trattamento delle malattie cardiovascolari,
principale causa di morte e morbilità nei paesi industrializzati.
Un “farmaco antiaggregante ideale” dovrebbe essere
in grado di bloccare in maniera selettiva i meccanismi di attivazione piastrinica senza interferire con la
normale funzionalità piastrinica; purtroppo a
tutt’oggi nessun farmaco presente sul mercato soddisfa questi requisiti. I farmaci attualmente utilizzati
sono generalmente ben tollerati ma possono presentare una limitata efficacia, fenomeni collaterali e fenomeni di “resistenza”, per questo motivo sono in
fase di studio clinico nuove molecole per dimostrare
la loro efficacia, tollerabilità e sicurezza.
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I farmaci antiaggreganti (Fig.2) comprendono:
- gli inibitori della cicloossigenasi (COX-1), quali l’acido acetilsalicilico (ASA);
- gli inibitori del recettore P2Y12, quali le tienopiridine (ticlopidina, clopidogrel e prasugrel);
- gli inibitori diretti del recettore P2Y12, (ticagrelor e
cangrelor);
- gli inibitori delle glicoproteine piastriniche
GPIIb/IIIa (abciximab, epitifibatide e tirofaban);
- l’inibitore del recettore per la trombina PAR1
(TRA-SCH 530348).
I farmaci antiaggreganti attualmente più utilizzati
sono l’ASA e il clopidogrel, questi vengono utilizzati
nella profilassi dei pazienti sottoposti ad angioplastica coronarica, nella terapia della sindrome coronarica acuta e nella prevenzione a lungo termine degli
eventi trombotici cardiovascolari e cerebrovascolari.
La loro efficacia è stata dimostrata da numerosi studi e, in particolare, da due meta-analisi, pubblicate
nel 2002 e nel 2009, che hanno dimostrato l’efficacia
clinica e la sicurezza dell’aspirina e delle tienopiridine (principalmente il clopidogrel) nella prevenzione
secondaria degli eventi cerebrovascolari nei pazienti
con aterotrombosi, trattati con75-150 mg/die di
aspirina o con 75-150 mg/die di clopidogrel, con una
riduzione degli episodi ischemici del 25% rispetto ai
pazienti non trattati (Antithrombotic Trialists’ Collaboration, 2002; Baigent et al, 2009).
Inoltre lo studio CAPRIE ha dimostrato, in 19.185
pazienti con malattia aterotrombotica (recente evento cerebrovascolare, infarto acuto del miocardio o
arteriopatia periferica sintomatica), una riduzione significativa di nuove complicanze aterotrombotiche o
della morte vascolare (CAPRIE Steering Committee,
1996). La somministrazione del clopidogrel è risultata significativamente più efficace dell’aspirina, senza
aumento dell’incidenza di gravi emorragie, la combinazione dei due farmaci produce una migliore inibizione piastrinica.
Analizziamo adesso le caratteristiche farmacologiche
e cliniche dell’aspirina e del clopidogrel, i due farmaci antiaggreganti sicuramente più studiati e meglio
conosciuti nelle loro attività. Esamineremo quindi i
nuovi farmaci appartenenti alla famiglia delle tienopiridine e gli inibitori diretti del recettore P2Y12; in-
fine accenneremo agli inibitori delle glicoproteine
piastriniche GPIIb/IIIa e al nuovo inibitore del recettore PAR-1 per la trombina, che presentano specifiche indicazioni cliniche.
Caratteristiche clinico-farmacologiche dell’aspirina
L’Aspirina (ASA) inibisce irreversibilmente la COXl, il suo meccanismo d’azione è basato sulla acetilazione irreversibile di un residuo serinico in posizione
530 con conseguente inibizione della produzione di
prostaglandina-H2 (PGH2) a partire dall’acido arachidonico e quindi della sua conversione a trombossano A2 (TxA2), un potente agonista piastrinico.
Una singola dose giornaliera di 160 mg di ASA, inibisce completamente la produzione di TxA2 anche se
lo stesso effetto inibitorio può essere ottenuto con la
somministrazione cronica di 30-50 mg/die. L’enzima
COX ha due isoforme, la COX-1 e la COX-2, che
hanno una diversa distribuzione tissutale e una diversa risposta ai farmaci antinfiammatori non steroidei. La COX-1 è presente costitutivamente in tutti i
tessuti e, nelle cellule endoteliali, converte l’acido
arachidonico in prostaciclina, un antagonista della
funzionalità piastrinica con proprietà vasodilatatorie. La COX-2 non è un enzima costitutivo di tutte le
cellule ma può essere indotto da uno stimolo infiammatorio.
La contemporanea somministrazione di aspirina e di
statine ha un’azione sinergica nella prevenzione secondaria dell’aterosclerosi, provocando un’ulteriore
riduzione del rischio relativo di recidive nel 24 % dei
pazienti (Athyros et al, 2005).
La somministrazione contemporanea di farmaci anti-infiammatori non steroidei (come l’ ibuprofene e
l’indometacina) provoca un’inibizione reversibile
della COX-1, per un tempo tuttavia sufficiente per
impedire l’azione irreversibile dell’aspirina (la cui
emivita nel sangue è di soli 15-20 min) e quindi l’effetto antiaggregante. Così la contemporanea somministrazione di aspirina e di ibuprofene aumenta di
due volte il rischio di morte rispetto ai pazienti trattati solo con aspirina (Patrono e Baigent, 2009).
Caratteristiche clinico-farmacologiche del clopidogrel
Il clopidogrel appartiene, come la ticlopidina (non
più utilizzata in clinica per la sua tossicità midollare), alla famiglia delle tienopiridine, è un profarmaco, assorbito dall’intestino e convertito nel suo metabolita attivo a livello epatico, da diverse isoforme del
citocromo P450 (Gurbel e Tautry, 2010). Il farmaco
attivo è un potente inibitore selettivo del recettore
per l’ADP P2Y12, che svolge la sua azione formando
dei legami disulfurici tra due residui di serina (ser-17
e ser-270) della molecola del recettore. Questa modificazione chimica provoca un’inibizione irreversibile
del legame dell’ADP al recettore, che a sua volta induce un aumento della concentrazione citoplasmatica dell’AMP ciclico (cAMP). Ne risulta la fosforilazione della vasodilator-stimulated phosphoprotein
(VASP), che inibisce l’attivazione del complesso recettoriale GPIIb/IIIa e quindi l’aggregazione piastrinica (Lius et al, 1999).
L’effetto antiaggregante del clopidogrel, in relazione
alla trasformazione del profarmaco nel farmaco attivo, avviene dopo 4-5 giorni di trattamento con 75
mg, con una variabilità interindividuale molto ampia, dipendente dal metabolismo del profarmaco
(Cattaneo, 2010).
La risposta antiaggregante al clopidogrel è molto variabile ed è nulla nel 25% circa dei pazienti trattati,
che vengono pertanto considerati “resistenti”.
I meccanismi implicati nella resistenza al clopidrogrel sono diversi: le differenze inter-individuali nel
metabolismo epatico del pro-farmaco a metabolita
attivo sembrano essere il meccanismo più importante che causa l’ampia variabilità dell’inibizione piastrinica, che come sappiamo risulta correlata con
l’attività del citocromo P-450. L’attività delle diverse
isoforme del P-450 è molto variabile perché esistono
diversi polimorfismi dei loro geni codificanti, alcune
varianti sono associate ad una ridotta risposta al clopidogrel. Dobbiamo altresì ricordare l’importanza
dell’interferenza con altri farmaci, quali gli inibitori
di pompa protonica (IPP), questi ultimi infatti possono inibire l’isoenzima 2C19 del citocromo P-450 e
quindi alterare la farmacocinetica del clopidrogrel.
Sono state pubblicate alcune meta-analisi sui rapporti tra somministrazione di inibitori della pompa protonica e clopidogrel; i risultati osservati non sono
concordanti nelle loro conclusioni, né esistono ancora studi prospettici randomizzati (Rossen et al, 2009;
Zuern et al, 2010). La Food and Drug Administration (FDA) consiglia ai pazienti di rivolgersi ai loro
medici prima di iniziare una forma di associazione
clopidogrel-inibitori della pompa protonica, ma sottolinea comunque che tale associazione (particolarmente con l’omeprazolo o l’esomeprazolo) provoca
una riduzione del 47% dell’inibizione piastrinica indotta dal clopidogrel. L’FDA sconsiglia inoltre la
contemporanea somministrazione di clopidogrel e di
altri farmaci che inibiscono CYP2C19, come la cimetidina, il fluconazolo, la fluoxetina, il felbamato.
Altri farmaci gastroprotettori, come la ranitidina, la
famotidina o la nizatidina, non interferiscono con
l’efficacia della somministrazione del clopidogrel.
Importante da ultimo ricordare come l’assorbimento
intestinale del clopidogrel è regolato dalla glicoproteina P32, che se alterata funzionalmente, potrebbe
comportare un ridotto assorbimento del farmaco.
L’inibizione irreversibile di P2Y12 può costituire un
problema nei pazienti trattati che debbono essere
sottoposti a intervento di bypass aorto-coronarico
d’urgenza, con elevato rischio emorragico.
Il risultato finale del clopidogrel, cioè l’inibizione
dell’attivazione piastrinica da ADP, dipende da diversi fattori, che possono agire a livello dell’assorbimento e del metabolismo del farmaco. Tale aspetto è
divenuto evidente con l’impiego di forme generiche
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del farmaco, che sono besilato o idrocloruro di clopidogrel, invece che bisolfato, come il farmaco originale (Neubauer et al, 2009). Attualmente il farmaco
originale viene utilizzato nelle sindromi coronariche
acute, nel trattamento dell’angioplastica, sia immediato che successivo, mentre le forme generiche vengono utilizzate per la prevenzione secondaria dell’aterotrombosi, in pazienti già affetti da infarto del
miocardio, ictus o arteriopatia periferica sintomatica
(Gurbel et al, 2009).
La somministrazione delle statine lipofiliche, come
l’atorvastatina e la rosuvastatina, non influenza l’azione antiaggregante del clopidogrel (Kostapanos et
al, 2010).
La somministrazione di farmaci antinfiammatori
non steroidei non interferisce con l’attività farmacologica del clopidogrel.
Resistenza al trattamento antiaggregante
La somministrazione di farmaci antiaggreganti riduce il rischio di infarto del miocardio e della morte
cardiovascolare rispettivamente del 25% e del 20%;
il 15% dei pazienti coronaropatici in trattamento
antiaggregante presenta tuttavia un nuovo evento
cardiovascolare. Queste osservazioni hanno portato
alla considerazione che alcuni pazienti possono essere resistenti al trattamento antiaggregante (antiplatelet drug resistance).
In generale, con il termine “resistenza ad un farmaco” s’intende l’incapacità da parte di un farmaco di
colpire il suo bersaglio per diverse ragioni: ridotta
biodisponibilità, inattivazione in vivo o per alterazioni del bersaglio. Erroneamente l’espressione “resistenza ai farmaci antipiastrinici” viene utilizzata
spesso per descrivere il mancato effetto antitrombotico di questi farmaci nei pazienti che, durante il trattamento antiaggregante, presentano comunque un
evento trombotico.
In realtà esistono due aspetti di tale problematica:
a) la resistenza clinica: questo termine si riferisce ai
pazienti in trattamento antiaggregante che presentano un episodio trombotico indipendentemente dall’efficacia dei farmaci utilizzati. Non bisogna dimenticare infatti che la trombosi è un processo patologico complesso, multifattoriale, in cui l’attivazione
piastrinica è solo uno dei principali momenti patogenetici.
b) la resistenza funzionale: questo termine si riferisce
alle condizioni nelle quali un test di laboratorio dimostra il mancato effetto della terapia antiaggregante sulla funzionalità piastrinica.
L’attività antipiastrinica di un farmaco che si traduce
in vivo in mancata formazione del trombo, dovrebbe
essere correlata ad un’inibizione dell’attivazione piastrinica in vitro.
La definizione di “resistenza ai farmaci antipiastrinici” dovrebbe pertanto essere limitata alle sole condi-
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zioni in cui il fallimento da parte del farmaco di agire sul suo bersaglio (che si traduce in una mancata risposta farmacologica), sia documentabile con un test di laboratorio specifico (Cattaneo M, 2009).
Metodiche di laboratorio per valutare la risposta alla terapia antiaggregante
La funzionalità piastrinica in vivo viene solitamente
valutata con il tempo di emorragia, mentre per misurare la risposta alla terapia antiaggregante in vitro,
esistono diverse metodiche di laboratorio, dotate di
diverse sensibilità e specificità:
a) metodiche di funzionalità piastrinica:
L’aggregometria a trasmissione di luce, considerata
in passato la metodica gold standard, misura l’aumento della trasmissione luminosa che avviene attraverso una sospensione piastrinica, quando le piastrine aggregano in risposta ai vari agenti agonisti, a differenti concentrazioni, e le eventuali modificazioni
indotte dai diversi farmaci antiaggreganti. Si tratta di
una metodica indaginosa, che richiede molto tempo
per la sua esecuzione e può essere effettuata solo in
laboratori specialistici di II livello da personale altamente specializzato. La mancata standardizzazione
della metodica, che rende i risultati difficilmente
confrontabili con quelli ottenuti in altri laboratori, e
l’influenza di molte variabili pre-analitiche ed analitiche, rendono questo test poco accurato e riproducibile (bassa sensibilità e specificità).
L’aggregometria ad impedenza, misura la variazione
di impedenza elettrica che avviene quando le piastrine aggregano attorno ad un elettrodo di platino immerso in sangue intero anticoagulato in risposta all’aggiunta di un agente agonista; tale metodica ha gli
stessi limiti dell’aggregometria tradizionale che ne limitano l’utilizzo nel monitoraggio dei pazienti in terapia antiaggregante.
L’Ultegra Rapid Platelet Function Assay (RPFA)-Verify-Now è un test che misura l’agglutinazione di biglie rivestite di fibrinogeno da parte di piastrine in risposta all’aggiunta di un agente agonista, in sangue
anticoagulato con sodio citrato. Questo test nasce per
valutare la risposta agli inibitori della GPIIb/IIIa, ma
successivamente ha subito delle modifiche che lo hanno reso più sensibile e specifico ai due principali farmaci antipiastrinici, l’ASA e il clopidogrel (RPFA-Verify-NowASA) e (RPFA-Verify-NowP2Y12), quest’ultimo test risulta essere più specifico dell’aggregazione
piastrinica indotta da ADP misurata con l’aggregometro a trasmissione di luce, nel monitoraggio dei pazienti in trattamento con clopidogrel.
Il PFA-100 può essere considerato l’equivalente del
tempo di emorragia in vivo, e questo test è utile nella diagnostica della malattia di von Willebrand e di
alcuni difetti gravi della funzionalità piastrinica,
mentre risulta essere poco sensibile ai difetti lievi,
ereditari o acquisiti (quali quelli indotti dai farmaci
antipiastrinici) della funzionalità piastrinica.
b) metodiche biochimiche specialistiche:
Metodiche di ordine radioimmunologico od immunoenzimatico, che valutano la concentrazione di
prodotti di attivazione piastrinica quali il trombossano A2, la β-tromboglobulina, la P-selectina solubile.
Sono metodiche non complesse, dotate di relativa
specificità e sensibilità.
Il test più specifico per misurare l’effetto farmacologico dell’aspirina e quindi la resistenza all’aspirina
(ASA) è rappresentato dal dosaggio nel siero del
trombossano B 2, catabolita stabile, inattivo, del
trombossano A2. In un recente studio condotto su
680 pazienti in terapia con ASA sottoposti a cateterizzazione cardiaca, ed in un altro studio condotto su
soggetti sani, anch’essi in terapia con ASA, la misurazione dei livelli sierici di TxB2 dimostrava come solo l’1-2% dei soggetti mostrava una non completa risposta all’ASA, per scarsa compliance o per inadeguata dose terapeutica.
La citometria a flusso permette di valutare l’attivazione piastrinica in vitro in risposta ad un agonista e
la presenza di piastrine attivate durante il trattamento antiaggregante; tale metodica richiede una strumentazione sofisticata e costosa, offrendo peraltro, il
vantaggio di fornire molte informazioni in breve
tempo e con una minima quantità di sangue.
Il test più specifico per la misurazione dell’effetto
farmacologico dei farmaci che inibiscono il recettore
P2Y12 e quindi la resistenza al clopidogrel è la valutazione citofluorimetrica del Platelet VASP che misura il grado di inibizione della fosforilazione della fosfoproteina VASP da parte dell’ADP, mediata dal
P2Y12, attraverso l’inibizione dell’adenilciclasi, nel
citoplasma piastrinico.
c) metodiche farmacogenomiche:
La presenza di polimorfismi di un singolo nucleotide
nei geni che codificano sia per la proteina di trasporto ABCB1 (responsabile dell’assorbimento delle tienopiridine a livello della mucosa intestinale) sia per
le differenti isoforme del CYP450, come la
CYP2C19, può provocare una significativa modificazione delle caratteristiche farmacocinetiche e farmacodinamiche di questi farmaci e un aumento del
rischio per eventi cardiovascolari maggiori (Simon et
al, 2009).
La risposta antiaggregante al clopidogrel come già
riportato, è molto variabile, circa il 25% dei soggetti sono ritenuti resistenti al farmaco; tra le soluzioni
proposte c’è la personalizzazione della terapia sulla
base dei risultati di test di funzionalità piastrinica. I
risultati negativi dello studio Gravitas dimostrano
che l’identificazione dei pazienti “resistenti” al clopidogrel con il VerifyNow P2Y12 ed il loro trattamento con più alte dosi del farmaco per superare la “resistenza”, non migliorano la prognosi dei pazienti
“resistenti”, rispetto alla terapia standard, confermando che non è corretto personalizzare la terapia
con clopidrogel in base ai risultati dei test di funzio-
nalità piastrinica, e che nessun trattamento di provata efficacia e sicurezza deve essere sostituito da nuovi trattamenti di cui non siano stati dimostrati l’efficacia, la sicurezza e il conveniente rapporto
costo/beneficio, nell’ambito di sperimentazioni cliniche controllate (Cattaneo M, 2010).
Caratteristiche clinico-farmacologiche del prasugrel
Il prasugrel è una tienopiridina di terza generazione
(dopo la ticlopidina e il clopidogrel), che presenta
un’attività più rapida e più intensa sulla funzionalità
piastrinica rispetto al clopidogrel, in quanto la sua
trasformazione da profarmaco a farmaco attivo, risulta essere dipendente in minor misura dal sistema
del citocromo P-450 (Farid et al, 2007). Infatti il metabolita attivo compare nel sangue 15min dopo la
somministrazione del farmaco, con un dosaggio minore rispetto al clopidogrel (60mg, come dose d’attacco e 10mg, come dose di mantenimento rispetto
ai 300-600mg e 75-150mg di clopidogrel). L’attività
del prasugrel non dipende dal genotipo del citocromo P450, e la risposta dei pazienti non presenta
quella variabilità che caratterizza il trattamento con
clopidogrel. Tali affermazioni si basano su diverse
osservazioni cliniche, ma principalmente sullo studio
di fase III, randomizzato, a doppio cieco, multinazionale TRITON TIMI 38 (Wiviott et al, 2007). Tale studio ha confrontato gli effetti del prasugrel e del
clopidogrel in 13.608 pazienti con sindrome coronaria acuta, sottoposti a trattamento con angioplastica
(PCI). Lo studio ha dimostrato che, rispetto al gruppo trattato con clopidogrel, nel gruppo trattato con
prasugrel l’incidenza di eventi cardiovascolari era significativamente ridotta (di circa il 20%), mentre
quella di eventi emorragici spontanei era aumentata
( di circa il 30%). Un’analisi post hoc ha dimostrato
che il beneficio clinico era meno evidente in tre sottogruppi di pazienti: nei soggetti con precedenti episodi cerebrovascolari, di età uguale o superiore ai 75
anni, o di peso inferiore ai 60kg. Il farmaco risultava
particolarmente efficace nei pazienti diabetici (Wiviott et al, 2008) e nei pazienti con sindromi coronariche acute sottoposti a interventi coronarici percutanei con applicazione di stent (Wiviott et al, 2008).
La presenza di mutazioni associate a perdita di funzioni di alcune isoforme del citocromo P-450 influenzava negativamente i pazienti trattati con clopidogrel ma non aveva nessuna conseguenza per i pazienti trattati con prasugrel.
Caratteristiche clinico-farmacologiche del ticagrelor
Il ticagrelor (conosciuto in passato come AZD6140)
è anch’esso un inibitore diretto orale del recettore
P2Y12, analogo all’ATP, non è una tienopiridina,
non è un pro farmaco. Esso ha un’azione reversibile
e meno potente nei confronti del P2Y12 e non ha affinità verso altri recettori della famiglia P2. Un primo studio, effettuato su pazienti aterosclerotici, ha
dimostrato che il ticagrelor inibisce l’aggregazione
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piastrinica più rapidamente ed efficacemente, e con
meno variabilità, del clopidogrel (studio DISPERSE,
40). L’effetto avverso più frequente è risultato la dispnea, che è comparsa in modo dose-dipendente. Lo
studio DISPERSE-2 ha dimostrato che il ticagrelor
produce un’ulteriore soppressione dell’aggregazione
piastrinica nei pazienti trattati con clopidogrel (Storey et al, 2007) e nel contempo un aumento dei sanguinamenti maggiori statisticamente significativo.
Nello studio PLATO (Platelet Inhibition and Patient
Outcomes), studio di fase III, randomizzato, a doppio cieco, il ticagrelor è stato confrontato con il clopidogrel per la prevenzione degli effetti cardiaci gravi nei pazienti con sindromi coronariche acute con o
senza livellamento del tratto ST, 65% dei quali sottoposti ad angioplastica coronarica (Wallentin et al,
2009). Dopo 12 mesi di follow-up lo studio PLATO
ha dimostrato che il ticagrelor riduceva l’incidenza
di eventi cardiovascolari (morte vascolare, infarto
del miocardio o ictus) di circa il 20% e aumentava
l’incidenza di eventi emorragici spontanei del 25%.
Esisteva una maggiore incidenza di emorragie nei pazienti con infarto del miocardio trattati con terapia
trombolitica, non correlate all’applicazione di by
pass aorto-coronarici, tra i soggetti trattati con ticagrelor che non nei soggetti trattati con clopidogrel.
Infine il trattamento con ticagrelor è risultano più
vantaggioso della terapia con clopidogrel nei soggetti sottoposti ad intervento di by pass aorto-coronarico e nei soggetti con sindromi coronariche acute ed
insufficienza renale cronica, con lieve aumento di
emorragie lievi spontanee (James et al, 2010).
Caratteristiche clinico-farmacologiche del cangrelor
Il cangrelor (conosciuto in passato anche come
ARC69931) appartiene a un nuovo gruppo di farmaci, cioè agli inibitori diretti della P2Y12, analoghi
alla struttura dell’ATP, relativamente resistenti all’azione delle ectonucleotidasi, e con alta affinità per il
recettore P2Y12. Esso è un farmaco attivo, che quindi non deve essere convertito in un’altra forma, e
svolge la sua potente, reversibile azione inibente l’aggregazione piastrinica da ADP in pochi minuti dopo
infusione endovenosa, con un emivita di 3-5 minuti
(Van Giezen e Humphries, 2005). La sua somministrazione è ben tollerata. La sua attività è stata dimostrata in soggetti con sindromi coronariche acute
(Storey et al, 2001) e in pazienti sottoposti a PCI
(Greenbaum et al, 2006). Il farmaco provoca un allungamento del tempo di emorragia ed un’inibizione
dell’aggregazione da ADP dose-dipendente e correlata con la concentrazione plasmatica del farmaco. La
sua somministrazione provoca un lieve aumento di
emorragie non gravi (Jacobsson et al, 2002), e in uno
studio di fase II, nei soggetti sottoposti a PCI l’incidenza di emorragie, gravi o lievi, è risultata non significativamente più elevata rispetto ai pazienti trattati con inibitori delle glicoproteine GPIIb/IIIa (abciximab), con più rapido ritorno ad una normale
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funzionalità piastrinica (Greenbaum et al, 2006). Il
cangrelor è stato utilizzato anche nel trattamento
dell’infarto acuto del miocardio associato alla somministrazione dell’attivatore tessutale del plasminogeno (studio STEP-AMI, 36).
Nel 2006 sono iniziati due studi di fase III con l’intento di dimostrare la superiorità del cangrelor o la
non inferiorità al clopidogrel nei pazienti che devono essere sottoposti a PCI (CHAMPION PCI,
CHAMPION PLATFORM, Cattaneo, 2010). Entrambi gli studi sono stati chiusi precocemente, per
la mancanza di prove evidenti dell’efficacia clinica
del cangrelor.
Caratteristiche clinico-farmacologiche dell’elinogrel
L’elinogrel, conosciuto anche come PRT060128 è un
inibitore diretto e reversibile del P2Y12, somministrabile per via endovenosa e per via orale, con un’emivita di 12 ore. Gretler et al, 2007, hanno dimostrato che la somministrazione di elinogrel in soggetti sani è ben tollerata e provoca un’inibizione
completa dell’aggregazione piastrinica da ADP,
P2Y12-dipendente. Attualmente sono in corso due
studi di fase II per valutare la tollerabilità della somministrazione endovenosa dell’elinogrel nei pazienti
con infarto STEMI prima di essere sottoposti a PCI
(ERASE-MI, NCT00546260) e il suo utilizzo nei pazienti da sottoporre a PCI non urgente (INNOVATEPCI, NCT00751231) (Cattaneo, 2010).
Inibitori del recettore per la trombina PAR-1
Un nuovo gruppo di farmaci agisce inibendo i recettori piastrinici per le piastrine. In particolare è in fase di sperimentazione il Vorapaxar (o SCH-530348)
che agisce impedendo la reazione tra la trombina,
potente agente aggregante, e il suo recettore piastrinico PAR-1 (Chackalamannil, 2008). Recentemente
è stato dimostrato che i microsomi epatici umani metabolizzano il farmaco, trasformandolo in due metaboliti, l’M19, biologicamente inattivo, e l’M20, farmacologicamente equivalente al SCH-530348 (Ghosal et al, 2011). In particolare la formazione del metabolita attivo M20 viene catalizzata da CYP3A4 e
CYP2J2.
In vivo la somministrazione di SCH-530348 provoca
un’inibizione dell’aggregazione da trombina. In uno
studio multicentrico internazionale di fase II (TRAPCI), la somministrazione di SCH-530348, in pazienti sottoposti a PCI non urgente, è stata valutata
per quanto riguarda la sua tollerabilità e sicurezza. I
risultati ottenuti hanno dimostrato che la somministrazione del SCH-530348, anche se associata all’aspirina o al clopidogrel, non provoca lo sviluppo di
emorragie maggiori o minori in maggior numero rispetto ai due farmaci antiaggreganti classici (Becker
et al, 2009). Risulta pertanto necessario aspettare i
risultati degli studi di fase III, per definire l’efficacia
e la sicurezza della somministrazione clinica del
SCH-530348. In particolare il TRA*CER, studio
prospettico, randomizzato, a doppio cieco, è stato
ideato per studiare l’efficacia e la sicurezza del SCH530348 in pazienti con sindromi coronariche acute
senza livellamento del tratto ST (NSTE) (TRA*CER
Executive and Steering Committees, 2009).
Inibitori delle glicoproteine piastriniche GPIIb/IIIa
Il complesso glicoproteico GPIIb/IIIa rappresenta il
sito di legame per il fibrinogeno, costituendo il meccanismo fondamentale che permette l’aggregazione
piastrinica. Da alcuni anni sono stati prodotti alcuni
farmaci che sono degli antagonisti non competitivi, o
degli anticorpi monoclonali diretti contro tale complesso glicoproteico. Tali inibitori delle glicoproteine
piastriniche sono i più potenti agenti antiaggreganti.
Esistono quattro farmaci di tale gruppo, cioè l’abcximab, il tirofiban, l’eptifibatide, e il lamifiban, non
ancora approvato per il suo uso clinico (Starnes,
2011).
L’abcximab è una forma umanizzata di un anticorpo
monoclonale murino diretto contro il complesso glicoproteico GPIIb/IIIa. Esso è stato largamente utilizzato nel trattamento acuto delle sindromi coronariche acute, in associazione alla PCI. Esso è risultato
efficace nella prevenzione del reinfarto precoce, se
viene somministrato insieme all’aspirina e all’eparina. L’effetto della sua somministrazione endovenosa
lenta (circa 12h) permane per 10-24h dopo la sua sospensione. In particolare lo studio basato sull’EUROTRANSFER Registry (Rakowski et al, 2009) ha
valutato il ruolo della precoce somministrazione dell’Abcximab nei pazienti sottoposti a PCI per infarto
STEMI. I risultati ottenuti, anche in base ad un follow-up di un anno, hanno dimostrato che la somministrazione precoce di abcximab è più efficace della
somministrazione più tardiva, ed abbassa la mortalità dei pazienti ad alto rischio (TIMI risk score > o =
3) a distanza di un anno.
L’eptifibatide è un eptapeptide sintetico, ciclico, che
contiene la sequenza lisina-glicina-acido aspartico
(KGD), che mima la sequenza arginino-glicina-acido
aspartico (RGD), che si trova nel complesso glicoproteico GPIIb/IIIa. Yang e collaboratori (Yang et al,
2011), riportano il caso di un uomo di 57 anni che,
dopo somministrazione di eptifibatide per PCI con
applicazione di stent in seguito ad infarto del miocardio, ha presentato, dopo un secondo immediato
intervento per occlusione trombotica dello stent, una
grave piastrinopenia (12.000/µL). Le piastrine sono
tornate normali progressivamente, allontanandosi
dalla somministrazione del farmaco. Tale complicanza ha una bassa incidenza dopo somministrazione di
eptifibatide ed è stata anche documentata dopo somministrazione di abciximab e di tirofiban, con un’incidenza dal 0.2% al 2.4% (Yang et al, 2011). La piastrinopenia ha quasi sempre un’origine immunologica, essendo indotta da anticorpi farmaco-dipendenti
(Greinacher et al, 2009). In ogni caso, la possibilità
di tale reazione avversa (in un caso ad esito fatale
Russell et al, 2009), sottolinea la necessità di monitorare accuratamente la piastrinemia durante la
somministrazione di inibitori delle glicoproteine piastriniche GPIIb/IIIa.
Il tirofiban è un antagonista non peptidico, derivato
dall’ottimizzazione di un analogo della tirosina, che
strutturalmente mima la parte della disintegrina
echistatina. Esso presenta un’azione reversibile in
poche ore. Una revisione degli studi clinici effettuati
ha dimostrato che il tirofiban è ben tollerato, la sua
somministrazione è associata a una riduzione della
mortalità rispetto al placebo, identica rispetto a
quella osservata dopo somministrazione di abciximab. Esso potrebbe essere particolarmente utile nei
pazienti con infarto del miocardio STEMI, che vengono sottoposti a PCI (Diaz et al, 2011).
Il lamifiban è un composto a basso peso molecolare,
sintetico, non ciclico, non peptidico. Esso non è ancora disponibile per il suo utilizzo clinico.
Conclusioni
L’analisi aggiornata dei farmaci ad attività antiaggregante dimostra che questi medicamenti risultano
molto utili ed attivi nella prevenzione delle trombosi
arteriose nei pazienti con aterosclerosi che abbiano
presentato gravi episodi ischemici a livello cardiaco
o cerebrale; questi vengono utilizzati nella profilassi
dei pazienti sottoposti ad angioplastica coronarica,
nella terapia della sindrome coronarica acuta e nella
prevenzione a lungo termine degli eventi trombotici
cardiovascolari e cerebrovascolari.
La terapia antiaggregante è parte del complesso piano terapeutico del paziente con aterosclerosi, che
quasi sempre presenta altre patologie (dislipidemia,
diabete, ipertensione arteriosa, etc.) ma la sua importanza è particolare e specifica in quanto è capace
di inibire lo sviluppo dell’episodio acuto ischemico
correlato con la formazione del trombo.
Esiste ormai una vasta esperienza clinica per quanto
riguarda l’uso dell’aspirina e del clopidogrel, i farmaci antiaggreganti più utilizzati, capaci di ridurre la
mortalità per trombosi vascolare del 25%, senza un
significativo aumento del rischio di gravi emorragie;
un certo numero di pazienti presenta tuttavia una resistenza clinica o funzionale, in base ad alcuni test di
laboratorio. Questo fenomeno che riconosce diversi
meccanismi patogenetici, ha stimolato la ricerca di
nuovi farmaci, che sono tuttora in sperimentazione,
capaci di assicurare una più uniforme e prevedibile
risposta clinica.
Nuovi farmaci antiaggreganti, quali le nuove molecole appartenenti alla famiglia delle tienopiridine, gli
inibitori diretti del P2Y12 ed analoghi dell’ATP, gli
inibitori del recettore piastrinico PAR-1 per la trombina, gli inibitori diretti contro il complesso glicoproteico GPIIb/IIIa, aprono nuove possibilità in diversi campi dell’applicazione della terapia antiaggregante, sia a scopo preventivo sia a scopo terapeutico.
I nuovi antiaggreganti piastrinici sembrano più po-
19
tenti dei precedenti e pertanto il loro utilizzo richiede una valutazione ponderata del rapporto tra beneficio anti-trombotico e rischio emorragico.
La conoscenza della farmacodinamica e della farmacocinetica di ciascuno di questi vecchi e nuovi farmaci è la condizione essenziale perché la loro prescrizione sia la più specifica e corretta possibile, per
il raggiungimento della maggiore efficacia terapeutica, in assenza o quasi di effetti secondari indesiderati ovvero in sicurezza: si apre così una nuova era per
la terapia antiaggregante piastrinica.
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