L`ultima crociata

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LIBRO
IN ASSAGGIO
L'ULTIMA CROCIATA
DI ARRIGO PETACCO
L'ultima crociata – quando gli ottomani arrivarono alle porte dell'Europa
DI ARRIGO PETACCO
PROLOGO
Appuntamento a Ratisbona
Ratisbona, in Baviera, rappresenta un preciso punto di riferimento per chi
intenda ripercorrere la storia della lotta secolare dell’Islam contro la
Cristianità. A Ratisbona, nel 1529, si infranse l’ondata islamica che stava per
abbattersi sull’intera Europa; a Ratisbona, nel 1545, è nato don Giovanni
d’Austria, il vincitore della battaglia di Lepanto; a Ratisbona, nel 1684, la Dieta
imperiale proclamò l’ultima crociata che pose fine alla minaccia islamica e,
sempre a Ratisbona, tre secoli più tardi, Benedetto XVI, tornato in veste
papale alla sua antica cattedra di teologia, ha pronunciato la storica Lectio
magistralis della quale, forse per viltà, si tarda ancora a comprendere i segnali
politici e gli ammonimenti profetici.
Ma torniamo a Ratisbona. Nella tarda estate del 1529, Solimano I, detto «il
Legislatore» e anche «il Magnifico», dopo una vittoriosa marcia attraverso i
Balcani era giunto alle porte di Vienna e aveva posto sotto assedio la città,
mentre la sua avanguardia a cavallo si era spinta più a nord lungo il Danubio
fino a Ratisbona, che segnerà il limite estremo raggiunto dall’espansionismo
islamico nel vecchio continente. L’intera Cristianità era dunque in pericolo. In
Occidente, tutti i governi erano bene informati sul giovane sultano che
minacciava l’Europa. Sapevano che aveva quasi trentacinque anni, che era
un uomo chiuso, taciturno e solitario sulla vetta del potere, nonché deciso a
realizzare i piani ambiziosi dei suoi predecessori: la conquista di Vienna.
Questa città, nell’immaginario islamico, era chiamata la «mela d’oro», mentre
Roma era la «mela rossa», due frutti ambiti che, secondo antiche profezie, il
sultano avrebbe dovuto raccogliere.
Malgrado l’incombente minaccia, papa Clemente VII, pur giudicando «tristi e
inquietanti» i rapporti che gli provenivano dalla marca orientale, era
angustiato da altri problemi. Per lui, l’Anticristo, il nemico della fede, non
marciava lungo le rive del Danubio, ma allignava all’interno della stessa
Cristianità, in terra tedesca, dove il frate agostiniano Martin Lutero diffondeva
la sua eresia fra il popolo senza che nessuno glielo impedisse.
La Cristianità unita, sosteneva quel pontefice, doveva opporsi con tutti i mezzi
alla dottrina del monaco ribelle, come doveva opporsi all’imperatore Carlo V
che rifiutava altezzosamente l’obbedienza alla Santa Sede. Con abili giochi
diplomatici, Clemente VII era anche riuscito a creare una Lega Santa, non
rivolta però contro il sultano già sul piede di guerra, bensì contro quel
cattolicissimo imperatore che aveva sconfitto a Pavia Francesco I, il
cristianissimo re di Francia. Di conseguenza, i delegati austriaci e ungheresi
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che giungevano sgomenti a Roma per invocare il suo aiuto contro i turchi
invasori ricevevano sante parole e la sua santa benedizione, ma se ne
dovevano ripartire a mani vuote. Da parte sua, neppure Lutero propugnava la
causa cristiana: «Combattere contro i turchi» ammoniva fatalisticamente
l’eretico riformista «significherebbe rivoltarsi al Signore che con questo
flagello intende punirci per i nostri peccati».
Solimano era a conoscenza della lotta intestina che dilaniava il mondo
cristiano quando aveva iniziato la sua prima campagna contro l’Occidente.
Disponeva di un eccellente servizio di spionaggio e anche di un consigliere
d’eccezione nella persona del gran visir Ibrahim Pascià, uno schiavo greco
rinnegato che leggeva Dante in italiano e poetava in latino. Costui era in
contatto con il re di Francia, con il quale stipulerà la cosiddetta «empia
alleanza», e anche con i protestanti luterani i quali, per il loro ripudio dei santi
e delle immagini sacre, erano considerati da Ibrahim dei possibili alleati contro
la Chiesa di Roma.
Il primo assedio di Vienna
Nella primavera del 1529 i turchi, reduci dal sanguinoso trionfo di Mohàcs
dell’agosto 1526 che aveva assicurato loro il dominio di gran parte dei
Balcani, avevano dunque ripreso la marcia verso il cuore dell’Europa. Travolti
a Budapest gli avamposti dell’arciduca Ferdinando, fratello di Carlo V,
Solimano si era spinto sotto le mura di Vienna, considerata la porta d’ingresso
dell’Occidente cristiano, che ora si accingeva a varcare.
Nipote di Mehmed Il, detto «il Conquistatore», che dopo la presa di
Costantinopoli, nel 1453, aveva esteso i confini dell’impero ottomano
dall’Afghanistan all’Atlantico, Solimano sognava di emulare il nonno
aggiungendo Vienna e poi Roma all’elenco delle sue grandi conquiste. La
mitica «mela rossa» è sempre stato l’unico vero obbiettivo dell’Islam. Come
tutti i suoi predecessori, anche Solimano era affascinato dal mito dell’impero
romano. Riteneva che la sua dinastia, dopo la conquista della «seconda
Roma», ossia Costantinopoli, fosse la legittima erede della corona imperiale
usurpata, a suo dire, con la complicità del papa, dall’imperatore Carlo V. Ora
intendeva riscattarla.
Il grosso dell’esercito turco arrivò davanti alle mura di Vienna ai primi di
settembre del 1529. Era forte di centomila regolari, in gran parte «giannizzeri»
(il corpo d’élite) e «timarioti» (la cavalleria pesante), cui erano affiancati altri
centomila ausiliari «akindischi» tartari e armeni (formazioni irregolari di
cavalleria). Vienna era difesa da meno di ventimila uomini, comprendenti la
milizia cittadina composta di studenti e di artigiani e un forte nucleo di
lanzichenecchi, mercenari tedeschi assoldati da Carlo V. Appena giunti, i
turchi si disposero a semicerchio a sud della città, mentre una flotta di
quattrocento piccole navi anche con i protestanti luterani i quali, per il loro
ripudio dei santi e delle immagini sacre, erano considerati da Ibrahim dei
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possibili alleati contro la Chiesa di Roma. risaliva il Danubio per distruggere i
ponti onde impedire l’arrivo di forze di soccorso dal Nord.
Lo sterminato esercito turco era diviso in sedici accampamenti che formavano
una immensa tendopoli al centro della quale sorgeva la gigantesca tenda del
sultano, ricca di addobbi e di tappeti, che ospitava i suoi cortigiani e le sue
concubine. Posto l’assedio, Solimano non perse tempo e inviò un
messaggero al conte Nikolaus von Salm, comandante degli assediati, con
l’ingiunzione di arrendersi entro tre giorni. Il suo messaggio si apriva con
questo minaccioso preambolo:
Io che sono il Sultano dei Sultani, il Sovrano dei Sovrani, il Distributore di
Corone ai Monarchi del Globo, l’Ombra di Dio sulla Terra, il Sultano e il
Padiscià del Mar Bianco, del Mar Nero, della Rumelia, dell’Anatolia, della
Caramariia, del paese di Rum, di Zulcadir, del Diarbekr, del Kurdistan,
dell’Azerbaigian, della Persia, di Damasco, di Aleppo, del Cairo, della Mecca,
di Medina, di Gerusalemme, di tutta l’Arabia, dello Yemen e di molte altre
contrade che i miei nobili avi e i miei illustri antenati conquistarono con la
forza delle armi e che la mia Augusta Maestà ha ugualmente conquistato con
la spada fiammeggiante e la sciabola vittoriosa...
Per nulla turbato dall’impressionante curriculum, il conte von Salm rispose
negativamente all’ingiunzione:
cominciò così il cannoneggiamento di Vienna, mentre i genieri turchi si
mettevano al lavoro per scavare le gallerie di mina sotto le torri di difesa, e gli
akindischi procedevano al metodico saccheggio e alla devastazione delle
campagne circostanti uccidendo quanti non avevano fatto in tempo a mettersi
al sicuro dentro le mura della città. Più che dal cannoneggiamento, che
rappresentava un pericolo relativo trattandosi di semplici palle di ferro, i
difensori erano soprattutto preoccupati dalle mine sotterranee, che
esplodevano improvvisamente nei luoghi più impensati, ma, per loro fortuna,
fu escogitato un curioso sistema per individuare il percorso delle gallerie di
mina onde contrastarle prima che fossero portate a termine Pare sia stato il
garzone di un fornaio a suggerirlo involontariamente. Nel silenzio della notte,
il ragazzo aveva notato che dei fagioli depositati su un tamburo appoggiato
sul terreno vibravano misteriosamente. Richiamata l’attenzione degli adulti
sullo strano fenomeno, questi intuirono che le vibrazioni erano provocate dal
lavorio nel sottosuolo dei genieri turchi e, da quel momento, i tamburi furono
utilizzati per ricorrere alle contromisure.
Nei primi giorni di ottobre, gli assediati tentarono una sortita. L’operazione si
sarebbe dovuta svolgere nottetempo con l’impiego di ottomila uomini, ma
partì con grave ritardo per colpa dei lanzichenecchi che, a causa delle
eccessive libagioni distribuite la sera prima per galvanizzare le truppe,
giunsero tardi sul campo e trovarono i giannizzeri già svegli. Così svegli che
contrattaccarono all’istante scompigliando le avanguardie e rovesciandole sul
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resto delle forze attaccanti che furono costrette a ritirarsi disordinatamente.
L’inseguimento si arrestò sotto le mura, ancora in grado di fermare il nemico.
Trascorsero alcuni giorni di relativa tranquillità, poi, mentre i turchi si
accingevano a sferrare l’attacco decisivo, giunse notizia agli assediati che
l’esercito dell’arciduca Ferdinando aveva già raggiunto Linz e si stava
apprestando a muovere in soccorso della città. La notizia provocò una
frenetica esplosione di gioia, fu concesso agli artiglieri fuoco a volontà e
Solimano, temendo chissà quale sortita in massa, richiamò le sue truppe in
attesa degli eventi. Continuava intanto, nel sottosuolo, l’attività di mina e
contromina e, nonostante l’opera di neutralizzazione dei viennesi, due mine
esplosero presso la porta di Carinzia aprendo una larga breccia nelle mura. I
giannizzeri cercarono di oltrepassarla con tre assalti consecutivi, ma i
lanzichenecchi, che quanto a combattività li uguagliavano, resistettero all’urto.
Secondo il loro costume sfidavano il nemico ad attaccare sbeffeggiandolo e
gridando «Her! Her!» (Qui, venite qui!), ma i turchi si mossero solo due giorni
dopo quando esplosero altre mine. I loro attacchi furono comunque tutti
rintuzzati.
I turchi levano le tende
Il 12 ottobre Solimano riunì il consiglio di guerra. La buona stagione era finita
(a quell’epoca tutti gli eserciti usavano condurre le campagne dalla primavera
all’inizio dell’autunno) e il sultano non se la sentiva di proseguire le
operazioni. Le truppe erano stanche, i viveri cominciavano a scarseggiare e
l’inverno era alle porte. Aveva anche ricevuto notizia che sul fronte orientale
gli sciiti persiani erano nuovamente sul piede di guerra.
Quel giorno, i turchi decisero di togliere l’assedio: levarono le tende e
festeggiarono con un grande ricevimento la fine della campagna. Dagli spalti,
i viennesi che avevano assistito alla scena alzarono grida di gioia, ma quella
del nemico non era una fuga, bensì una ritirata strategica. Solimano infatti
non avrebbe mai rinunciato al sogno di conquistare il mondo cristiano anche
se, sul momento, accettò di scendere a patti con il timoroso Ferdinando dopo
che questi si impegnò a versare un umiliante «amichevole tributo» annuo alla
Sublime Porta, come era chiamato il governo di Costantinopoli.
La ritirata dei turchi davanti alle mura di Vienna venne comunque salutata
dalla Cristianità come una grande vittoria e fu attribuito ai difensori della città il
merito di avere arrestato l’espansionismo islamico in Europa. Naturalmente
era un’illusione, perché la lotta fra le due civiltà era destinata a perdurare nei
secoli, ma lo storico evento riaccese negli animi dei cavalieri cristiani la
speranza di ripetere le eroiche gesta degli antichi crociati protagonisti della
«Grande avventura» che aveva consentito la riconquista del Santo Sepolcro.
Nei salotti delle corti e dei castelli tornarono a rifiorire lo spirito crociato e la
letteratura cavalleresca della quale il Boiardo con L’Orlando innamorato, poi
l’Ariosto con L’Orlando furioso e quindi il Tasso con La Gerusalemme liberata
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furono i fortunati epigoni. Ed è appunto al tempo in cui, come scrive l’Ariosto,
passaro i mori d’Africa il mare, e in Francia nocquer tanto, che bisogna risalire
per avere un quadro d’insieme della lunga marcia dell’Islam volta alla
conquista della Cristianità di cui, prima ancora dei crociati, i paladini di
Orlando furono i fieri oppositori.
Aggiornata il giovedì 17 aprile 2008
Edizione Mondolibri S.p.A., Milano
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Data ultimo salvataggio: 14/02/2008 12.47.00
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