1
Roberto Valle
"Monarchia legale" o "comédie" legale ?
Il Nakaz di
Caterina II e Observations sur le Nakaz di Diderot
in Pospettive sui Lumi, a cura di M.R. Di Simone, Giappichelli,
Torino, 2005, pp. 23-98
Nella sua erranza, la rêverie ucronica dell'Illuminismo ha vagato alla
ricerca della perfectibilité della civilisation. Nell'imaginaire ucronico, la
Russia era una eterotopia dell'"autocoscienza" europea del XVIII secolo: a
partire da Leibniz, infatti, la Russia divenne un "argomento" di "pensiero
politico" e di "riflessioni sulla filosofia della storia"1. L'imaginaire
illuminista ha rappresentato la Russia come un "miraggio", come una tabula
rasa sulla quale era possibile operare la transplantation dei "prodigi" della
civilisation2.Tra questi "prodigi", il diritto assumeva un rilievo particolare ed
era visto come un "universale giuridico-morale", che attesta la "naturale
disposizione e destinazione (come dovere) dell'uomo a vivere secondo la
libertà"3. Emblematico, in tal senso, è il romanzo avveniristico di LouisSébastien Mercier L'an deux mille quatre cent quarante, pubblicato nel
1770. Nel romanzo di Mercier,
1
il Nakaz o Istruzione di Caterina II è
D. Groth, La Russia e l'autocoscienza d'Europa, Torino, Einaudi, 1980, p. 31.
A tal proposito cfr. D.S. von Mohernschildt, Russia in the Intellectual Life of Eignteenth-Century France,
NewYork, 1936; A. Lortholary, Les "Philosophes" du XVIIème siècle et la Russie: le mirage russe en
France au XVIIIème siècle, Paris, Editions Contemporaines, 1951. L'idea del "miraggio" russo sostenuta da
Lortholary è stata al centro del X Congrès International des Lumières che si è tenuto a Dublino il 27 luglio
1999. Gli interventi sono stati pubblicati nel volume Le Mirage russe au XVIIIème siècle, textes publiés
par S. Karp et L. Wolff, Ferney-Voltaire, Centre Internationale d'Etude du XVIIIème siècle, 2001. Secondo
Karp e Wolff, il libro di Lortholary era una reazione indiretta all'"entusiasmo smisurato" che, negli anni
Cinquanta, alcuni intellettuali occidentali e francesi mostravano nei confronti dell'Urss. Il termine miraggio,
infatti, indica un "errore ottico" fonte di illusione. L'idea del miraggio, per Lortholary, sembrava
esprimere, perciò, l'esperienza dei philosophes "sedotti o ingannati" dall'immagine di una Russia che non
esisteva. Tale immagine non rifletteva le conoscenze reali dei philosophes sulla Russia, ma le loro illusioni
e le aspirazioni politico-culturali del loro tempo. Tuttavia, cinquant'anni dopo la pubblicazione del libro di
Lortholary, la metafora del "miraggio" è un riferimento paradigmatico della "storiografia della cultura" e
continua a far riflettere suoi rapporti "complicati e ambigui" tra la "realtà" russa e l'imaginaire europeo.
3
C. Galli, Spazi politici, Bologna, Il Mulino, 2001, p. 87.
2
2
rappresentato come una pietra miliare dell'Illuminismo giuridico 4, che ha
avuto tra i suoi più tardi estimatori anche Gaetano Filangeri5. Nel 1765
Caterina II aveva iniziato la redazione del Nakaz, allo scopo di riformare il
codice (Uloženie) del 1649 secondo gli orientamenti dell'Esprit des lois di
Montesquieu. Il 14 dicembre 1766 Caterina II convocò con un manifesto la
Grande Commissione legislativa, composta dai rappresentanti degli ordini e
dalle classi libere dell'impero (lo storico russo Ključevskij l'ha definita una
"mostra etnografica panrussa"). La Commissione legislativa si insediò
nell'estate del 1767: nel luglio del 1768, con l'inizio della guerra russo-turca,
i lavori della Commissione furono definitivamente interrotti6. Sebbene la
traduzione in francese fosse istantanea, in Francia la pubblicazione del
Nakaz fu vietata, perché considerato un codice "sedizioso": tale interdizione
accrebbe la fama di Caterina II, che fu iscritta di diritto al partito dei
philosophes persécutés7 . In una lettera a Caterina II del 30 ottobre 1769,
Voltaire afferma che il Nakaz, stilato da una
législatrice entiérement
victorieuse, non poteva che essere interdetto in Francia, dove vigeva una
ancienne jurisprudence ridicule et barbare scaturita soprattutto dal diritto
4
Sulla "controversa" definizione di Illuminismo giuridico e sulla varietà e contradditorietà dei suoi
orientamenti cfr. M.R. Di Simone, Diritto, in L'Illuminismo. Dizionario storico, a cura di V. Ferrone e D.
Roche, Roma-Bari, Laterza, 1997, pp. 137-146; M. A. Cattaneo, Illumimismo e legislazione, Milano
Edizioni di Comunità, 1966. Secondo Cattaneo l'"illuminismo giurdico" è caratterizzato da due elementi: il
razionalismo in relazione al diritto naturale e il volontarismo in relazione al diritto positivo.
5
Cfr. G. Filangeri, La Scienza della legislazione. Edizione critica, a cura di A. Trampus, Venezia, Centro
di studi sull'Illuminismo europeo, 2003, vol. I, p. 83. Secondo Filangeri, Caterina II, nell'"intrapresa del
"nuovo codice", non solo aveva chiamato da tutte le parti dell'impero gli uomini "più degni di questo
lavoro", ma aveva lasciato "a' suoi sudditi la scelta de' loro legislatori".
6
Sulla vicenda del Nakaz e della Commissione legislativa Cfr. H. Carrère d'Encausse, Catherine II. Un âge
d'or pour la Russie, Paris, Fayard, 2002, pp. 104-120; I. de Madariaga, Caterina di Russia, Torino,
Einaudi, 1988, pp. 203-219; M. Heller, Histoire de la Russie et de son empire, Paris, Flammarion, pp. 558563; F.-X. Coquin, La Grande Commission législative (1767-1768). Les cahiers des doléances urbaines,
Paris-Louvain, Neuwelaerts, 1972.
7
H. Carrère d'Ecausse, Introduction , in L'Impératrice et l'Abbé. Un duel littéraire inédit entre Catherine II
et l'Abbé Chappe d'Auteroche, Paris, Fayard, 2003, p.46.
3
ecclesiastico8.
Nel 2440
la fama di Caterina II continua ad essere
circonfusa dall'aura del più prestigioso di tutti i titoli, quello di législateur.
In Francia, era stato "segretamente" allestito l'autodafé di un'intera edizione
del Nakaz e il protagonista del romanzo ne conserva un esemplare sfuggito
alle fiamme. In Russia, invece, si pronuncia ancora con "trasporto" il nome
di Caterina II, che aveva dotato la nazione di leggi "sagge" e permanenti.
Dell'"augusta" imperatrice, infatti, non si ricordano più le conquiste e i
trionfi militari, ma solo la legislazione. La principale ambizione di Caterina
II, infatti, era stata quella di "dissipare le tenebre dell'ignoranza", di
sostituire
i costumi "barbari" dei russi con delle leggi dictées par
l'humanité. Riprendendo un' affermazione di Voltaire, Mercier sostiene che
Pietro il Grande aveva fatto uscire di colpo la Russia dal "nulla"9. Più grande
e heureuse dello stesso zar Pietro, Caterina II aveva operato per rendere
"felice e fiorente" il
popolo russo; soltanto risalendo
all'antichità più
"remota" , era possibile incontrare un legislatore che avesse avuto così tanta
dignité e profondeur. Le generazioni del XXV secolo devono tutto ad una
"donna": Caterina II, infatti, non solo aveva liberato i servi della gleba, ma
li aveva elevati al "rango di uomini"; tale emancipazione era assurta a
valore universale. Nel XXV secolo, la Russia è un impero vasto e popolato
che, in virtù della saggezza del legislatore del XVIII secolo e del suo code
humain, ha raggiunto la stabilità politica: i successori di Caterina II, infatti,
erano stati "generosi" e avevano reso il popolo russo égale. La costituzione
dell'impero russo non è più militare e il sovrano non è più un autocrate,
anche perché nell'anno 2440 il pianeta è troppo éclairé per ammettere una
8
Cfr. Documents of Catherine the Great. The Correspondance with Voltaire and the Instruction of 1767
with English Text of 1768, edited by W.F. Reddaway, Cambridge, Cambridge University Press, 1931, p.
38.
4
forma così odieuse di governo10. Nel XXV secolo, inoltre, Costantinopoli fa
parte della Russia: l'impero ottomano, empire funeste, è crollato insieme al
monstre du despotisme. L'elogio di Caterina II intessuto da Mercier non è
casuale, perché il Nakaz era utilizzato come uno strumento di lotta politica
nel contesto dell'Ancien Régime francese. Nel biennio 1769-1771, il Nakaz,
infatti, era stato brandito come un'arma nell'ambito di quella "guerra dei
pamphlets" scatenata dalla decisione di Maupeou di porre fine alla fronda
giansenista del Parlamento, facendo esiliare centrotrenta magistrati.
Gli
oppositori di Maupeou ravvisarono nel Nakaz di Caterina II argomenti a
favore del Parlamento e contro il "dispotismo ministeriale"11. Al termine del
sogno sulla fèlicité publique, Mercier ha la visione delle rovine di Versailles,
che mostrano quanto siano "fragili" i monumenti dell'"orgoglio": la rêverie
sulle rovine di Versailles non è suscitata dalla memoria, ma
è
un'"anticipazione" del crollo dell'Ancien Régime e del trionfo della
prosperità dello Stato e della pace universale12. Nella prefazione all'edizione
del 1799 de L'an deux mille quatre cent quarante, Mercier definisce se
stesso un véritable prophète, perché il suo rêve è un annuncio e una
previsione della rivoluzione francese. In realtà, la profezia di Mercier è un
doppio sogno: alla fine del romanzo, infatti, egli torna al XVIII secolo ed ha
9
Sul complesso rapporto tra Mercier e Voltaire cfr. V. André, Mercier et Voltaire. La chronique d'un
amour décu, http://ww.bon-a-tirer.com/volume9/va.html.
10
L.S. Mercier, L'an deux mille quatre cent quarante. Rêve s'il en fut jamais, Paris, Brosson&CarteretDougur &Durand, 1799, t. III, pp. 89-91. Diderot ha contribuito alla stesura del romanzo riscrivendo un
passo che attribuisce alla rivolta degli schiavi negri un ruolo di primo piano nella storia dei popoli e vi ha
"aggiunto il suo personale slancio " di solidarietà verso coloro che si ribellano al giogo della schiavitù. Cfr.
S. Gargantini Rabbi, La doppia morte di Spartaco: Diderot e la tragedia di Saurin, in Diderot, il politico, il
filosofo, lo scrittore, a cura di A. Mango, Milano, Franco Angeli, 1986, p. 93.
11
Cfr. A. J. Blonde, Le Parlament justifié par l'Impératrice de Russie, Paris 1771; N.Ju. Plavinskaja,
"Nakaz" Ekateriny vo Francii v konce 60-načale 70-ch godov XVIII v: perevody, cenzura, otkliki presse, in
Russko-francuzkie kul'turnye cvjazi v epochy Prosveščenija. Materialy i issledovanija, ot. red. S. Ja. Karp,
Moskva, Rossijskij gosudarstvennyj gumanitarnyj universitet, 2001, p. 29.
12
Sulla poetica delle rovine nell'età dei Lumi e nella "meditazione" di Diderot cfr. R. Mortier, La poétique
des ruines en France ses origines, ses variations de la Reinassance à Victor Hugo, Genève, Libraire Droz,
1974.
5
la visione dell'incontro fatale tra il philosophe e il sovrano. Quando il
philosophe va a corte il suo sguardo non vede lo "scettro" e il "turbante", ma
penetra "fino al cuore" del monarca. Se questo cuore è nobile grande e
generoso, il philosophe si arresta con rispetto e rende omaggio al sovrano.
Ma se questo cuore non medita "nulla" per la "felicità pubblica", allora il
monarca è dêtrôné e nell'imagination del philosophe il "principe e l'icoglan"
si confondono. Agli occhi del philosophe, perciò, il monarca appare come
un fantôme, il revenant della sovranità, un "corpo senz'anima" che è "morto
alla gloria e al genere umano"13. Il romanzo di Mercier non è, perciò, né la
profezia del 2440, né un vaticinio della rivoluzione francese: secondo
Mercier, la rivoluzione non solo aveva plagiato e snaturato le idee dei
philosophes, ma, soprattutto nella fase giacobina (antipode della filosofia
illuminista) tali idee avevano assunto una connotazione "criminale". La
profezia di Mercier è, invece, a breve termine, perché antivede le modalità e
gli esiti del viaggio di Diderot a Pietroburgo. Al di là del solido rapporto
epistolare con Voltaire ( che si definiva catherinien )14, Caterina II, a partire
dall'autunno del 1762, cercò un contatto con i philosophes: l'imperatrice,
infatti, si rivolse in prima istanza a d'Alembert, affinché si prendesse cura
dell'educazione del granduca Paolo, ma d'Alembert rifiutò l'incarico, anche
perché era alle dipendenze di Federico II15. In una lettera a Caterina II del 22
13
L.S. Mercier, L'an deux mille quatre cent quarante. Rêve s'il en fut jamais, cit. t. III, p. 237. Il rapporto
tra Diderot e Caterina II ha assunto una valenza simbolica ed ha ispirato l'intreccio di racconti e romanzi.
A tal proposito cfr. L. von Sacher-Masoch, Diderot a Pietroburgo, Palermo, Sellerio, 1998; M. Bradbury,
To the Hermitage, London, Picador, 2001.
14
Cfr. C. Mervaud, Portraits de Catherine II dans la Correspondance de Voltaire, in Catherine II et
l'Europe, sous la direction d'A. Davidenkoff, Paris, Institut d'Etudes Slaves, 1997, pp. 163-170. Voltaire ha
scritto a Caterina II 109 lettere, che possono essere lette come défense et illustration della "Semiramide del
Nord". Al di là della vulgata sul "miraggio russo", la corrispondenza di Voltaire è un "campo di manovre"
messo al servizio della causa dell'imperatrice.
15
Cfr. Ch. de Larivière, La France et la Russie au XVIIème siècle. E’tudes d’histoire et de littèrature
franco-russe, Genève, Slatkine Reprints, 1970 pp. 4-42. Le relazioni tra Caterina II e d’Alembert si
inagurarono con il rifiuto del philosophe di andare in Russia e cessarono con un altro rifiuto, quello della
zarina di rendere alla Francia les officiers ai quali d’Alembert si era interessato. Facendo allusione alla
6
dicembre 1766, Voltaire accredita se stesso, d'Alembert e Diderot come
"idolatri" della "Semiramide del Nord": la zarina era la divinità di un nuovo
culto pagano, al quale i
philosophes
innalzavano degli
altari16.
Accreditandosi come mecenate degli illuministi, nel 1765 Caterina II
acquistò la biblioteca di Diderot; il philosophe, inoltre, fu ingaggiato come
reclutatore di artisti e specialisti di scienza politica: fino al suo viaggio a
Pietroburgo, Diderot fu una sorta di attaché culturale dell'imperatrice a
Parigi17. L'acquisto della biblioteca di Diderot era stato suggerito a Caterina
II da Grimm, che, ponendosi al servizio dell'imperatrice, soggiornò a
Pietroburgo dal 1773 al 1774 e dal 1776 al 1777. Nel 1754, Grimm aveva
assunto la direzione della Correspondance Littéraire, un quindicinale
filosofico, storico e artistico che veniva distribuito presso le principali corti
europee. Diderot non solo fu uno dei collaboratori più illustri della
Correspondance Littéraire, ma insieme a Grimm fu eletto membro straniero
dell'Accademia imperiale delle scienze di Pietroburgo. Solo con Grimm
Caterina II riuscì ad intessere un'autentica liaison filosofica, che è
considerata come un "ponte" tra Russia ed Europa: nel XVIII secolo, il
tedesco Grimm ha incarnato quel ruolo di mediazione tra Oriente e
misteriosa morte di Pietro III, d'Alembert, in una lettera a Voltaire, giustificava il proprio rifiuto di recarsi
in Russia adducendo la scusa di essere soggetto alle "emorroidi", che erano trop sérieuses dans ce pays.
Quella tra Caterina II e d'Alembert restò una liaison èpistolaire ( una dozzina di lettere in tutto: la prima è
del 1762 e l’ultima del 1772) . Sebbene sia considerato il philosophe più indipendente del XVIII secolo,
d'Alembert, nelle lettere a Caterina II, sembra un épistolier-courtisan. Rispetto a quelle di Grimm e di
Diderot, le lettere di d’Alembert alla zarina non lasciamo trasparire i sentimenti più intimi e veri, ma sono
affettate, solenni e pedantesche. Diversamente da Grimm e da Diderot (che si erano recati in Russia e si
erano lungamente intrattenuti con Caterina II), d'A.lembert sembra assumere il ruolo di un détestable
courtisan, guindé e malhabile. In una lettera del 1765, Caterina II anticipava a d'Alembert il progetto del
Nakaz , chiedendo l' approvazione del philosophe. D'Alembert avrebbe visto come "pour l’utilité de mon
empire j’ai pillé le président deMontesquieu sans le nommer; j’espère que si de l’autre monde il me voit
travailler, il me pardonnera ce plagiat pour le bien de 30 millions d’hommes que en doit résulter; il aimait
trop l’humanité pour s’en formaliser. Son livre est mon bréviaire” .
16
In una lettera del l° novembre 1773 a Caterina II, Voltaire definisce se stesso e Diderot missionnaires
laiques al servizio del culto di "Santa Caterina". Cfr. Documents of Catherine the Great. The
Correspondance with Voltaire and the Instruction of 1767 with English Text of 1768, cit., p. 13 e p. 190.
17
Cfr. P. Vernière, Diderot et Catherine II, in Diderot, il politico, il filosofo, lo scrittore, cit. , pp. 40-54.
7
Occidente europeo che, attraverso i secoli, è stato peculiare della
Germania18.
Diderot giunse a Pietroburgo nell'ottobre del 1773 e vi
soggiornò fino al 4 marzo 1774; nell'arco di questi cinque mesi, Caterina II
accordò al philosophe il "privilegio" di incontrarla tre pomeriggi la
settimana. Nel corso di questi incontri Diderot, con una verve debordante e
con una gesticolazione frenetica (che costrinse l'imperatrice a frapporre tra
loro un tavolino per proteggersi le gambe coperte di lividi), espose i suoi
progetti per renverser l'autocrazia russa19. L'incontro tra il philosophe e
l'autocrate è stato al centro di una vicenda ermeneutica, dalla quale
emergono due orientamenti. Da una parte si pongono quegli interpreti che
definiscono Diderot un "adulatore" di Caterina II, che aveva accettato
l'invito a recarsi a Pietroburgo con l'"ambizione" (sbagliata) di convertire la
zarina alla filosofia dei Lumi20. D'altro canto,
18
invece, alcuni interpreti
Sulla liaison filosofica tra Grimm e Caterina II cfr. S. Ja. Karp, Francuzkie prosvetiteli i Rossija.
Issledovannija i novye materialy po istorii russko-francuzskich kul'turnych svjazej vtoroj poloviny XVIII
veka, Moskva, Rossijskaja Akademija Nauk - Institut Vceobščej istorii, 1998, pp. 169-236; Idem, Grimm à
Pétersbourg, in Deutsch-Russische Beziehungen im 18. Jahrhundert. Kuktur, Wissenschaft und Diplomatie,
herausgegeben C. Grau, S. Ja. Karp, J. Voss, Wiesbaden, Harressowitz, 1997, pp. 291-303; Idem, Editer
la Correspondance entre Grimm et Catherine II (A' propos de la bibliothèque de Voltaire), in Catherine II
et l'Europe, cit., pp. 143-148.
19
Il viaggio di Diderot a Pietroburgo fu oggetto di dileggio da parte dei nemici dei philosophes. L'abbé
Frénon, per esempio, in Annèe littéraire, rappresentò Diderot come un uomo toqué che recitava la parte del
filosofo astratto dalla realtà, dandosi un contegno di distraction philosophique. Cfr. A. Stroev, Les
aventuriers des Lumières, Paris, P.U.F., 1997. Il soggiorno di Diderot a Pietroburgo suscitò l'interesse della
diplomazia svedese, come risulta dalla corrispondenza dell'ambasciatore Fredrik von Nolcken. A von
Nolcken Diderot era apparso come una "amabile vecchio" e non corrispondeva all'idea che l'ambasciatore
aveva di un philosophe. Il philosophe, infatti, avrebbe dovuto possedere un'anima "inaccessibile" alle virtù
borghesi. Il principio e il fine di un philosophe avrebbe dovuto essere, perciò, la gloria, l'amor proprio, la
vanità. Sebbene si atteggiasse a profeta, Diderot aveva deluso le aspettattive di von Nolcken, perché si era
mostrato sensibile alla "tenerezza paterna", all'"amore coniugale" e all'"amicizia". A tal proposito cfr. S. Ja.
Karp, Francuzkie prosvetiteli i Rossija. Issledovannija i novye materialy po istorii russko-francuzskich
kul'turnych svjazej vtoroj poloviny XVIII veka, cit. pp. 133-153 e 323-336. Oltre alla corrispondenza
dell'ambasciatore svedese, sul viaggio di Diderot a Pietroburgo il libro di Karp esibisce una messe di
documenti d'archivio ritrovati (cfr. pp. 13-168). Dal canto suo, Diderot considerava la Svezia una nazione
"povera e "bellicosa" con un'esistenza precaria e minacciata dalla Danimarca e dalla Russia. Tali minacce
avrebbero potuto favorire il passaggio dalla monarchia "temperata" al dispotismo "illimitato": la Svezia si
sarebbe posta, perciò, all'"estremità" dell'"onta e del "disonore". Cfr. D. Diderot, Rêveries à l'occasion de la
révolution de Suede, in Idem, Oeuvres complètes, Paris, Le Club Français du Livre, 1969-1973, t. IV,
pp.91-94.
20
La leggenda di Diderot quale "servile adulatore" di Caterina II è stata accreditata da Robespierre.
Approfittando del suo ruolo di protégé, Diderot, per Vernière, intendeva rafforzare le convinzioni
8
considerano il viaggio di Diderot a Pietroburgo come una svolta decisiva
nell'elaborazione di quella "politica sperimentale" che è una sorta di euristica
delle circostances extrêmes: il pensiero politico di Diderot era destinato,
perciò, a confrontarsi con l'"estrema diversità" della Russia21. Nell'ambito
della riflessione politica di Diderot la questione russa assume una centralità
che non deriva né dalla flatterie nei confronti di Caterina II ( sua "augusta"
protettrice)22, né dall'allucinazione del miraggio23: la Russia non era, per
"liberali" di Caterina II. Tuttavia, alla fine del suo regno, Caterina II non era più la discepola di Voltaire,
ma un farouche anti-philosophe: la zarina, infatti, aveva subito una conversione totale dal "liberalismo
riformista" all'autocrazia. Dal canto suo, Diderot non era né un santo, né un eroe e, al di là della rigidità
verbale dei suoi ideali, era irrimediabilmente compromesso con l'autocrate. Il percorso politico-esistenziale
di Diderot è, perciò, più biasimevole di quello di Caterina II ed è privo dell'"audacia del pensiero" Cfr. P.
Vernière, Introduction, in Mémoires pour Catherine II, Paris, Garnier, 1966, p. IX; Idem, Diderot et
Catherine II, in Diderot, il politico, il filosofo, lo scrittore, cit., pp. 53-54.
21
Cfr. J. Proust, Diderot o la politica experimental, "Revista de Estudios Politicos", Numero monografico
sobre Diderot, n. 41, Septiembre-Octubre1984, pp. 9-14; J. Chouillet, La politique de Diderot entre la
societé democratique et l'état hierarchisé: antinomies et resolutions, in Diderot, il politico, il filosofo, lo
scrittore, cit., pp. 23-38. Per Chouillet non esiste una fase "zarista" del pensiero politico di Diderot: il
philosophe non ha esordito come "cantore" dell'assolutismo illuminato russo, per poi aderire alla
democrazia americana. Nella presunta fase "zarista", infatti, Diderot ha condannato senza appello la politica
di Federico II e criticato quella di Caterina II. Pur essendo un "ibrido" di difficile lettura, le Observations
sur le Nakaz contrappongono all'assolutismo illuminato la concezione dello Stato come protettore della
libertà dei cittadini. Da una parte , perciò, Diderot vuole impedire che le istituzioni statali diventino
proprietà esclusiva del deposta; d'altro, canto, però, egli non è esplicitamente democratico. Diderot, infatti,
contrappone al dispotismo la "sovranità della nazione" e non il popolo.
22
Cfr. A. Lortholary, Les "Philosophes" du XVIIème siècle et la Russie: le mirage russe en France au
XVIIIème siècle, cit., pp. 205-242. Per Lortholary, il viaggio di Diderot a Pietroburgo è un autentico
"pellegrinaggio" nel corso del quale il philosophe fa mostra di ogni sorta di piaggeria per ottenere dei
benefici da Caterina II. Peccando di naiveté, Diderot avrebbe coltivato delle illusioni sull'azione
riformatrice dell'imperatrice. Observations sur le Nakaz, secondo Lortholary, non è la confutazione di un
codice definito excellent, ma un chaos d'idées che non hanno il merito di essere "chiare", un commentaire
scritto sotto "il segno della contraddizione" e della "confusione":
23
Cfr. G. Dulac, Diderot e le "mirage russe": quelques préliminaires à l'étude de son travail politique de
Pétersbourg, in Le Mirage russe au XVIIIème siècle, cit., pp. 149-192; Idem, G. Dulac, Dans quelle mesure
Catherine II a-t-elle dialoguè avec Diderot?, in Catherine II et l'Europe, cit., pp. 149-161. Secondo Dulac,
il libro di Lortholary sul "miraggio" russo è "mediocre" e il giudizio sul soggiorno di Diderot a Pietroburgo
è "contestabile". Per Dulac, non solo la problematica del "miraggio" russo è superata, ma è necessario dare
il giusto rilievo al lavoro "critico" di Diderot nei confronti di quel "mito russo", incentrato sulla figura di
Pietro il Grande, che era stato forgiato da Fontenelle e da Voltaire. Diderot, perciò, non è una "vittima" del
"miraggio" russo. Il philosophe, infatti, non vede la Russia dal punto di vista della "verità razionale" (come
sostiene Sergio Cotta) e da una prospettiva antistorica: l'"estrema diversità" dell'impero russo sembrava
essere uno dei principali ostacoli alla sua civilisation.. Il termine al centro del "dialogo" tra il philosophe e
l'autocrate e, infatti, civilisation, che designa un processo. Diderot tentò di iniziare Caterina II ad una
filosofia della storia che prendesse le distanze da quella di Montesquieu. Contrapponendosi ad una visione
statica della società, Diderot, sotto l'influsso di Hume, privilegia i fattori economici e sociali rispetto alle
forme morali, giuridiche e istituzionali della vita collettiva. Per Dulac, il soggiorno di Diderot a
Pietroburgo è un tentativo politico-filosofico di dialogare con la zarina; tuttavia le proposte politiche del
9
Diderot,
una nazione ancora "giovane" dove era possibile elaborare
un'esperienza politica "originale"24. Sebbene Caterina II abbia definito i
piani politici del philosophe delle impraticables théories25, le considerazioni
di Diderot ( così come sono state tramandate dai Mémoires pour Catherine
II26)
assumono una peculiare valenza politica e giuridica, al di là del
tentativo di estirpare dal "cuore" del sovrano il mostro dell'autocrazia. Nel
confronto tra Caterina II e Diderot non solo si svelano gli arcana imperii del
despotisme éclairé, ma anche i paradossi estremi dell'Illuminismo giuridico.
Sulla via ritorno, Diderot a L'Aja scrive le Observations sur le Nakaz27 che
non solo detronizzano Caterina II, ma anticipano quella metamorfosi della
Russia da "miraggio" a "spettro" (o "fantasma di potenza") che troverà
compimento nell'ambito del pensiero politico europeo di orientamento
russofobo nella prima metà del XIX secolo28 . Conscia dell'esordio di questa
metamorfosi operata dalla critique del philosophe, Caterina II (che ricevette
il manoscritto nel 1784 dopo la morte di Diderot), definì le Observations sur
philosophe con collimavano con la politica effettuale dell'autocrate. Tra Diderot e Caterina II, perciò, non
ci fu un autentico dialogo, bensì un "simulacro di scambio".
24
M. Duchet, Le primitivisme de Diderot, " Europe", a. 41, n. 405-406, Janvier-Février 1963, p. 136. In
seguito, Duchet ha modificato il proprio giudizio, sostenendo che Diderot ha creduto sinceramente alla
Russia come nation naissante: le Ob servations sur le Nakaz sono ancora caratterizzate dalla tentazione di
accreditarsi come legislatore della Russia. Nonostante ciò, Diderot non ha tardato a disilludersi, perché la
civilisation della Russia sembrava un'impresa impossibile. M. Duchet, Anthropologie et Histoire au siècle
des lumières. Buffon, Voltaire, Rousseau, Helvétius, Diderot, Paris, François Maspero, 1971, pp. 464-465.
25
Cfr. L. Ph. de Sègur, Mémoires, souvenirs, anecdotes, ed. F. Barrière, Paris, Firmin Didot, 1859, t.I, pp.
444-445.
26
I Mémoires pourCatherine II sono frutto degli entretiens tra Diderot e l'impetratrice; il testo è stato
catalogato e ricostruito nel 1881 da Maurice Tourneux in missione a Pietroburgo (cfr. M. Tourneux,
Diderot et Catherine II, Paris, Calmann-Lévy, 1899). Sulla storia del testo cfr. P. Vernière, Introduction, in
Mémoires pour Catherine II, cit., pp.IV-IX.; Mémoires inédits de Diderot à Catherine II, ed. E. Lizé, "Dixhuitième Siècle", 10, 1978, pp. 193-222. Sui manoscritti di Diderot nella collezione dell'Ermitage cfr. G.
Dulac, Les manuscrits de Diderot en Urss, "Studies on Voltaire and the Eighteenth Century", Editer
Diderot, 254, 1988, pp. 19-50.
27
Sulla vicenda delle Observations sur le Nakaz cfr. G. Dulac, Pour reconsidérer l'histoire des
Observations sur le Nakaz ( à partir des réflexions de 1775 sur la physiocratie), "Studies on Voltaire and
the Eighteenth Century", cit., 254, 1988, pp. 467-514.
28
R. Valle, Spettri della Russia. Astolphe de Custine e l’autocoscienza russa, “De Cive”, n. 3,
gennaio-giugno 1997, pp. 55-74; Idem, Donoso Cortés e la Russia: filosofia della storia e diplomazia,
“Filosofia Politica”, n. 2, agosto 1999, pp. 199-224.
10
le Nakaz un vrai babil: secondo la zarina, la critique è "facile", ma l'arte di
governare è "difficile"29. Lo stesso Diderot rileva la discrasia tra critica
filosofica e arte politica e in una lettera a Mercier del 1777 annuncia la
svolta che lo ha condotto dalla ragione a quella sensibilité sempre orientata
verso la bienfaiance. A tal fine, è
necessario scrivere delle opere che
rendano migliori gli uomini, raddrizzando le "teste frivole", "false" e
"cattive". Come scrive Diderot a Mercier, questa svolta si epitoma nel
meditare con Seneca sulle "grandi lezioni della vita": tale meditazione è il
preludio dell'Essai sur les règnes de Claude e de Neron che è una riflessione
disincantata sul problematico rapporto tra potere e filosofia; tale rapporto è
considerato in quella prospettiva politico-esistenziale che Diderot aveva
esperito alla corte di Caterina II30. L' Essai sur les règnes de Claude e de
Neron, infatti, è una riflessione sulla funzione "pericolosa" (e, a volte,
"inutile) del sage engagé, che respinge ogni compromesso con una politique
insensée31.
1. Genealogie del diritto russo nel "periodo imperiale" e il Nakaz:
pro et contra Montesquieu
La législomanie di Caterina II è stata variamente interpretata: da una
parte si pone quell'orientamento ermeneutico che considera il Nakaz come
un tentativo di legittimazione dell'autocrazia in base alle idee degli
29
Cfr. P. Vernière, Diderot et Catherine II, in Diderot, il politico, il filosofo, lo scrittore, cit. , pp. 40-54.
Sebbene nelle Observations sur le Nakaz Diderot si mostrasse "insolente", per tutta la sua esistenza aveva
agito con prudenza e aveva vissuto sous tutelle. Dal canto suo, Grimm rassicurò Caterina II sulla scarsa
pericolosità del pensiero politico di Diderot, definendo le Observations sur le Nakaz come rêvasserie d'un
imbécile. Cfr. G. Dulac, Le discours politique de Pétersbourg: Diderot politique vue par Grimm,
"Recherches sur Diderot et sur l'Enciclopédie", 1, 1986, pp. 51-52.
30
D. Diderot, Correspondance, ed. L. Versini, Paris, Robert Laffont, pp. 1293-1294.
31
D. Diderot, Essai sur la vie de Sénèque le philosophe, sur ses écrits et sur les règnes de Claude et de
Néron, in Idem, Oeuvres complètes, cit., t. XII, pp. 501-504. Secondo Hisayau Nakagawa, invece, Diderot,
sotto le mentite spoglie della storia romana, ha voluto, nell'Essai, giustificare il colpo di Stato di Caterina II
e l'assassinio di Pietro III. Cfr. H. Nakagawa, "Il importait beaucoup que le prince qui tenait le sceptre le
gardat": Diderot et Catherine II , http://old.sgu.ru/users/project/dokl_nakagawa.html
11
illuministi32; dall'altra parte si pone, invece, quell'indirizzo di studi che
inscrive il Nakaz nel contesto di una "monarchia legale", non dissimile
dall'assolutismo illuminato europeo33. Al di là di questa biforcazione
ermeneutica, il Nakaz è un punto di svolta del "periodo imperiale" della
storia del diritto russo34. Il Nakaz non è, perciò, il tentativo di ingannare
l'opinione pubblica russa ed europea, un frutto del "narcisismo" e della
32
Secondo un'interpretazione accreditata e che ha avuto un influsso in Russia, Caterina II avrebbe stilato il
Nakaz e convocato la Comimissione legislativa per neutralizzare l'opposizione nobiliare, che voleva
limitare i poteri dell'autocrate: il Nakaz, infatti, va considerato come un documento politico volto a
codificare la necessità storica dell'autocrazia. Cfr. G. Sacke, Die Gesetzgebende Kommission Katharina II.
Ein Beitrag zur Geschichte des Absolutismus in Russland, New York, Neudruk, 1966. Sebbene in epoca
sovietica le riforme di Caterina II non abbiano goduto dell'attenzione degli storici marxisti, la scuola
semiotica di Tartu e Mosca (Lotman, Uspenskij e Živov) ha studiato le antinomie della cultura russa
settecentesca e l'ideologia di Stato introdotta dal processo riformatore inaugurato da Pietro il Grande.
Secondo questa interpretazione, l'ideologia di Stato era una struttura autonoma che con corrispondeva alla
pratica della gestione degli affari pubblici. Secondo Lotman, per esempio, il Nakaz era stato promulgato per
non entrare in vigore. Il Nakaz è il riflesso di una "ben ponderata" linea volta ad accreditare l'autocrazia
come "migliore" forma "europea" di governo. Cfr. Ju. M. Lotman, Rousseau e la cultura russa del XVIII, in
Idem, Da Rousseau a Tolstoj. Saggi sulla cultura russa, Bologna, Il Mulino, 1984, pp. 72-78. A tal
proposito cfr. anche S. Karp, Les recherches récentes (1990-2000) des relation culturelle franco-russes au
XVIIIème siècle, http://www.cromohs.unifi.it/8_2003/karp.html.
33
Secondo un recente orientamento ermeneutico, Caterina II è un'esponente dell'"assolutismo illuminato",
che ha elaborato una strategia legale destinata a introdurre in Russia uno Stato fondato sul diritto. A tal
proposito cfr. O.A. Omel'čenko, "Zakonnaja monarchija" Ekateriny II, Moskva, 1993; A.B. Kamenskij,
Rossijskaja imperija v XVIII veke. Tradicii i modernizacija, Moskva, Novoe Literaturnoe Obozorenie,
1999; Idem, Ot Petra I do Pavla I: reformy v Rossii XVIII veka. Opyt celostnogo analiza, Moskva,
Rossijskij Gosudarstvennyj Gumanitarnyj Universitet, 1999. Sia Omel'čenko, sia Kamenskij sostengono
che Caterina II è rimasta fedele al suo programma originario ed è stata una grande teorica (e pratica) di una
monarchia basata sulla legalità. Caterina II ha utilizzato i lavori della Commissione legislativa del 1767
come fondamento per riorganizzare e regolare su solide basi il governo provinciale e municipale. Nel 1787
Caterina II aveva contemplato la possibilità di introdurre una sorta di "legge fondamentale". La "monarchia
legale" era un assolutismo temperato dall'illuminismo e, nel corso del suo regno, Caterina II rimase fedele
al principio sancito nel Capitolo II del Nakaz: un "vasto" impero necessitava di un potere assoluto e
concentrato nella persona del sovrano, che poteva agire prontamente e risolutamente; ogni altra forma di
governo sarebbe stata fatale per la Russia. Secondo Isabel de Madariaga, invece, il Nakaz non è un codice,
ma un "compendio" di princìpi generali selezionati dalle migliori opere giuridiche e politiche del
Settecento: nel Nakaz "balena" l'immagine della Russia "come avrebbe dovuto diventare". Dal canto suo,
Hélène Carrère d'Encausse opera una sintesi tra i giudizi espressi da Omel'čenko e Kamenskij e quello di
de Madariaga: il Nakaz è un "documento di Stato" che propone un definizione giuridica e politica della
Russia in "conformità" con la "tradizione" e il génie del popolo russo; da esso, inoltre, di può trarre una
vision globale di cambiamento conforme agli ideali dei Lumi. In ogni caso, il Nakaz non è "pura ipocrisia"
destinata a impressionare la Russia e l'Europa e a riflettere l'immagine della zarina riformatrice e amica dei
philosophes. A tal proposito cfr. I. de Madariaga, Caterina di Russia, cit. , 1988, pp. 203-209; H. Carrère
d'Encausse, Catherine II. Un âge d'or pour la Russie,Paris,cit. , pp. 104-120.
34
Cfr. M.F. Vladimirskij-Budanov, Ozbor istorii russkogo prava, Petrograd, Izd. N. Ja. Ogloblina, 1915.
Secondo Budanov, la storia del diritto russo può essere ripartita in tre periodi: il "periodo territoriale" che
va dal X al XII secolo; il "periodo moscovita e lituano" nel corso del quale tutte le terre russe si trovano in
12
superficialità politica della zarina. Sebbene abbia le caratteristiche di un
codice, il Nakaz è, anzitutto, un trattato di storia e di filosofia del diritto, che
permette a Caterina II di confrontare le fonti del diritto russo con la cultura
giuridica del suo tempo. Pur attingendo ad altre fonti35, il Nakaz, quale
"tentativo di radicare nel suolo russo" l'Illuminismo giuridico, intende, in
primo luogo, essere il calco de l'Esprit des lois che ampiamente
"saccheggia". A tal proposito, Diderot osserva, ironicamente, che
Montesquieu aveva concepito una sorta di catechismo del buon legislatore,
che sembrava essere scritto solo per Caterina II36. Dalla prima bozza del
Nakaz, tuttavia, si può evincere che Caterina II ha ingaggiato un serrato
confronto con Montesquieu sia omettendo tutte quelle parti dell'Esprit des
lois che stigmatizzano il dispotismo russo, sia ponendo l'accento sulla
"volontà sovrana" che precede e forgia le leggi fondamentali. Questo
paradigma giuridico-ideologico è solo in parte una conseguenza dell'apporto
delle annotazioni di Elie Luzac37, ma deriva da una concezione del potere
sovrano che attinge alle fonti del diritto russo e all'opera di codificazione
realizzata, all' epoca di Pietro il Grande, da Feofan Prokopovič autore del
Regolamento ecclesiastico (Duchovnyj reglament)38. Sulla scia di Bodin,
Giacomo I e Hobbes, Prokopovič fa derivare la legittimazione della
monarchia dalla "volontà sovrana". Il libero esercizio di tale "volontà" è
sancito dal contratto sociale originario ed è il
caposaldo della dottrina
due Stati (Moscovia e Lituania) e che dura fino al XVII secolo; il "periodo imperiale", inaugurato dalle
riforme di Pietro il Grande.
35
N. Plavinskaia, Catherine II ébauche le Nakaz. Premières notes de lecture de L'Espir des lois, "Revue
Montesquieu", n. 2, 1998, p. 68. Per la stesura del Nakaz, Caterina II, oltre Montesquieu, ha utilizzato le
opere di altri pensatori, tra i quali: Adam Smith, Beccaria, Bielfeld, Pesselier, Boucher d'Argis.
36
D. Diderot, Mémoires pour Catherine II, cit., p. 10.
37
N. Plavinskaia, Catherine II ébauche le Nakaz. Premières notes de lecture de L'Espir des lois, cit., p.
75. Caterina II avrebbe utilizzato l'edizione dell'Esprit des lois corredata dalle note di Elie Luzac.
38
Cfr. B. D'Ajetti, Il Regolamento Ecclesiatico di Feofan Prokopovič. Valenza politico-dottrinale e la sua
dignità linguistico-letteraria . (Dal Patriarcato al Santissimo Sinodo Dirigente), Roma, Herder, 1995.
13
politico-giuridica di Prokopovič: la "libera" volontà del monarca, infatti, non
è soggetta alle leggi umane, anche se sono atte a promuovere il benessere
generale39. Facendo riferimento al giusnaturalismo di Grozio e Pufendorf,
Prokopovič intendeva far nascere in Russia una nuova cultura politicogiuridica che fosse confacente ad uno Stato ben policé impegnato a suscitare
le energie di una società dinamica e produttiva. Per Prokopovič, la "volontà
sovrana" di Pietro il Grande aveva generato la "nuova Russia": con il suo
volontarismo e decisionismo, lo zar riformatore era l'agente della
"trasfigurazione" (preobraženie) della Russia40. Il sovrano era sia il
"custode" delle tavole della legge, sia il legislatore che con la sua opera di
regolamentazione imponeva una cesura con il passato: a proposito dei
decreti di Pietro il Grande, scritti in uno stile pungente e polemico dallo
stesso Prokopovič,
Puškin ha sostenuto che sembrano scritti "con la
frusta"41. Nella Russia pretetrina l'apparato amministrativo era forgiato in
base al diritto consuetudinario: con Pietro il Grande, invece, prende forma lo
"Stato regolare", quale meccanismo "generatore di regole". Lo "Stato
regolare"
era un modello "prescrittivo" e "disciplinare",
che si
contrapponeva all'"irregolarità" della società russa ed era una reazione
all'"azione entropica"
della consuetudine42 . Tale concezione "regolare"
dello Stato fu ulteriormente sviluppata da Strube de Piermont in Lettres
39
Peter the Great: His Law on the Imperial Succession in Russia, 1722. The Official Commmentary
Pravda Voli Monarshei Vo Opredelenii Naslednika Derzhavy Svoei, ed. and trans. with introduction and
notes by A. Lentin, Oxford, Headstart History, 1995.
40
A tal proposito cfr. M. Raeff, La noblesse et le discours politique sous le règne de Pierre le Grand, in
Politique et culture en Russie 18-20 siècles, Paris, Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales, 1996, pp.
121-137.
41
G. Florovskij, Le vie della teologia russa, Genova, Marietti, 1987, pp. 70-73.
42
A tal proposito cfr. Ju. M. Lotman -B. A. Uspenskij, K semiotičeskoj tipologii russkoj kul'tury XVIII
veka, in Materialy naučnoj konferencii (1973). Chudožestvennaja kul'tura XVIII veka, Moskva, 1974, p.
269; Ju. M. Lotman, La cultura e il suo "insegnamento" come caratteristica tipologica, in Ju. M. LotmanB.A. Uspenskij, Tipologia della cultura, Milano, Bompiani, 2001, pp. 74-75. Per Lotman, lo "Stato
regolare" di Pietro I (e dei suoi successori) era concepito come un "sistema di ukazy, normative e regole": la
14
russiennes (1760), che è una serrata critica dell'opera di Montesquieu.
Giurista allievo di ChretienThomasius43, Strube de Piermont è autore di
Recherche nouvelle de l'origine et des fondemens du droit de la nature
pubblicato del 1740 dall'Accademia delle Scienze di Pietroburgo. In
quest'opera Strube intende dimostrare che la ragione non è la prima fonte o
autotipe della legge naturale e che si deve distinguere tra intelligence di una
legge e la legge stessa. A partire da Grozio, secondo Strube de Piermont, si
era imposta la moda del droit de nature, per cui tutti i savants, per effetto di
una metamorfosi, si erano elevati al rango di moralistes. Dal canto suo
Hobbes si è grossierement trompé, perché ha sostituito lo stato di natura con
quello "corrotto". Ponendosi al di là del contrattualismo che giudica
chimerique, Strube de Piermont afferma che solo le "passioni" si rivelano
nelle leggi, perché l'impulso della passione ha origine dalla natura stessa. Né
l'entendement, né la volontà possono "contenere" la legge della natura:
l'entendement infatti, è rappresentazione della natura; la "volontà", invece, si
determina in base alla "convenienza". Soddisfacendo le passioni, la legge
prescrive anche dei doveri, definiti come "forza qualificata": tali doveri
impongono il soccorso reciproco e attestano l' inégalité naturelle. I principi e
il contenuto delle leggi naturali si riducono a determinare i doveri: la virtù
consiste nella pratica "spontanea" dei doveri.
La libertà, perciò, non è un
diritto, ma una conquista; la libertà, inoltre, è un obiettivo a cui tendono le
forze umane, indirizzate verso all'autoperfezionamento44. Sulla base di
consuetudine, perciò, era "distrutta sistematicamente", perché identificata con l'ignoranza, l'arretratezza e
l'"ossificazione".
43
Sull'influenza dell'Aufklärung e di Thomasius nella formazione della cultura giuridica russa cfr. M.
Raeff, Les Slaves, les Allemandes et les Lumières, in Politique et culture en Russie 18-20 siècles, cit., pp.
115-117. Secondo Raeff, l'etica attivista e volontarista di Pietro il Grande e di Prokopovič accetta, sulla scia
del pietismo stoico protestante, l'inettuabile effetto della "legge naturale" e la necessità di un'autorità
politica "fondata sulla legge".
44
F.H. Strube de Piermont , Recherche nouvelle de l'origine et des fondements du droit de la nature, St.
Petersbourg, Academie des Sciences, 1740, pp. 36-152.
15
questa concezione del diritto naturale, Strube de Piermont definisce "vaga e
illusoria" l'idea di dispotismo forgiata da Montesquieu: la condotta
"irregolare" del principe non determina la forma di governo; esistono, infatti,
delle leggi fondamentali che limitano la "potenza" del sovrano. Riferendosi
alla monarchie seigneuriale di Bodin, per Strube de Piermont, il dispotismo
fissa la "qualità morale" della servitù: infatti, è "moralmente impossibile"
realizzare l'uguaglianza nelle società civili; l'ineguaglianza è un "male
necessario". Il legislatore, perciò, deve limitarsi a regolamentare, nel modo
più conveniente e più conforme al vantaggio degli individui e della società,
le relazioni servili. Per Strube de Piermont, Montesquieu ha confuso tra loro
quattro forme di governo o quattro "diversi modi di governare": l'autentico
dispotismo, la monarchia assoluta, il governo tirannico e il governo
"barbaro" o irrégulier. Nel contesto di uno "Stato regolare", il dispotismo è
una variante della monarchia assoluta: in tale contesto, la volontà sovrana
non è limitata dalle leggi civili o politiche, ma è regolata dalle leggi divine e
dalla ragione. La forma di governo della Russia, perciò, non era dispotica nel
senso attribuito al termine da Montesquieu. La Russia, infatti, non era un
Etat irrégulier, ma una monarchia "assoluta", nella quale i popoli erano
governati
secondo "le leggi e le regole" che il sovrano giudicava
convenienti per il bene generale. Nel contesto politico-giuridico russo, non
esistevano leggi o convenzioni che potessero limitare
la
"potenza" e
l'"autorità" del legislatore45. Secondo Strube de Piermont, Pietro il Grande,
45
F. H. Strube de Piermont, Lettres russiennes: suivies de Notes de Catherine II, introduction et
bibliographie C. Rosso; postface C. Biondi, Pisa, La Goliardica, p. 195. Le Lettres russiennes non
possono essere considerate, come sostiene Ransel, un tentativo di "distruggere" Montesquieu ("mentore" di
Caterina II), né sono un'opera di "propaganda" in difesa del governo russo contro i giudizi sfavorevoli degli
stanieri. A tal proposito cfr. D.L. Ransel, The Politics of Catherianian Russia. The Panin Party, New
Haven-London, Yale University Press, 1975, p. 48. Secondo Venturi, invece, Strube de Piermont sostiene
l'idea della specificità "geografica" dell'assolutismo russo: la vastità dell'impero richiedeva un potere
sovrano accentrato e assoluto. Tale idea era già stata formulata da Prokopovič, il quale affermava che solo
un'autorità assoluta poteva compiere le riforme necessarie in campo sociale ed economico. L'incontro di
16
con la sua attività regolatrice, non aveva voluto modificare la forma di
governo che si era storicamente instaurata in Russia. Tale forma di governo,
infatti, aveva permesso allo zar riformatore di realizzare quelle "meraviglie"
che avevano suscitato l'ammirazione dell'Europa. Sia pur nel loro laconismo,
le annotazioni di Caterina II su una copia delle Lettres russiennes sono
rivelatrici sia della rilettura di Montesquieu contenuta nel Nakaz, sia di una
concezione del diritto e del potere sovrano che è peculiare del prosveščenie
russo, ma non dei Lumières francesi46. Per Caterina II, Strube de Piermont
aveva sostenuto una causa cattiva e, con uno stile "noioso",
ingaggiato una "disputa scolastica".
aveva
Tuttavia la zarina condivideva le
conclusioni delle Lettres russiennes: la forma di governo Despotique era
consustanziale a un "grande impero" come quello russo, perché altrimenti
sarebbe stato distrutto. Solo il governo dispotico poteva rimediare con la
prontezza necessaria ai bisogni delle province lontane; tutte le altre forme di
governo avrebbero minato, con la loro tortuosa prassi amministrativa, questa
azione salutare. Era necessario, perciò, "pregare Dio", affinché i sovrani
fossero sempre dei maîtres raisonnables che, conformente alle "leggi" e
queste "due idee", per Venturi, è il "centro" della storia delle idee politiche all'epoca di Caterina II. Cfr. F.
Venturi, Quelques notes sur le rapport de Horst Jablonowski, in Europe des Lumières. Recherches sur le
18 siècle, Mouton, Paris-Le Haye, 1971, p.280.
46
Sulle peculiarità del prosveščenie russo cfr. Ju.M. Lotman, Le caractère spécifique des Lumières russes,
in L'Homme des Lumières de Paris à Pétersbourg. Actes du Colloque Internationale (Automne 1992), sous
la direction de Philippe Roger, Napoli, Vivarium, 1995, pp. 321-331; Ju.M.Lotman e B.A.Uspenskij, Il
ruolo dei modelli duali nella dinamica della cultura russa (fino alla fine del XVIII secolo), in La cultura
nella tradizione russa del XIX e XX secolo, a cura di D'Arco Silvio Avalle, Torino, Einaudi, 1980, pp. 261275; V. Strada, Russia , in L'Illuminismo. Dizionario storico,cit., pp. 409-417. Nella cultura russa il
termine illuminismo è reso con due parole prosveščenie e prosvetitel’svo che hanno un'unica radice in svet
(luce). Prosveščenie significa anche istruzione, civiltà, cultura. Queste due parole non erano dei
neologismi, ma furono utilizzati nell'epoca petrina per indicare l'attività politica a favore di una nuova
cultura "europeizzata" che si poneva oltre la tradizionale ortodossia e concepiva se stessa come un
"secondo battesimo della Rus'". All'epoca di Pietro il Grande si impose una sorta di "illuminismo pratico"
volto alla realizzazione della "ristrutturazione" dello Stato. L'Illuminismo penetrò in Russia con il
patrocinio dell'autocrazia e instaurò una nuova symphonia non più tra Stato e Chiesa ortodossa, ma tra Stato
e cultura.
17
dopo "maturo esame", agissero unicamente in vista del "bene dei loro
sudditi"47.
2. Il dispotismo russo e la legittimazione del colpo di Stato come
successione al trono
Nell'affrontare il nodo del dispotismo, Montesquieu non solo
stabilisce una differenza sostanziale tra la Russia e il dispotismo orientale
(epitomato dall'impero ottomano), ma considera la riforme di Pietro il
Grande come un tentativo di liberarsi da una pseudomorfosi storica e
politico-giuridica causata dalla conquista mongola. A partire da Pietro il
Grande, la Russia aveva tentato di sortir du despotime, che si era rivelato un
fardello più per il monarca stesso che per il popolo. Tuttavia le riforme
avevano cominciato a far "conoscere le leggi", anche se erano state imposte
da Pietro il Grande con la violenza e con metodi tirannici. Da un lato il
"cambiamento" era risultato facile, perché i costumi, indotti dalla
mescolanza delle nazioni e delle conquiste, erano estranei al "clima del
paese": Pietro I aveva restituito costumi europei a una nation d'Europe. Il
"cambiamento" operato da Pietro risultava, però, quanto mai problematico,
perché lo zar aveva voluto modificare i costumi attraverso le leggi e non
attraverso i costumi stessi: la legge non può essere un pur acte de puissance.
Secondo Montesquieu, i popoli sono attaccati alle loro "consuetudini";
sradicarle violentemente significa renderli "infelici". Al contrario, era
necessario introdurre nella società degli agenti di cambiamento che
potessero modificare lentamente il tessuto profondo della società: una
graduale metamorfosi della forma di governo risultava essere più efficace
47
Notes de Catherine II la Grande Impératrice de Russie griffonnées sur un exemplaire des Lettres
russiennes, in F. H. Strube de Piermont, Lettres russiennes: suivies de Notes de Catherine II, cit.,
18
dei metodi violenti che non solo erano "tirannici", ma "inutili"48. Dopo
Pietro I, la fuoriuscita dal dispotismo sembrava impossibile: nel 1745,
infatti, la zarina Elisabetta aveva, con un decreto, espulso gli ebrei dalla
Russia, perché inviavano denaro all'estero. Le leggi della Russia impedivano
la libera circolazione delle persone e delle merci e quel cambio della moneta
che rende possibile il trasferimento di denaro da un paese all'altro49. La
fatalità del dispotismo russo era attestata soprattutto dalla legge di
successione al trono sancita, nel 1722, da Pietro il Grande. Abrogando la
regola della primogenitura, la legge del 1722 si fondava su due caposaldi:
per insediare un monarca era sufficiente la qualificazione legale; la scelta
doveva cadere sul più "meritevole" (dostojnyj), quale imitazione di Pietro il
Grande50. Feofan Prokopovič aveva difeso il diritto dello zar a modificare le
regole della successione, perché le leggi fondamentali erano espressione
della volontà del monarca51. Diversamente da Prokopovič, la "costituzione"
del 1722, per Montesquieu, non solo non poteva essere rubricata come una
legge fondamentale, ma il metodo sancito da Pietro il Grande poteva essere
causa di "mille rivoluzioni", perché rendeva "arbitraria" la successione e
"vacillante" il trono. Il popolo aveva il diritto di conoscere l'ordine della
successione e il metodo più sicuro era quello della primogenitura: tale
metodo inibiva gli "intrighi", soffocava "l'ambizione" e negava la possibilità
48
Montesquieu, De l' Esprit des lois, édition établie par L. Versini, Paris, Gallimard, 1995 , t. I, pp. 576578. A tal proposito cfr. D. Felice, Dispotismo e libertà nell'Esprit des lois di Montesquieu, in Dispotismo.
Genesi e sviluppi di un concetto politico-filosofico, a cura di D. Felice, Napoli, Liguori, 2001, t. I, pp. 189255; R. Shackleton, Les moys "despote" et "despotisme", in Idem, Essays on Montesquieu and the
Enlightenment, ed. by D. Gilson and M. Smith, Oxford, Voltaire Foundation, 1998, pp. 481-486. R. Minuti
L'image de la Russie dans l'oeuvre de Montesquieu, http://old.sgu.ru/user/project/dokl_troickii.html.
49
Montesquieu, De l' Esprit des lois, cit. t. II, p.732.
50
Peter the Great: His Law on the Imperial Succession in Russia, 1722. The Official Commmentary
Pravda Voli Monarshei Vo Opredelenii Naslednika Derzhavy Svoei, cit.
51
A tal proposito cfr. J. Berest, Feofan Prokopovich the Truth of Monarch's Will Russian Early Political
Thought, http://ideahistory.org.rus/almanacs/alm16/05berest.htm; C.H. Whittaker, Chosen by "All the
Russian People". The Idea of an Elected Monarch in Eighteenth-Century Russia, "Acta Slavica Iaponica",
vol. 18 (2001), pp. 1-18.
19
di influire su un principe debole e di far "parlare i moribondi"52. Sebbene si
considerasse una discepola di Montesquieu, Caterina II aveva mostrato di
apprezzare la legge del 1722 e nel 1762 aveva conquistato il trono della
Russia con un coup d'état, che non solo poneva dei dubbi sulla legittimità
della sua ascesa potere, ma la faceva apparire come un'usurpatrice. A Parigi
nell'ambiente dei philosophes circolava il manoscritto di Histoire ou
Anecdotes sur la révolution de Russie en l'année 1762 di Rulhière, poeta ed
ex segretario d'ambasciata a Pietroburgo. Caterina II aveva ordinato a
Grimm, suo agente a Parigi, si impiegare tutti i mezzi possibili per far
sparire il manoscritto. Per convincere Rulhière si era ricorso sia ad offerte di
denaro (30.000 franchi), sia a minacce (incarcerazione alla Bastiglia). Anche
Diderot era stato incaricato di dissuadere l'autore dal diffondere il proprio
mascroscritto; tuttavia Rulhière lo aveva già letto al cospetto di d'Alembert,
di Mme Geoffrin e di un "gran numero di persone". Come riferisce in una
lettera a Falconet del maggio 1768, Diderot aveva cercato di convincere
Rulhière a non far circolare il manoscritto, sostendo che era "infinitamente
pericoloso" parlare dei sovrani: solo Caterina II, un "gran cervello di
principessa" che suscitava l'ammirazione dell'Europa e faceva le délices
della sua nazione, poteva giudicare se un'opera fosse offensiva o adulatrice.
In ogni caso la calunnia era indegna di uomo onesto e che non era capace di
dire "tutta la verità". Rispondendo a Diderot, Rulhière aveva affermato che il
suo proposito era stato quello di soddisfare la curiosità dei suoi amici e che
non avrebbe mai pubblicato il manoscritto. Tuttavia d'Alembert e Mme
Geoffrin avevano mostrato di preferire la testimonianza oculare di Rulhière
a tutte le "apologie" che circolavano su Caterina II. A tal proposito,
Rulhière, citando La Rochefoucauld, aveva affermato che la sua opera non
52
Montesquieu, De l' Esprit des lois, cit, t.I, p. 179.
20
è una "bella confessione, ma è una bella vita". Secondo Diderot, la vanità
avrebbe indotto Rulhière a pubblicare il manoscritto, per cui sarebbe stato
più opportuno che fosse dato alle stampe con l'avallo di quel "gran cervello
di principessa". L'affaire era molto "delicato" sia perché Rulhière non
avrebbe ceduto il suo manoscritto, sia perché gli "anedotti" raccontati
sembravano scaturire dalle indiscrezioni di "personaggi importanti" che
facevano parte dell'entourage di Caterina II53 . In realtà, il libro fu
pubblicato nel 1797, dieci anni dopo la morte di Rulhière. Nella lettera
dedicatoria alla contessa di Egmont, Rulhière afferma di aver visto la Russia
con gli "occhi" di Tacito: in quel vasto impero l'unica legge era la "volontà"
del sovrano e l'obbedienza la sola "morale". Sebbene progredisse nella
civilisation, la Russia forniva una faible idée di ciò che Roma era diventata
al tempo della sua "rovina". Tuttavia mentre Nerone e Domiziano avevano
ricondotto l'impero romano alla barbarie, gli zar, con il contributo degli
"stranieri", tentavano di civilizzare il loro impero. Quest'opera civilizzatrice,
però, risultava contradittoria e paradossale: volendo policier la Russia, gli
zar avevano rafforzato il dispotismo. A riprova di ciò, Rulhière svela gli
intrighi che avevano condotto alla deposizione e alla morte di Pietro III,
nipote di Pietro il Grande e designato da Elisabetta come successore al trono.
Caterina II aveva fatto credere all'aristocrazia e al popolo di volere sradicare
il dispotismo, ma il suo unico scopo era la conquista del potere. Tuttavia la
douceur del regno di Caterina II aveva introdotto la politesse in una nazione
oisive e dissolue
53
54
. Nei suoi Mémoires, Caterina II, invece, accredita se
D. Diderot,Correspondance,cit. p. 820.
Cl. C. De Rulhière, Histoire de l’anarchie de Pologne et du démembrement de cette république. Suive
des Anecdotes sur la Révolution de Russie en 1762, Paris, Ménard et Desenne fils, 1819. t. IV, pp. 300-322.
Secondo Rulhière, il regno di Pietro III era stato un long festin al quale erano ammesse attrici e danzatrici
straniere. In apparenza, Caterina era isolata e tranquilla e si faceva amare, perché era rigorosamente devota
ai precetti e alla pratiche della religione ortodossa. In realtà, Caterina coltivava due liaisons inconnues che
conducevano a due conjurations separate e distinte: la sollevazione della guardia di palazzo e la
54
21
stessa come il successore più "meritevole" di Pietro il Grande: Pietro III,
infatti, non si sentiva nato per la Russia e non piaceva ai russi. Sebbene fosse
una principessa tedesca, Caterina II descrive se stessa non solo come il
sovrano più rappresentativo dello "spirito" della nazione russa, ma anche
come quello più dotato di una "mentalità" filosofica in grado di avvicinarsi
alla verità. Al contrario, Pietro III era un antiphilosophe e un "mentitore per
principio". La filosofia aveva permesso a Caterina II di cogliere la
"metamorfosi dello spirito umano" subita da Pietro III e di "prevenire il male
e correggerlo"55: il potere assoluto dello zar era sconfinato nel "dispotismo".
Nel manifesto del 28 giugno 1762, Caterina II legittimava la sua ascesa al
trono affermando che il despota Pietro III aveva adottato un'altra fede
religiosa, aveva concluso una pace con la Prussia che conduceva alla
"schiavitù virtuale" della Russia e aveva distrutto l'"ordine interno" e
l'"unità" del paese56.
3. Il sistema semantico-giuridico del Nakaz
Il Nakaz intende legittimare Caterina II nel ruolo di successore più
"meritevole", perché in grado di portare a compimento l'opera riformatrice
convocazione dei "grandi" dell'impero. Con il sostegno del conte Panin (precettore del granduca Paolo, ex
ambasciatore in Svezia dove aveva recepito le "idee repubblicane"), Caterina aveva redatto le condizioni
con le quali i "grandi" dell'impero destituivano Pietro III e con una "elezione" formale attribuivano la
corona alla stessa Caterina , sia pur con una "autorità limitata". Tale speranza coinvolse diversi nobili nella
congiura e Caterina la usò come moyen de séduction. In Histoire de l'anarchie de Pologne, Rulhière
compara l'etnogenesi , la cultura e il sistema politico dei polacchi e dei russi. I russi avevano conosciuto la
societé policée solo sotto un padrone assoluto, anche perché aveano ricevuto dai greci degenerati una
civilisation non dissimile dalla barbarie. Sebbene fossero trascorsi tre secoli dalla sua estinzione, Pietro il
Grande, infatti, voleva restaurare l'impero bizantino, così come i barbari germani avevano usurpato il nome
dell'impero romano e ne avevano rinnovato la potenza.
55
Mémoires de l'impératrice Catherine II écrits par elle-même et précédês d'un preface par A. Herzen,
Londres, Truben & C., 1859, pp. 270-273. Nella sua prefazione, Herzen afferma che nelle memorie di
Caterina II sono assenti sia la Russia, sia il popolo. Le riforme di Pietro il Grande avevano separato lo
Stato dal popolo e non c'era nulla di "stabile": l'unica istituzione permanente erano i "colpi di Stato" e le
"rivoluzioni di palazzo". L'Etat pour l'Etat era un mond à part nel quale si esercitava quella dictature
impériale instaurata dal "terrorista" Pietro il Grande, che rappresentava se stessa come traditionelle e
séculaire. Ponendosi nella scia di Pietro il Grande, la "dittatura imperiale" di Caterina II era tutt'altro che
illuminata e il destino della Russia si era smarrito nelle ténêbres de l'alcôve.
22
iniziata da Pietro il Grande. L'articolo 7 del Nakaz, infatti, volge in positivo
il giudizio espresso da Montesquieu nell' Esprit des lois e afferma che i
cambiamenti operati dalle riforme di Pietro il Grande in Russia erano
"riusciti", perché avevano introdotto costumi e abitutini conformi allo spirito
europeo della nazione. Le riforme petrine avevano ricondotto la Russia alla
"situazione naturale" di "potenza europea"57. Il sistema giuridico-semantico
del Nakaz poggia su questa proposizione ed è la codificazione di una geofilosofia del diritto volta a legittimare l'autocrazia russa come forma di
governo europea. Come ha sottolineato Marc Raeff, quest'opera di
codificazione risente delle "ambiguità" e delle "contraddizioni" del lessico
politico e giuridico russo58. Nella Russia imperiale il diritto (pravo) era
opposto alla giustizia (pravda) e la legge (zakon) alla legalità (zakonnost'). Il
popolo russo ammetteva l'esistenza della giustizia, ma non riconosceva la
legge ed era privato di diritti (prava). Dal canto suo, l'autocrazia riconosceva
la legge senza ammettere i diritti: la legislazione era la collezione degli atti
del potere autocratico che agiva per decreto (ukaz). Tale ambivalenza,
secondo Raeff, pone un "problema affascinante", quello dello "studio critico
del carattere" del potere autocratico nella cultura politico-giuridica russa.
56
C.H. Whittaker, Chosen by "All the Russian People". The Idea of an Elected Monarch in EighteenthCentury Russia, cit. p.16.
57
Nakaz Komissii o sostavlenni proekta novogo Uloženija, sostavlennyj Ekaterinoj II, in Konstitucionnye
proekty v Rossii XVIII-načalo XX v., ot. red. S. Bertolissi -A.N. Sacharov, Moskva, Institut rossijskoj istorii
RAN, 2000, p. 248.
58
Cfr. M. Raeff, Codification et droit en Russie impériale. Quelques remarques comparatives, in Politique
et culture en Russie 18-20 siècles, cit. pp. 51-60. Secondo Raeff, il periodo che va dal 1740 (Codex
Fridericiani) al 1830 può essere considerato l'"apogeo" dell'attività codificatrice in Europa. Tale periodo è
inaugurato dal "pragmatismo" giuridico dei Lumi, che ha radici nel giusnaturalismo del XVII secolo.
Secondo i "giuristi pragmatisti", la regolarità dei fenomeni naturali implica delle leggi immutabili che
l'uomo civilizzato deve scoprire. Sulla base di questo principio, il pragmatismo giuridico cercava delle
"formule esatte" e utili per definire il rapporto tra privilegi e obblighi. La sistematizzazione del diritto,
infatti, doveva garantire l'equilibrio "dinamico" tra i droits individuali e la stabilità del corpo sociale
strutturato. La stabilità del codice e la non ingerenza del potere sovrano del legislatore era la necessaria
premessa di quel processo che avrebbe condotto all'affermazione del Rechtstaat e all'eliminazione del
Machtspruch. In Russia, invece, il Machtspruch imperiale continuò ad avere un valore normativo in tutti gli
ambiti della vita giuridica.
23
L'ambivalenza semantica sottolineata da Raeff è presente anche nel Nakaz
che parte dall'assunto che la Russia è situata in Europa: la codificazione
delle leggi
deve far riferimento anche alle fonti europee, rendendole
conformi, però, alla natura del popolo russo. L'Esprit des lois e Dei delitti e
delle pene di Beccaria sono per Caterina le fonti europee per legittimare
l'autocrazia russa. Nell'articolo 9 del Nakaz, infatti, il "sovrano" (gosudar') è
definito samoderžavnyj (autocrate), perché l'autocrazia (samorderžavie) era
confacente ad un vasto impero che richiedeva un potere unico e personale
(osobe vlast') incarnato dal sovrano59. La traduzione in francese, invece,
appare tautologica (le Monarque de Russie est Souverain) e introduce i
termini monarchie e monarque (per omolgare l'autocrazia alle forme di
governo europee) che non compaiono nel testo russo: all'epoca il termine
monarchija non era di uso corrente60. Sebbene non abbia stilato il Nakaz per
modificare l'immagine della Russia raffigurata da Montesquieu
61
, Caterina
II non usa mai il termine dispotismo, considerandolo un retaggio della
Moscovia. Pietro il Grande aveva, con "facilità" reciso il legame con questo
oscuro passato, riconducendo la Russia in Europa. Come dimostrava
l'esempio di Pietro I, in un grande impero come la Russia l'autorità sovrana
Nakaz Komissii o sostavlenni proekta novogo Uloženija, sostavlennyj Ekaterinoj II, in Konstitucionnye
proekty v Rossii XVIII-načalo XX v, cit. , p. 249. Sul concetto di gosudarstvo cfr. O. Kharkhodin, What is
the State? The Russian Concept of Gosudarstvo in the European Context, "History and Theory", 40 (May
2001) , pp. 206-240. Il termine russo gosudarstvo significa Stato e deriva da gasudar', termine equivalente
al latino dominus: il gosudarstvo dello zar era, perciò, generalmente interpretato come il "suo stato". Nel
XVIII secolo il servizio allo zar fu gradualmente interpretato come servizio alla "patria" in nome del "bene
comune". La svolta decisiva fu impressa nel 1721 quando Pietro il Grande assunse il titolo di "imperatore"
e, a imitazione degli imperatori romani, fu proclamato pater patriae. Per Prokopovič, l'imperarore può
legiferare non solo per il bene delle patria, ma anche per il "benessere comune".
60
A.B. Kamenskij, Ot Petra I do Pavla I.. Reformy v Rossii XVIII v. Opyt celostnogo analiza, cit., pp.242243; A. Nivière, Traduttore traditore ? Le Nakaz de Catherine II ou la genèse du vocabulaire politique en
Russie, paper presentato al Colloque international (13-15 novembre 2003) di Nancy Langues et société de
l'Europe. Quelques remarques comparatives. Secondo Breuillard, le traduzioni di Caterina non solo sono
"imprecise", ma sono un'opera di russificazione del lessico politico illuminista. Cfr. J. Breuillard,
Catherine II traductrice: le Bélisaire de Marmotel, in Catherine II et l'Europe, cit. , pp. 71-84.
61
A. Lortholary, Les "Philosophes" du XVIIème siècle et la Russie: le mirage russe en France au XVIIIème
siècle, cit., p. 104.
59
24
era una necessità demiurgica sia perché garantiva l'immediatezza delle
decisione politica e legislativa, sia perché era "meglio obbedire alle legge
sotto un solo Signore che dipendere da molti" 62. L'esercizio della sovranità
deve essere rivolto a dirigere l'azione umana verso il più grande di tutti i
beni: la "libertà naturale", che risponde meglio alle esigenze degli "esseri
ragionevoli" e al fine che essi si propongono nell'istituire delle "società
civili". L'altro obiettivo del governo monarchico è la "gloria" (slava) dei
cittadini, dalla quale risulta quello "spirito di libertà" che può produrre
"grandi cose". La monarchia autocratica descritta da Caterina II sembra
animata da un "desiderio di vera gloria" che, invece, Montesquieu pone tra
quelle
virtù eroiche che risalgono ad epoche immemorabili. Nelle
monarchie, per Montesquieu, l'honneur supplisce a quelle virtù politiche
che sono
il "principio" della democrazia e dell'aristocrazia. Nelle
monarchie, infatti, l'onore prende il posto della virtù politica e può ispirare le
"azioni più belle": corroborato dalla "forza delle leggi", l'onore al pari della
virtù, può condurre a buon fine l'azione del governo monarchico63 . La
natura precipua dell'onore è quella di stabilire "preferenze e distinzioni";
l'onore, perciò, non può essere il principio del dispotismo che è fondato sulla
"paura" e sull'uguaglianza forzata stabilità dalla schiavitù generalizzata. Nel
capitolo XXV del Nakaz
dedicato alla nobiltà Caterina II afferma che
l'onore (čest') è il principio dell' aristocrazia russa, che ottiene dei privilegi
in virtù del proprio "merito": l'onore e il merito possono innalzare il popolo
al rango della nobiltà. L'onore prescrive l'amore per il proprio paese, lo zelo
per il servizio reso allo Stato e obbedienza e fedeltà al sovrano. L'onore della
nobiltà era, perciò, strettamente legato al servizio di Stato istituzionalizzato
Nakaz Komissii o sostavlenni proekta novogo Uloženija, sostavlennyj Ekaterinoj II, in Konstitucionnye
proekty v Rossii XVIII-načalo XX v, cit. , p. 249.
62
25
da Pietro il Grande nel 1722 con l'introduzione del čin (Tavola dei Ranghi).
Questa definizione giuridica dell'onore e del ruolo dell'aristocrazia suscitò,
nell'ambito della Commissione legislativa, le proteste dell'opposizione
nobiliare che presentò dei propri cahiers des doléances64 . Nella più antica
raccolta russa di norme giuridiche, Russkaja Pravda, il danno inferto
all'onore viene considerato un delitto e forgia una sorta di "semiotica
cavalleresca dell'onore", che riguardava quella parte della società russa che
si riconosceva dotata di "valore sociale". Come sottolinea Lotman, nel
modello russo settecentesco l'onore era uno dei punti fermo nella "morale di
casta dell'artistocrazia (cfr. il ruolo che le costruzioni politiche di
63
Montesquieu, De l' Esprit des lois, cit, pp. 122-123.
A tal proposito cfr. M. Raeff, La Russia degli zar, Roma-Bari, Laterza, pp. 88-92; F.-X. Coquin, La
Grande Commission législative (1767-1768). Les cahiers des doléances urbaines, cit.; M. Heller, Histoire
de la Russie et de son empire, Paris, Flammarion, 1997, pp. 558-561. Il principe Michail Ščerbatov,
ideologo dell'opposizione aristocratica a Caterina II, in Zamečanija na Bol'šoj Nakaz Ekateriny, (50 pagine
scritte nel 1772/73 e pubblicate nel 1935) afferma che Caterina II, pervertendo le idee di Montesquieu,
aveva sostenuto la causa del dispotismo e deprivato la nobiltà dei suoi diritti. La critica di Ščerbatov è
diretta contro i princìpi fondamentali della filosofia politica di Caterina II sanciti dagli articoli 9 e 11 del
Nakaz: il "potere autocratico" (samoderžavnaja vlast') non differisce dal "potere arbitrario" (samovlastie) e
dal dispotismo (despotičestvo). Ščerbatov dissente anche da Montesquieu quando afferma che un grande
impero presuppone il governo di un'autorità "dispotica" (De l'Esprit de lois, VIII, 19): per il principe russo,
invece, quella repubblicana (come dimostra la storia romana) è la forma di governo più vantaggiosa per un
vasto impero. Lo stesso Ščerbatov, in O proveždenii nravov v Rossii (edito da Herzen nel 1858), afferma
che Pietro il Grande, imitando le nazioni europee, aveva corrotto i semplici e morigerati costumi dell'antica
nobiltà russa, introducendo il "sensualismo" e la "lussuria". Ponendosi nella scia di Pietro il Grande,
Caterina II (che non era di sangue reale) aveva deposto Pietro III con una "insurrezione armata", originata
dall' "amore per la gloria" (slavoljubju). L'intero regno di Caterina II era stato stigmatizzato da questo atto
originario. I progetti politici di Caterina II erano, perciò, basati sull'amore per la gloria: l'imperatrice,
infatti, aveva preferito la guerra contro l'impero ottomano al proseguimento dei lavori della Commissione
legislativa. Tale Commissione, inoltre, non era stata istituita per il bene della nazione, ma era pura
apparenza, quale "simbolo" della vanagloria della zarina che prediligeva l'"ostentazione" e il "servilismo".
Cfr. M.M. Shcherbatov, On the Corruption of Morals in Russia, ed. A. Lentin, Cambridge, Cambridge
Universiry Press, 1969, pp. 234-254. Sul pensiero e l'opera di Ščerbatov cfr. A. Lentin, Shcherbatov. Some
further Thoughts on his Life and Work, in Literature, Lives and Legality in Catherine's Russia, ed.
A.G.Cross and G.S. Smith, Nottingham, Astra Press, 1994, pp.67-78; G.I. Leonard, M.M.Shcherbatov: an
asssessment, in Literature, Lives and Legality in Catherine's Russia, cit., pp. 61-66. Isabel de Madariaga ha
confrontato la confutazione di Ščerbatov con le Obervations sur le Nakaz. La critica di Ščerbatov riflette il
punto di vista del "costituzinalismo aristocratico" e non attribuisce al Nakaz il valore di codice. Per Diderot,
invece, il Nakaz era un codice di leggi, anche se l'instaurazione di un governo che garantisse la legalità, la
libertà e la proprietà era ancora un lontano "ideale". Cfr. I. de Madariaga, Catherine II and Montesquieu
between Prince M. M. Shcherbatov and Denis Diderot, in L'età dei Lumi. Studi storici sul Settecento
europeo in onore di Franco Venturi, Napoli, Jovene, 1985, vol. II, pp. 610-650.
64
26
Montesquieu assegnano all'onore nel regime monarchico)"65. L'autentica
monarchia,
secondo Montesquieu,
si distingue dal dispotismo per la
presenza di leggi fondamentali (compresa
la legge di successione), di
povoirs intermediaires subordonnés et dependans e di canaux par où
decoule la puissance e un dépôt des loix. La monarchia policé
russa
sembrava rispondere a questi requisiti, perché come recita il Nakaz i
pouvoirs intermédiaries costituiscono la "natura" del governo, anche se la
"fonte" del potere politico e civile è il sovrano (gosudar'). La "potenza
sovrana", inoltre, si comunica attraverso dei canaux moien rappresentati dai
tribunali. Il depôt des loix è incarnato dal Senato, quale "istituzione
particolare" che deve fare "osservare la volontà del sovrano conformemente
alle leggi fondamentali e alla costituzione dello Stato"66.
Sebbene la
"sicurezza della costituzione dello Stato" discenda dalla "volontà sovrana",
Caterina II afferma, con Montesquieu, che la legge non è un "puro atto di
potenza", perché la legislazione e l'opera del legislatore deriva dallo spirito
generale della nazione: l'uguaglianza dei cittadini consiste nell'essere
sottomessi alla medesima legge. Il Nakaz, perciò, avrebbe dovuto sancire la
definitiva fuoriuscita della Russia dal "dispotismo moscovita" descritto da
Montesquieu, anche, se nel contempo si inseriva, in una concezione della
sovranità e del diritto che trovava la propria legittimazione in quella volontà
sovrana che è un "canone in materia di diritto pubblico russo"67 e che era
stato codificato da Prokopovič e da Strube de Piermont.
65
Ju. M. Lotman, L' opposizione " onore-gloria" nei testi profani del periodo di Kiev, in Ju.M. LotmanB.A. Uspenskij, Tipologia della cultura, cit. p. 266.
66
Nakaz Komissii o sostavlenni proekta novogo Uloženija, sostavlennyj Ekaterinoj II, in Konstitucionnye
proekty v Rossii XVIII-načalo XX v, cit. , pp. 251-252.
27
4. La difesa del Nakaz: l'Antidote
Come sottolinea Carrère d'Encausse, il "silenzio" di Montesquieu
sulla Russia (pervertita dai popoli conquistatori) fornisce a Caterina II il
mezzo per utilizzare De l'Esprit des lois a sostegno delle proprie tesi68.
Alcuni silenzi ed espressioni laconiche della stessa imperatrice contenute nel
Nakaz si chiariscono dal momento in cui la legislatrice si trasforma in
polemista. Nel 1768 l'abate astronomo Jean Chappe d'Auteroche pubblicò
Voyage en Sibèrie fait par ordre du roi en 1761. Oltre a riportare le sue
osservazioni di viaggio, Chappe d'Auteroche traccia un quadro della storia
politica russa dall'861 al 1767, pervendo alla conclusione che la Russia è
stata governata da souverains despotes. Lo stesso Pietro il Grande era stato
un tyran despote, perché il suo progetto di riforma e di civilizzazione della
Russia aveva stretto ulteriormente les liens de l'escalvage. Il trono era
conquistato con l'intrigo e in base al "diritto del più forte", come attestava
anche l'ascesa al potere di Caterina II. Nonostante ciò, l'abate non formulava
un giudizio negativo sull'azione riformatrice dell'imperatrice e auspicava che
fosse accordata la libertà alla nobiltà69. Caterina II ingaggiò un duello
letterario e politico con l'abate, pubblicando anonimo il pamphlet intitolato
Antidote (1770), che può essere considerato sia come una cesura con la
stratégie de seduction nei confronti dei philosophe70, sia come la difesa del
Nakaz e del sistema politico russo. Secondo Caterina II, l'esperienza storica
mostrava che la Russia aveva accresciuto la propria "potenza" e "forza" in
virtù della sua forma di governo. A tal proposito Caterina II si riferisce
67
M. Raeff, La Russia degli zar, cit. p. 49.
H. Carrère Encausse, Introduction , in L'Imperatrice et l'Abbé. Un duel littéraire inédit entre Catherine II
et l'Abbé Chappe d'Auteroche, cit., p. 27.
69
J. Chappe d' Auteroche, Voyage en Sibèrie, in L'Imperatrice et l'Abbé. Un duel littéraire inédit entre
Catherine II et l'Abbé Chappe d'Auteroche, cit. , pp. 143-160.
70
Cfr. A. Monier, Catherine II pamphlétaire. L'Antidote, in Catherine II et l'Europe, cit., pp. 53-69.
68
28
esplicitamente al capitolo XI del Nakaz nel quale è sancito che la "società
civile" esige un determinato "ordine": tale ordine è caratterizzato dal
comando e dall'obbedienza. L'origine di ogni sorta di dipendenza deriva
dalla divisione tra coloro che governano e comandano e coloro che
obbediscono. Tuttavia la legge naturale impone al sovrano di contribuire al
benessere dei sudditi e di evitare di ridurli allo "stato di schiavitù", a meno
che la "necessità" non lo richieda. D'altro canto, però, le leggi civili, senza
essere troppo "severe",
devono impedire gli abusi e i pericoli. A tal
proposito, il Nakaz rinvia ad una legge emanata da Pietro I nel 1722 che
interdiva gli "insensati" che tiranneggiavano i loro servi. Era necessario,
però, prevenire le rivolte dei servi contro i loro padroni, anche se non era
possibile ovviare per legge a simili inconvenienti. Per reprimere la rivolta
contadina guidata da Pugačëv, Caterina II, infatti, utilizzò gli strumenti
eslege della repressione violenta71. Polemizzando con Chappe d'Auteroche,
Caterina II afferma ironicamente che la monarchia francese, doux et modéré,
aveva proibito la pubblicazione e la diffusione del Nakaz. Tale proibizione
smascherava il vero carattere del governo francese che era purement
despotique. Secondo Caterina II, il dispotismo è una forma di governo nella
quale la volontà "momentanea" e non codificata di uno solo decide. Nel caso
della Russia, invece, la decisione sovrana non era arbitraria, ma era
"conforme" alla legge. A tal proposito, Caterina II traccia una sorta di
genealogia del diritto russo per dimostrare che l'autocrazia era un governo
"réglé" come le altre monarchie d' Europa. Con il battesimo della Russia e
con il cristianesimo era stato introdotto il diritto romano, che era parte
integrante delle leggi della Chiesa. Nel XIII secolo Jaroslav II aveva fatto
Nakaz Komissii o sostavlenni proekta novogo Uloženija, sostavlennyj Ekaterinoj II, in Konstitucionnye
proekty v Rossii XVIII-načalo XX v, cit., pp. 264-266.
71
29
redigere il primo codice che era un calco delle antiche leggi di Novgorod. La
Moscovia era entrata nell'età moderna nel 1550 quando Ivan il Terribile
aveva sancito un nuovo codice legale (Sudebnik) che intendeva instaurare
l'uniformità dell'ordine giuridico e introduceva una riforma amministrativa72.
Nel 1649 Aleksej Romanov (padre di Pietro il Grande) aveva emanato un
altro codice (Uloženie, rimasto in vigore fino al 1833), che fissava i doveri
della società verso lo Stato, metteva ordine nel sistema di governo e legava
definitivamente i contadini alla terra73. L'Uloženie era stato redatto con il
contributo dello zemskij sobor, che era anche all'origine dell'elezione di
Michail, primo zar della dinastia Romanov. Chappe d'Auteroche aveva
definito riduttivamente lo zemskij sobor un'"assemblea dei principali boiari",
mentre per Caterina II rappresentava lo spirito della nazione che si era
"radunato" per salvare la patria e, dopo il periodo dei "torbidi", aveva scelto
Michail Romanov74. Chappe d'Auteroche, inoltre, aveva descritto la presa
del potere di Elisabetta nel 1741 come un roman,
come una congiura di
palazzo contro il partito tedesco guidato dall'imperatrice Anna. Per Caterina
II, Elisabetta non aveva preso il potere "a mano armata" (come Maria de
Medici e Anna d'Austria), ma era stata "scelta dal popolo" e aveva ascoltato
la "voce del popolo". Elisabetta, infatti, aveva convocato il Senato e il Santo
Sinodo che avevano legittimano il primo manifesto della zarina e il suo
"giuramento di fedeltà". In tal modo Caterina II intendeva legittimare anche
la sua discussa ascesa al trono: Elisabetta, figlia di Pietro il Grande, era
ascesa alla dignità imperiale perché era "sicura" dei suffrages de toute la
nation. Quando lo Stato era in pericolo si sentiva il cri général de la nation,
72
M. Heller, Histoire de la Russie et de son empire, cit , p. 194.
Ivi, pp. 334-335.
74
Antidote ou examen du mauvais livre superbement imprimé intitulé Voyage en Sibérie, in L'Imperatrice
et l'Abbé. Un duel littéraire inédit entre Catherine II et l'Abbé Chappe d'Auteroche, cit. , p. 412
73
30
quale adunanza di tutti gli "spiriti" che volevano la conservation de la
patrie: quando tutti gli "spiriti" concordavano su questo punto la révolution
era "prossima"75. Nel XVIII secolo il pensiero politico e giuridico russo
confermava la dottrina formulata da Prokopovič: il potere deriva da Dio, ma
sulla terra trova la propria legittimazione nel popolo, che, come soggetto del
contratto sociale, trasferisce l'autorità politica nelle mani del monarca. Per
sostituire uno zar che governava "ingiustamente" occorreva il "consenso"
popolare, al fine designare la persona più "meritevole". Sebbene guidasse
l'opposizione nobiliare nell'ambito della Commissione legislativa,
il
principe Ščerbatov, storico e pensatore politico, affermava che in Russia il
sovrano ascendeva al trono o per "elezione" o per "diritto di nascita". I testi
politico-giuridici ritenevano che quando la successione al trono non era
chiara, per mancanza di istruzioni esplicite, si doveva "tornare" al popolo
che aveva la "libertà naturale" di scegliere il proprio sovrano76. L'ascesa al
trono di Elisabetta e di Caterina II, perciò, non era una cabale di "intriganti"
e méchants perché la congiura, soprattutto se debole e senza effetto, è
destinata a "fallire". A conferma di questo principio codificato dal diritto
pubblico russo, Caterina II afferma di essere il sovrano più "meritevole" e
chiama a testimone lo stesso Chappe d'Auteroche che aveva intessuto
l'elogio dell'allora gran-duchessa, apprezzandone la "tranquillità": in mezzo
ai "tumulti" della corte, la futura imperatrice coltivava "le scienze, le arti e le
lettere". La stessa Caterina porta a compimento questo panegirico,
affermando di aver fornito a Pietro III i consigli più "sensati", che, però,
erano risultati inutili e nocivi per lei stessa. Caterina II si era trovata, perciò,
di fronte a un aut-aut: condividere i malheurs di un marito che la odiava e
75
Ivi, pp. 426-427.
31
che era incapace di seguire i buoni consigli o salvare l'impero, che riponeva
le proprie speranze in lei77. La genealogia del diritto russo tracciata da
Caterina II non sembra collimare con la versione di Voltaire, secondo la
quale la Russia di Pietro il Grande era uscita dal "nulla" e aveva raggiunto
con un balzo lo stadio della civilisation. Con il secondo tomo dell'Histoire
de l'empire de Russie (pubblicato nel 1763), Voltaire aveva forgiato
un'immagine ideale della Russia, che fu utilizzata per "distruggere" l'opera
di Chappe d'Auteroche78. Pietro I, legislatore e génie, aveva forzato la
natura con un atto creatore e la sua opera, secondo Voltaire (che riprende in
parte Prokopovič), simboleggia il trionfo della volontà sovrana. Secondo
Voltaire, il padre di Pietro il Grande, Aleksej, con l' Uloženie aveva tentato
di imporre alla Russia un'uniformità giuridica, ma l'edificio dello Stato
crollava "da tutte le parti". Nei suoi viaggi in Europa, Pietro il Grande aveva
"ammassato" dei materiali per ricostruire il grande edificio dello Stato e, pur
prendendo ciò che era più "conveniente" dalle istituzioni dei principali Stati
europei, aveva "creato tutto", redigendo leggi e regolamenti e imponendo
alla Russia una métamorphose étonnante. Pietro il Grande aveva amato la
"gloria" e l'aveva posta al servizio del "bene" e aveva "forzato la natura" del
suo paese per abbellirlo. Le "leggi" e gli altri fondamenti della vita pubblica
si erano "perfezionati" e tale opera di perfezionamento era proseguita con i
successori di Pietro il Grande. Nella prefazione "storica e critica"
dell'edizione del 1775 dell'Histoire de l'empire de Russie, Voltaire afferma
che gli étonnant progrès di Caterina II e della "nazione russa" erano la prova
76
C.H. Whittaker, Chosen by "All the Russian People". The Idea of an Elected Monarch in EighteenthCentury Russia, cit., p. 5.
77
Antidote ou examen du mauvais livre superbement imprimé intitulé Voyage en Sibérie, in L'Imperatrice
et l'Abbé. Un duel littéraire inédit entre Catherine II et l'Abbé Chappe d'Auteroche, cit. p. 436.
78
M. Marvaud, Introduction à Histoire de l'empire de Russie sous Pierre le Grand, in Voltaire,
Anecdotes sur le czar Pierre le Grand. Histoire de l'empire de Russie sous Pierre le Grand , Oxford,
Voltaire Foundation, 1999, The Complete Work of Voltaire, vol. 46, p. 153.
32
"evidente" che Pietro il Grande aveva costruito il suo impero "su fondamenta
stabili e durature"79. Partendo da questo assunto, Voltaire polemizza
aspramente con il visionnaire Rousseau che aveva predetto in Du contract
social
(o insocial) che l'impero russo era destinato a crollare80. Per
Rousseau, infatti, Pietro il Grande non era un autentico legislatore e un vero
genio che aveva creato tutto dal nulla, ma un génie imitatif che aveva preso
delle decisioni "intempestive". Pietro I, infatti, non aveva atteso che
sopraggiungesse il periodo di maturità della Russia e aveva incivilito troppo
"presto" un popolo "barbaro". L'intempestività dello zar avrebbe prodotto
delle conseguenze catastrofiche sul piano geopolitico e, a tal proposito,
Rousseau vaticinava una "rivoluzione inevitabile": la Russia voleva
"soggiogare" l'Europa, ma sarebbe rimasta soggiogata dai "tartari" che
sarebbero diventati i padroni dell'intero continente europeo81. Sebbene il
Nakaz non citi espressamente il Contrat social, Caterina II si contrappone
polemicamente a Rousseau affermando che l'autocrazia illuminata era la
migliore forma di governo europea e che Pietro il Grande aveva liberato la
Russia dal "costume" asiatico: lo zar riformatore era un monarca che
incarnava lo spirito della nazione. Caterina II, inoltre, interpretava la
geopolitica della catastrofe vaticinata da Rousseu come un appello a una
"crociata contro la Russia" ed era convinta che la propaganda di questa idea
avrebbe potuto avere successo, quale conseguenza delle guerre di conquista
e delle spartizioni della Polonia82. Nell'Antidote, Caterina II polemizza
79
Voltaire, Histoire de l'empire de Russie sous Pierre le Grand, in Idem, Anecdotes sur le czar Pierre le
Grand. Histoire de l'empire de Russie sous Pierre le Grand, pp. 385-86.
80
Ivi, p. 384.
81
J.J. Rousseau, Du Contract social, in Oeuvres completes, Paris, Gallimard, 1964, vol. III , p. 386.
Sull'infondatezza dell'"oscura profezia" di Rousseau cfr. R. Minuti, Oriente barbarico e storiografia
settecentesca. Rappresentazioni della storia dei Tartari nella cultura francese del XVIII secolo, Venezia,
Marsilio, 1994, p.110.
82
Ju. M. Lotman , Rousseau e la cultura russa del XVIII secolo , in Idem, Da Rousseau a Tolstoj. Saggi
sulla cultura russa, cit., pp.74-75.
33
indirettamente con Rousseau quando afferma, ironicamente, che le leggi più
crudeli della giustizia criminale russa erano una "imitazione" delle cattive
legislazioni delle nazioni europee. Queste ultime, invece, se fossero state
"sagge" avrebbero dovuto "imitare" la legislazione criminale introdotta dal
capitolo X del Nakaz83. Il nuovo codice dimostrava, inoltre, quanto fosse
arbitraria l'affermazione di Voltaire, secondo la quale la Russia non era
governata dai "costumi", ma dai supplices, dai quali nasceva la "servitù".
Diversamente da quanto sosteneva il grand homme e ami de la vérité, la
Russia era un paese che più di ogni altro governato dai costumi e dalle
consuetudini: all'inizio del XVIII secolo, infatti, la riforma di questi costumi
erano costate molte "pene"84. Il giudizio di Voltaire era stato ripreso da
Chappe d'Auteroche che si ostivana ad attribuire l'"odiosa denominazione di
despota" ai sovrani della Russia. La Francia era stata governata da Richelieu
(Luigi XIII era solo il prestanome) con uno "scettro di ferro"; il cardinale
aveva regnato despotique-tyranniquement, soggiogando la Francia con il
"supplizio" e l'"esilio". In Russia, il sovrano emanava quelle leggi che
venivano presentate dal Senato, evitando che si sollevassero delle
remonstrances. In Francia, invece, i parlamenti potevano rifiutarsi di
accettare le cattive leggi, giudicando se quest'ultime fossero conformi o
difformi dalle leggi fondamentali. In realtà, le leggi fondamentali francesi
erano un problema perpetuamente en dispute e il re i suoi ministri
risolvevano questi conflitti con la Bastiglia. Sebbene l'abate difendesse la
forma di governo francese che indirizzava l'uomo verso "l'onore, la gloria e
83
Per quanto riguarda la legislazione sui "delitti" e sulle "pene", secondo Franco Venturi, Caterina II
utilizza e modifica l'opera di Beccaria per giustificare la propria politica. Nel reprimere le rivolte contadine
e il dissenso intellettuale, Caterina II era ispirata da una "volontà ben diversa" da quella che aveva animato
il Nakaz. Cfr. F. Venturi, Beccaria in Russia, "Il Ponte", a. XI, n. 2, febbraio 1953, pp. 168-169.
84
Antidote ou examen du mauvais livre superbement imprimé intitulé Voyage en Sibérie, in L'Imperatrice
et l'Abbé. Un duel littéraire inédit entre Catherine II et l'Abbé Chappe d'Auteroche, cit. , p. 414.
34
il coraggio", la Russia non poteva importare questo èvangile des lois.
L'onore, la gloria e il coraggio, tre virtù che destavano l'ammirazione di tutta
Europa e della gente saggia, erano contemplate dal
Nakaz ed erano
diventate legge: in Francia, invece, il Nakaz era "proscritto". La Francia si
cullava nella "chimera" di essere il centre de la liberté e relegava
nell'impolitesse le altre nazioni. La declamazione della libertà, affidata alla
propaganda di oratori e preti, impediva di resistere a queste "testimonianze
così unanimi". Caterina II afferma, ironicamente, che in Francia i potenti
comandavano par invitation e riducevano il popolo all'obbedienza con la
masque de la douceur et le langage de la politesse. Con un coup d'oeil
philosophique, Caterina II aveva esaminato "scrupolosamente e senza
passione" il libro di Chappe d'Auteroche e ne aveva tratto la conclusione che
era l'opera "meno filosofica" che si potesse stampare. L'Academie royale des
sciences che aveva approvato la pubblicazione del Voyage en Sibérie
sembrava, perciò, un consulto di "medici nelle commedie di Molière".Tra
questi ultimi spiccava l'"illustre" d'Alembert che aveva approvato la
pubblicazione di un "cumulo di inezie, di contraddizioni, di calunnie, di
banalità, di assurdità e di animosità". D'Alembert era il "primo geometra
d'Europa", un "genio sublime", un "amico della verità" e l'"ornamento del
secolo". Nonostante ciò l'"illustre" philosophe si era permesso di prestare il
proprio nome a un abate privo di "senso comune", che smerciava la sua
"ciarlataneria"85. La Francia non era, perciò, il "centro della libertà", ma
della decadenza della philosophie: la capitale del XVIII secolo non era più
Parigi, ma Pietroburgo. Nell'interpretazione di Caterina II, il Nakaz era il
nuovo nomos dei Lumi e definiva una diversa geo-filosofia del diritto e della
civiltà.
85
Ivi, pp. 334-336.
35
5. Diderot, Voltaire, Rousseau e la Russia
In una lettera a Grimm del 4 marzo 1771, Diderot definisce l'Antidote
il "libro più cattivo", per il suo tono "meschino" , e il più "assurdo" per le
sue pretese. L'Antidote, infatti, sosteneva che i russi erano il popolo più
"saggio", il più policé, il più ricco e il più numeroso della terra. Diderot
ignorava che Caterina II fosse l'autrice del libro e ne attribuiva la paternità
allo scultore Falconet che si trovava a Pietroburgo per realizzare la statua
equestre di Pietro il Grande86. Oltre al monumento al cavaliere di bronzo,
Falconet, per "piaggeria", aveva innalzato
un monumento di carta
all'autocrazia russa che era più "spregevole" degli errori e delle menzogne di
Chappe d' Auteroche87. Prima di intraprendere il suo viaggio a Pietroburgo,
Diderot, pur essendo un intellettuale enroleur come attaché culturale di
Caterina II in Francia, formulava un giudizio negativo sulla pretese
filosofiche ed egemoniche dell' Antidote: Pietroburgo non era il nuovo
centro di irradiazione dell'Illuminismo politico e giuridico. Come attesta una
lettera a Voltaire del 29 settembre 1762, Diderot declina l'invito di Caterina
II di trasferire l'entreprise dell' Encyclopédie a Pietroburgo88. L' immagine
negativa della Russia si può trarre, anzitutto,
dalla corrispondenza di
Diderot e soprattutto dalle lettere a Sophie Vollad: lo stesso philosophe
definisce queste lettere radotage philosophique e causeries storico-politiche.
86
Cfr. J-Cl. Bonnet, Diderot et Falconet: le cavalier de bronze e la pyramide, in L'Homme des Lumières de
Paris à Pétersbourg, cit. pp. 51-61.
87
D. Diderot, Correspondance , cit. p. 1059. Secondo Gianluigi Goggi, il giudizio di Diderot sulla Russia è
stato influenzato dall'opera di Chappe d'Auteroche. Soprattutto nel frammento Sur la Russie (1772),
Diderot prende le mosse dalle critiche di Chappe indirizzate all'opera di Pietro il Grande e dei suoi
successori, che avevano innalzato l'edificio della civilisation a partire dall'alto e non dalle fondamenta. Cfr.
G. Goggi, Alexandre Deleyre et le Voyage en Sibérie de Chappe d'Auteroche: la Russie, le pays du Nord et
la question de la civilisation, in Le Mirage russe au XVIIIème siècle, cit., p. 84.
88
Ivi, p. 449. Alla fine del suo soggiorno in Russia, Diderot discusse con Caterina II la possibilità di una
riedizione dell'Encyclopedie a Pietroburgo. L'affare fu trattato da Beckij, una sorta di ministro della cultura
dell'imperatrice, soprannominato da Diderot la "Sfinge". A causa del costo dell'impresa, non se ne fece
nulla: come scrive Diderot in una lettera del 22 febbraio 1774 a Caterina II, la belle dédicace all'imperatrice
36
Sebbene considerasse Voltaire e Algarotti dei bons observateurs della realtà
russa, l'Histoire de l'empire de Russie, secondo Diderot era attraversata da
réflexions antiphilosophique. In una lettera a Sophie Voland del 20 ottobre
1760, Diderot definisce "puerile" e "faceta" la prefazione di Voltaire. L'
étrange paradoxe di Voltaire consisteva nel non voler descrivere la "vita
domestica" dei grandi uomini e poggiava sull'assunto che l'"onestà rende
speciosi": ma, come insegna Plurarco, questa affermazione era un "falsità".
La descrizione della Russia era commune: ponendosi al di là della histoire
naturelle,sembrava assumere la fisionomia di una historiette. Lo "scrittore
di Francia" , inoltre, pretendeva di innalzarsi al livello di legislatore della
Russia89. In una lettera a Damilaville, Diderot, riferendosi al modo in cui
Voltaire aveva trattato l'Histoire naturelle di Buffon,
afferma di non
apprezzare il "furore di biasimare "tutto ciò che è "stimato"90. I giudizi
pronunciati nelle due lettere confluirono nella recensione dell'opera di
Voltaire, pubblicata il 1° e 15 novembre sulla Correspondance littéraire.
Sebbene fosse un philosophe séduisant e il primo bel esprit del secolo,
Voltaire mostrava di non avere la "vocazione" dello storico e aveva scritto
un libro insipide. Paragonati ai tableaux di Tacito, le descrizioni e le
riflessioni di Voltaire sono petites e antithétiques: l'antiteticità dei giudizi
deriva dal fatto che, nel difendere aprioristicamente il genio del "legislatore
dei russi", Voltaire è reticente e lancia strali contro avversari obscurs e
méprisables. La rapidità dello stile, inoltre, si addice alla descrizione delle
battaglie, ma non alla narration ordinaire. La "marcia" della storia, per
Diderot, è grave e posée; quella di Pietro il Grande, invece, era court
sarebbe rimasta nella sua "testa". Cfr. D. Diderot, Mémoires pour Catherine II, cit., pp. 262-268; Idem,
Correspondance, cit., p. 1212.
89
D. Diderot, Correspondance, cit. , pp. 274-275.
90
Ivi, pp. 264-265.
37
toujours e, mancando di "profondità", si arrestava al stadio dell'effimero e
dell' evenemenziale: essa non andava al di là dei trionfi bellici e degli
anedotti sulla perizia artigiana di maître Pierre91. Nei Mémoires pour
Catherine II, Diderot non considera il volontarismo riformatore un modello
da imitare ed esorta la zarina a non proseguire l'opera di Pietro il Grande.
Diderot, infatti, contesta l'efficacia del despotisme éclairé, condanna
l'espansionismo e la politica di potenza dell'impero russo e vuole restituire il
titolo di capitale a Mosca, considerando la fondazione di Pietroburgo non
come il simbolo di una nuova epoca, ma come un "ammasso confuso" di
nazioni che impediva alla Russia di avere dei costumi propri e un'indentità92
. Diversamente da quanto sostiene Stroev93, il giudizio di Diderot sulla
Russia non collima con quello di Voltaire, né si modifica dopo il soggiorno a
Pietroburgo. Diderot, infatti, non abolisce la storia, che è un'impresa difficile
e di lunga durata: la Russia prepetrina non era una tabula rasa e l'azione di
Pietro il Grande non era un atto inaugurale capace di éclairer les ténèbres94.
Il siècle philosophe, per Diderot, non è una cesura definitiva con il passato e
un'epifania del progresso.
Nel XVIII secolo la Russia non era ancora
éclairée e Pietro il Grande non meritava il "sublime" titolo di législateur; lo
91
D. Diderot, Sur l'histoire de l'Empire de Russie sous Pierre le Grande de Voltaire, in Idem, Oeuvres
complètes, cit., t. IV, pp. 433-441. Per Christiane e Michel Mervaud, Voltaire non è un mythistorien, anche
se nel suo "immaginario storico" i grandi uomini hanno un ruolo fondamentale. Come moderniste, Voltaire
considera Pietro il Grande un "demiurgo" che ha realizzato una rupture éclatante con il passato storico
della Russia. Voltaire, inoltre, non ha creato un mito, quale "pura costruzione dello spirito", ma, sia pur
investendole di un potentiel de rêve, ha visto delle "realtà positive" nelle riforme dello zar,. Cfr. C. et M.
Mervaud, Le Pierre le Grande et la Russie de Voltaire: histoire ou mirage?, in Le Mirage russe au
XVIIIème siècle, cit., pp. 11-35. Il sostegno all'azione di Caterina II deriverebbe dal pragmatismo empirista
di Voltaire che rifiuta il dogmatismo di Rousseau e non privilegia né la monarchia, né la repubblica. Sul
"relativismo politico" di Voltaire e sulla sua diffidenza nei confronti delle "regole generali" e della
dogmatica delle forme di governo Cfr. M.L. Lanzillo, Voltaire. La politica della tolleranza, Roma-Bari,
laterza, 2000, p. 61.
92
B. Binoche, Diderot et Catherine II, ou les deux histoires, in Sens du devenir et pensée de l'histoire, éd.
B. Binoche et F. Tinland, Syselles, Etdtions Champ Vallon, 2000, p. 148.
93
A. Stroev, Les aventuriers des Lumières, cit., p. 302.
94
G. Dulac, Diderot e le "mirage russe": quelques préliminaires à l'étude de son travail politique de
Pétersbourg, in Le Mirage russe au XVIIIème siècle, cit, p. 186.
38
zar si era limitato ad emanare due o tre leggi che portavano l'impronta di un
"carattere feroce". L'autorité arbitraire dello zar era all'origine di quelle
riforme che non avevano instaurato un ètat bien constitué. Il "despota" aveva
riformato lo Stato russo secondo il proprio caprice e non era riuscito a
combinare la felicità dei suoi popoli con la grandeur personale. I
magnifiques établissements di Pietro il Grande non erano solidi e la Russia
continuava a languire nella povertà, nel servaggio e nell'oppressione. Non
solo Pietro il Grande non aveva mutato la forma di governo della Russia, ma
aveva accentuato il carattere "patrimoniale" dello Stato e aveva reso più
"incerta" la successione al trono: come dimostrava la rivoluzione che aveva
posto sul trono Caterina II, la corona era diventata élective. L'esprit de
création di Pietro il Grande era suscitato dall'amore per la gloria; il suo
genio aveva creato solo un vano "splendore", senza utilità: l'azione
riformatrice dello zar dimostrava che l'"arte" non poteva forzare la natura"95.
Diversamente da Voltaire, Diderot non vedeva in Pietro il Grande l'archetipo
del legislatore e non considerava il dispotismo come méthode de progrés.
Per Rousseau, invece, il legislatore è un essere semidivino distinto dal grand
prince e dal faiseur des lois; la legislazione non solo deve creare una
macchina politico-sociale, ma deve anche mutare la natura umana: Pietro il
Grande si era limitato ad imporre modelli stranieri e aveva manipolato la
società russa, per deviarla dal suo naturale sviluppo96 . Nel recensire la storia
della Russia "dall'862 al 1054" di Lomonosov, Diderot ne inficia il carattere
scientifico. Lomonosov era "superstizioso" e riferiva i discorsi del gran
principe Vladimir come se fosse un testimone oculare e non uno storico.
95
G.-T.Raynal, Histoire philosophique et politique des établissemens e du commerce des Européens dans
le deux Indes, La Haye 1774, t. II, pp. 278-280.
96
G. Goggi, Diderot e la formazione del terzo stato, in Diderot, il politico, il filosofo, lo scrittore, cit. , pp.
55-81.
39
Vladimir, che aveva battezzato la Russia cristiana, era per Diderot come
Rousseau, un "fanatico" e "nemico del progresso dello spirito umano". I
filosofi come Rousseau erano apologeti dell'ignoranza e volevano fondare la
società non sugli esseri umani, ma sui "bruti", sugli "animali stupidi senza
alcuna regola di costumi e senza alcuna legge". Leggendo la storia dei
"secoli barbari" ci si doveva, perciò, felicitare di essere nati in un siècle
éclairé e in una nation policée97.
6. Diderot e l'anatomia del diritto naturale: ressentiment e volonté
générale
Nei Mémoires pour Catherine II, Diderot immagina l'apparizione del
génie de la France a Pietro il Grande; la grande "figura fantastica, semplice,
nobile e triste" rimprovera allo zar riformatore di aver imitato un modello
politico-sociale che versava in uno stato di crisi permanente: tale crisi era
epitomata dal "caos delle leggi" generato dalla coesistenza di diversi e
contraddittori codici. Pietro il Grande aveva viaggiato in Francia per vedere
un male che era senza rimedio, mentre il bene era solo passeggero. Per
Diderot, invece, solo i primi legislatori sono stati incaricati di interpretare la
volontà degli dèi: quando un popolo si police la funzione politica si separa
da quella religiosa. Il legislatore è colui che ha il potere di dare e di abrogare
le leggi e che deve mutare l' esprit de proprieté in esprit de communauté. Il
legislatore
deve mantenere o modificare quelle lois constitutives
che
definisco la forma di governo. Nel forgiare queste leggi, il legislatore deve
avere riguardo al genio e all'étendue della nazione: in tal modo sono solo si
garantisce la sicurezza dello Stato, ma anche il bonheur des citoyens98. Nei
97
D. Diderot, Histoire de la Russie depuis l'an 862 jusq'en 1054 traduite du russe en allemand et de
l'allemand en français, in Idem, Oeuvres complètes, cit., t. VIII, pp. 363-366.
98
D. Diderot, Legislateur , in Idem, Oeuvres complètes. Encyclopedie, Paris, Garnier Frères, 1876, t. XV,
pp. 417-436
40
Mémoires pour Catherine II, Diderot afferma che il legislatore deve
conformare la propria azione alla nozione di "utilità pubblica": il primo
dovere del legislatore, infatti, è quello di rendere felici gli uomini; la
felicità è la sola base di ogni "buona legislazione". Qualsiasi legge che
prescriva all'uomo una cosa contraria al suo bonheur è "falsa", perché si
pone nell'impossibilità di durare. Esistono, però, due forme di bonheur: da
un lato
un bonheur costante che riguarda la libertà, la sicurezza della
proprietà e la ripartizione delle imposte; dall'altro un bonheur accidentel,
variabile e transeunte, che richiede una loi momentanée, perché la durata
della legge più risultare "funesta" al punto da essere "revocata" 99 . Ci sono
due leggi e due "grandi procuratori generali": la natura e l' homme public. La
morale dell' homme public non è quella dell'homme privé: tale discarsia non
solo attesta l'impossibilità della giustizia, ma anche che il droit des gens è
una chimère100. L'esperienza storica dimostra, infatti, che la massima Salus
populi suprema lex esto è una bella citazione e niente più. In realtà, in ogni
tempo si è osservato il principio Salus dominantium suprema lex esto : la
legge, secondo Diderot, salvaguarda il patre e non il trupeau. Tuttavia
mentre il padrone delle bestie ha l'accortezza di portare al pascolo i buoi che
poi "divorerà", il sovrano-padre conduce i sudditi direttamente alla sua
bocherie. Un tale clima da mattatoio si respirava anche nel contesto
dell'admirable governo inglese, del quale Montesquieu aveva detto un "gran
bene" senza conoscerlo. Diderot ironizza sulle querelles perpetuelles per
definire l'equilibrio e i limiti dei tre poteri, perché tutte le società risultavano
mal amministrate. Per Diderot, qualsiasi
potere che non è orientato al
bonheur général è illégitime: in tal senso, nessun potere poteva essere
99
D. Diderot, Mémoires pour Catherine II, cit. pp. 235-236.
Ivi, p. 233.
100
41
definito légitime e la
società era fondata sul mal commun101 .
L'antropologia materialista di Diderot anatomizza questo mal commun: nel
XVIII secolo, infatti, il termine "antropologia appartiene ancora al lessico
dell'"anatomia" e significa "studio del corpo umano"102. La società umana è
fatta di corpi senza fede, senza legge e senza probità. La natura umana è
détestable: tale assunto è dimostrato dalla fatale inclinazione a commettere
azioni malvage. Per Diderot, la società umana è un equilibrio di interessi
contrastanti e non è governata dal "bene" e dal "giusto", ma dalla
"vergogna", dalla "paura del biasimo" e della "perdita di considerazione"103.
La diatriba di Diderot contro Rousseau è, perciò, un riflesso di una diversa
concezione del rapporto tra diritto e storia. Diversamente da Rousseau,
Diderot non considera il diritto come un artificio prodotto dalla storia e non
contrappone il codice naturale a quello civile. La doxographie sceptique e il
matérialisme vitaliste di Diderot, infatti, rifiutano la finzione di uno stato di
natura preesistente alla società: l'uomo è un essere sociale e storico che non
può sottrarsi al tempo e alla lotta contro la natura. Diderot, perciò, si
contrappone all'"atarassia" antropologica e giuridica che risulta dalla
genealogia fittizza di Rousseau104. Tale concezione è, in primo luogo,
contenuta nell'articolo Droit naturel (1740) dell'Encyclopedie, nel quale
Diderot non solo "sconvolge la dommatica astrattamente intellettualistica del
giusnaturalismo"105, ma stabilisce anche quei principi filosofici che spiegano
101
D. Diderot , Correspondance, cit., p. 548.
M. Duchet, Anthropologie et Histoire au siècle des lumières. Buffon, Voltaire, Rousseau, Helvétius,
Diderot, cit. , p. 12. Nell'articolo Anatomie dell'Encyclopédie, Diderot scrive che l'anatomia è l'"arte" che
molti definiscono "antropologia".
103
Ivi, p. 547.
104
E. Martin- Haag, Diderot ou la revalorisation du dévenir, "Kairos", Les Lumières et l'histoire,, n.14,
1999, pp. 131-153.
105
N. Bobbio, Il diritto naturale nel secolo XVIII, Torino, Giappichelli, 1947, p. 161. A tal proposito cfr.
anche A. J. Porras Nadales, Contractualismo y neocontractualismo, "Revista de Estudios Politicos",
Numero monografico sobre Diderot, cit., pp. 15-42; L. Strauss, Legge naturale e diritto naturale, in Idem,
Gerusalemme e Atene. Studi sul pensiero politico dell'Occidente, introduzione di R. Esposito, Torino,
102
42
il " necessario paradosso della perfettibilità umana"
106
. Per Diderot, infatti,
il male e la violenza nascono dalla sottomissione della ragione alle passioni;
tuttavia, paradossalmente, le manifestazioni della ragione sono inseparabili
dalle passioni. Al di là del bon usage des passions, non esiste un
meccanismo "provvidenziale" che ristabilisca l'equilibrio tra passioni e
ragione. Secondo la definizione di Diderot, l'uomo è un raisonneur violent
che vive un'esistenza inquieta e tormentata, mossa da "passioni" e "bisogni".
La questione del diritto naturale è, perciò, più "complicata" di ciò che appare
dall'uso "familiare" di questa formula. L'homme injuste et passioné
manifesta l'"abominevole predilezione" ad agire in funzione dell'infelicità
degli altri, imponendo la propria "volontà particolare". Il diritto naturale,
però, non è solo, come afferma Hobbes, la libertà di ciascuno di usare il
proprio potere nella maniera più conveniente alla propria conservazione. Pur
apprezzando l'hardiesse de penser di Hobbes, Diderot intende correggere gli
errori dell'hobbisme, affermando che il diritto naturale è anche l'obbligo a
rendere a ciascuno ciò che gli appartiente. Tale giustizia distributiva si
manifesta nella passione di operare per il "bene di tutti". In tal senso la
volonté générale è sempre bonne e non inganna, perché è désir commun ed è
il legame che tiene unite tutte le società, comprese quelle che si sono
formate attraverso il crimine. Sulla base della volontà generale, le leggi
devono essere fatte per tutti e non per uno solo, altrimenti questo "essere
solitario" è destinato a restare un raisonneur violent107 . Diderot ribadisce
Einaudi, 1998, pp. 314-318. Nell'illustrare il passaggio dalla concezione "premoderna" della legge
naturale(che è conservatrice), a quella moderna (che è rivoluzionaria), Strauss afferma che nel XVIII secolo
l'assemblea legislativa è indicata come l'unica istituzione in armonia con il "diritto naturale".
106
E. Martin-Haag, La pensée de la violence chez Diderot: des limites de la raison au droit à l'insurrection,
"Kairos", La paix, n.6, 1995, p. 131.
107
D.Diderot, Droit naurel (Moral), in Encyclopédie, ou Dictionnaire raisonné des sciences, des arts et de
métiers, Paris, 1755, vol. 5, pp. 115-116. La recezione della teoria della legge naturale nell'Encyclopédie ha
come autore di riferimento Pufendorf , piuttosto che Thomasius. Cfr. J. Proust, La contribution de Diderot
all'Encyclopédie et les théories du droit naturel, "Annales historiques de la Révolution française", 35,
43
questo concetto nei Mémoires pour Catherine II e afferma che il "primo
principio" della società è la "lotta contro la natura". Tutto ciò che tende a
isolare l'uomo non solo indebolisce la potenza della lotta contro la natura,
ma lo riconduce alla condizione primitiva dell'"uomo selvaggio". Nel
sedicente stato di simple nature gli uomini sono come un'infinità di piccole
ressorts isolés; per ovviare a questo accidente, il legislatore deve rapprocher
le ressorts isolés e comporre la belle machine société. Tuttavia questa bella
macchina può infrangersi dal momento in cui le "piccole molle", animate da
una infinità di interessi "diversi e opposti", agiscono le une contro le altre.
Se questa guerre accidentelle si potrae è destinata a sfociare in uno stato di
guerre continue, per cui l'uomo ritorna allo stato primitivo e isolato dove il
ressentiment è l'unica legge108. Negli articoli 250 e 251 del Nakaz, Caterina
II sembra far proprio il principio filosofico-giurdico sancito da Strube de
Piermont: la "società civile" esige un ordine basato su coloro che governano
e comandano e coloro che obbediscono; tale principio è all'origine di ogni
sorta di dipendenza109. Nelle Observations sur le Nakaz, Diderot confuta
questo assunto, affermando che in origine gli uomini si sono riuniti in
società par istinct, come gli animali deboli che si costituiscono in branco. In
origine non cè stato nessun contratto sociale, nessuna forma di convenzione:
sebbene si ispiri anche a Beccaria, lo stesso Nakaz non si fonda sui princìpi
del contratto sociale. Gli uomini , per Diderot, si sono riuniti in società per
lottare contro il nemico comune: la natura. Nei confronti della natura, l'uomo
non si è accontentato di vincere, ma ha voluto trionfare, generando una
1963, pp. 257-286. Droit naturel è stato il primo articolo di Diderot per l'Encyclopédie che è stato tradotto
in russo con il titolo Pravo estestvennoe. Cfr. S. Ja. Karp, Francuzkie prosvetiteli i Rossija. Issledovannija
i novye materialy po istorii russko-francuzskich kul'turnych svjazej vtoroj poloviny XVIII veka, cit., p. 309.
108
D. Diderot, Mémoires pour Catherine II, cit., pp. 173-175. La stessa metafora si trova in D. Diderot ,
Supplément au Voyage de Bougainville, Paris, Le Livre de Poche, 1995, pp. 93-94.
109
Nakaz Komissii o sostavlenni proekta novogo Uloženija, sostavlennyj Ekaterinoj II, in Konstitucionnye
proekty v Rossii XVIII-načalo XX v, cit., p. 264.
44
moltitudine di besoins artificiels. L'individuo, secondo Diderot, non è
completamente
assorbito
dalla
società,
ma,
nella
sua
insocevole
socievolezza, può rifuggire la compagnia. L'individuo che dispone del
"superfluo" per soddisfare il proprio "gusto" non è un "cattivo cittadino".
Diversamente dai fisiocrati, per Diderot, l'individuo non deve restituire tutto
alla terra, non deve vivere in una sorta di "abbrutimento" e in una médiocrité
de jouissances et de félicité che sono antitetici alla propria natura: tutte le
filosofie contrarie alla natura umana sono "assurde"; altrettanto assurde sono
quelle legislazioni che coerciscono l'individuo a sacrificare il proprio "gusto"
e la sua felicità per il bene della società. La società, perciò, non è un
meccanismo provvidenziale che stabilisce
un equilibrio permanente tra
ragione e passioni. La volontà generale è in parte consensus gentium sancito
sia dai princìpi del diritto scritto di tutte le nazioni policées, sia dalle azioni
sociali e dalle convenzioni tacite dei popoli selvaggi. D'altro canto, però,
nella volontà generale si manifesta anche il sentimento soggettivo del
ressentiment dell'homme opprimé110 . Nel commentare l'articolo 67 del
Nakaz, Diderot afferma apoditticamente che il ressentiment è l'unica legge di
natura e varia a seconda del carattere dell'"offesa" e dell'"offeso". La loi
sociale non solo eclissa il ressentiment, ma codifica la natura dell'offesa:
assoggettandosi alla legge, l'indulgente diventa "venticativo" e il vendicativo
"indulgente"111 .
110
L. G. Crocker, La loi naturelle, " Europe", cit., p. 62.
D. Diderot, Observations sur le Nakaz, in Idem, Oeuvres complètes, cit. , t. XI, pp. 235-236.
Nell'articolo scritto per l'Encyclopedie, Diderot definisce il ressentiment un movimento di "indignazione" e
di "collera", una passione che la natura ha instillato negli uomini per la loro conservation. Per questo il
ressentiment e la sola legge nello stato di natura. Cfr. D. Diderot, Ressentiment, in Idem, Oeuvres
complètes, cit., Extraits de l'Encyclopedie, t. XV, p. 372.
111
45
7.La politica sperimentale di Diderot: civilisation legale e politesse
Descrivendo la storia naturale del diritto, Diderot formula la teoria dei
tre codici a partire da una lettera a Falconet del 6 settembre 1768. Secondo
Diderot, il grandi princìpi possono avere un'influenza sulle scienze e sulle
arti, ma non sui costumi. Il progresso delle scienze e delle arti, infatti, attiene
all' incoraggiamento, all'elogio, agli onori e alla ricompensa. Per migliorare i
costumi, invece, è necessaria una bonne législation, perché ogni altro
rimedio è "momentaneo". Se la legge di natura, la legge civile e la legge
religiosa sono in contraddizione tra loro, sono destinate ad essere infrante e
disprezzate e non si avranno né uomini, né cittadini, né credenti. Da tale
contraddizione, secondo Diderot, nasceva la difficoltà di dare dei costumi
alle "contrade d'Europa": il paese scevro dalle stigmate dei fatti compiuti
sarebbe stato il più "avanzato". Per questo Diderot avrebbe preferito policer
i "selvaggi" piuttosto che i "russi" e i russi piuttosto che gli inglesi, i
francesi, gli spagnoli o i portoghesi112. Diderot, perciò, consiglia Caterina II
di ridurre i codici all'identità; il codice della natura non è che la "trascrizione
nel linguaggio del diritto positivo delle regole del giusto e dell'ingiusto che
gli uomini osservano spontaneamente nello stato sociale"113. Per questo
Diderot considera artificiosa la tripartizione del diritto sancita dall'articolo
440 del Nakaz; secondo il codice di Caterina II, l'intero corpo legislativo si
divide in tre parti: leggi, regolamenti, che si modificano a seconda delle
circostanze, e ordinanze. Per Diderot, invece, il diritto andrebbe suddiviso in
lois naturelle e lois civiles: se una legge civile non è conseguente a una
legge naturale, risulta essere una loi arbitraire e, perciò, "inutile" o "nociva"
112
D. Diderot, Correspondance, cit., p. 855.
M. Duchet, Anthropologie et Histoire au siècle des lumières. Buffon, Voltaire, Rousseau, Helvétius,
Diderot, cit., p. 441.
113
46
114
. L'idea di ridurre i codici all'identità viene sviluppata da Diderot in
Supplément au voyage de Bougainville che è una satira sanglante dei primi
legislatori che spesso si sono mostrati "seviziatori" della volontà generale.
Se le leggi sono buone, anche i costumi sono buoni; a tal fine è necessaria
una legislazione omogenea, nella quale la legge civile deve essere
l'"enunciazione" della "legge di natura". Fondando la legge su una morale
che scaturisce dai "rapporti eterni" che sussistono tra gli uomini, la legge
"religiosa" diventa "superflua"115. Nelle Observations sur le Nakaz, Diderot
stabilisce una sorta di sillogismo sul quale basare la codificazione delle
leggi: le leggi "naturali" sono éternelles et communes; le leggi positive sono
"corollari" delle leggi naturali; dunque, le leggi positive sono "ugualmente"
éternelles et communes. Tuttavia la legge positiva va anche considerata nella
sua circostanza, per cui possono esserci delle parti del codice che vanno
riformate con il tempo116. La teoria dei tre codici non solo si fonda su una
peculiare concezione del diritto naturale, ma si inserisce anche nell'ambito di
una politica sperimentale che si basa su principi non dissimili da quelli che
Diderot, in Pensées sur l'interpretation de la nature,
definisce "filosofia
sperimentale". Diderot, infatti, approda ad una concezione asistematica e
non dogmatica della verità ed la sua ricerca etico-politica è animata da una
"volontà di problematizzare" qualsiasi assunto attraverso un "multiforme"
ricorso al "dialogismo". La politica sperimentale implica, perciò, la critica
dell'"autorità" e di tutte le relazioni basate su una "gerarchia di poteri"117. La
politica sperimentale si distingue da quella razionale sia per la sua
asistematicità, sia perché l'esperienza moltiplica il proprio movimento
114
D. Diderot, Observations sur le Nakaz, in Idem, Oeuvres complètes, cit. , t. XI, p. 296.
D. Diderot , Supplément au Voyage de Bougainville, cit. , pp. 82-83.
116
D. Diderot, Observations sur le Nakaz, in Idem, Oeuvres complètes, cit. , t. XI, p. 227.
115
47
all'infinito e non si cristalizza in una assiologia dogmatica. La politica
sperimentale, perciò, ricerca i "fenomeni", mentre la ragione si limita a
stabilire delle "analogie"118. Fondandosi su questo assunto,
la politica
sperimentale approda ad una concezione filosofica della storia che si pone
come superamento della dell' histoire naturelle: al "naturalismo ottimista",
Diderot contrappone un fatalisme désabusé
119
, che affranca l'uomo sia
dall'arbitrio della Provvidenza, sia dal determinismo scientista120. Come
rileva Bertrand Binoche, Diderot ha indicato a Caterina II un'"arte di
governare" e di "civilizzare la Russia", ma soprattutto un "arte di fare la
storia russa" oltre e contro il "modello francese": tale arte è una "tecnica"
resa possibile dalla "identificazione sperimentale" delle cause121. La storia è
il luogo dove si sviluppa una contraddizione tra le leggi della natura e quelle
della politica. Approdando ad una concezione ciclica della storia, Diderot
afferma che l'uomo selvaggio, che non è ancora entrato nel ciclo "fatale"
della storia, conosce una felicità che consiste nell'assenza di tutti i mali
inerenti lo stato di civilisation122 . La civilisation porta con sé il "germe della
distruzione"; la potenza distruttiva della civiltà, infatti, può condurre alla
117
J. Proust, Diderot o la politica experimental, "Revista de Estudios Politicos", Numero monografico
sobre Diderot, cit., 11.
118
D. Diderot, Pensées sur l'intérpretation de la nature, in Idem, Oeuvres complètes, cit., t. II, pp. 725-731.
119
Cfr. M. Duchet, Anthropologie et Histoire au siècle des lumières. Buffon, Voltaire, Rousseau, Helvétius,
Diderot, cit., pp. 413-423. Voltaire ha coniato l'espressione "filosofia della storia" per indicare
l'emancipazione dalle teologie della storia. Per Voltaire, l'entelechia del processo storico è la "civiltà",
quale sviluppo progressivo della scienza e della tecnica, dei costumi e delle leggi. Pur ponendosi nella
prospettiva della "filosofia della storia" di Voltaire, Diderot non attribuisce alla civilisation e al progresso
un significato teleologico e soteriologico. A tal proposito cfr. K. Lowith, Significato e fine della storia. I
presupposti teologici della filosofia della storia, Milano, EST, 1998, pp. 125-133.
120
J. Ehard, Lumières et roman, ou les paradoxes de Denis le Fataliste, in Au siècle des Lumières, cit., pp.
137-155.
121
B. Binoche, Diderot et Catherine Ii, ou les deux histoires, in Sens du devenir et pensée de l'histoire, cit.,
p. 144. Nel formulare un piano per istituire una università in Russia, Diderot afferma che lo studio della
storia inizia a partire dalla popria nazione secondo un itinerario à rebours: dai tempi più recenti fino ai
siècles de la fable e della mytothologie. La conoscenza della storia, inoltre, non deve precedere quella della
morale: la nozione del juste e dell'injuste è, infatti, "utile e conveniente" per comprendere sia le azioni dei
protagonisti, sia la stroria stessa. D. Diderot, Plan d'une université pour le gouvernement de Russie ou
d'une éducation publique dans toutes le sciences, Idem, Oeuvres complètes, cit., Philosophie, t. III, p. 493.
48
guerra e al ritorno della superstizione: davanti al progresso delle scienze e
delle arti si può spalancare l'abisso della barbarie. Come sostiene Diderot a
proposito della Russia, la civilisation è un ouvrage long et difficile e richiede
una politica della politesse incentrata sulla legislazione, al fine di garantire
una precaria stabilità. La storia delle nazioni, infatti, non segue la teleologia
del progresso lineare, ma si fonda su una inquietante oscillazione tra la
barbarie e l'état policé. Questo movimento pendolare può essere arrestato da
alcune "cause impreviste": tuttavia la stabilità istituzionale e sociale non può
mai essere conservata perfettamente123. Nelle Observations sur le Nakaz,
Diderot sostiene che i buoni costumi non sono indipendenti dalle leggi, ma
una "conseguenza" delle buone leggi: un popolo selvaggio ha dei costumi,
dal momento in cui osserva le lois naturelles (umanità, dolcezza,
benevolenza, fedeltà, buona fede); un popolo policé ha dei costumi dal
momento in cui osserva le leggi naturali e civili. La differenze tra un popolo
selvaggio e uno civile derivano dalla grossièreté e dalla politesse124 .
Diderot ha tracciato nell'Encyclopedie le grandi linee della politica della
politesse che diventa uno strumento per interpretare la realtà125. Per Diderot
la filosofia politica deve insegnare agli uomini ad agire con "prudenza",
senza ricorrere, come Platone, all'idea di una repubblica imaginaire fondata
su leggi forgiate per degli uomini che non esistono; d'altro canto, però, non
si può prendere a modello Machiavelli che utilizza il termine politica per
mascherare la "cattiva fede dei principi"
126
. La politica, inoltre, non può
essere disgiunta dalla politesse che è una qualità sconosciuta al selvaggio. La
politesse non va confusa con la civilité; tutti sono capaci di apprendere la
122
M. Duchet, Le primitivisme de Diderot, " Europe", cit., p. 130.
D. Diderot, Extraits de l'Histoire des deux Indes,in Idem, Oeuvres complètes, cit., t. XV, pp. 551-552.
124
D. Diderot, Observations sur le Nakaz, in Idem, Oeuvres complètes, cit. , t. XI, pp. 234-235.
125
Cfr. J. Proust, Diderot et l' Encyclopedie, Paris, Albin Michel, 1995.
123
49
civilité che si compendia in certe cerimonie arbitrarie soggette, come la
lingua, ai costumi di un paese e alle mode. Al contrario, la politesse si
apprende attraverso una disposizione naturale che deve essere perfezionata
con l'istruzione e l'usage du monde. La politesse, perciò, non va confusa con
la flatterie che è un eccesso di condiscendenza e di sottomissione iperbolica:
il
servilismo
dell'adulatore,
paradossalmente,
svela
il
progressivo
abbrutimento del principe che si trasforma in tiranno127. Rifacendosi al
lessico degli artigiani, Diderot afferma che polir significa togliere tutto ciò
che c'è di rude nella materia, al fine di raffinarla e perfezionarla. Quando la
politesse è "profanata" e "corrotta" diventa uno degli strumenti più pericolosi
dell'amour-propre mal réglé128 . La civilité è soltanto la maschera di quella
politesse che si manifesta nella solidità delle istituzioni: essere policé, infatti,
implica leggi che stabiliscono i reciproci doveri della "benevolenza comune"
e un potere autorizzato a garantire nel tempo l'osservanza delle leggi129.
Nell'articolo Legislateur, infatti, Diderot afferma che gli uomini si
riuniscono in società per creare una situazione più hereuse rispetto a quella
dello stato di natura. Quest'ultimo risulta vantaggioso perché garantisce
l'uguaglianza e la libertà, ma presenta due inconvenienti la "violenza" e la
"paura". Per evitare questi due inconvenienti gli uomini si sono riuniti in
società e il legislatore deve fornire agli uomini "sicurezza" e "felicità". Nei
siècles éclairés è impossibile fondare la legislazione sull'errore, sul
fanatismo "distruttore" di Maometto e sui pregiudizi contrari al droit des
126
D. Diderot, Politique , in Idem, Oeuvres complètes, cit., Encyclopedie, t. XVI, pp. 340-346.
J. Starobinski , Sull'adulazione , in Idem, Il rimedio nel male. Critica e legittimazione dell'artificio
nell'età dei Lumi, Torino, Einaudi, 1990, pp. 61-62.
128
D. Diderot, Politesse, in Idem, Oeuvres complètes, cit., Encyclopedie, t. XVI, pp. 337-340.
129
Sulla storia del termine civilisation cfr.P. Béneton, Histoire de mots: culture et civilisation, Paris,
Presses de la Fondation Nationale de Sciences Politiques, 1975; J. Starobinski, La parola "civilisation", in
Idem, Il rimedio nel male. Critica e legittimazione dell'artificio nell'età dei Lumi, cit., pp. 5-48; H-Ju.
Lusebrink, Civilizzazione, in L'Illuminismo. Dizionario storico, cit., pp. 168-176.
127
50
gens e alle leggi di natura. La legislazione, perciò, è l' "arte" di dare delle
leggi ai popoli; il legistatore deve tener conto dell'"opinione" e
dell'approvazione dei cittadini130. La migliore legislazione è quella
più
semplice e più conforme alla natura: il legislatore non si deve opporre alle
passioni umane, ma, al contrario, deve incoraggiarle, armonizzando
l’interesse pubblico con quello particolare. Le legislazioni "perfette" devono
tendere a questo fine e ciascun uomo deve essere "amico" e non "schiavo"
della legge: citando Metastasio, Diderot afferma che ogni uomo è
"compagno della legge e non seguace". Nell'articolo Autorité politique,
Diderot sostiene che nessun uomo ha ricevuto dalla natura il "diritto di
comandare". Solo la puissance paternelle ha un'origine naturale; tutti gli altri
poteri, invece, hanno altre fonti: la forza e la violenza. All'origine di ogni
autorità politica c'è un'usurpazione, per cui la tirannia è la forma archetipica
di governo. Il tiranno diventa principe dal momento in cui si manifesta
espressamente il consenso di coloro che si sottomettono: ogni sorta di
sottomissione che esclude il consenso è un crime d'idolatrie. Il potere
legittimo, perciò, è limitato dalle leggi della natura e dello Stato e il principe
non può disporre arbitrariamente del proprio potere senza il consentement de
la nation
e indipendentemente dalle scelte sottoscritte nel contrat de
soumission. Lo Stato non è un bene patrimoniale del principe, ma è
quest'ultimo che appartiene allo Stato; il compito del principe è l'osservanza
delle leggi e la conservazione della libertà131. L'uomo, infatti, non è automa
del fatum: il suo unico destino è quello indicato dalla "libertà naturale", che
è un diritto che la natura assegna a tutti gli uomini: in virtù di tale diritto
ciascun uomo può disporre della propria persona e dei propri beni nel modo
130
131
D. Diderot, Legislateur, in Idem, Oeuvres complètes, cit., Encyclopedie, t. XV, pp. 417-436.
D. Diderot, Autorité politique, in Idem, Oeuvres complètes, cit., Encyclopedie, t. XIII, pp. 392-400
51
che ritiene più "conveniente" per la propria "felicità"132. La "libertà naturale"
è alla base di quella "civile" che è il diritto di fare tutto ciò che la legge
permette: per questo la libertà civile è fondata sulle migliori leggi
possibili133. La libertà, perciò, non deve sconfinare nella "licenza" che una
sorta di relachement esiziale per le leggi, i costumi e le arti134. La "licenza"
del principe, quale padrone assoluto, è all'origine di tutti i mali dello Stato e
genera flatterie, esprit de servitude, sottomissione honteuse e dominazione
cruelle. A tal proposito, Diderot cita il caso dell'impero ottomano, nel quale
non si governava secondo la legge della giustizia e i sudditi erano ridotti a
un tropeau d'animaux che un padrone assoluto faceva marciare secondo il
proprio capriccio. Il "tiranno" è l'usurpatore del potere sovrano o un sovrano
legittimo che abusa della propria autorità: per Diderot, la tirannia è il più
funesto dei mali che affliggono l'umanità, perché il tiranno è unicamente
preoccupato di soddisfare le proprie passioni e considera i propri sudditi
come "vili" schiavi135. La sovranità non esiste allo stato di natura e la sua
fonte primaria è la "volontà" del popolo. In base a questo mandato, il
sovrano ha la puissance legislative che deve garantire il buon ordine della
società, emanando leggi generali che regolino passioni e interessi. Al
sovrano è anche attribuita la puissance exécutrice che deve essere limitata e
non absolu: il souverain absolu, infatti, si arroga il diritto di cambiare
secondo la propria volontà le lois fondamentales ed esercita un pouvoir
arbitraire che sconfina nel dispotismo136. La sovranità e la libertà non
consistono nel fare tutto ciò che si vuole; sovranità e libertà sono limitate
132
D. Diderot, Liberté, in Idem, Oeuvres complètes, cit., Encyclopedie, t. XV pp. 478-508.
D. Diderot, Liberté civile (droit des nations), Idem, Oeuvres complètes, cit., Encyclopedie, t. XV, pp.
509-510134
D. Diderot, Licence, in Idem, Oeuvres complète,cit., Encyclopedie,t. XV, pp. 512-514.
135
D. Diderot, Tyran, in Idem, Oeuvres complètes, cit., Encyclopedie, t. XVII, pp. 302-303.
136
D. Diderot, Souverains, in Idem, Oeuvres complète, cit., Encyclopedie, t. XVII, pp. 166-170.
133
52
dalla medesima "barriera": il rispetto della proprietà da parte del sovrano e il
suo uso da parte dei cittadini. Per Diderot, è necessario formarsi un'idea
chiara e distinta della libertà: se il sovrano può fare ciò che vieta la legge, è
garantita la libertà di uno solo e la schiavitù di tutti137. All'origine della
sovranità non c'è il merito, come affermava Caterina II, ma la coerzione: la
sovranità si è imposta per mezzo di
una "grande qualità", la force
corporelle, e di un "grande vizio", la paresse. Le idee "nuove" dei Lumières
erano, per Diderot, recenti e avevano dato voce al cri de l'homme opprimé
che aveva subito nel corso dei secoli una lunga sequela di mali prodotti
dall'abus de l'autorité. I philosophes avevano affermato che la società ha
avuto origine da un pacte tacite, che i cittadini non sono stati creati per i
"capi", ma sono depositari di diritti inalienabili, come la liberà e la proprietà.
Sulla base di queste idee nuove i popoli civilisés, attraverso la "voce" dei
philosophes, rendevano espliciti i loro "reclami"; tuttavia questa radicale
contestazione del potere costituito non aveva prodotto nulla e il dispotismo
continuava ad espandersi. Era necessario, perciò, un nuovo potere
costituente che abdicasse la propria sovranità e con un editto affermasse di
governare per grace de ses sujets e non per grace de Dieu, che è un principio
"teocratico"138.
8. La Russia come circostance extrême dell'Illuminismo giuridico
Seguendo
gli
orientamenti
lessicali
e
concettuali
indicati
nell'Encyclopedie, Diderot consacra principalmente la sua politica
sperimentale alla Russia. Per Diderot la Russia è la "circostanza estrema"
nella quale si manifesta in maniera eclatante la crisi dell'età classica
137
138
D. Diderot, Observations sur le Nakaz, in Idem, Oeuvres complètes, cit. , t. XI, p. 229.
D. Diderot, Ivi, pp. 263-266.
53
dell'Illuminismo giuridico compendiata nell'opera di Montesquieu 139. In una
lettera del luglio 1767 a Falconet, Diderot afferma che le grandes
circonstances fanno schiudere le grandes ames. Caterina II era una sovranapadrona in grado di imporre ai propri sudditi le leggi, la forma di governo e
il proprio "giogo". Convocando la Commisione legislativa, Caterina II
avrebbe potuto, invece, affermare la sovranità delle leggi, che devono essere
emanate per la felicità pubblica. A tal fine, l'imperatrice avrebbe dovuto
ascoltare la voce della nazione, la sola in grado di porre le condizioni per la
propria felicità. In tal senso, i membri della Commisione legislativa non
dovevano aver paura di dispiacere al sovrano, ma avrebbero dovuto parlare
con "franchezza" senza temere conseguenze spiacevoli. Una tale azione
avrebbe consacrato la memoria di Caterina II più di "cento momumenti".
Nel "disordine" della sua testa e nella "pena" della sua anima, Diderot aveva
"immaginato" di tentare qualche "grande cosa" che rispondesse alle vedute
politico-giuridiche di Caterina II e che fornisse alle circostanze le temps de
changer. Ma Caterina II aveva renversé tutte le speranze nelle quali si era
cullato Diderot: la zarina voleva il filosofo, non la sua opera
140
.Diversamente da Voltaire, Diderot attribuisce, fin dal suo apparire,
un'importanza capitale al Nakaz , piuttosto che alle vittorie militari russe
contro l'impero ottomano: Caterina II avrebbe dovuto avere progetti politici
al di sopra della "gloria dei conquistatori"141. Già alla fine degli Sessanta
Diderot annuncia l'evanescenza del miraggio russo, quale circostanza geofilosofica estrema che aveva messo in luce la crisi dell'Illuminismo
giuridico. La crisi dell'età classica dell'Illuminismo giuridico viene descritta
139
J.C.Rebejkow, Diderot lecteur de l'Esprit de lois de Montesquieu dans les Observations sur le Nakaz,
"Studies on Voltaire and the Eighteenth Century", 319, 1994, pp. 295-312; S. Cotta, Montesquieu, Diderot
e Caterina II, in Idem, I limiti della politica , Bologna, Il Mulino, 2002, pp. 145-165.
140
D. Diderot, Correspondance, cit., pp.742-743.
54
da Diderot in una lettera del 3 aprile 1771 alla principessa Daškov142.
Secondo Diderot, ogni secolo ha uno spirito che lo caratterizza: l'esprit de
liberté era la cifra per interpretare il XVIII secolo che aveva sferrato un
attacco violento e smisurato contro la superstizione. L'assalto alla
formidabile "barriera della religione" era inarrestabile: gli sguardi
minacciosi che si erano rivolti contro la "maestà del cielo" non avrebbero
mancato di dirigersi contro la "sovranità della terra". Questa crisi epocale
avrebbe condotto a una "schiavitù" non dissimile da quella ottomana o alla
"libertà". Il colpo di Stato di Maupeou e l'abolizione dei parlamenti era un
adieu a tutti quei privilegi d'états che formavano un principio correttivo,
impedendo alla monarchia di degenerare in dispotismo. Tale dispotismo era
una sorta di "teocrazia" che sarebbe retrogradé verso il più "assoluto" stato
di barbarie. Questo stato di cose aveva indotto Diderot ad una svolta
politico-filosofica e
a concepire delle idee che altrimenti non avrebbe
nutrito. Egli si era persuaso che è mille volte più facile per un popolo éclairé
tornare alla barbarie, che per un popolo barbaro avanzare di un solo passo
verso la civilisation143 . Prima di giungere a Pietroburgo, Diderot considera
la Russia nella sua "circostanza estrema" e dal punto di vista della politica
141
Ivi, p. 998.
La principessa Ekaterina Daškov nel 1770 aveva soggiornato a Parigi dove aveva frequentato
regolarmente Diderot, che aveva raccolto da lei molte informazioni sulla Russia. Nel suo ritratto, Diderot
afferma che la principessa era penétrée d'aversion per il dispotismo. La principessa, inoltre, giudicava il
Nakaz come un "progetto" che avrebbe fatto epoca solo per averlo "tentato" e anche se non avesse avuto un
compimento. D'altro canto, il dibattito sulla codificazione delle leggi era stato molto "acceso" e aveva
suscitato il malcontento della nobiltà: tutto ciò faceva temere una "seconda rivoluzione". La principessa
Daškov era stata testimone della "rivoluzione" che aveva condotto Caterina II sul trono. La principessa
avrebbe voluto incontrare Rulhière, ma non se ne era fatto nulla. Il libro di Rulhière sulla rivoluzione del
1762 sembraba un tissu romanesque senza una conoscenza reale dei fatti; tuttavia, secondo Diderot, era
destinato in futuro ad assurgere all'"autorità della storia". Secondo la ricostruzione della principessa, dopo
la morte di Elisabetta I la corte era divisa in "partiti" e le strade di Pietroburgo pullulavano di spie. Tuttavia
la situazione politica era precipitata a causa delle stravaganze di Pietro III che avevano suscitato il
"disprezzo" della nazione. Sebbene la fine di Pietro III fosse stata causata da una morte violenta, nessuno in
Russia pensava che Caterina II fosse coinvolta nell'assassinio. Pur non riuscendo a comprendere se Caterina
II fosse un "angelo" o un "demonio", la principessa si era schierata con la futura zarina. Cfr. D. Diderot, La
Princesse Dashkoff, in Idem, Oeuvres complètes, cit. , t. VIII, pp. 675-685.
142
55
della politesse in due casi emblematici: l'affaire Le Mercier de la Rivière e i
Fragments politique. Con il viatico di Diderot, il fisiocrate Le Mercier de la
Rivière (discepolo di Quesnay e affiliato alla "setta degli economisti") nel
1767 si era recato a Pietroburgo al fine di introdurre in Russia i princìpi
generali del diritto sul modello europeo. In realtà, Le Mercier de la Rivière si
alienò le simpatie della zarina sia perché esigeva esosi emolumenti, sia
perché era convinto di essere stato chiamato a governare la Russia per trarla
dalla "tenebre della barbarie" e per favorire l'"espansione dei Lumi".
Caterina II infranse il sogno del fisiocrate: Le Mercier de La Rivière non
solo non divenne "legislatore" e
"primo ministro", ma, licenziato
bruscamente dalla zarina, dovette far ritorno in Francia144. Le disavventure
di Le Mercier de la Rivière in Russia sono state oggetto della satira della
stessa Caterina II nella commedia Nell'anticamera di un pezzo grosso, nella
quale il francese Oranbar è la caricatura grottesca del fisiocrate ambizioso.
Oranbar afferma di essere giunto in Russia con la convinzione che gli
uomini camminassero a quattro zampe: egli aveva posto i russi di fronte
all'"evidenza" (suprema legge della fisiocrazia) che si vive meglio nella
posizione eretta. Nella commedia, Caterina II stigmatizza la pretesa dei
philosophes di voler rifare il mondo a modo loro: tutto ciò che non era alla
"maniera francese" era giudicato "cattivo" e "indecente"145. Diderot invece
apprezzava Le Mercier de la Rivière e considerava sua opera capitale,
143
D. Diderot, Correspondance, cit. , pp.1067-1068.
Ch. de Larivière, La France et la Russie au XVIIème siècle. E’tudes d’histoire et de littèrature francorusse, cit. , pp. 73-88. Secondo la testimonianza di Caterina II, La Mercier de la Rivière intendeva istituire
un proprio governo e una propria burocrazia. Egli aveva preteso, infatti, di alloggiare in tre case contigue e
sulle porte dei numerosi appartamenti aveva scritto Département de l'intérieur, Département du commerce,
Département de la justice, Département des finances, Bureau des imposition . Le Mercier de La Rivière,
inoltre, aveva invitato i cittadini russi e stranieri dotati di istruzione a inviargli i loro titoli, al fine di
ottenere degli impieghi nel suo governo.
145
Caterina II di Russia, Nell'anticamera di un pezzo grosso, Introduzione e cura di G. Moracci, Lecce,
Argo, 2000, pp. 75-79.
144
56
L'ordre naturel et essentiel des sociètés politiques, come il caposaldo di una
nuova scienza politica. Per Diderot, il libro di Le Mercier de la Rivière era
"cento volte più utile" dell'Esprit des lois ed era talmente "cosmopolita" che
un filosofo di Londra, Mosca, Parigi e Pechino ne poteva essere l'autore.
Tale libro dimostrava per primo che dalla legislazione e dall'istituzione
dell'"ordine essenziale" potevano scatutire dei "buoni costumi nazionali
costanti". Il fisiocrate dimostrava, inoltre, che l'évidence è la sola contreforce della tirannia146. Montesquieu aveva studiato le malattie, ma Le
Mercier de la Riviere aveva indicato i "rimedi" e coloro che sostenevano il
contrario erano in malafede. Se l'evidenza era "nulla", allora lo erano anche i
fisiocrati; ma l'evidenza era la verità, l'opinione "dimostrata". Dopo la
disavventura di Le Mercier de la Rivière in Russia, Diderot continuò a
tessere le lodi del "Solone" fisiocrate; tuttavia l'appassionata
difesa de
L'ordre naturel et essentiel des societés politiques era un sintomo evidente
della crisi nella quale versava l'Illuminismo giuridico. In realtà, Le Mercier
de la Rivière ha definito è sostenuto il despotisme légal, che diversamente
dal despotime factice et déréglé, è goveranto dalle leggi ed è necessario alla
"felicità" dei sudditi147 Nelle Observations sur le Nakaz, Diderot rettifica il
proprio giudizio e afferma che il libro di Le Mercier de La Rivière va
rubricato tra le utopie:
l'"ordine essenziale" della società descritto dal
fisiocrate si caratterizza, infatti, come un sistema "geometrico", nel quale
non sono contemplati la follia e le passioni, l'interesse e i pregiudizi. Il
fisiocrate, inoltre, non ha preso in considerazione la differenza tra un popolo
146
D. Diderot, Correspondance, cit., pp. 738-740.
Le Mercier de la Rivière, L'ordre naturel et essentiel des societés politiques, Paris 1767, pp- 278-279.
Su Le Mercier de la Rivière e sul "dispotismo legale" cfr. L.Ph. May, Le Mercier de la Rivière 1719-1801:
aux origines de la science economique, Paris, C.N.R.S., 1975; D. Taranto, L'eclisse del tiranno. Per una
storia del concetto di tirannide tra Cinque e Settecento, "Filosofia Politica", a. X, n. 3, dicembre 1996,
pp.382-387.
147
57
policé e un popolo à policer. La scienza politica moderna, secondo Diderot,
è un "mostro" forgiato dalle mani di un géomètre, che non ha fatto rientrare
nei suoi calcoli né gli "ingranaggi", né gli "attriti", né gli "urti", né la
"gravità". Alcuni autori avevano individuato il male, ma non avevano
indicato il rimedio; altri presupponevano che la macchina fosse sana e
affatto nuova e non indicavano nessun mezzo per applicare il rimedio 148. A
tal proposito, Diderot cita anche Dei delitti e delle pene: pur riconoscendo al
trattato di Beccaria un carettere di "umanità", egli rileva la difficoltà di
proporzionare i delitti e le pene, perché le circostanze possono rendere la
"prima" pena arbitraire. Una volta fissata per legge tale prima pena
determina tutte le altre: solo nella realtà fattuale del delitto si può giudicare
se un codice è "dolce" o "severo"149. La disputa sull'opera di Le Mercier de
la Rivière dimostrava, inoltre, che le franczouski manières erano mal accette
in Russia e che il
partito filosofico era diviso al proprio interno e non
riusciva a superare l'impasse dell'Illuminismo giuridico. Secondo Diderot,
gli stessi philosophes sembravano dimenticare che grazie ai Lumi erano state
abolite le cattive leggi e le legislazioni erano state "rettificate": in tal modo, i
"nervi della superstizione" erano stati recisi, i "furori del dispotismo" erano
stati "temperati" e le nazioni barbare erano gradualmente avanzate verso un
stato plus policé150 . Non si poteva essere difensori della libertà di stampa e
del regno dell'opinione e contrapporsi all'autorità dell'evidenza che è
148
D. Diderot, Observations sur le Nakaz, in Idem, Oeuvres complètes, cit. , t. XI, pp. 233-234. Secondo
Dulac, Diderot ha "verosimilmente letto" anche il manoscritto di L'Esprit de l'Istruction , un commento al
Nakaz silato nel 1775 dal fisiocrate Le Trosne. Mentre Diderot denuncia il pericolo del dispotismo, Le
Trosne difende il despote éclairé. Diderot, inoltre, si contrappone "vigorosamente" all'economicismo dei
fisiocrati e alla teoria dell'ottimizzazione della riproduzione delle ricchezze della terra. Cfr. G. Dulac, Pour
reconsidérer l'histoire des Observations sur le Nakaz (à partir des réflexions de 1775 sur la physiocratie)
cit. pp, 467-485. In appendice, Dulac compara il testo del Nakaz con i commenti di Diderot e Le Trosne
Cfr. Le commentaire du commentaire, pp. 486-514.
149
D. Diderot, Observations sur le Nakaz, in Idem, Oeuvres complètes, cit. , t. XI, p. 257. Su Beccaria e le
Observations sur le Nakaz cfr. F. Venturi, Utopia e riforma nell'illuminismo, Torino, Einaudi, 2001, p. 137.
150
D. Diderot, Correspondance, cit., p. 852.
58
l'opinion démontrée vérité. Tuttavia i philosophes, creatori dell'evidenza, si
credevano i veri "giudici"della sua forza. Il philosophe imbécile era simile a
un cieco che parlava della luce e recitava un ruolo indecente e ridicolo: i
philosophes erano diventati delle teste assurde che si facevano trattare dai
tiranni come "chiacchieroni" inopportuni o dei "sediziosi" inutili e dannosi
da far strangolare151. Nei Fragments politiques, Diderot stigmatizza come
"temeraria" l'idea del despotisme legal sostenuta dai fisiocrati152 e si prepara
all'incontro con Caterina II affermando che il governo di un despota juste et
éclairé si basa sulla volontà di un padrone assoluto in contrasto con la
volontà dei suoi sudditi. Malgrado i Lumi, il despota ha sempre torto, perché
spoglia i sudditi dei "loro diritti" e li tratta come un "branco di bestie". Un
sovrano non è il padre della società, ma un intendant; l'eliminazione del
sovrano che si è macchiano del crimine di lése-société non può essere,
perciò, assimilata al parricidio. Anche nelle piccole aristocrazie le leggi sono
atroci, perché infrangono con il terrore quel concert des volontés che è
l'espressione più compiuta della "volontà generale"153. L'Europa aveva un
assetto troppo "solido" per dare luogo a delle rivoluzioni rapide; in Europa,
infatti, si era stabilito uno "spirito" degli scambi amico della "tranquillità e
della pace". Un guerra tra diverse nations commercantes era un "incendio"
nocivo per tutte. Dal canto suo, la Russia avrebbe dovuto commencer par le
commencement, per far nascere in un popolo " schiavo" il sentimento della
libertà: un popolo schiavo era
simile a un popolo selvaggio e andava
"convertito". Cominciare dall'inizio significava, anzitutto, creare le
condizioni basilari per impiantare le arts mécaniques e non istituire
151
Ivi, p. 825.
D. Diderot, Pensées détachées ou Fragments politique échappés du portefeuille d'un philosophe, Idem,
Oeuvres complètes, cit. , t. X, pp. 74-75.
153
Ivi, p. 73.
152
59
l'Accademia delle scienze e delle arti. Non si poteva avanzare verso la
"perfezione" ed essere "originali" imitando i modelli stranieri: ignorando la
perfezione delle arti e delle scienze, la Russia era condannata ad essere una
faible copie dell'Europa. Di fronte all'alternativa di essere niente o di essere
mediocre, la Russia doveva accettare gli heureux hasards e fare di se stessa
qualcosa. A tal fine, si dovevano impiantare delle colonie di uomini liberi e
proprietari della terra e nelle quali fossero tollerate tutte le religioni. Da
queste colonie il levain della libertà si sarebbe diffuso in tutto l'impero: lo
"spettacolo" di queste colonie sarebbe stato l'autentico "predicatore" della
libertà154. Secondo Goggi, la seconda parte del frammento Sur la Russie è
l'"asse" di una diversa concezione della civilisation: la civilisation non è un
"progetto" imposto dall'alto, ma una "lenta evoluzione sociale". Si afferma,
perciò, una "immagine temporale nuova" dell'idea di civilisation: tale
immagine esclude ogni sorta di riuscita a "breve scadenza" nella
trasformazione di una "realtà complessa" come quella della Russia155. Nei
Mémoires pour Catherine II, Diderot definisce le colonie di hommes libres
come un'idea sistematica per condurre un popolo al sentimento della libertà
e all'état
policé. Per "creare" una nazione libera non occorrevano
prescrizioni imposte dall'alto, ma degli esempi da imitare. Una colonia di
uomini molto liberi (come gli svizzeri) sarebbe stata un levain précieux che
avrebbe cambiato la massa del popolo, perché il suo spirito sarebbe
diventato l'ésprit général156 .
154
Ivi, pp. 100-105.
G.Goggi,Colonisation
et
civilisation:
le
modele
russe
selon
Diderot,http://old.sgu.ru/user/project/dokl_goldzhi. html. A tal proposito cfr. anche G. Dulac, Politique de
civilisation
et
colonies
en
Russie
d'apres
le
dr
Ribeiro
Sanches
(1765-1768),
http://old.sgu.ru/user/project/dokl_dulak.html.
156
D. Diderot, Mémoires pour Catherine II, cit. , p. 199. Secondo Starobinski, Diderot concepisce "l'azione
e reazione" come un movimento verso la "fermentazione" in cui si manifesta l'azione dei "lieviti": sia sul
piano della chimica, sia sul piano socio-politico il "lievito" ha la proprietà di comunicare le proprie qualità
a ciò che analogo e di assimilarlo. Ricorrendo a una "metafora chimica", Diderot denuncia quella cattiva
155
60
9. Diderot e il renversement dell'autocrazia
Quando nell'ottobre del 1773 Diderot arrivò a Pietroburgo si
confrontò con tutti i paradossi dell'lluminismo giuridico, come attestano i
suoi colloqui con la zarina registrati nei Mémoires pour Catherine II.
L'ambizione di Diderot non era quella di "convertire" la zarina alla filosofia
dei Lumi, perché Caterina II aveva già aderito al partito filosofico, come
attesta anche la sua corrispondenza con Voltaire157. Diderot espone a
Caterina II un progetto per renverser sûrement une monarchie: per il
philosophe, ci sono delle "circostanze" (come quella della Russia) nelle quali
"l'estremo del male è un bene"; in tali "circostanze" un "palliativo" è più
"funesto" di tutti i rimedi, perché rende il male inveterato. Nel compiere il
suo mandato di philosophe, Diderot si appella ironicamente a Montesquieu,
nume tutelare della législomanie di Caterina II, chiedendosi come avrebbe
parlato al cospetto della zarina e come avrebbe risposto ai quesiti postigli.
Prologo del progetto di renversement dell'autocrazia è l'Essai historique sur
la police, nel quale Diderot ironizza sull'influsso che Montesquieu aveva
avuto nella redazione del Nakaz. Pur inchinandosi all'auctoritas di
Montesquieu, che sembrava aver scritto solo per Caterina II 158, Diderot
afferma che il limite de L'Esprit des lois consiste nell'aver affermato che il
governo feudale era un grand et sublime spectacle. La vecchia nobiltà
apparteneva al passato e la mobilité de la tradition l'avrebbe ricondotta
assimilaziome che, in una società, confonde tutti i ranghi, facendo regnare una "somigliamza illusoria" e
una "uguaglianza ipocrita". A questa cattiva assimilazione, Diderot contrappone l'"uomo-fermento",
l'"uomo-lievito" che fa vernire fuori la "verità". Cfr. J. Starobinski, Diderot e i chimici, in Idem, Azione e
reazione. Vita e avventure di una coppia, Torino, Einaudi, 2001, p. 55.
157
Come risulta dalla corrispondenza con Caterina II, Voltaire già nel 1767 affermava che i Lumières
venivano dalla Russia e che l'imperatrice era Ceres la législatrice. Cfr. Documents of Catherine the Great.
The Correspondance with Voltaire and the Instrusction of 1767 in the English text of 1768, cit., pp. 14-17.
158
D. Diderot, Mémoires pour Catherine II, cit. pp. 10-11. In una lettera da Pietroburgo del 30 dicembre
1773, indirizzata alla moglie e alla figlia, Diderot scrive, ironicamente, che l'Esprit des lois era il libro di
preghiera di Caterina II. Cfr, D. Diderot, Correspondance, cit., p. 1207.
61
nell'oblio, al fine di affermare la necessità di un codice "uniforme e
generale". Prima che tutte le vecchie legislazioni cadessero nell'oblio,
Diderot traccia un quadro della storia del diritto francese, a partire dalla
"legge salica": il peccato originale di tale storia consisteva nell'aver istituito
nel medesimo tempo il "principe" e la "legge"159. La legislazione non è un'
affaire
dell'autorità sovrana: dal momento in cui è posta sotto la
"salvaguardia" di un solo uomo essa è "vacillante".
D'altro canto, la
legislazione non è un'affaire dei jurisconsultes, che , non essendo un corps,
non rappresentano la nazione e non c'è unanimità nelle loro decisioni. Nelle
mani dei jurisconsultes, la legislazione diventa come la religione in mano
agli "scismatici" al tempo della Riforma. Solo la nazione può conservare la
legislazione, fondata su un codice di lois simples. La Francia sembrava
condannata a non avere un codice, perché il suo droit coutumier era
"immenso" e legato allo stato e alla fortuna dei particuliers: il renversement
di questo "colosso mostruoso" avrebbe fatto vacillare "tutte le proprietà". In
Francia la nazione era rimasta gothique nei suoi "usi": essa era avversa alle
buone riforme, schiava delle forme, intollerante e bigotta, susperstizosa e
nemica dei philosophes. Il regno di Francia era una terrible machine:
Helvétius aveva invocato l'invasione di una potenza straniera; dal canto suo,
Diderot afferma che era necessario un lungo lavoro per déranger la terribile
macchina. Tra la "testa del desposta" e la nazione c'era una "grande tela di
ragno" sulla quale la moltitudine adorava una "grande immagine della
libertà". Solo i "chiarovvegenti" avevano visto attraverso i "piccoli fori"
della tela cosa c'era dietro. Il colpo di Stato dell'homme pervers, Maupeou,
aveva squarciato la tela e la tirannia si era mostrata a volto scoperto. A tal
proposito, Diderot cita il pamphlet di André Blonde Le Parlament justifié
159
D. Diderot, Mémoires pour Catherine II, cit. pp. 1-3.
62
par l'imperatrice de Russie, che aveva utilizzato il Nakaz per distinguere il
governo russo,
autenticamente monarchico,
dal dispotismo francese.
Secondo Blonde, il potere del re non derivava né da Dio, né dalla spada, ma
dal consentement de la nation e doveva essere necessariamente sottomesso
alla "legge come i suoi sudditi"160. Per Diderot, il pamphlet di Blonde
intendeva dimostrare che la "condotta" di Caterina II era exactement le
revers di quella del re di Francia: mentre la zarina si preoccupava di creare
dei "cittadini", il re di Francia stava creando degli "schiavi". Se il proposito
del Nakaz era stato quello di éterniser le leggi e di erigere un'"autorità
insormontabile" contro il despotisme à venir, Caterina II non avrebbe potuto
fare di meglio. Tuttavia, per Diderot, Caterina II si era limitata a confié ai
suoi sudditi la redazione di un codice; la zarina avrebbe dovuto oltrepassare
la linea della decisione sovrana con un gesto "grande" e "coraggioso" e
creare una "diga" per arginare la sua stessa "sovranità". A tal fine, Caterina
II avrebbe dovuto rendere permanente la Comissione legislativa, lasciando
alle province il diritto di perpetuare o cassare i loro rappresentanti e
togliendo ai suoi successori il potere di disporre di loro o di annientarli161. La
funzione di rappresentante, però, non doveva diventare un oggetto di
ambizione come in Inghilterra, dove i deputati, perpetuando il sistema
feudale, seguivano la "via della corruzione" dei loro "vassalli". Non si
trattava, perciò, di trasformare l'impero russo applicando la costituzione
inglese. Il prospettivismo filosofico-giuridico di Diderot si pone oltre la
divisione dei poteri di Montesquieu, perché anche su di essa incombe la
minaccia del despotisme à venir. Nell' indicare questa prospettiva, Diderot,
pur non avendo la "testa" di Montesquieu, rinvia all'Esprit des lois,
160
J. Flammermont, Le Chancelier Maupeou et les Parlements, Paris, Picard, 1883 pp. 416-417.
161
D. Diderot, Mémoires pour Catherine II, cit. p. 9.
63
"breviario" di Caterina II. Nel raffigurare l'idée du despotisme, Montesquieu
paragona i despoti ai selvaggi della Lousiana che abbattono l'albero per
cogliere i frutti più comodamente162. A partire da questa iconografia del
dispotismo, Diderot afferma che tutti i governi arbitrari sono "cattivi", anche
nel caso in cui il sovrano è juste et éclairé. Una delle più grandi disgrazie
che possa capitare a una "nazione libera" è la presenza di due o tre regni
consecutivi di un dispotismo juste et éclairé. In Inghilterra, tre sovrani di
seguito come Elisabetta I avrebbero condotto "impercettibilmente" il popolo
a una "schiavitù" della quale non si sarebbe potuto determinare la durata.
Confidando su un solo uomo, le leggi sono rien e subiscono tutte le
vicissitudini delle "passioni" e dei "capricci" del sovrano. D'altro canto,
dopo la deposizione di Pietro III si avvertiva in Russia un vacillamento degli
spiriti, una sorta di "inquietudine" fondata sulla paura che un simile evento
potesse ripetersi. Tale inquietudine induceva a credere che il sovrano fosse
transeunte, mentre la traquillità era la certezza e la sicurezza di un'état fixé.
Pietro il Grande e Caterina II erano due "fenomeni molto rari": allorché fa
troppo affidamento sul "favore del cielo", un impero è insensé.
10. Que faire? Il terzo stato
Perpetuando l'autocrazia illuminata, la Russia non solo non sarebbe
uscita definitivamente dalla "barbarie", ma vi sarebbe ripiombata come in un
sommeil de mort. Que faire? A questo quesito fatale per la Russia, Diderot
risponde con la necessaria instaurazione, da parte della Commissione
legilativa, dell'égalité légale che è "naturale" e "umana", perché solo le
"bestie feroci" possono rifiutarla. La "generalità della legge" è uno dei più
grandi princìpi dell'égalité des sujets. Con un atto generoso, Caterina II non
si doveva limitare a convocare la nazione, ma avrebbe dovuto abdiquer
162
Montesquieu, De l' Espirt de lois, cit., t. I, p. 174.
64
l'autorité législative: i sovrani, infatti, sono soggetti alla folie più delle
nations policées. Il diritto di deliberare, perciò, spetta alla nazione, che si
può opporre anche al "bene" imposto dall'alto. In una "società di uomini", il
droit d'opposition è un "diritto naturale, inalienabile e sacro". Se la
permanenza della Commissione legislativa avrebbe assicurato alle leggi e
alle istituzioni russe la necessaria durata, i concorsi pubblici avrebbero
assicurato al "merito" la propria rincompensa. La trasformazione legale della
Russia doveva poggiare su una solida base sociale ed economica, per questo
era necessario favorire la formazione di un tiers état. Per Montesquieu, la
Russia non poteva descendre dal "suo" dispotismo, a causa dell'assetto
sociale: il popolo, infatti, era composto da servi della gleba e da proprietari
terrieri, a loro volta schiavi dell'autocrazia. Non restava, perciò, guère
personne
per quel "terzo stato" che doveva formare gli "operai e i
"mercanti"163. Nelle sue "note" alle Lettres russiennes di Strube de Piermont,
Caterina II contraddice Montesquieu, affermando che Pietro il Grande aveva
tentato di former ce Tiers-Etat164 . Il Capitolo XVI del Nakaz (articoli 376383) attesta l'esistenza di un ordine intermedio (mitoyen) che vive nelle città
e si distingue per la politesse, per lo spirito di intrapresa nei settori del
commercio, delle arti e delle scienze. Sebbene dovesse essere composto di
cittadini "liberi", il terzo stato (tret'ij rod) era nato dalla "trasfigurazione"
della Russia operata da Pietro il Grande ed era stato istituito per decreto.
Questo état mitoyen, perciò, non doveva "violare" quei doveri "prescritti"
dal suo status e dalle regole dell'onore e della stima sociale: questi cittadini
dovevano distinguersi per le buone maniere e per l'amore per il lavoro e non
dovevano infrangere le promesse, essere sleali e oziosi. Coloro che
163
Montesquieu, De l'Espit des lois, cit., t. II, p. 732.
65
violavano questi doveri sarebbero stati esclusi dal loro "ordine"165. Il
capitolo XVI del Nakaz non solo dissente da L'Esprit des Lois, ma riprende
la descrizione del terzo stato russo contenuta nelle Lettres russiennes di
Strube de Piermont. Nel polemizzare con Montesquieu, Strube de Piermont
afferma che le città, i borghi della Russia "formicolano" di operai, di
mercanti e di "diverse specie di persone" che non erano comprese né nella
nobiltà, né nel clero166. Nelle Observations sur le Nakaz, Diderot si dichiara
"afflitto" per la preferenza accordata da Caterina II alla "gente d'arte e
mestiere": senza i contadini questo ceto sarebbe morto di fame. Secondo la
definizione del Nakaz, il terzo stato, inoltre, aveva solo dei doveri che gli
derivavano dalla sottomissione alle leggi; l'esclusione dall'ordine mitoyen
avrebbe ridotto i liberi cittadini al rango di servi167. Nel Nakaz Caterina II
non aveva detto nulla a proposito dell'affrancamento della servitù della
gleba; per Diderot, questo era un punto nevralgico, perché non si poteva
perpetuare la schiavitù della nazione: dove non c'è la libertà non c'è vraie
police, né leggi, né popolazione, né agricoltura, né commercio, né ricchezze,
né scienze, né gusto e né arte168. La distribuzione delle terre alle famiglie
indigenti non avrebbe alleviato la loro condizione, perché dovevano essere
sanciti per legge l'affrancamento della persona e la proprietà del suolo.
Caterina II tendeva "sordamente" alla formazione di un terzo stato, quale
trasfigurazione
del tradizionale stato dei ceti, che si adeguava alla
circostanza storica. Dal canto suo, Diderot reinterpreta la teoria fisiocratica
del bonheur e inserisce nel terzo stato quel ceto contadino che non deve
164
Notes de Catherine II la Grande Impératrice de Russie griffonnées sur un exemplaire des Lettres
russiennes, in F. H. Strube de Piermont, Lettres russiennes: suivies de Notes de Catherine II, cit.,
165
Documents of Catherine the Great. The Correspondance with Voltaire and the Instrusction of 1767 in
the English text of 1768, cit. p. 275.
166
F. H. Strube de Piermont, Lettres russiennes: suivies de Notes de Catherine II, cit., p. 220.
167
D. Diderot, Observations sur le Nakaz, in Idem, Oeuvres complètes, cit. , t. XI, p. 291.
168
Ivi, p. 250.
66
essere più schiavo, ma proprietario: tutti gli strati sociali avrebbero dovuto
rientrare nella classe générale des citoyens169. Per Diderot, inoltre, il terzo
stato non ha solo una valenza socio-economica, ma anche politico-giuridica,
perché avrebbe dovuto fornire quegli hommes éclairés che sarebbero stati
l'architrave della Commissione legislativa permanente. Secondo il
philosophe, la classe générale des citoyens non si lascia condizionare dalla
ragion di Stato e persegue un ideale di giustizia. Senza la sanzione della
Commissione legislativa permanente, il Nakaz era un atto unitaterale privo
di validità giuridica, che notificava alla nazione l'ideologia della ragion di
Stato formulata da un despota illuminato. Nei Mémoires pour Catherine II ,
Diderot afferma che la città deve dare la "legge" alla nazione: una delle più
grandi differenze tra la Russia e gli Stati d'Europa consisteva nella mancanza
di "urbanità" e di città popolose. La prossimità lega gli uomini tra loro e li
"addolcisce" e li "civilizza" e fa nascere le belle arti che devono essere
"indigene" e "durevoli". A tal fine, era necessario rendere Pietroburgo, più
vivant,
più agissant, più commerçant, collegando quella moltitudine di
palazzi isolati sede di maisons particulières. Pietroburgo era destinata ad
essere una città-deposito e commerciale, ma non poteva essere quella
capitale in grado di dare la legge alla Russia. Sebbene Pietro il Grande
avesse fondato una nuova capitale preferendola a Mosca, Pietroburgo
rimaneva un un ammasso confuso di nazioni che era destinata ad avere des
moeurs d'Arlequin170 . La capitale dell'impero russo era un centro di
opulence réelle con una periferia che era una "immensa e vasta miseria": il
169
A proposito della proprietà contadina, secondo Goggi, nelle Observations sur le Nakaz si avverte
l'iflusso dell'opera di Giambattista Vasco La felicità pubblica considerata nei coltivatori di terre proprie,
che aveva partecipato al dibattito sui contadini russi promosso dal concorso della Società economica di
Pietroburgo. Cfr. G. Goggi, Diderot e la formazione del terzo stato in Russia, in Diderot, il politico, il
filosofo, cit. , p. 81.
170
D. Diderot, Mémoires pour Catherine II, cit. pp. 179-180.
67
lusso non doveva essere la "maschera" della miseria, ma il segno
dell'"agiatezza" pubblica e della felicità generale
171
. Nelle Observations sur
le Nakaz, Diderot esorta Caterina II a scegliere tra lui e i fisiocrati che
stigmatizzavano la vanità del lusso. Per Diderot, esiste un lusso "cattivo" che
riunisce in sé i vizi dell'opulenza e i crimini della miseria. Tuttavia egli
preconizza un second luxe segno della ricchezza e dall'agiatezza di una
nazione opulente et heureuse. Tale opulenza doveva derivare da una buona
amministrazione, da una "grande libertà" di commercio, dalla protezione
dell'agricoltura e da una equa ripartizione delle imposte, regolata secondo gli
autentici bisogni dello Stato172 . A tal fine, il sovrano doveva essere
l'intendant de la maison e non manufacturier ed entrepreneur. Il second
luxe necessitava di un sistema economico integrato, nel quale l'attività
manufatturiera contribuiesse a far "fiorire" l'agricoltura. Mentre per Voltaire
il mercantilismo di Pietro il Grande aveva accrescriuto la potenza della
Russia, per Diderot il governo non doveva immischiarsi nel commercio, né
con regolamenti, né con proibizioni. La Russia non aveva una maison de
commerce, gli agenti di cambio erano stranieri e le tariffe doganali erano
"assurde"173. Le leggi contro l'usura, inoltre, ritardavano lo sviluppo della
Russia, perché il denaro è un "derrata" come tutte le altre e ha un proprio
prezzo: il prestito con pegno, perciò, è di assoluta necessità in una grande
società orientata dalla police174. Nei Mémoires pour Catherine II, Diderot
pone anche la questione dell'"educazione" che doveva avere una "base
nazionale", al fine di garantire la civilizzazione della Russia175. L'istruzione
171
Ivi, p. 149.
D. Diderot, Observations sur le Nakaz, in Idem, Oeuvres complètes, cit. , t. XI, p. 273.
173
Ivi, p. 279.
174
D. Diderot, Mémoires pour Catherine II, cit. pp. 92-93 Cfr. anche D. Diderot , Observations sur le
Nakaz, in Idem, Oeuvres complètes, cit. , t. XI, pp. 313-316.
175
D. Diderot, Mémoires pour Catherine II, cit. , p. 160. A tal proposito cfr. D. Diderot, Plan d'une
univversité pour le gouvernement de Russie ou d'une éducation publique dans toutes le sciences, Idem,
172
68
nazionale doveva tendere a forgiare dei cittadini onesti ed éclairés e doveva
comprendere tutte le "classi della società": ai genitori doveva essere imposto
per legge di mandare a scuola i propri figli. Gli uomini di merito, inoltre,
dovevano essere scelti attraverso dei concorsi, unico strumento in grado di
eliminare quelle ingiustizie conosciute con il nome di "favori" e di "grazie".
Dal canto loro, invece, i grandi uomini e i geni si distinguono per il fureur
naturelle con il quale di dedicano alla loro opera. Uno degli incoveninenti
della società policées consiste nel fatto che il genio è étouffé o égaré: il
metodo più sicuro per civilizzare una nazione era quello di rispettare l'
inegalité naturelle, che è sola distinction réelle tra la studipità e del talento,
tra il lavoro e l'ozio, tra il vizio e la virtù176. L'uguaglianza di fronte alla
legge avrebbe garantito l'abolizione di tutti i privilegi della nobiltà e del
clero e delle inegalité conventionelles che dipendono dallo status sociale.
Nel caso in cui lo status è deciso dal merito, l'ineguaglianza non solo è
naturale, ma è anche una portion de la propriété: il genio deve agire in
libertà177. Acme del genio del XVIII secolo era l'Encyclopédie, che era di
vantaggio per la specie umana e per l'instruction particulière di una grande
nazione178.
Oeuvres complètes, cit., Philosophie, t. III, pp. 429-510. Scritto nel 1775-1776 (e pubblicato parzialmente
per la prima volta nel 1813-1814), il Plan identifica l'istruzione con la civilisation: l'ignoranza è il tratto
caratteristico dello schiavo e del selvaggio. L'istruzione, perciò, restituisce all'uomo la sua dignità e,
attraverso di essa, il selvaggio perde la propria ferocia: tuttavia l'esprit géométrique non deve frenare
l'immaginazione, perché l'istruzione non serve a nulla senza il genio. Nell'ambito del sistema d'istruzione,
l'università deve accogliere indistintamente tutti i "figli della nazione" e i docenti devono essere stipendiati
dallo Stato. Nell'istituire una università, Caterina II, per Diderot, poteva edificare a suo piacimento: la
zarina, infatti, aveva il vantaggio di trovare davanti a sé uno "spazio libero" da tutti gli ostacoli che in
Francia erano frapposti da una tradizione di studi "futili" che aveva fatto perdere il gusto della "vera
scienza". In Francia, infatti, la facoltà di diritto era misèrable: non vi si insegnava il diritto francese, ma
quello romano in tutte le sue branche. Nel formulare il suo piano, perciò, Diderot attribuisce un ruolo
decisivo allo studio del diritto. Secondo Diderot, la facoltà di diritto doveva impartire i seguenti
insegnamenti: diritto naturale, storia della legislazione, istituzioni di diritto delle genti, istituti di
Giustiniano, diritto civile nazionale, diritto ecclesiatico, procedura civile e criminale.
176
D. Diderot, Mémoires pour Catherine II, cit. , p. 168.
177
D. Diderot, Observations sur le Nakaz, in Idem, Oeuvres complètes, cit. , t. XI, pp. 227-228.
178
D. Diderot, Mémoires pour Catherine II, cit. p. 266.
69
11. Il despote abdiqué
Dai Mèmoires pour Caterina II si evince che Diderot attendeva che
Caterina II approfittasse del suo "lavoro": nell'attesa il philosophe doveva
illuminare gli uomini sui loro diritti inalienabili, temperare il fanatismo
religioso e preparare i popoli a quelle rivoluzioni che sopraggiungono
all'extrémité du malheur179. Collocandosi all'extrémité du malheur, la Russia
avrebbe dovuto darsi un codice di leggi che fosse un oltrepassamento del
Nakaz: una volta approvato dalla Comissione legislativa, tale codice avrebbe
dovuto essere sottoposto al vaglio di tous les habiles gens d' Europa che
dovevano inviare le loro observations180. Al termine del suo "esilio" a
Pietroburgo, Diderot soggiornò all'Aja dove stilò, tra l'inizio di aprile e
l'inizio d'agosto del 1774,
le Observations sur le Nakaz181 . Nel Voyage
d'Hollande, Diderot afferma che l'esprit d'observation è raro: tale esprit
nasce da quello sguardo "imparziale" che è proprio del viaggiatore e dello
storico. In tal senso, perciò, bisogna diffidare dell'immaginazione e della
memoria: l'immaginazione snatura le impressioni di viaggio, sia che le
abbelisca, sia che le "imbruttisca"; la memoria, invece, è ingrata e infedele,
mutila tutto e dimentica ciò che non è scritto182. Non diversarmente da
Ulisse, Diderot aveva percorso un cammino che gli aveva permesso di
vedere molti luoghi e di disgustarsi dello studio dei costumi umani. E'
necessario un lungo soggiorno per conoscere con exactitude i fenomeni più
179
Ivi, p. 235
Ivi, p. 244.
181
A L'Aja il principe Dmitrij Alekseevič Golicyn, ambasciatore russo in Olanda, forzò i bagagli di
Diderot, per rubare il manoscritto delle Observations sur le Nakaz. L'effrazione causò un raffredamento dei
rapporti tra Diderot e Golicyn. Golcicyn distrusse l'originale delle Observations sur le Nakaz: quella che è
pervenuta è una copia sfuggita alle "investigazioni" di Golicyn. Cfr. G. Dulac, La circulation des thèmes et
de fragments etre l'Histore des deux Indes et les Observations sur le Nakaz, "Studies on Voltaire and the
Eighteenth Century", L' Histoire des deux Indes: réecriture et polygraphie, ed. H.J. Lusenbrink and A.
Strugnell, 333, 1995, p. 374; Idem, Les relation s de Diderot avec la Russie: transcription et identification
des nommes de personnes, "Studies on Voltaire and the Eighteenth Century", cit., 254, 1988, pp. 417-341.
182
D. Diderot, Voyage en Hollande, in Idem, , Oeuvres complètes, cit. , t. XI, pp. 325-451.
180
70
comuni, altrimenti di rischia di scrivere delle "menzogne". Diderot formula
le sue prime osservazioni sulla Russia in una lettera dall' Aja del 6 settembre
1774 indirizzata a Madame Necker. In questa lettera, Diderot afferma di
non aver visto la Russia, ma solo Pietroburgo. La capitale dell'impero russo
non era una città, ma la "Corte": Pietroburgo, infatti, era un ammasso
confuso di palazzi e di capanne, di "grandi signori" circondati da contadini e
da pourvoyers. Quei philosophes che sembravano aver conosciuto meglio il
dispotismo, in realtà l'avevano visto solo dal "collo della bottiglia": c'era una
differenza abissale tra una tigre dipinta da Oudry e una "tigre nella foresta".
L'osservazione diretta della Russia non solo non aveva fatto cambiare
opinione a Diderot, ma le conversazioni con Caterina II lo avevano posto di
fronte a quella "tigre nella foresta"183. In una lettera del 13 settembre 1774
indirizzata alla stessa Caterina II, Diderot scrive che i bons réformateurs
sono rari: la legislazione di Licurgo era un sublime sistema di atrocità. Alla
base della legislazione di Caterina II, invece, ci doveva essere l'humanité:
tale legislazione non doveva formare delle formidabili "bestie feroci", ma
cittadini onesti e difensori della patria. Durante il suo soggiorno a L'Aja,
Diderot aveva riletto Tacito e aveva scritto un pamphlet presentato come
"note a margine" della storia degli imperatori romani stilate dalla " mano
di un sovrano". Egli aveva avuto anche l'"isolenza" di rileggere il Nakaz con
la "penna in mano"184. Sulla base di questa insolente rilettura, Diderot ha
stilato le Observations sur le Nakaz, che affermano la necessità
dell'abdicazione o della destituzione del despota. Il preambolo delle
Observations sur le Nakaz, infatti, afferma apoditticamente che il sovrano è
la nazione e che il legislatore è il popolo. L'abbrivio di un codice deve
183
184
D. Diderot, Correspondance, cit., pp. 1252-1253.
Ivi, pp. 1256-1258.
71
affermare questo principio, sancito congiuntamente da un giuramento tra
sovrano e popolo. I sovrani che rifuggono da questo giuramento sono
despoti: in tal senso, l'imperatrice di Russia era "certamente" una desposta.
Nel Nakaz Caterina II riprendeva lo "scettro" che sermbrava voler
consegnare alla nazione, dal momento in cui aveva convocato la Comissione
legislativa.
Diderot non vede alcuna differenza tra il dispotismo e la
monarchie pure: il despota fa tutto ciò che vuole, il monarca è assoggettato a
delle forme che può trascurare a proprio piacimento. L'esprit della
monarchia pura aveva ispirato il Nakaz, ma tale tipo di monarchia è una
cattiva forma di governo, perché, secondo il "carattere" del monarca, può
"ritornare" al dispotismo. Il "ritorno" al dispotismo è un legge ciclica che si
impone ad ogni forma di governo monarchico: la stessa monarchie
tempérée, privilegiata da Montesquieu, non si sottrae a questa legge. Il re
d'Inghilterra, infatti, si adoperava per instaurare una monarchia assoluta alla
francese, mentre il re di Francia avrebbe preferito un governement
asiatique185 . Dal canto suo, la Russia era governata peggio della Francia,
perché la liberté naturelle dell'individuo era ridotta a "niente" e l'autorità del
sovrano era illimitée186 . Solo nelle democrazie è possibile l'esercizio della
libertà: nelle monarchie si manifesta solo l'esprit de liberté, secondo il quale
il popolo crede di essere libero; chi distrugge questo "pregiudizio nazionale"
è considerato uno "scellerato". In una monarchia, i corps depositari delle
leggi fondamentali sono una "tela di ragno" sulla quale è dipinta l'immagine
della libertà: attraverso i fori di questa tela l'osservatore acuto può vedere la
testa "orrenda" del despota. Nel Nakaz è sancito che il sovrano è la fonte del
potere politico e civile: Diderot giudica una tale sanzione un'"idea tirannica".
185
186
D. Diderot, Observations sur le Nakaz, in Idem, Oeuvres complètes, cit. , t. XI, pp. 209-210.
Ivi, p. 218.
72
Caterina II, invece, avrebbe dovuto spogliarsi della prerogativa di
legislatrice in favore dei suoi sudditi. Il depositario della legge non può
essere subordinato e dipendente dal potere supremo, che deve essere
bilanciato con delle contre-forces. Svanito ogni entusiasmo per Le Mercier
de la Rivière, Diderot polemizza con i fisiocrati e sostiene che l'évidence
générale non è una solida contre-force: l'evidenza non impedisce né il
"gioco degli interessi", né quello delle "passioni". Le contre-forces non
devono essere metafisiche, ma physiques: un corps politique che sorvegli
l'autorità sovrana è senz'altro più solido. In tal senso, il parlamento inglese
era una terrible contre-force del potere del re187. Gli stessi pouvoirs
intermédiaires non possono essere dei canaux conducteurs del potere del
sovrano, altrimenti si avverte un odeur de despotisme. Le leggi fondamentali
dello Stato sono tali solo quando i canaux conducteurs sono gli organi di
trasmissione della volontà generale. Caterina II aveva avvertito la necessità
di un dépôt des lois fondamentales, senza però garantire la forza e la durata
di una tale istituzione. In Francia il depositario delle leggi fondamentali era
il parlamento, ma era stato abolito; in Russia, invece, era il Senato, che non
era "nulla", una vox clamantis in deserto. Il Nakaz restava un progetto di
codice excellent, ma non garantiva la stabilità della legislazione.
Nell'articolazione del codice era scritto il nome del despote abdiqué, ma la
"cosa" era conservata. La forma di governo era definita monarchica, ma
restava dispotica: il Nakaz, infatti, non conteneva nessuna disposizione per
l'affrancamento dei corps de la nation. Senza libertà non ci poteva essere
proprietà; senza proprietà non esisteva agricoltura; senza agricoltura nessuna
forza, nessuna grandezza, opulenza e prosperità188. Non diversamente da
187
188
Ivi, pp. 220-221.
Ivi, p. 317.
73
Montesquieu, inoltre, Caterina II aveva posto le istituzioni politiche sotto la
sanzione della religione: il Nakaz, infatti, esordisce con una invocazione a
Dio, affinché doni al legislatore quell'"'intelligenza" necessaria per giudicare
il popolo secondo la "sua santa legge" e secondo "giustizia"189. Per Diderot,
la religione è un appiglio che finisce per renverser la maison: i preti non
solo erano dei fanatici che pregavano un essere superiore al sovrano, ma era
i più suspects conservateurs delle leggi190. Facendo riferimento a Hobbes,
Diderot afferma che la religione è una superstizione autorizzata dalla legge e
la superstizione una religione vietata per legge. Il fanatismo e l'intolleranza
suscitati dall'odio religioso non potevano essere posti a fondamento delle
leggi "nazionali" e "civili": la nozione di Dio doveva, perciò, essere bandita
dal codice191. Tuttavia anche l'abuso giuridico dei Lumières avrebbe potuto
corrompere dei popoli virtuosi; i Lumières non potevano "epurare" e
"riformare" una nation dégénérée come la Russia, potevano solo rendere il
crimine più "raro", gettare una "vernice di eleganza" sulla corruzione,
introdurre una "ipocrita urbanità" e l'idiosincrasia per il "vizio grossier"
192
.
La crisi dell'Illuminismo giuridico era attestata dall'impasse della Russia:
Pietro il Grande e Caterina II avevano regolamentato una superficiale ed
eclatante civilisation, ma non avevano instaurato una politica della politesse.
Caterina II non aveva voluto renverser l'autocrazia russa e aveva cercato la
gloria nella guerra contro i turchi: ma i trionfi della guerra non avrebbero
compensato l'impero della perdita di un sovrano riformatore. La guerra di
conquista non avrebbe evitato alla Russia la guerra civile: il "principio
segreto" di tutti i disordini era nel "sovrano egoista" che si separa dalla
Nakaz Komissii o sostavlenni proekta novogo Uloženija, sostavlennyj Ekaterinoj II, in Konstitucionnye
proekty v Rossii XVIII-načalo XX v, cit., p. 247.
190
D. Diderot, Observations sur le Nakaz, in Idem, Oeuvres complètes, cit. , t. XI, p. 210.
191
D. Diderot, Mémoires pour Catherine II, cit. , pp. 106-110.
189
74
nazione e si sente in guerra con essa. Soggetta a un cattivo regno, la nazione
si sente, a sua volta, in uno "stato di guerra" contro il sovrano: il popolo,
infatti, si abitua a considerare il sovrano come il proprio nemico. La
concezione ciclica della storia consente a Diderot non solo di preconizzare il
dispotismo à venir, ma anche di concepire una svolta che si ponesse al di là
del progresso pianificato della civilisation: la crisi dell'Illumismo giuridico si
sottraeva alla guida razionale dei philosophes e poneva la questione della
guerra civile per instaurare un ordine basato sulla volontà generale. Per
Diderot, infatti, la "parola" società dovrebbe evocare un état de réunion, di
pace, di concorso delle volontà degli individui verso un fine comune. La
"cosa" era esattemente il contrario: la società versava in uno stato di guerra
tra il sovrano e i sudditi. Tale stato di guerra permanente era una
conseguenza della tirannia: per Diderot, è preferibile un popolo "barbaro" a
un popolo posto sotto il tallone della tirannide. In uno stato di barbarie le
"anime" sono "feroci", ma sotto la tirannia sono "vili": temperando la ferocia
della barbarie si possono
avere anime grandi, nobili, forti e generose;
risulta, impossibile, invece rivivificare e fortificare delle anime che sono
avvilite dalla tirannia. Aveva ragione, perciò, Caterina II che rimpiangeva
les premiers Russes; tuttavia quello russo era ancora un popolo "giovane"
che doveva essere formato senza l'atrocità dispotica. L'oppressione illimitata,
esercitata soprattutto nell'ambito della ripartizione dei prodotti agricoli, non
solo condannava una parte del popolo a morire di fame, ma favoriva
l'approssimarsi del moment de la révolte193. Nel corso del soggiorno a
192
D. Diderot,Observations sur le Nakaz, in Idem, Oeuvres complètes, cit. , t. XI, p. 263
Secondo Koselleck, Diderot si pone oltre la critica illuministica del dispotismo e pone l'aut-aut di una
crisi che inevitabilmente impone la "decisione politica" a favore della "guerra civile". Cfr. R. Koselleck,
Critica illuminista e crisi della società borghese, Bologna, Il Mulino, 1972, pp. 215-216. A tal proposito
cfr. anche E. Martin-Haag, La pensée de la violence chez Diderot: des limites de la raison au droit à
l'insurrection, "Kairos", cit., pp. 141-142. Diderot si contrappone al paternalismo politico del "dispotismo
illuminato", perché non c'è nulla di peggiore che la douce violence del tiranno "ragionevole e buono". La
193
75
Pietroburgo di Diderot imperversava la rivolta contadina capeggiata da
Pugačëv: nelle conversazioni con il philosophe, Caterina II si era mostrata
tranquilla e considerva il capo dei rivoltosi uno "sciocco" che attendeva il
suo supplizio194. Per Diderot, invece, la rivolta contadina era il segnale di un
renversement dal "basso" della "piramide" autocratica che avrebbe
provocato un "fragore spaventoso".
12.
Geo-filosofia
del
diritto:
la
grande
révolution
e
lo
"smembramento" dell'impero russo
Nei "frammenti" sulla Russia inseriti nell'edizione del 1780 di
Histoire philosophique et politiques des deux Indes di Raynal195, Diderot
considera la questione della durata delle istituzioni e quella della rivolta
russa alla luce di considerazioni geopolitiche.
Sulla base di tali
considerazioni, Diderot afferma che l'autocrazia (che mancava di un sicura
legge di successione) e l'incostanza di un popolo schiavo provocavano
frequenti e improvvise rivoluzioni: l'"odio comune" univa i rivoltosi. Nella
désolation universelle di questo stato di cose il più grand bonheur sarebbe
scaturito da una grande révolution: tale rivoluzione avrebbe "smembrato"
l'impero russo en petites sauverainetés contigues, perché non era
vantaggioso civilizzare un grand empire barbare196. Diversamente da
Rousseau, Diderot non inserisce la smembramento dell'impero russo nella
prospettiva di una geopolitica della catastrofe che avrebbe travolto l'intero
concezione della violenza di Diderot non è dissimile da quella di Sade e rimane nell'ambito del diritto
naturale. Il diritto all'insurrezione è un prodotto della ragione, perché la rivoluzione suscitata dall'istruzione
non conduce al dispotismo illuminato.
194
D. Diderot, Correspondance, cit., p. 1260.
195
Sui contributi di Diderot alle diverse edizioni dell' Histoire philosophique et politiques des deux Indes
cfr. M. Duchet, Diderot et l'Histoire des deux Indes ou l'écriture fragmentaires, Paris, Nizet, 1978; G.
Dulac, La circulation des thèmes et de fragments etre l'Histore des deux Indes et les Observations sur le
Nakaz, "Studies on Voltaire and the Eighteenth Century", cit., 333, 1995, pp. 371-384; G. Goggi e G.
Dulac, L'édition de l'Histoire des deux Indes dont sont issus les Fragments imprimés du fons Vandeul, ,
"Studies on Voltaire and the Eighteenth Century", cit., 254, 1988;
196
D. Diderot, Extraits de l'Histoire des deux Indes, in Idem, Oeuvres complètes, cit., 1973, t. XV, p. 553.
76
continente europeo. Lo smembramento dell'impero russo era considerato in
funzione del sistema di equilibrio europeo che Diderot considera dinamico e
in "continua fluttuazione": le potenze si "incalzano" tra loro e "agiscono" le
une sulle altre; alcune si estendono, mentre altre sono destinate a scomparire.
Le due cause "perturbatrici" dell'equilibrio europeo erano il "fanatismo" e lo
"spirito di conquista": queste perturbazioni del nomos continentale dovevano
necessariamente "cessare"
197
. La prevoyance di Diderot, perciò, prende le
mosse dalla disamina delle categorie geopolitiche del Nakaz e di quella geofilosofia del diritto forgiata da Montesquieu: infatti, gli articoli 6 e 7 del
Nakaz sanciscono che la Russia è una "potenza europea" (evropejskaja
deržava); con lo "Stato regolare", Pietro il Grande aveva introdotto dei
costumi europei in una nazione d'Europa198. Come ha rilevato Gottmann,
Montesquieu, nello studiare i sistemi giuridici, non si limita ad una ricerca
descrittiva di diritto comparato; concentrando la sua attenzione sulle leggi,
egli va al "cuore" stesso della "differenziazione dello spazio"199. L'opera di
Montesquieu, infatti, si incentra sui rapporti tra la differenziazione fisica e la
varietà dei caratteri e dell'organizzazione politica, ricondotti, però, a un
peculiare "determinismo geografico" che non può essere ridotto alla sola
dimensione dell'ambiente climatico. Per Montesquieu, i cattivi legislatori
favoriscono i vizi del clima, mentre i buoni sono coloro che vi si
197
D. Diderot, Pensées détachées ou Fragments politique échappés du portefeuille d'un philosophe, Idem,
Oeuvres complètes, cit. , t. X, pp. 77-79.
198
Nakaz Komissii o sostavlenni proekta novogo Uloženija, sostavlennyj Ekaterinoj II, in Konstitucionnye
proekty v Rossii XVIII-načalo XX v, cit. , pp. 248-249. Secondo Ezequiel Adamovsky, Diderot definisce
l'Europa terra di civiltà, perché la civilisation scaturisce dallo sviluppo del commercio e dalla presenza
nella struttura sociale della "classe media". L'identità europea, per Diderot, è definita in base alla sfera
socio-economica. La Russia, invece, era la terra del dispotismo e dell'assenza del terzo stato e, perciò,
doveva essere esclusa dall'Europa. E. Adamovsky, Diderot en Rusia, Rusia en Diderot. El papel de la
imagen de Rusia en la evoluciòn del pensamìento politico del ùltimo Diderot, "Studia Historica: Historia
Moderna" (Salamanca), vol.22, 2000, pp. 245-282.
199
J. Gottmann, La politique des Etat et leur géographie, Paris, Librairie Armand Colin, 1952, p. 28
77
oppongono200. Nel descrivere il processo di formazione dello "spirito" delle
leggi, Montesquieu non cerca tutte le spiegazioni nell'ambiente fisico, ma
anche nei rapporti con le religioni dei diversi paesi, con i principi che
formano lo spirito generale, con i costumi e le consuetudini di una nazione e
con il commercio, quale espressione delle rete di relazioni esterne di un
paese: tutti questi fattori contribuiscono a configurare l'"iconografia
regionale". L'analisi di Montesquieu muove, perciò, dalla "preoccupazione
filosofica delle condizioni spaziali" dalla "grande varietà degli spazi abitati e
dalla complessità delle relazioni che possono determinare tale varietà" 201. Il
XVIII secolo, infatti, attesta la nascita della géographie politique202, che
ricolloca le grandi potenze a Nord della Francia: l'Inghilterra, l'Olanda, la
Svezia, la Prussia e, soprattutto, la Russia. La dicotomia Nord-Sud continua
a coesistere
con
quella divisione dell'Europa tra Est-Ovest introdotta
dall'Illuminismo con l'idea di "Oriente" europeo203. Come risulta dai
200
Montesquieu, De l'Esprit des lois, cit., t. I, pp. 451-452.
J. Gottmann, La politique des Etat et leur géographie, cit. , p. 31
202
Nel 1751, Turgot stilò un piano di un'opera sulla géographie politique. La geografia politica, per Turgot
è una descrizione della terra e come tableau del presente varia incessantemente; il presente geografico va
interpretato alla luce del passato storico, perché tale passato "è stato presente". La geografia politica deve
essere considerata, inoltre, in relazione alle diverse forme di governo, ai diversi caratteri dei popoli e allo
stadio dello sviluppo economico di una nazione. Cfr. A.R.J. Turgot, Plan d'un ouvrage sur la géographie
politique, in Idem, Oeuvres et documents, Paris, Libraire Félix Alcan, 1913, pp. 255-274.
203
Sulla "geografia politica" e la "cartografia culturale" dell'Illuminismo e sulla "nascita" dell' "idea" di
Europa orientale cfr. L. Wolff, Inventing Eastern Europe. The Map of Civilization on the Mind of the
Enlightenment, Stanford, Stanford University Press, 1994. In uno scambio epistolare con lo storico russo
Aleksandr Janov, Wolff pone la questione della collocazione geopolitica della Russia, dal XVIII secolo ad
oggi. Janov è autore, tra l'altro, di The Origins of Autocracy (1981) che aveva predetto, per la fine del XX
secolo, l'inevitabile ritorno ad una alternativa europea al secolare dispotismo russo: secondo Janov, tale
alternativa politico-filosofica è stata già proposta dall'Illuminismo, che ha indicato il destino europeo della
Russia. Anziutto, Larry Wolff sottolinea che i philosophes consideravano la Russia come parte integrante
della "semi-barbarica" Europa orientale (Voltaire, per esempio, incoraggiava la Russia a spingersi sempre
più verso Oriente, al fine di espellere i turchi e conquistare Costantinopoli). L'ambivalente status
geopolitico della Russia è al centro di una controversia che ha avuto origine con il Nakaz, il quale dichiara
solennemente che la Russia è una "potenza europea". Per Wolff, tale affermazione conferma che l'Europa
non è un'entità concretamente definibile e agli "occhi dell'osservatore" appare "soggettivamente
determinata". Nei confronti delle categorie geopolitiche del Nakaz, Wolff si dichiara sympathetic con lo
"scetticismo" delle Observations sur le Nakaz di Diderot: etichettare un continente come "buono" o
"cattivo" è una sorta di "artificio semantico e sentimentale". Per Janov, invece, è necessario leggere
attentamente il Nakaz e l'Antidote, al fine di comprendere che Caterina II aveva ragione e che la Russia è
201
78
Mémoires pour Catherine II, Diderot era stato incaricato dall'ambasciatore
francese a Pietroburgo Durand de Distroff di indurre Caterina II ad una
alleanza con la Francia in funzione antiprussiana. Durand de Distroff, infatti,
desiderava sinceramente che si stabilisse una sorta di "equilibrio" tra le
quattro masse che "bilanciavano" le sorti dell'Europa. La Francia non
avrebbe dovuto avere nessuna répugnance ad includere la Russia tra le
prime potenze d'Europa; dal canto suo,
la potenza prussiana era
"momentanea e precaria". I philosophes e la monarchia francese erano uniti
dall'odio nei confronti di Federico di Prussia: i philosophes lo odiavano,
perché lo giudicavano un politico ambizioso e senza fede, un principe che
sacrificava la felicità dei suoi sudditi e che non rispettava nulla come sacro.
Dal canto suo, la monarchia francese avversava Federico II, perché era un
"grande uomo "che avrebbe potuto accrescere la propria potenza. La Francia
considerava lo "smembramento" dello Polonia un fatto compiuto: la
spartizione di quel "montone" sarebbe stata fonte di una lunga diatriba tra i
tre "lupi", Austria, Prussia e Russia. La Francia, "quarto lupo", avrebbe
potuto contenere le mire dell'Austria, che era minacciata dagli altri altri due
lupi: su questa menace réciproque avrebbe riposato l'equilibrio europeo204.
Se nei Mémoires pour Catherine II la rêverie del philosophe sembra essere
la compiuta inclusione della Russia nell'Europa, nelle Observations sur le
Nakaz, invece, Diderot sembra respingere questa prospettiva in virtù di una
geo-filosofia del diritto che si pone oltre quella di Montesquieu. Confutando
l'articolo 6 del Nakaz, il philosophe attribuisce un'importanza primaria alla
capace di realizzare la propria modernizzazione politica: in tal senso, la Russia e Caterina II appartengono
all'Europa. Da Pietro il Grande a Gorbačëv, la storia russa dimostra che non c'è "ombra di dubbio" sulla
capacità della Russia di modernizzarsi e di europeizzarsi. All'inizio del XXI secolo, per Janov, solo la
riunificazione con l'Europa può garantire alla Russia di aprire una nuova "finestra" sul vecchio continente,
al fine di non seguire un ulteriore e separato Sonderweg moscovita. Cfr. L. Wolff-A. Yanov, Is Russia a
European Country?, "Eurozine", 2003, pp. 1-12.
204
D. Diderot, Mémoires pour Catherine II , cit., pp. 37-44
79
buona legislazione che dà una base solida alle istituzioni e non alla
collocazione geopolitica della Russia: non importa che una potenza sia
asiatica o europea, l'importante è che sia "grande", "fiorente" e "duratura".
Non esiste un "rapporto essenziale" tra costumi e "topografia di un impero":
se fossero ancora esistiti gli Sciti, così gelosi della loro libertà, avrebbero
occupato qualche provincia russa o limitrofa della Russia. Per Diderot, i
costumi sono dappertutto delle conseguenze della "legislazione" e del
"governo": essi non sono né africani, né asiatici, né europei, ma si
distinguono per essere buoni o cattivi. Il futuro europeo della Russia non
dipendeva dall'influsso del clima, ma dai cattivi e buoni costumi: la buona
legislazione era europea e cosmopolita ed era il limes della civilisation e
della politesse. Da una parte, perciò, Diderot sostiene una sorta di atopia
eurocentrica delle leggi, dall'altra afferma che la "topografia" di uno Stato
influisce sulla politica, sulle alleanze , sui trattati e sul commercio.
Civilizzare un'enorme contrada come la Russia era un progetto al di sopra
delle forze umane: l'impero russo, infatti, si collocava sul "limitare" della
civilisation e in un "altrove" nel quale c'erano deserti e ghiacci e "barbari di
ogni sorta". Le geopolitica russa era stata ulteriormente sconvolta dalla
decisione di Pietro il Grande di fondare per decreto Pietroburgo: la capitale
di uno Stato deve essere posta al centro; in Russia, invece, il "cuore" era
mal posto all'"estremità del dito". Piuttosto che aprire una "finestra"
sull'Europa, la Russia avrebbe dovuto aprire una finestra su se stessa: dalla
capitale, infatti, si dovevano irradiare le grandi vie di comunicazione, per
collegare il centro con la periferia. Privilegiando la realtà continentale della
Russia rivolta verso le steppe asiatiche, Diderot, ancipando le tesi degli
slavofili ottocenteschi, indica Mosca come capitale naturale dell'impero.
Pietro il Grande ambiva a far diventare la Russia una "potenza marittima",
80
ma tali ambizioni erano sbagliate: l'arte non poteva forzare la natura e
Pietroburgo e Kronstadt non potevano diventare dei porti militari, anche se
potevano essere utilizzate come scali commerciali. Al fine di temperare
l'éclat della gloire russa, era necessario sacrificare l'influenza che la Russia
aveva negli affari europei e ricondurla nel suo alveo geopolitico. Si doveva,
perciò, instaurare un nouvel ordre che, sia pur ispirato dall'Illuminismo
giuridico, escludesse la Russia dall'Europa e ne neutralizzasse la potenza.
Nell'edizione del 1772 dell' Histoire des deux Indes, Diderot elogia il
tentativo di Caterina II di passare alla posterità non come conquistatrice, ma
come legislatrice: l'"augusta" sovrana aveva compreso che i popoli seguono
e rispettano quelle leggi delle quali si sentono artefici. Caterina II aveva
convocato i rappresentanti del suo vasto impero nella Commissione
legislativa, al fine di formare insieme a loro un corpo di leggi che avrebbe
stabilito istituzioni solide e la "felicità pubblica"205. Nell'edizione dell'
Histoire des deux Indes del 1780, Diderot condivide il medesimo giudizio di
Rousseau: i russi erano "marci" prima di essere "maturi"; la natura e le
abitudini ponevano degli ostacoli insormontabili alla civilisation della
Russia. Leggendo con attenzione il Nakaz , si comprendeva che Caterina II
non aveva veramente abdicato l'"autorità dispotica". Convocati per
confezionare una nuova legislazione, i deputati si erano dovuti limitare ad
avallare il nuovo lessico politico imposto da Caterina II con il Nakaz: la
sovrana, infatti, voleva essere demoninata monarca e non autocrate, mentre
i suoi popoli erano definiti sudditi e non schiavi. Essendo tutti "ciechi", i
russi, per lungo tempo, avrebbero scambiato la parola per la cosa: al di là
degli slittamenti semantici del lessico politico, il popolo non sarebbe stato
205
G.-T. Raynal, Histoire philosophique et politique des établissemens e du commerce des Européens dans
le deux Indes, La Haye, 1774, t. II, pp. 279-280.
81
élevé da questa comédie e la nazione non avrebbe avuto quel grande impulso
verso la civilisation che il Nakaz si proponeva di imprimerle. Come Pietro il
Grande, Caterina II seguiva solo il proprio genio e non poteva introdurre dei
cambiamenti politico-sociali di un qualche rilievo e la stabilité.
L'imperatrice
offriva
al
popolo
solo
la
guerra,
accentuando
l'irreggimentazione militare dei suoi sudditi, che diventavano dei martiri
fanatici, animati dal disprezzo per la vita e per la morte: morendo sul campo
di battaglia, i russi credevano che la loro anima sarebbe ascesa in cielo. La
gioventù che era stata inviata a studiare in Europa formava una race
différente che, pur avendo una base solida, nel XIX secolo avrebbe potuto
decadere. Viaggiando all'estero, i russi riportavano il "pregiudizio della loro
superiorità" insieme ai vizi contratti in Europa. La corruzione non avrebbe
risparmiato questa tendre jeunesse, perduta nell'"immensità" dell'impero e
"assalita" da ogni parte dai mauvaises moeurs. Si era, inoltre, rivelata
superflua e rovinosa l'istituzione di una Accademia, in un paese nel quale i
savants non erano compresi e non c'era un point d'occupation per gli artisti.
L'efficacia di ogni innovazione doveva essere commisurata alla durée e in
Russia non c'erano istituzioni "durature"206. I russi come i cinesi erano
troppo presentuosi e difficilmente avrebbero accettato delle riforme radicali:
in Cina, però, vigeva il despotisme de loix par la raison; in Russia, invece,
l'autocrate professava l' athéisme pratique e non rispettava né le leggi divine,
né quelle umane. Soggiornando alla corte di Pietroburgo, Diderot aveva
conosciuto i misfatti e
206
la scelleratezza dei machiavelliani secrets de
G.-T. Raynal, Histoire philosophique et politique des établissemens e du commerce des Européens dans
le deux Indes, Neuchatel-Geneve, Les Libraires Associés, 1783, t. IX, pp. 56-65. Sull'opera di Raynal come
critica del dispotismo e profezia della crisi dell'assetto europeo del XVIII secolo cfr. R. Koselleck, Critica
illuminista e crisi della società borghese, cit., pp. 218-225.
82
domination (dominationis arcana)
207
. Per questo nell'Histoire des deux
Indes la descrizione del grande progetto riformatore di Caterina II è definita
ironicamente magnifique éloge e apologie: con il suo coraggio e con il suo
genio, Caterina II non avrebbe mai sormontato tutti quegli ostacoli che si
frapponevano alla civilisation della Russia; nel contempo, però, il suo
grande progetto non era destinato a soccombere , perché era una comédie.
Caterina II aveva redatto il Nakaz nella sua veste di premier poète comique
della Russia208. Spettatore freddo e tranquillo della comédie legale inscenata
da Caterina II, Diderot riconosce che la rappresentazione della legalità
contenuta nel Nakaz era intonata al carattere nazionale della Russia. Lo
spettacolo legale messo in scena da Caterina II con la convocazione della
Commissione legislativa, infatti, era la rappresentazione di una società ben
organizzata209. La politica della politesse si basa su un' estetica, secondo la
quale il "conflitto con il potere" si inserisce in una dimensione teatrale, nella
quale il philosophe e comédien, quale "predicatore laico", schernisce l'etica
dei costumi e suscita l'estetica dei comportamenti210. Attribuendo al teatro
una funzione civile, Diderot considerava il Nakaz una comédie, perché aveva
fatto apparire sulla scena politica russa la
Commissione legislativa,
rappresentazione fortuita della "volontà generale". Con il renversement
dell'autocrazia, l'occasionale rappresentazione della "volontà generale"
207
D. Diderot, Principes de la politique du souverains. Notes écrites de la main d'un souverain à la marge
de Tacite, in Idem, Oeuvres complètes, cit. , t. XI, pp. 145-198. Nei Mémoires Diderot aveva annunciato di
voler scrivere un pamphlet contro Federico II e il désir de commander. Da tale desiderio non era immune la
stessa Caterina II: a tal proposito, Diderot fa un esplicito riferimento al colpo di Stato del 1762, quando
coloro che si erano mostrati fedeli a Pietro III si precipitarono a prestare giuramento alla nuova zarina.
208
Sul "teatro del potere" in Russia e sulle ceremonie per l'inaugurazione della Commissione legislativa cfr.
R.S. Wortman, Scenarios of Power. Myth and Ceremony in Russian Monarchy, Princeton, Princeton
University press, 1995. Lo scopo del "teatro del potere" era quello di affermare la supremazia del sovrano,
investendolo di "sacralità"
209
Cfr. D. Diderot, Paradoxe sur le comédien, in Idem, Oeuvres complètes, cit., t. VIII, pp. 339-423.
210
Cfr. M.L. Varga, Diderot, paradosso critico, in D. Diderot, Trattato sul bello, Milano, SE, 1995, p. 77;
F. Venturi, Giovinezza di Diderot, Palermo, Sellerio, 1988, pp. 149-167.
83
avrebbe potuto diventare rappresentanza permanente, occupando la scena
lasciata vuota dal "teatro del potere".