1 Roberto Valle "Monarchia legale" o "comédie" legale ? Il Nakaz di Caterina II e Observations sur le Nakaz di Diderot in Pospettive sui Lumi, a cura di M.R. Di Simone, Giappichelli, Torino, 2005, pp. 23-98 Nella sua erranza, la rêverie ucronica dell'Illuminismo ha vagato alla ricerca della perfectibilité della civilisation. Nell'imaginaire ucronico, la Russia era una eterotopia dell'"autocoscienza" europea del XVIII secolo: a partire da Leibniz, infatti, la Russia divenne un "argomento" di "pensiero politico" e di "riflessioni sulla filosofia della storia"1. L'imaginaire illuminista ha rappresentato la Russia come un "miraggio", come una tabula rasa sulla quale era possibile operare la transplantation dei "prodigi" della civilisation2.Tra questi "prodigi", il diritto assumeva un rilievo particolare ed era visto come un "universale giuridico-morale", che attesta la "naturale disposizione e destinazione (come dovere) dell'uomo a vivere secondo la libertà"3. Emblematico, in tal senso, è il romanzo avveniristico di LouisSébastien Mercier L'an deux mille quatre cent quarante, pubblicato nel 1770. Nel romanzo di Mercier, 1 il Nakaz o Istruzione di Caterina II è D. Groth, La Russia e l'autocoscienza d'Europa, Torino, Einaudi, 1980, p. 31. A tal proposito cfr. D.S. von Mohernschildt, Russia in the Intellectual Life of Eignteenth-Century France, NewYork, 1936; A. Lortholary, Les "Philosophes" du XVIIème siècle et la Russie: le mirage russe en France au XVIIIème siècle, Paris, Editions Contemporaines, 1951. L'idea del "miraggio" russo sostenuta da Lortholary è stata al centro del X Congrès International des Lumières che si è tenuto a Dublino il 27 luglio 1999. Gli interventi sono stati pubblicati nel volume Le Mirage russe au XVIIIème siècle, textes publiés par S. Karp et L. Wolff, Ferney-Voltaire, Centre Internationale d'Etude du XVIIIème siècle, 2001. Secondo Karp e Wolff, il libro di Lortholary era una reazione indiretta all'"entusiasmo smisurato" che, negli anni Cinquanta, alcuni intellettuali occidentali e francesi mostravano nei confronti dell'Urss. Il termine miraggio, infatti, indica un "errore ottico" fonte di illusione. L'idea del miraggio, per Lortholary, sembrava esprimere, perciò, l'esperienza dei philosophes "sedotti o ingannati" dall'immagine di una Russia che non esisteva. Tale immagine non rifletteva le conoscenze reali dei philosophes sulla Russia, ma le loro illusioni e le aspirazioni politico-culturali del loro tempo. Tuttavia, cinquant'anni dopo la pubblicazione del libro di Lortholary, la metafora del "miraggio" è un riferimento paradigmatico della "storiografia della cultura" e continua a far riflettere suoi rapporti "complicati e ambigui" tra la "realtà" russa e l'imaginaire europeo. 3 C. Galli, Spazi politici, Bologna, Il Mulino, 2001, p. 87. 2 2 rappresentato come una pietra miliare dell'Illuminismo giuridico 4, che ha avuto tra i suoi più tardi estimatori anche Gaetano Filangeri5. Nel 1765 Caterina II aveva iniziato la redazione del Nakaz, allo scopo di riformare il codice (Uloženie) del 1649 secondo gli orientamenti dell'Esprit des lois di Montesquieu. Il 14 dicembre 1766 Caterina II convocò con un manifesto la Grande Commissione legislativa, composta dai rappresentanti degli ordini e dalle classi libere dell'impero (lo storico russo Ključevskij l'ha definita una "mostra etnografica panrussa"). La Commissione legislativa si insediò nell'estate del 1767: nel luglio del 1768, con l'inizio della guerra russo-turca, i lavori della Commissione furono definitivamente interrotti6. Sebbene la traduzione in francese fosse istantanea, in Francia la pubblicazione del Nakaz fu vietata, perché considerato un codice "sedizioso": tale interdizione accrebbe la fama di Caterina II, che fu iscritta di diritto al partito dei philosophes persécutés7 . In una lettera a Caterina II del 30 ottobre 1769, Voltaire afferma che il Nakaz, stilato da una législatrice entiérement victorieuse, non poteva che essere interdetto in Francia, dove vigeva una ancienne jurisprudence ridicule et barbare scaturita soprattutto dal diritto 4 Sulla "controversa" definizione di Illuminismo giuridico e sulla varietà e contradditorietà dei suoi orientamenti cfr. M.R. Di Simone, Diritto, in L'Illuminismo. Dizionario storico, a cura di V. Ferrone e D. Roche, Roma-Bari, Laterza, 1997, pp. 137-146; M. A. Cattaneo, Illumimismo e legislazione, Milano Edizioni di Comunità, 1966. Secondo Cattaneo l'"illuminismo giurdico" è caratterizzato da due elementi: il razionalismo in relazione al diritto naturale e il volontarismo in relazione al diritto positivo. 5 Cfr. G. Filangeri, La Scienza della legislazione. Edizione critica, a cura di A. Trampus, Venezia, Centro di studi sull'Illuminismo europeo, 2003, vol. I, p. 83. Secondo Filangeri, Caterina II, nell'"intrapresa del "nuovo codice", non solo aveva chiamato da tutte le parti dell'impero gli uomini "più degni di questo lavoro", ma aveva lasciato "a' suoi sudditi la scelta de' loro legislatori". 6 Sulla vicenda del Nakaz e della Commissione legislativa Cfr. H. Carrère d'Encausse, Catherine II. Un âge d'or pour la Russie, Paris, Fayard, 2002, pp. 104-120; I. de Madariaga, Caterina di Russia, Torino, Einaudi, 1988, pp. 203-219; M. Heller, Histoire de la Russie et de son empire, Paris, Flammarion, pp. 558563; F.-X. Coquin, La Grande Commission législative (1767-1768). Les cahiers des doléances urbaines, Paris-Louvain, Neuwelaerts, 1972. 7 H. Carrère d'Ecausse, Introduction , in L'Impératrice et l'Abbé. Un duel littéraire inédit entre Catherine II et l'Abbé Chappe d'Auteroche, Paris, Fayard, 2003, p.46. 3 ecclesiastico8. Nel 2440 la fama di Caterina II continua ad essere circonfusa dall'aura del più prestigioso di tutti i titoli, quello di législateur. In Francia, era stato "segretamente" allestito l'autodafé di un'intera edizione del Nakaz e il protagonista del romanzo ne conserva un esemplare sfuggito alle fiamme. In Russia, invece, si pronuncia ancora con "trasporto" il nome di Caterina II, che aveva dotato la nazione di leggi "sagge" e permanenti. Dell'"augusta" imperatrice, infatti, non si ricordano più le conquiste e i trionfi militari, ma solo la legislazione. La principale ambizione di Caterina II, infatti, era stata quella di "dissipare le tenebre dell'ignoranza", di sostituire i costumi "barbari" dei russi con delle leggi dictées par l'humanité. Riprendendo un' affermazione di Voltaire, Mercier sostiene che Pietro il Grande aveva fatto uscire di colpo la Russia dal "nulla"9. Più grande e heureuse dello stesso zar Pietro, Caterina II aveva operato per rendere "felice e fiorente" il popolo russo; soltanto risalendo all'antichità più "remota" , era possibile incontrare un legislatore che avesse avuto così tanta dignité e profondeur. Le generazioni del XXV secolo devono tutto ad una "donna": Caterina II, infatti, non solo aveva liberato i servi della gleba, ma li aveva elevati al "rango di uomini"; tale emancipazione era assurta a valore universale. Nel XXV secolo, la Russia è un impero vasto e popolato che, in virtù della saggezza del legislatore del XVIII secolo e del suo code humain, ha raggiunto la stabilità politica: i successori di Caterina II, infatti, erano stati "generosi" e avevano reso il popolo russo égale. La costituzione dell'impero russo non è più militare e il sovrano non è più un autocrate, anche perché nell'anno 2440 il pianeta è troppo éclairé per ammettere una 8 Cfr. Documents of Catherine the Great. The Correspondance with Voltaire and the Instruction of 1767 with English Text of 1768, edited by W.F. Reddaway, Cambridge, Cambridge University Press, 1931, p. 38. 4 forma così odieuse di governo10. Nel XXV secolo, inoltre, Costantinopoli fa parte della Russia: l'impero ottomano, empire funeste, è crollato insieme al monstre du despotisme. L'elogio di Caterina II intessuto da Mercier non è casuale, perché il Nakaz era utilizzato come uno strumento di lotta politica nel contesto dell'Ancien Régime francese. Nel biennio 1769-1771, il Nakaz, infatti, era stato brandito come un'arma nell'ambito di quella "guerra dei pamphlets" scatenata dalla decisione di Maupeou di porre fine alla fronda giansenista del Parlamento, facendo esiliare centrotrenta magistrati. Gli oppositori di Maupeou ravvisarono nel Nakaz di Caterina II argomenti a favore del Parlamento e contro il "dispotismo ministeriale"11. Al termine del sogno sulla fèlicité publique, Mercier ha la visione delle rovine di Versailles, che mostrano quanto siano "fragili" i monumenti dell'"orgoglio": la rêverie sulle rovine di Versailles non è suscitata dalla memoria, ma è un'"anticipazione" del crollo dell'Ancien Régime e del trionfo della prosperità dello Stato e della pace universale12. Nella prefazione all'edizione del 1799 de L'an deux mille quatre cent quarante, Mercier definisce se stesso un véritable prophète, perché il suo rêve è un annuncio e una previsione della rivoluzione francese. In realtà, la profezia di Mercier è un doppio sogno: alla fine del romanzo, infatti, egli torna al XVIII secolo ed ha 9 Sul complesso rapporto tra Mercier e Voltaire cfr. V. André, Mercier et Voltaire. La chronique d'un amour décu, http://ww.bon-a-tirer.com/volume9/va.html. 10 L.S. Mercier, L'an deux mille quatre cent quarante. Rêve s'il en fut jamais, Paris, Brosson&CarteretDougur &Durand, 1799, t. III, pp. 89-91. Diderot ha contribuito alla stesura del romanzo riscrivendo un passo che attribuisce alla rivolta degli schiavi negri un ruolo di primo piano nella storia dei popoli e vi ha "aggiunto il suo personale slancio " di solidarietà verso coloro che si ribellano al giogo della schiavitù. Cfr. S. Gargantini Rabbi, La doppia morte di Spartaco: Diderot e la tragedia di Saurin, in Diderot, il politico, il filosofo, lo scrittore, a cura di A. Mango, Milano, Franco Angeli, 1986, p. 93. 11 Cfr. A. J. Blonde, Le Parlament justifié par l'Impératrice de Russie, Paris 1771; N.Ju. Plavinskaja, "Nakaz" Ekateriny vo Francii v konce 60-načale 70-ch godov XVIII v: perevody, cenzura, otkliki presse, in Russko-francuzkie kul'turnye cvjazi v epochy Prosveščenija. Materialy i issledovanija, ot. red. S. Ja. Karp, Moskva, Rossijskij gosudarstvennyj gumanitarnyj universitet, 2001, p. 29. 12 Sulla poetica delle rovine nell'età dei Lumi e nella "meditazione" di Diderot cfr. R. Mortier, La poétique des ruines en France ses origines, ses variations de la Reinassance à Victor Hugo, Genève, Libraire Droz, 1974. 5 la visione dell'incontro fatale tra il philosophe e il sovrano. Quando il philosophe va a corte il suo sguardo non vede lo "scettro" e il "turbante", ma penetra "fino al cuore" del monarca. Se questo cuore è nobile grande e generoso, il philosophe si arresta con rispetto e rende omaggio al sovrano. Ma se questo cuore non medita "nulla" per la "felicità pubblica", allora il monarca è dêtrôné e nell'imagination del philosophe il "principe e l'icoglan" si confondono. Agli occhi del philosophe, perciò, il monarca appare come un fantôme, il revenant della sovranità, un "corpo senz'anima" che è "morto alla gloria e al genere umano"13. Il romanzo di Mercier non è, perciò, né la profezia del 2440, né un vaticinio della rivoluzione francese: secondo Mercier, la rivoluzione non solo aveva plagiato e snaturato le idee dei philosophes, ma, soprattutto nella fase giacobina (antipode della filosofia illuminista) tali idee avevano assunto una connotazione "criminale". La profezia di Mercier è, invece, a breve termine, perché antivede le modalità e gli esiti del viaggio di Diderot a Pietroburgo. Al di là del solido rapporto epistolare con Voltaire ( che si definiva catherinien )14, Caterina II, a partire dall'autunno del 1762, cercò un contatto con i philosophes: l'imperatrice, infatti, si rivolse in prima istanza a d'Alembert, affinché si prendesse cura dell'educazione del granduca Paolo, ma d'Alembert rifiutò l'incarico, anche perché era alle dipendenze di Federico II15. In una lettera a Caterina II del 22 13 L.S. Mercier, L'an deux mille quatre cent quarante. Rêve s'il en fut jamais, cit. t. III, p. 237. Il rapporto tra Diderot e Caterina II ha assunto una valenza simbolica ed ha ispirato l'intreccio di racconti e romanzi. A tal proposito cfr. L. von Sacher-Masoch, Diderot a Pietroburgo, Palermo, Sellerio, 1998; M. Bradbury, To the Hermitage, London, Picador, 2001. 14 Cfr. C. Mervaud, Portraits de Catherine II dans la Correspondance de Voltaire, in Catherine II et l'Europe, sous la direction d'A. Davidenkoff, Paris, Institut d'Etudes Slaves, 1997, pp. 163-170. Voltaire ha scritto a Caterina II 109 lettere, che possono essere lette come défense et illustration della "Semiramide del Nord". Al di là della vulgata sul "miraggio russo", la corrispondenza di Voltaire è un "campo di manovre" messo al servizio della causa dell'imperatrice. 15 Cfr. Ch. de Larivière, La France et la Russie au XVIIème siècle. E’tudes d’histoire et de littèrature franco-russe, Genève, Slatkine Reprints, 1970 pp. 4-42. Le relazioni tra Caterina II e d’Alembert si inagurarono con il rifiuto del philosophe di andare in Russia e cessarono con un altro rifiuto, quello della zarina di rendere alla Francia les officiers ai quali d’Alembert si era interessato. Facendo allusione alla 6 dicembre 1766, Voltaire accredita se stesso, d'Alembert e Diderot come "idolatri" della "Semiramide del Nord": la zarina era la divinità di un nuovo culto pagano, al quale i philosophes innalzavano degli altari16. Accreditandosi come mecenate degli illuministi, nel 1765 Caterina II acquistò la biblioteca di Diderot; il philosophe, inoltre, fu ingaggiato come reclutatore di artisti e specialisti di scienza politica: fino al suo viaggio a Pietroburgo, Diderot fu una sorta di attaché culturale dell'imperatrice a Parigi17. L'acquisto della biblioteca di Diderot era stato suggerito a Caterina II da Grimm, che, ponendosi al servizio dell'imperatrice, soggiornò a Pietroburgo dal 1773 al 1774 e dal 1776 al 1777. Nel 1754, Grimm aveva assunto la direzione della Correspondance Littéraire, un quindicinale filosofico, storico e artistico che veniva distribuito presso le principali corti europee. Diderot non solo fu uno dei collaboratori più illustri della Correspondance Littéraire, ma insieme a Grimm fu eletto membro straniero dell'Accademia imperiale delle scienze di Pietroburgo. Solo con Grimm Caterina II riuscì ad intessere un'autentica liaison filosofica, che è considerata come un "ponte" tra Russia ed Europa: nel XVIII secolo, il tedesco Grimm ha incarnato quel ruolo di mediazione tra Oriente e misteriosa morte di Pietro III, d'Alembert, in una lettera a Voltaire, giustificava il proprio rifiuto di recarsi in Russia adducendo la scusa di essere soggetto alle "emorroidi", che erano trop sérieuses dans ce pays. Quella tra Caterina II e d'Alembert restò una liaison èpistolaire ( una dozzina di lettere in tutto: la prima è del 1762 e l’ultima del 1772) . Sebbene sia considerato il philosophe più indipendente del XVIII secolo, d'Alembert, nelle lettere a Caterina II, sembra un épistolier-courtisan. Rispetto a quelle di Grimm e di Diderot, le lettere di d’Alembert alla zarina non lasciamo trasparire i sentimenti più intimi e veri, ma sono affettate, solenni e pedantesche. Diversamente da Grimm e da Diderot (che si erano recati in Russia e si erano lungamente intrattenuti con Caterina II), d'A.lembert sembra assumere il ruolo di un détestable courtisan, guindé e malhabile. In una lettera del 1765, Caterina II anticipava a d'Alembert il progetto del Nakaz , chiedendo l' approvazione del philosophe. D'Alembert avrebbe visto come "pour l’utilité de mon empire j’ai pillé le président deMontesquieu sans le nommer; j’espère que si de l’autre monde il me voit travailler, il me pardonnera ce plagiat pour le bien de 30 millions d’hommes que en doit résulter; il aimait trop l’humanité pour s’en formaliser. Son livre est mon bréviaire” . 16 In una lettera del l° novembre 1773 a Caterina II, Voltaire definisce se stesso e Diderot missionnaires laiques al servizio del culto di "Santa Caterina". Cfr. Documents of Catherine the Great. The Correspondance with Voltaire and the Instruction of 1767 with English Text of 1768, cit., p. 13 e p. 190. 17 Cfr. P. Vernière, Diderot et Catherine II, in Diderot, il politico, il filosofo, lo scrittore, cit. , pp. 40-54. 7 Occidente europeo che, attraverso i secoli, è stato peculiare della Germania18. Diderot giunse a Pietroburgo nell'ottobre del 1773 e vi soggiornò fino al 4 marzo 1774; nell'arco di questi cinque mesi, Caterina II accordò al philosophe il "privilegio" di incontrarla tre pomeriggi la settimana. Nel corso di questi incontri Diderot, con una verve debordante e con una gesticolazione frenetica (che costrinse l'imperatrice a frapporre tra loro un tavolino per proteggersi le gambe coperte di lividi), espose i suoi progetti per renverser l'autocrazia russa19. L'incontro tra il philosophe e l'autocrate è stato al centro di una vicenda ermeneutica, dalla quale emergono due orientamenti. Da una parte si pongono quegli interpreti che definiscono Diderot un "adulatore" di Caterina II, che aveva accettato l'invito a recarsi a Pietroburgo con l'"ambizione" (sbagliata) di convertire la zarina alla filosofia dei Lumi20. D'altro canto, 18 invece, alcuni interpreti Sulla liaison filosofica tra Grimm e Caterina II cfr. S. Ja. Karp, Francuzkie prosvetiteli i Rossija. Issledovannija i novye materialy po istorii russko-francuzskich kul'turnych svjazej vtoroj poloviny XVIII veka, Moskva, Rossijskaja Akademija Nauk - Institut Vceobščej istorii, 1998, pp. 169-236; Idem, Grimm à Pétersbourg, in Deutsch-Russische Beziehungen im 18. Jahrhundert. Kuktur, Wissenschaft und Diplomatie, herausgegeben C. Grau, S. Ja. Karp, J. Voss, Wiesbaden, Harressowitz, 1997, pp. 291-303; Idem, Editer la Correspondance entre Grimm et Catherine II (A' propos de la bibliothèque de Voltaire), in Catherine II et l'Europe, cit., pp. 143-148. 19 Il viaggio di Diderot a Pietroburgo fu oggetto di dileggio da parte dei nemici dei philosophes. L'abbé Frénon, per esempio, in Annèe littéraire, rappresentò Diderot come un uomo toqué che recitava la parte del filosofo astratto dalla realtà, dandosi un contegno di distraction philosophique. Cfr. A. Stroev, Les aventuriers des Lumières, Paris, P.U.F., 1997. Il soggiorno di Diderot a Pietroburgo suscitò l'interesse della diplomazia svedese, come risulta dalla corrispondenza dell'ambasciatore Fredrik von Nolcken. A von Nolcken Diderot era apparso come una "amabile vecchio" e non corrispondeva all'idea che l'ambasciatore aveva di un philosophe. Il philosophe, infatti, avrebbe dovuto possedere un'anima "inaccessibile" alle virtù borghesi. Il principio e il fine di un philosophe avrebbe dovuto essere, perciò, la gloria, l'amor proprio, la vanità. Sebbene si atteggiasse a profeta, Diderot aveva deluso le aspettattive di von Nolcken, perché si era mostrato sensibile alla "tenerezza paterna", all'"amore coniugale" e all'"amicizia". A tal proposito cfr. S. Ja. Karp, Francuzkie prosvetiteli i Rossija. Issledovannija i novye materialy po istorii russko-francuzskich kul'turnych svjazej vtoroj poloviny XVIII veka, cit. pp. 133-153 e 323-336. Oltre alla corrispondenza dell'ambasciatore svedese, sul viaggio di Diderot a Pietroburgo il libro di Karp esibisce una messe di documenti d'archivio ritrovati (cfr. pp. 13-168). Dal canto suo, Diderot considerava la Svezia una nazione "povera e "bellicosa" con un'esistenza precaria e minacciata dalla Danimarca e dalla Russia. Tali minacce avrebbero potuto favorire il passaggio dalla monarchia "temperata" al dispotismo "illimitato": la Svezia si sarebbe posta, perciò, all'"estremità" dell'"onta e del "disonore". Cfr. D. Diderot, Rêveries à l'occasion de la révolution de Suede, in Idem, Oeuvres complètes, Paris, Le Club Français du Livre, 1969-1973, t. IV, pp.91-94. 20 La leggenda di Diderot quale "servile adulatore" di Caterina II è stata accreditata da Robespierre. Approfittando del suo ruolo di protégé, Diderot, per Vernière, intendeva rafforzare le convinzioni 8 considerano il viaggio di Diderot a Pietroburgo come una svolta decisiva nell'elaborazione di quella "politica sperimentale" che è una sorta di euristica delle circostances extrêmes: il pensiero politico di Diderot era destinato, perciò, a confrontarsi con l'"estrema diversità" della Russia21. Nell'ambito della riflessione politica di Diderot la questione russa assume una centralità che non deriva né dalla flatterie nei confronti di Caterina II ( sua "augusta" protettrice)22, né dall'allucinazione del miraggio23: la Russia non era, per "liberali" di Caterina II. Tuttavia, alla fine del suo regno, Caterina II non era più la discepola di Voltaire, ma un farouche anti-philosophe: la zarina, infatti, aveva subito una conversione totale dal "liberalismo riformista" all'autocrazia. Dal canto suo, Diderot non era né un santo, né un eroe e, al di là della rigidità verbale dei suoi ideali, era irrimediabilmente compromesso con l'autocrate. Il percorso politico-esistenziale di Diderot è, perciò, più biasimevole di quello di Caterina II ed è privo dell'"audacia del pensiero" Cfr. P. Vernière, Introduction, in Mémoires pour Catherine II, Paris, Garnier, 1966, p. IX; Idem, Diderot et Catherine II, in Diderot, il politico, il filosofo, lo scrittore, cit., pp. 53-54. 21 Cfr. J. Proust, Diderot o la politica experimental, "Revista de Estudios Politicos", Numero monografico sobre Diderot, n. 41, Septiembre-Octubre1984, pp. 9-14; J. Chouillet, La politique de Diderot entre la societé democratique et l'état hierarchisé: antinomies et resolutions, in Diderot, il politico, il filosofo, lo scrittore, cit., pp. 23-38. Per Chouillet non esiste una fase "zarista" del pensiero politico di Diderot: il philosophe non ha esordito come "cantore" dell'assolutismo illuminato russo, per poi aderire alla democrazia americana. Nella presunta fase "zarista", infatti, Diderot ha condannato senza appello la politica di Federico II e criticato quella di Caterina II. Pur essendo un "ibrido" di difficile lettura, le Observations sur le Nakaz contrappongono all'assolutismo illuminato la concezione dello Stato come protettore della libertà dei cittadini. Da una parte , perciò, Diderot vuole impedire che le istituzioni statali diventino proprietà esclusiva del deposta; d'altro, canto, però, egli non è esplicitamente democratico. Diderot, infatti, contrappone al dispotismo la "sovranità della nazione" e non il popolo. 22 Cfr. A. Lortholary, Les "Philosophes" du XVIIème siècle et la Russie: le mirage russe en France au XVIIIème siècle, cit., pp. 205-242. Per Lortholary, il viaggio di Diderot a Pietroburgo è un autentico "pellegrinaggio" nel corso del quale il philosophe fa mostra di ogni sorta di piaggeria per ottenere dei benefici da Caterina II. Peccando di naiveté, Diderot avrebbe coltivato delle illusioni sull'azione riformatrice dell'imperatrice. Observations sur le Nakaz, secondo Lortholary, non è la confutazione di un codice definito excellent, ma un chaos d'idées che non hanno il merito di essere "chiare", un commentaire scritto sotto "il segno della contraddizione" e della "confusione": 23 Cfr. G. Dulac, Diderot e le "mirage russe": quelques préliminaires à l'étude de son travail politique de Pétersbourg, in Le Mirage russe au XVIIIème siècle, cit., pp. 149-192; Idem, G. Dulac, Dans quelle mesure Catherine II a-t-elle dialoguè avec Diderot?, in Catherine II et l'Europe, cit., pp. 149-161. Secondo Dulac, il libro di Lortholary sul "miraggio" russo è "mediocre" e il giudizio sul soggiorno di Diderot a Pietroburgo è "contestabile". Per Dulac, non solo la problematica del "miraggio" russo è superata, ma è necessario dare il giusto rilievo al lavoro "critico" di Diderot nei confronti di quel "mito russo", incentrato sulla figura di Pietro il Grande, che era stato forgiato da Fontenelle e da Voltaire. Diderot, perciò, non è una "vittima" del "miraggio" russo. Il philosophe, infatti, non vede la Russia dal punto di vista della "verità razionale" (come sostiene Sergio Cotta) e da una prospettiva antistorica: l'"estrema diversità" dell'impero russo sembrava essere uno dei principali ostacoli alla sua civilisation.. Il termine al centro del "dialogo" tra il philosophe e l'autocrate e, infatti, civilisation, che designa un processo. Diderot tentò di iniziare Caterina II ad una filosofia della storia che prendesse le distanze da quella di Montesquieu. Contrapponendosi ad una visione statica della società, Diderot, sotto l'influsso di Hume, privilegia i fattori economici e sociali rispetto alle forme morali, giuridiche e istituzionali della vita collettiva. Per Dulac, il soggiorno di Diderot a Pietroburgo è un tentativo politico-filosofico di dialogare con la zarina; tuttavia le proposte politiche del 9 Diderot, una nazione ancora "giovane" dove era possibile elaborare un'esperienza politica "originale"24. Sebbene Caterina II abbia definito i piani politici del philosophe delle impraticables théories25, le considerazioni di Diderot ( così come sono state tramandate dai Mémoires pour Catherine II26) assumono una peculiare valenza politica e giuridica, al di là del tentativo di estirpare dal "cuore" del sovrano il mostro dell'autocrazia. Nel confronto tra Caterina II e Diderot non solo si svelano gli arcana imperii del despotisme éclairé, ma anche i paradossi estremi dell'Illuminismo giuridico. Sulla via ritorno, Diderot a L'Aja scrive le Observations sur le Nakaz27 che non solo detronizzano Caterina II, ma anticipano quella metamorfosi della Russia da "miraggio" a "spettro" (o "fantasma di potenza") che troverà compimento nell'ambito del pensiero politico europeo di orientamento russofobo nella prima metà del XIX secolo28 . Conscia dell'esordio di questa metamorfosi operata dalla critique del philosophe, Caterina II (che ricevette il manoscritto nel 1784 dopo la morte di Diderot), definì le Observations sur philosophe con collimavano con la politica effettuale dell'autocrate. Tra Diderot e Caterina II, perciò, non ci fu un autentico dialogo, bensì un "simulacro di scambio". 24 M. Duchet, Le primitivisme de Diderot, " Europe", a. 41, n. 405-406, Janvier-Février 1963, p. 136. In seguito, Duchet ha modificato il proprio giudizio, sostenendo che Diderot ha creduto sinceramente alla Russia come nation naissante: le Ob servations sur le Nakaz sono ancora caratterizzate dalla tentazione di accreditarsi come legislatore della Russia. Nonostante ciò, Diderot non ha tardato a disilludersi, perché la civilisation della Russia sembrava un'impresa impossibile. M. Duchet, Anthropologie et Histoire au siècle des lumières. Buffon, Voltaire, Rousseau, Helvétius, Diderot, Paris, François Maspero, 1971, pp. 464-465. 25 Cfr. L. Ph. de Sègur, Mémoires, souvenirs, anecdotes, ed. F. Barrière, Paris, Firmin Didot, 1859, t.I, pp. 444-445. 26 I Mémoires pourCatherine II sono frutto degli entretiens tra Diderot e l'impetratrice; il testo è stato catalogato e ricostruito nel 1881 da Maurice Tourneux in missione a Pietroburgo (cfr. M. Tourneux, Diderot et Catherine II, Paris, Calmann-Lévy, 1899). Sulla storia del testo cfr. P. Vernière, Introduction, in Mémoires pour Catherine II, cit., pp.IV-IX.; Mémoires inédits de Diderot à Catherine II, ed. E. Lizé, "Dixhuitième Siècle", 10, 1978, pp. 193-222. Sui manoscritti di Diderot nella collezione dell'Ermitage cfr. G. Dulac, Les manuscrits de Diderot en Urss, "Studies on Voltaire and the Eighteenth Century", Editer Diderot, 254, 1988, pp. 19-50. 27 Sulla vicenda delle Observations sur le Nakaz cfr. G. Dulac, Pour reconsidérer l'histoire des Observations sur le Nakaz ( à partir des réflexions de 1775 sur la physiocratie), "Studies on Voltaire and the Eighteenth Century", cit., 254, 1988, pp. 467-514. 28 R. Valle, Spettri della Russia. Astolphe de Custine e l’autocoscienza russa, “De Cive”, n. 3, gennaio-giugno 1997, pp. 55-74; Idem, Donoso Cortés e la Russia: filosofia della storia e diplomazia, “Filosofia Politica”, n. 2, agosto 1999, pp. 199-224. 10 le Nakaz un vrai babil: secondo la zarina, la critique è "facile", ma l'arte di governare è "difficile"29. Lo stesso Diderot rileva la discrasia tra critica filosofica e arte politica e in una lettera a Mercier del 1777 annuncia la svolta che lo ha condotto dalla ragione a quella sensibilité sempre orientata verso la bienfaiance. A tal fine, è necessario scrivere delle opere che rendano migliori gli uomini, raddrizzando le "teste frivole", "false" e "cattive". Come scrive Diderot a Mercier, questa svolta si epitoma nel meditare con Seneca sulle "grandi lezioni della vita": tale meditazione è il preludio dell'Essai sur les règnes de Claude e de Neron che è una riflessione disincantata sul problematico rapporto tra potere e filosofia; tale rapporto è considerato in quella prospettiva politico-esistenziale che Diderot aveva esperito alla corte di Caterina II30. L' Essai sur les règnes de Claude e de Neron, infatti, è una riflessione sulla funzione "pericolosa" (e, a volte, "inutile) del sage engagé, che respinge ogni compromesso con una politique insensée31. 1. Genealogie del diritto russo nel "periodo imperiale" e il Nakaz: pro et contra Montesquieu La législomanie di Caterina II è stata variamente interpretata: da una parte si pone quell'orientamento ermeneutico che considera il Nakaz come un tentativo di legittimazione dell'autocrazia in base alle idee degli 29 Cfr. P. Vernière, Diderot et Catherine II, in Diderot, il politico, il filosofo, lo scrittore, cit. , pp. 40-54. Sebbene nelle Observations sur le Nakaz Diderot si mostrasse "insolente", per tutta la sua esistenza aveva agito con prudenza e aveva vissuto sous tutelle. Dal canto suo, Grimm rassicurò Caterina II sulla scarsa pericolosità del pensiero politico di Diderot, definendo le Observations sur le Nakaz come rêvasserie d'un imbécile. Cfr. G. Dulac, Le discours politique de Pétersbourg: Diderot politique vue par Grimm, "Recherches sur Diderot et sur l'Enciclopédie", 1, 1986, pp. 51-52. 30 D. Diderot, Correspondance, ed. L. Versini, Paris, Robert Laffont, pp. 1293-1294. 31 D. Diderot, Essai sur la vie de Sénèque le philosophe, sur ses écrits et sur les règnes de Claude et de Néron, in Idem, Oeuvres complètes, cit., t. XII, pp. 501-504. Secondo Hisayau Nakagawa, invece, Diderot, sotto le mentite spoglie della storia romana, ha voluto, nell'Essai, giustificare il colpo di Stato di Caterina II e l'assassinio di Pietro III. Cfr. H. Nakagawa, "Il importait beaucoup que le prince qui tenait le sceptre le gardat": Diderot et Catherine II , http://old.sgu.ru/users/project/dokl_nakagawa.html 11 illuministi32; dall'altra parte si pone, invece, quell'indirizzo di studi che inscrive il Nakaz nel contesto di una "monarchia legale", non dissimile dall'assolutismo illuminato europeo33. Al di là di questa biforcazione ermeneutica, il Nakaz è un punto di svolta del "periodo imperiale" della storia del diritto russo34. Il Nakaz non è, perciò, il tentativo di ingannare l'opinione pubblica russa ed europea, un frutto del "narcisismo" e della 32 Secondo un'interpretazione accreditata e che ha avuto un influsso in Russia, Caterina II avrebbe stilato il Nakaz e convocato la Comimissione legislativa per neutralizzare l'opposizione nobiliare, che voleva limitare i poteri dell'autocrate: il Nakaz, infatti, va considerato come un documento politico volto a codificare la necessità storica dell'autocrazia. Cfr. G. Sacke, Die Gesetzgebende Kommission Katharina II. Ein Beitrag zur Geschichte des Absolutismus in Russland, New York, Neudruk, 1966. Sebbene in epoca sovietica le riforme di Caterina II non abbiano goduto dell'attenzione degli storici marxisti, la scuola semiotica di Tartu e Mosca (Lotman, Uspenskij e Živov) ha studiato le antinomie della cultura russa settecentesca e l'ideologia di Stato introdotta dal processo riformatore inaugurato da Pietro il Grande. Secondo questa interpretazione, l'ideologia di Stato era una struttura autonoma che con corrispondeva alla pratica della gestione degli affari pubblici. Secondo Lotman, per esempio, il Nakaz era stato promulgato per non entrare in vigore. Il Nakaz è il riflesso di una "ben ponderata" linea volta ad accreditare l'autocrazia come "migliore" forma "europea" di governo. Cfr. Ju. M. Lotman, Rousseau e la cultura russa del XVIII, in Idem, Da Rousseau a Tolstoj. Saggi sulla cultura russa, Bologna, Il Mulino, 1984, pp. 72-78. A tal proposito cfr. anche S. Karp, Les recherches récentes (1990-2000) des relation culturelle franco-russes au XVIIIème siècle, http://www.cromohs.unifi.it/8_2003/karp.html. 33 Secondo un recente orientamento ermeneutico, Caterina II è un'esponente dell'"assolutismo illuminato", che ha elaborato una strategia legale destinata a introdurre in Russia uno Stato fondato sul diritto. A tal proposito cfr. O.A. Omel'čenko, "Zakonnaja monarchija" Ekateriny II, Moskva, 1993; A.B. Kamenskij, Rossijskaja imperija v XVIII veke. Tradicii i modernizacija, Moskva, Novoe Literaturnoe Obozorenie, 1999; Idem, Ot Petra I do Pavla I: reformy v Rossii XVIII veka. Opyt celostnogo analiza, Moskva, Rossijskij Gosudarstvennyj Gumanitarnyj Universitet, 1999. Sia Omel'čenko, sia Kamenskij sostengono che Caterina II è rimasta fedele al suo programma originario ed è stata una grande teorica (e pratica) di una monarchia basata sulla legalità. Caterina II ha utilizzato i lavori della Commissione legislativa del 1767 come fondamento per riorganizzare e regolare su solide basi il governo provinciale e municipale. Nel 1787 Caterina II aveva contemplato la possibilità di introdurre una sorta di "legge fondamentale". La "monarchia legale" era un assolutismo temperato dall'illuminismo e, nel corso del suo regno, Caterina II rimase fedele al principio sancito nel Capitolo II del Nakaz: un "vasto" impero necessitava di un potere assoluto e concentrato nella persona del sovrano, che poteva agire prontamente e risolutamente; ogni altra forma di governo sarebbe stata fatale per la Russia. Secondo Isabel de Madariaga, invece, il Nakaz non è un codice, ma un "compendio" di princìpi generali selezionati dalle migliori opere giuridiche e politiche del Settecento: nel Nakaz "balena" l'immagine della Russia "come avrebbe dovuto diventare". Dal canto suo, Hélène Carrère d'Encausse opera una sintesi tra i giudizi espressi da Omel'čenko e Kamenskij e quello di de Madariaga: il Nakaz è un "documento di Stato" che propone un definizione giuridica e politica della Russia in "conformità" con la "tradizione" e il génie del popolo russo; da esso, inoltre, di può trarre una vision globale di cambiamento conforme agli ideali dei Lumi. In ogni caso, il Nakaz non è "pura ipocrisia" destinata a impressionare la Russia e l'Europa e a riflettere l'immagine della zarina riformatrice e amica dei philosophes. A tal proposito cfr. I. de Madariaga, Caterina di Russia, cit. , 1988, pp. 203-209; H. Carrère d'Encausse, Catherine II. Un âge d'or pour la Russie,Paris,cit. , pp. 104-120. 34 Cfr. M.F. Vladimirskij-Budanov, Ozbor istorii russkogo prava, Petrograd, Izd. N. Ja. Ogloblina, 1915. Secondo Budanov, la storia del diritto russo può essere ripartita in tre periodi: il "periodo territoriale" che va dal X al XII secolo; il "periodo moscovita e lituano" nel corso del quale tutte le terre russe si trovano in 12 superficialità politica della zarina. Sebbene abbia le caratteristiche di un codice, il Nakaz è, anzitutto, un trattato di storia e di filosofia del diritto, che permette a Caterina II di confrontare le fonti del diritto russo con la cultura giuridica del suo tempo. Pur attingendo ad altre fonti35, il Nakaz, quale "tentativo di radicare nel suolo russo" l'Illuminismo giuridico, intende, in primo luogo, essere il calco de l'Esprit des lois che ampiamente "saccheggia". A tal proposito, Diderot osserva, ironicamente, che Montesquieu aveva concepito una sorta di catechismo del buon legislatore, che sembrava essere scritto solo per Caterina II36. Dalla prima bozza del Nakaz, tuttavia, si può evincere che Caterina II ha ingaggiato un serrato confronto con Montesquieu sia omettendo tutte quelle parti dell'Esprit des lois che stigmatizzano il dispotismo russo, sia ponendo l'accento sulla "volontà sovrana" che precede e forgia le leggi fondamentali. Questo paradigma giuridico-ideologico è solo in parte una conseguenza dell'apporto delle annotazioni di Elie Luzac37, ma deriva da una concezione del potere sovrano che attinge alle fonti del diritto russo e all'opera di codificazione realizzata, all' epoca di Pietro il Grande, da Feofan Prokopovič autore del Regolamento ecclesiastico (Duchovnyj reglament)38. Sulla scia di Bodin, Giacomo I e Hobbes, Prokopovič fa derivare la legittimazione della monarchia dalla "volontà sovrana". Il libero esercizio di tale "volontà" è sancito dal contratto sociale originario ed è il caposaldo della dottrina due Stati (Moscovia e Lituania) e che dura fino al XVII secolo; il "periodo imperiale", inaugurato dalle riforme di Pietro il Grande. 35 N. Plavinskaia, Catherine II ébauche le Nakaz. Premières notes de lecture de L'Espir des lois, "Revue Montesquieu", n. 2, 1998, p. 68. Per la stesura del Nakaz, Caterina II, oltre Montesquieu, ha utilizzato le opere di altri pensatori, tra i quali: Adam Smith, Beccaria, Bielfeld, Pesselier, Boucher d'Argis. 36 D. Diderot, Mémoires pour Catherine II, cit., p. 10. 37 N. Plavinskaia, Catherine II ébauche le Nakaz. Premières notes de lecture de L'Espir des lois, cit., p. 75. Caterina II avrebbe utilizzato l'edizione dell'Esprit des lois corredata dalle note di Elie Luzac. 38 Cfr. B. D'Ajetti, Il Regolamento Ecclesiatico di Feofan Prokopovič. Valenza politico-dottrinale e la sua dignità linguistico-letteraria . (Dal Patriarcato al Santissimo Sinodo Dirigente), Roma, Herder, 1995. 13 politico-giuridica di Prokopovič: la "libera" volontà del monarca, infatti, non è soggetta alle leggi umane, anche se sono atte a promuovere il benessere generale39. Facendo riferimento al giusnaturalismo di Grozio e Pufendorf, Prokopovič intendeva far nascere in Russia una nuova cultura politicogiuridica che fosse confacente ad uno Stato ben policé impegnato a suscitare le energie di una società dinamica e produttiva. Per Prokopovič, la "volontà sovrana" di Pietro il Grande aveva generato la "nuova Russia": con il suo volontarismo e decisionismo, lo zar riformatore era l'agente della "trasfigurazione" (preobraženie) della Russia40. Il sovrano era sia il "custode" delle tavole della legge, sia il legislatore che con la sua opera di regolamentazione imponeva una cesura con il passato: a proposito dei decreti di Pietro il Grande, scritti in uno stile pungente e polemico dallo stesso Prokopovič, Puškin ha sostenuto che sembrano scritti "con la frusta"41. Nella Russia pretetrina l'apparato amministrativo era forgiato in base al diritto consuetudinario: con Pietro il Grande, invece, prende forma lo "Stato regolare", quale meccanismo "generatore di regole". Lo "Stato regolare" era un modello "prescrittivo" e "disciplinare", che si contrapponeva all'"irregolarità" della società russa ed era una reazione all'"azione entropica" della consuetudine42 . Tale concezione "regolare" dello Stato fu ulteriormente sviluppata da Strube de Piermont in Lettres 39 Peter the Great: His Law on the Imperial Succession in Russia, 1722. The Official Commmentary Pravda Voli Monarshei Vo Opredelenii Naslednika Derzhavy Svoei, ed. and trans. with introduction and notes by A. Lentin, Oxford, Headstart History, 1995. 40 A tal proposito cfr. M. Raeff, La noblesse et le discours politique sous le règne de Pierre le Grand, in Politique et culture en Russie 18-20 siècles, Paris, Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales, 1996, pp. 121-137. 41 G. Florovskij, Le vie della teologia russa, Genova, Marietti, 1987, pp. 70-73. 42 A tal proposito cfr. Ju. M. Lotman -B. A. Uspenskij, K semiotičeskoj tipologii russkoj kul'tury XVIII veka, in Materialy naučnoj konferencii (1973). Chudožestvennaja kul'tura XVIII veka, Moskva, 1974, p. 269; Ju. M. Lotman, La cultura e il suo "insegnamento" come caratteristica tipologica, in Ju. M. LotmanB.A. Uspenskij, Tipologia della cultura, Milano, Bompiani, 2001, pp. 74-75. Per Lotman, lo "Stato regolare" di Pietro I (e dei suoi successori) era concepito come un "sistema di ukazy, normative e regole": la 14 russiennes (1760), che è una serrata critica dell'opera di Montesquieu. Giurista allievo di ChretienThomasius43, Strube de Piermont è autore di Recherche nouvelle de l'origine et des fondemens du droit de la nature pubblicato del 1740 dall'Accademia delle Scienze di Pietroburgo. In quest'opera Strube intende dimostrare che la ragione non è la prima fonte o autotipe della legge naturale e che si deve distinguere tra intelligence di una legge e la legge stessa. A partire da Grozio, secondo Strube de Piermont, si era imposta la moda del droit de nature, per cui tutti i savants, per effetto di una metamorfosi, si erano elevati al rango di moralistes. Dal canto suo Hobbes si è grossierement trompé, perché ha sostituito lo stato di natura con quello "corrotto". Ponendosi al di là del contrattualismo che giudica chimerique, Strube de Piermont afferma che solo le "passioni" si rivelano nelle leggi, perché l'impulso della passione ha origine dalla natura stessa. Né l'entendement, né la volontà possono "contenere" la legge della natura: l'entendement infatti, è rappresentazione della natura; la "volontà", invece, si determina in base alla "convenienza". Soddisfacendo le passioni, la legge prescrive anche dei doveri, definiti come "forza qualificata": tali doveri impongono il soccorso reciproco e attestano l' inégalité naturelle. I principi e il contenuto delle leggi naturali si riducono a determinare i doveri: la virtù consiste nella pratica "spontanea" dei doveri. La libertà, perciò, non è un diritto, ma una conquista; la libertà, inoltre, è un obiettivo a cui tendono le forze umane, indirizzate verso all'autoperfezionamento44. Sulla base di consuetudine, perciò, era "distrutta sistematicamente", perché identificata con l'ignoranza, l'arretratezza e l'"ossificazione". 43 Sull'influenza dell'Aufklärung e di Thomasius nella formazione della cultura giuridica russa cfr. M. Raeff, Les Slaves, les Allemandes et les Lumières, in Politique et culture en Russie 18-20 siècles, cit., pp. 115-117. Secondo Raeff, l'etica attivista e volontarista di Pietro il Grande e di Prokopovič accetta, sulla scia del pietismo stoico protestante, l'inettuabile effetto della "legge naturale" e la necessità di un'autorità politica "fondata sulla legge". 44 F.H. Strube de Piermont , Recherche nouvelle de l'origine et des fondements du droit de la nature, St. Petersbourg, Academie des Sciences, 1740, pp. 36-152. 15 questa concezione del diritto naturale, Strube de Piermont definisce "vaga e illusoria" l'idea di dispotismo forgiata da Montesquieu: la condotta "irregolare" del principe non determina la forma di governo; esistono, infatti, delle leggi fondamentali che limitano la "potenza" del sovrano. Riferendosi alla monarchie seigneuriale di Bodin, per Strube de Piermont, il dispotismo fissa la "qualità morale" della servitù: infatti, è "moralmente impossibile" realizzare l'uguaglianza nelle società civili; l'ineguaglianza è un "male necessario". Il legislatore, perciò, deve limitarsi a regolamentare, nel modo più conveniente e più conforme al vantaggio degli individui e della società, le relazioni servili. Per Strube de Piermont, Montesquieu ha confuso tra loro quattro forme di governo o quattro "diversi modi di governare": l'autentico dispotismo, la monarchia assoluta, il governo tirannico e il governo "barbaro" o irrégulier. Nel contesto di uno "Stato regolare", il dispotismo è una variante della monarchia assoluta: in tale contesto, la volontà sovrana non è limitata dalle leggi civili o politiche, ma è regolata dalle leggi divine e dalla ragione. La forma di governo della Russia, perciò, non era dispotica nel senso attribuito al termine da Montesquieu. La Russia, infatti, non era un Etat irrégulier, ma una monarchia "assoluta", nella quale i popoli erano governati secondo "le leggi e le regole" che il sovrano giudicava convenienti per il bene generale. Nel contesto politico-giuridico russo, non esistevano leggi o convenzioni che potessero limitare la "potenza" e l'"autorità" del legislatore45. Secondo Strube de Piermont, Pietro il Grande, 45 F. H. Strube de Piermont, Lettres russiennes: suivies de Notes de Catherine II, introduction et bibliographie C. Rosso; postface C. Biondi, Pisa, La Goliardica, p. 195. Le Lettres russiennes non possono essere considerate, come sostiene Ransel, un tentativo di "distruggere" Montesquieu ("mentore" di Caterina II), né sono un'opera di "propaganda" in difesa del governo russo contro i giudizi sfavorevoli degli stanieri. A tal proposito cfr. D.L. Ransel, The Politics of Catherianian Russia. The Panin Party, New Haven-London, Yale University Press, 1975, p. 48. Secondo Venturi, invece, Strube de Piermont sostiene l'idea della specificità "geografica" dell'assolutismo russo: la vastità dell'impero richiedeva un potere sovrano accentrato e assoluto. Tale idea era già stata formulata da Prokopovič, il quale affermava che solo un'autorità assoluta poteva compiere le riforme necessarie in campo sociale ed economico. L'incontro di 16 con la sua attività regolatrice, non aveva voluto modificare la forma di governo che si era storicamente instaurata in Russia. Tale forma di governo, infatti, aveva permesso allo zar riformatore di realizzare quelle "meraviglie" che avevano suscitato l'ammirazione dell'Europa. Sia pur nel loro laconismo, le annotazioni di Caterina II su una copia delle Lettres russiennes sono rivelatrici sia della rilettura di Montesquieu contenuta nel Nakaz, sia di una concezione del diritto e del potere sovrano che è peculiare del prosveščenie russo, ma non dei Lumières francesi46. Per Caterina II, Strube de Piermont aveva sostenuto una causa cattiva e, con uno stile "noioso", ingaggiato una "disputa scolastica". aveva Tuttavia la zarina condivideva le conclusioni delle Lettres russiennes: la forma di governo Despotique era consustanziale a un "grande impero" come quello russo, perché altrimenti sarebbe stato distrutto. Solo il governo dispotico poteva rimediare con la prontezza necessaria ai bisogni delle province lontane; tutte le altre forme di governo avrebbero minato, con la loro tortuosa prassi amministrativa, questa azione salutare. Era necessario, perciò, "pregare Dio", affinché i sovrani fossero sempre dei maîtres raisonnables che, conformente alle "leggi" e queste "due idee", per Venturi, è il "centro" della storia delle idee politiche all'epoca di Caterina II. Cfr. F. Venturi, Quelques notes sur le rapport de Horst Jablonowski, in Europe des Lumières. Recherches sur le 18 siècle, Mouton, Paris-Le Haye, 1971, p.280. 46 Sulle peculiarità del prosveščenie russo cfr. Ju.M. Lotman, Le caractère spécifique des Lumières russes, in L'Homme des Lumières de Paris à Pétersbourg. Actes du Colloque Internationale (Automne 1992), sous la direction de Philippe Roger, Napoli, Vivarium, 1995, pp. 321-331; Ju.M.Lotman e B.A.Uspenskij, Il ruolo dei modelli duali nella dinamica della cultura russa (fino alla fine del XVIII secolo), in La cultura nella tradizione russa del XIX e XX secolo, a cura di D'Arco Silvio Avalle, Torino, Einaudi, 1980, pp. 261275; V. Strada, Russia , in L'Illuminismo. Dizionario storico,cit., pp. 409-417. Nella cultura russa il termine illuminismo è reso con due parole prosveščenie e prosvetitel’svo che hanno un'unica radice in svet (luce). Prosveščenie significa anche istruzione, civiltà, cultura. Queste due parole non erano dei neologismi, ma furono utilizzati nell'epoca petrina per indicare l'attività politica a favore di una nuova cultura "europeizzata" che si poneva oltre la tradizionale ortodossia e concepiva se stessa come un "secondo battesimo della Rus'". All'epoca di Pietro il Grande si impose una sorta di "illuminismo pratico" volto alla realizzazione della "ristrutturazione" dello Stato. L'Illuminismo penetrò in Russia con il patrocinio dell'autocrazia e instaurò una nuova symphonia non più tra Stato e Chiesa ortodossa, ma tra Stato e cultura. 17 dopo "maturo esame", agissero unicamente in vista del "bene dei loro sudditi"47. 2. Il dispotismo russo e la legittimazione del colpo di Stato come successione al trono Nell'affrontare il nodo del dispotismo, Montesquieu non solo stabilisce una differenza sostanziale tra la Russia e il dispotismo orientale (epitomato dall'impero ottomano), ma considera la riforme di Pietro il Grande come un tentativo di liberarsi da una pseudomorfosi storica e politico-giuridica causata dalla conquista mongola. A partire da Pietro il Grande, la Russia aveva tentato di sortir du despotime, che si era rivelato un fardello più per il monarca stesso che per il popolo. Tuttavia le riforme avevano cominciato a far "conoscere le leggi", anche se erano state imposte da Pietro il Grande con la violenza e con metodi tirannici. Da un lato il "cambiamento" era risultato facile, perché i costumi, indotti dalla mescolanza delle nazioni e delle conquiste, erano estranei al "clima del paese": Pietro I aveva restituito costumi europei a una nation d'Europe. Il "cambiamento" operato da Pietro risultava, però, quanto mai problematico, perché lo zar aveva voluto modificare i costumi attraverso le leggi e non attraverso i costumi stessi: la legge non può essere un pur acte de puissance. Secondo Montesquieu, i popoli sono attaccati alle loro "consuetudini"; sradicarle violentemente significa renderli "infelici". Al contrario, era necessario introdurre nella società degli agenti di cambiamento che potessero modificare lentamente il tessuto profondo della società: una graduale metamorfosi della forma di governo risultava essere più efficace 47 Notes de Catherine II la Grande Impératrice de Russie griffonnées sur un exemplaire des Lettres russiennes, in F. H. Strube de Piermont, Lettres russiennes: suivies de Notes de Catherine II, cit., 18 dei metodi violenti che non solo erano "tirannici", ma "inutili"48. Dopo Pietro I, la fuoriuscita dal dispotismo sembrava impossibile: nel 1745, infatti, la zarina Elisabetta aveva, con un decreto, espulso gli ebrei dalla Russia, perché inviavano denaro all'estero. Le leggi della Russia impedivano la libera circolazione delle persone e delle merci e quel cambio della moneta che rende possibile il trasferimento di denaro da un paese all'altro49. La fatalità del dispotismo russo era attestata soprattutto dalla legge di successione al trono sancita, nel 1722, da Pietro il Grande. Abrogando la regola della primogenitura, la legge del 1722 si fondava su due caposaldi: per insediare un monarca era sufficiente la qualificazione legale; la scelta doveva cadere sul più "meritevole" (dostojnyj), quale imitazione di Pietro il Grande50. Feofan Prokopovič aveva difeso il diritto dello zar a modificare le regole della successione, perché le leggi fondamentali erano espressione della volontà del monarca51. Diversamente da Prokopovič, la "costituzione" del 1722, per Montesquieu, non solo non poteva essere rubricata come una legge fondamentale, ma il metodo sancito da Pietro il Grande poteva essere causa di "mille rivoluzioni", perché rendeva "arbitraria" la successione e "vacillante" il trono. Il popolo aveva il diritto di conoscere l'ordine della successione e il metodo più sicuro era quello della primogenitura: tale metodo inibiva gli "intrighi", soffocava "l'ambizione" e negava la possibilità 48 Montesquieu, De l' Esprit des lois, édition établie par L. Versini, Paris, Gallimard, 1995 , t. I, pp. 576578. A tal proposito cfr. D. Felice, Dispotismo e libertà nell'Esprit des lois di Montesquieu, in Dispotismo. Genesi e sviluppi di un concetto politico-filosofico, a cura di D. Felice, Napoli, Liguori, 2001, t. I, pp. 189255; R. Shackleton, Les moys "despote" et "despotisme", in Idem, Essays on Montesquieu and the Enlightenment, ed. by D. Gilson and M. Smith, Oxford, Voltaire Foundation, 1998, pp. 481-486. R. Minuti L'image de la Russie dans l'oeuvre de Montesquieu, http://old.sgu.ru/user/project/dokl_troickii.html. 49 Montesquieu, De l' Esprit des lois, cit. t. II, p.732. 50 Peter the Great: His Law on the Imperial Succession in Russia, 1722. The Official Commmentary Pravda Voli Monarshei Vo Opredelenii Naslednika Derzhavy Svoei, cit. 51 A tal proposito cfr. J. Berest, Feofan Prokopovich the Truth of Monarch's Will Russian Early Political Thought, http://ideahistory.org.rus/almanacs/alm16/05berest.htm; C.H. Whittaker, Chosen by "All the Russian People". The Idea of an Elected Monarch in Eighteenth-Century Russia, "Acta Slavica Iaponica", vol. 18 (2001), pp. 1-18. 19 di influire su un principe debole e di far "parlare i moribondi"52. Sebbene si considerasse una discepola di Montesquieu, Caterina II aveva mostrato di apprezzare la legge del 1722 e nel 1762 aveva conquistato il trono della Russia con un coup d'état, che non solo poneva dei dubbi sulla legittimità della sua ascesa potere, ma la faceva apparire come un'usurpatrice. A Parigi nell'ambiente dei philosophes circolava il manoscritto di Histoire ou Anecdotes sur la révolution de Russie en l'année 1762 di Rulhière, poeta ed ex segretario d'ambasciata a Pietroburgo. Caterina II aveva ordinato a Grimm, suo agente a Parigi, si impiegare tutti i mezzi possibili per far sparire il manoscritto. Per convincere Rulhière si era ricorso sia ad offerte di denaro (30.000 franchi), sia a minacce (incarcerazione alla Bastiglia). Anche Diderot era stato incaricato di dissuadere l'autore dal diffondere il proprio mascroscritto; tuttavia Rulhière lo aveva già letto al cospetto di d'Alembert, di Mme Geoffrin e di un "gran numero di persone". Come riferisce in una lettera a Falconet del maggio 1768, Diderot aveva cercato di convincere Rulhière a non far circolare il manoscritto, sostendo che era "infinitamente pericoloso" parlare dei sovrani: solo Caterina II, un "gran cervello di principessa" che suscitava l'ammirazione dell'Europa e faceva le délices della sua nazione, poteva giudicare se un'opera fosse offensiva o adulatrice. In ogni caso la calunnia era indegna di uomo onesto e che non era capace di dire "tutta la verità". Rispondendo a Diderot, Rulhière aveva affermato che il suo proposito era stato quello di soddisfare la curiosità dei suoi amici e che non avrebbe mai pubblicato il manoscritto. Tuttavia d'Alembert e Mme Geoffrin avevano mostrato di preferire la testimonianza oculare di Rulhière a tutte le "apologie" che circolavano su Caterina II. A tal proposito, Rulhière, citando La Rochefoucauld, aveva affermato che la sua opera non 52 Montesquieu, De l' Esprit des lois, cit, t.I, p. 179. 20 è una "bella confessione, ma è una bella vita". Secondo Diderot, la vanità avrebbe indotto Rulhière a pubblicare il manoscritto, per cui sarebbe stato più opportuno che fosse dato alle stampe con l'avallo di quel "gran cervello di principessa". L'affaire era molto "delicato" sia perché Rulhière non avrebbe ceduto il suo manoscritto, sia perché gli "anedotti" raccontati sembravano scaturire dalle indiscrezioni di "personaggi importanti" che facevano parte dell'entourage di Caterina II53 . In realtà, il libro fu pubblicato nel 1797, dieci anni dopo la morte di Rulhière. Nella lettera dedicatoria alla contessa di Egmont, Rulhière afferma di aver visto la Russia con gli "occhi" di Tacito: in quel vasto impero l'unica legge era la "volontà" del sovrano e l'obbedienza la sola "morale". Sebbene progredisse nella civilisation, la Russia forniva una faible idée di ciò che Roma era diventata al tempo della sua "rovina". Tuttavia mentre Nerone e Domiziano avevano ricondotto l'impero romano alla barbarie, gli zar, con il contributo degli "stranieri", tentavano di civilizzare il loro impero. Quest'opera civilizzatrice, però, risultava contradittoria e paradossale: volendo policier la Russia, gli zar avevano rafforzato il dispotismo. A riprova di ciò, Rulhière svela gli intrighi che avevano condotto alla deposizione e alla morte di Pietro III, nipote di Pietro il Grande e designato da Elisabetta come successore al trono. Caterina II aveva fatto credere all'aristocrazia e al popolo di volere sradicare il dispotismo, ma il suo unico scopo era la conquista del potere. Tuttavia la douceur del regno di Caterina II aveva introdotto la politesse in una nazione oisive e dissolue 53 54 . Nei suoi Mémoires, Caterina II, invece, accredita se D. Diderot,Correspondance,cit. p. 820. Cl. C. De Rulhière, Histoire de l’anarchie de Pologne et du démembrement de cette république. Suive des Anecdotes sur la Révolution de Russie en 1762, Paris, Ménard et Desenne fils, 1819. t. IV, pp. 300-322. Secondo Rulhière, il regno di Pietro III era stato un long festin al quale erano ammesse attrici e danzatrici straniere. In apparenza, Caterina era isolata e tranquilla e si faceva amare, perché era rigorosamente devota ai precetti e alla pratiche della religione ortodossa. In realtà, Caterina coltivava due liaisons inconnues che conducevano a due conjurations separate e distinte: la sollevazione della guardia di palazzo e la 54 21 stessa come il successore più "meritevole" di Pietro il Grande: Pietro III, infatti, non si sentiva nato per la Russia e non piaceva ai russi. Sebbene fosse una principessa tedesca, Caterina II descrive se stessa non solo come il sovrano più rappresentativo dello "spirito" della nazione russa, ma anche come quello più dotato di una "mentalità" filosofica in grado di avvicinarsi alla verità. Al contrario, Pietro III era un antiphilosophe e un "mentitore per principio". La filosofia aveva permesso a Caterina II di cogliere la "metamorfosi dello spirito umano" subita da Pietro III e di "prevenire il male e correggerlo"55: il potere assoluto dello zar era sconfinato nel "dispotismo". Nel manifesto del 28 giugno 1762, Caterina II legittimava la sua ascesa al trono affermando che il despota Pietro III aveva adottato un'altra fede religiosa, aveva concluso una pace con la Prussia che conduceva alla "schiavitù virtuale" della Russia e aveva distrutto l'"ordine interno" e l'"unità" del paese56. 3. Il sistema semantico-giuridico del Nakaz Il Nakaz intende legittimare Caterina II nel ruolo di successore più "meritevole", perché in grado di portare a compimento l'opera riformatrice convocazione dei "grandi" dell'impero. Con il sostegno del conte Panin (precettore del granduca Paolo, ex ambasciatore in Svezia dove aveva recepito le "idee repubblicane"), Caterina aveva redatto le condizioni con le quali i "grandi" dell'impero destituivano Pietro III e con una "elezione" formale attribuivano la corona alla stessa Caterina , sia pur con una "autorità limitata". Tale speranza coinvolse diversi nobili nella congiura e Caterina la usò come moyen de séduction. In Histoire de l'anarchie de Pologne, Rulhière compara l'etnogenesi , la cultura e il sistema politico dei polacchi e dei russi. I russi avevano conosciuto la societé policée solo sotto un padrone assoluto, anche perché aveano ricevuto dai greci degenerati una civilisation non dissimile dalla barbarie. Sebbene fossero trascorsi tre secoli dalla sua estinzione, Pietro il Grande, infatti, voleva restaurare l'impero bizantino, così come i barbari germani avevano usurpato il nome dell'impero romano e ne avevano rinnovato la potenza. 55 Mémoires de l'impératrice Catherine II écrits par elle-même et précédês d'un preface par A. Herzen, Londres, Truben & C., 1859, pp. 270-273. Nella sua prefazione, Herzen afferma che nelle memorie di Caterina II sono assenti sia la Russia, sia il popolo. Le riforme di Pietro il Grande avevano separato lo Stato dal popolo e non c'era nulla di "stabile": l'unica istituzione permanente erano i "colpi di Stato" e le "rivoluzioni di palazzo". L'Etat pour l'Etat era un mond à part nel quale si esercitava quella dictature impériale instaurata dal "terrorista" Pietro il Grande, che rappresentava se stessa come traditionelle e séculaire. Ponendosi nella scia di Pietro il Grande, la "dittatura imperiale" di Caterina II era tutt'altro che illuminata e il destino della Russia si era smarrito nelle ténêbres de l'alcôve. 22 iniziata da Pietro il Grande. L'articolo 7 del Nakaz, infatti, volge in positivo il giudizio espresso da Montesquieu nell' Esprit des lois e afferma che i cambiamenti operati dalle riforme di Pietro il Grande in Russia erano "riusciti", perché avevano introdotto costumi e abitutini conformi allo spirito europeo della nazione. Le riforme petrine avevano ricondotto la Russia alla "situazione naturale" di "potenza europea"57. Il sistema giuridico-semantico del Nakaz poggia su questa proposizione ed è la codificazione di una geofilosofia del diritto volta a legittimare l'autocrazia russa come forma di governo europea. Come ha sottolineato Marc Raeff, quest'opera di codificazione risente delle "ambiguità" e delle "contraddizioni" del lessico politico e giuridico russo58. Nella Russia imperiale il diritto (pravo) era opposto alla giustizia (pravda) e la legge (zakon) alla legalità (zakonnost'). Il popolo russo ammetteva l'esistenza della giustizia, ma non riconosceva la legge ed era privato di diritti (prava). Dal canto suo, l'autocrazia riconosceva la legge senza ammettere i diritti: la legislazione era la collezione degli atti del potere autocratico che agiva per decreto (ukaz). Tale ambivalenza, secondo Raeff, pone un "problema affascinante", quello dello "studio critico del carattere" del potere autocratico nella cultura politico-giuridica russa. 56 C.H. Whittaker, Chosen by "All the Russian People". The Idea of an Elected Monarch in EighteenthCentury Russia, cit. p.16. 57 Nakaz Komissii o sostavlenni proekta novogo Uloženija, sostavlennyj Ekaterinoj II, in Konstitucionnye proekty v Rossii XVIII-načalo XX v., ot. red. S. Bertolissi -A.N. Sacharov, Moskva, Institut rossijskoj istorii RAN, 2000, p. 248. 58 Cfr. M. Raeff, Codification et droit en Russie impériale. Quelques remarques comparatives, in Politique et culture en Russie 18-20 siècles, cit. pp. 51-60. Secondo Raeff, il periodo che va dal 1740 (Codex Fridericiani) al 1830 può essere considerato l'"apogeo" dell'attività codificatrice in Europa. Tale periodo è inaugurato dal "pragmatismo" giuridico dei Lumi, che ha radici nel giusnaturalismo del XVII secolo. Secondo i "giuristi pragmatisti", la regolarità dei fenomeni naturali implica delle leggi immutabili che l'uomo civilizzato deve scoprire. Sulla base di questo principio, il pragmatismo giuridico cercava delle "formule esatte" e utili per definire il rapporto tra privilegi e obblighi. La sistematizzazione del diritto, infatti, doveva garantire l'equilibrio "dinamico" tra i droits individuali e la stabilità del corpo sociale strutturato. La stabilità del codice e la non ingerenza del potere sovrano del legislatore era la necessaria premessa di quel processo che avrebbe condotto all'affermazione del Rechtstaat e all'eliminazione del Machtspruch. In Russia, invece, il Machtspruch imperiale continuò ad avere un valore normativo in tutti gli ambiti della vita giuridica. 23 L'ambivalenza semantica sottolineata da Raeff è presente anche nel Nakaz che parte dall'assunto che la Russia è situata in Europa: la codificazione delle leggi deve far riferimento anche alle fonti europee, rendendole conformi, però, alla natura del popolo russo. L'Esprit des lois e Dei delitti e delle pene di Beccaria sono per Caterina le fonti europee per legittimare l'autocrazia russa. Nell'articolo 9 del Nakaz, infatti, il "sovrano" (gosudar') è definito samoderžavnyj (autocrate), perché l'autocrazia (samorderžavie) era confacente ad un vasto impero che richiedeva un potere unico e personale (osobe vlast') incarnato dal sovrano59. La traduzione in francese, invece, appare tautologica (le Monarque de Russie est Souverain) e introduce i termini monarchie e monarque (per omolgare l'autocrazia alle forme di governo europee) che non compaiono nel testo russo: all'epoca il termine monarchija non era di uso corrente60. Sebbene non abbia stilato il Nakaz per modificare l'immagine della Russia raffigurata da Montesquieu 61 , Caterina II non usa mai il termine dispotismo, considerandolo un retaggio della Moscovia. Pietro il Grande aveva, con "facilità" reciso il legame con questo oscuro passato, riconducendo la Russia in Europa. Come dimostrava l'esempio di Pietro I, in un grande impero come la Russia l'autorità sovrana Nakaz Komissii o sostavlenni proekta novogo Uloženija, sostavlennyj Ekaterinoj II, in Konstitucionnye proekty v Rossii XVIII-načalo XX v, cit. , p. 249. Sul concetto di gosudarstvo cfr. O. Kharkhodin, What is the State? The Russian Concept of Gosudarstvo in the European Context, "History and Theory", 40 (May 2001) , pp. 206-240. Il termine russo gosudarstvo significa Stato e deriva da gasudar', termine equivalente al latino dominus: il gosudarstvo dello zar era, perciò, generalmente interpretato come il "suo stato". Nel XVIII secolo il servizio allo zar fu gradualmente interpretato come servizio alla "patria" in nome del "bene comune". La svolta decisiva fu impressa nel 1721 quando Pietro il Grande assunse il titolo di "imperatore" e, a imitazione degli imperatori romani, fu proclamato pater patriae. Per Prokopovič, l'imperarore può legiferare non solo per il bene delle patria, ma anche per il "benessere comune". 60 A.B. Kamenskij, Ot Petra I do Pavla I.. Reformy v Rossii XVIII v. Opyt celostnogo analiza, cit., pp.242243; A. Nivière, Traduttore traditore ? Le Nakaz de Catherine II ou la genèse du vocabulaire politique en Russie, paper presentato al Colloque international (13-15 novembre 2003) di Nancy Langues et société de l'Europe. Quelques remarques comparatives. Secondo Breuillard, le traduzioni di Caterina non solo sono "imprecise", ma sono un'opera di russificazione del lessico politico illuminista. Cfr. J. Breuillard, Catherine II traductrice: le Bélisaire de Marmotel, in Catherine II et l'Europe, cit. , pp. 71-84. 61 A. Lortholary, Les "Philosophes" du XVIIème siècle et la Russie: le mirage russe en France au XVIIIème siècle, cit., p. 104. 59 24 era una necessità demiurgica sia perché garantiva l'immediatezza delle decisione politica e legislativa, sia perché era "meglio obbedire alle legge sotto un solo Signore che dipendere da molti" 62. L'esercizio della sovranità deve essere rivolto a dirigere l'azione umana verso il più grande di tutti i beni: la "libertà naturale", che risponde meglio alle esigenze degli "esseri ragionevoli" e al fine che essi si propongono nell'istituire delle "società civili". L'altro obiettivo del governo monarchico è la "gloria" (slava) dei cittadini, dalla quale risulta quello "spirito di libertà" che può produrre "grandi cose". La monarchia autocratica descritta da Caterina II sembra animata da un "desiderio di vera gloria" che, invece, Montesquieu pone tra quelle virtù eroiche che risalgono ad epoche immemorabili. Nelle monarchie, per Montesquieu, l'honneur supplisce a quelle virtù politiche che sono il "principio" della democrazia e dell'aristocrazia. Nelle monarchie, infatti, l'onore prende il posto della virtù politica e può ispirare le "azioni più belle": corroborato dalla "forza delle leggi", l'onore al pari della virtù, può condurre a buon fine l'azione del governo monarchico63 . La natura precipua dell'onore è quella di stabilire "preferenze e distinzioni"; l'onore, perciò, non può essere il principio del dispotismo che è fondato sulla "paura" e sull'uguaglianza forzata stabilità dalla schiavitù generalizzata. Nel capitolo XXV del Nakaz dedicato alla nobiltà Caterina II afferma che l'onore (čest') è il principio dell' aristocrazia russa, che ottiene dei privilegi in virtù del proprio "merito": l'onore e il merito possono innalzare il popolo al rango della nobiltà. L'onore prescrive l'amore per il proprio paese, lo zelo per il servizio reso allo Stato e obbedienza e fedeltà al sovrano. L'onore della nobiltà era, perciò, strettamente legato al servizio di Stato istituzionalizzato Nakaz Komissii o sostavlenni proekta novogo Uloženija, sostavlennyj Ekaterinoj II, in Konstitucionnye proekty v Rossii XVIII-načalo XX v, cit. , p. 249. 62 25 da Pietro il Grande nel 1722 con l'introduzione del čin (Tavola dei Ranghi). Questa definizione giuridica dell'onore e del ruolo dell'aristocrazia suscitò, nell'ambito della Commissione legislativa, le proteste dell'opposizione nobiliare che presentò dei propri cahiers des doléances64 . Nella più antica raccolta russa di norme giuridiche, Russkaja Pravda, il danno inferto all'onore viene considerato un delitto e forgia una sorta di "semiotica cavalleresca dell'onore", che riguardava quella parte della società russa che si riconosceva dotata di "valore sociale". Come sottolinea Lotman, nel modello russo settecentesco l'onore era uno dei punti fermo nella "morale di casta dell'artistocrazia (cfr. il ruolo che le costruzioni politiche di 63 Montesquieu, De l' Esprit des lois, cit, pp. 122-123. A tal proposito cfr. M. Raeff, La Russia degli zar, Roma-Bari, Laterza, pp. 88-92; F.-X. Coquin, La Grande Commission législative (1767-1768). Les cahiers des doléances urbaines, cit.; M. Heller, Histoire de la Russie et de son empire, Paris, Flammarion, 1997, pp. 558-561. Il principe Michail Ščerbatov, ideologo dell'opposizione aristocratica a Caterina II, in Zamečanija na Bol'šoj Nakaz Ekateriny, (50 pagine scritte nel 1772/73 e pubblicate nel 1935) afferma che Caterina II, pervertendo le idee di Montesquieu, aveva sostenuto la causa del dispotismo e deprivato la nobiltà dei suoi diritti. La critica di Ščerbatov è diretta contro i princìpi fondamentali della filosofia politica di Caterina II sanciti dagli articoli 9 e 11 del Nakaz: il "potere autocratico" (samoderžavnaja vlast') non differisce dal "potere arbitrario" (samovlastie) e dal dispotismo (despotičestvo). Ščerbatov dissente anche da Montesquieu quando afferma che un grande impero presuppone il governo di un'autorità "dispotica" (De l'Esprit de lois, VIII, 19): per il principe russo, invece, quella repubblicana (come dimostra la storia romana) è la forma di governo più vantaggiosa per un vasto impero. Lo stesso Ščerbatov, in O proveždenii nravov v Rossii (edito da Herzen nel 1858), afferma che Pietro il Grande, imitando le nazioni europee, aveva corrotto i semplici e morigerati costumi dell'antica nobiltà russa, introducendo il "sensualismo" e la "lussuria". Ponendosi nella scia di Pietro il Grande, Caterina II (che non era di sangue reale) aveva deposto Pietro III con una "insurrezione armata", originata dall' "amore per la gloria" (slavoljubju). L'intero regno di Caterina II era stato stigmatizzato da questo atto originario. I progetti politici di Caterina II erano, perciò, basati sull'amore per la gloria: l'imperatrice, infatti, aveva preferito la guerra contro l'impero ottomano al proseguimento dei lavori della Commissione legislativa. Tale Commissione, inoltre, non era stata istituita per il bene della nazione, ma era pura apparenza, quale "simbolo" della vanagloria della zarina che prediligeva l'"ostentazione" e il "servilismo". Cfr. M.M. Shcherbatov, On the Corruption of Morals in Russia, ed. A. Lentin, Cambridge, Cambridge Universiry Press, 1969, pp. 234-254. Sul pensiero e l'opera di Ščerbatov cfr. A. Lentin, Shcherbatov. Some further Thoughts on his Life and Work, in Literature, Lives and Legality in Catherine's Russia, ed. A.G.Cross and G.S. Smith, Nottingham, Astra Press, 1994, pp.67-78; G.I. Leonard, M.M.Shcherbatov: an asssessment, in Literature, Lives and Legality in Catherine's Russia, cit., pp. 61-66. Isabel de Madariaga ha confrontato la confutazione di Ščerbatov con le Obervations sur le Nakaz. La critica di Ščerbatov riflette il punto di vista del "costituzinalismo aristocratico" e non attribuisce al Nakaz il valore di codice. Per Diderot, invece, il Nakaz era un codice di leggi, anche se l'instaurazione di un governo che garantisse la legalità, la libertà e la proprietà era ancora un lontano "ideale". Cfr. I. de Madariaga, Catherine II and Montesquieu between Prince M. M. Shcherbatov and Denis Diderot, in L'età dei Lumi. Studi storici sul Settecento europeo in onore di Franco Venturi, Napoli, Jovene, 1985, vol. II, pp. 610-650. 64 26 Montesquieu assegnano all'onore nel regime monarchico)"65. L'autentica monarchia, secondo Montesquieu, si distingue dal dispotismo per la presenza di leggi fondamentali (compresa la legge di successione), di povoirs intermediaires subordonnés et dependans e di canaux par où decoule la puissance e un dépôt des loix. La monarchia policé russa sembrava rispondere a questi requisiti, perché come recita il Nakaz i pouvoirs intermédiaries costituiscono la "natura" del governo, anche se la "fonte" del potere politico e civile è il sovrano (gosudar'). La "potenza sovrana", inoltre, si comunica attraverso dei canaux moien rappresentati dai tribunali. Il depôt des loix è incarnato dal Senato, quale "istituzione particolare" che deve fare "osservare la volontà del sovrano conformemente alle leggi fondamentali e alla costituzione dello Stato"66. Sebbene la "sicurezza della costituzione dello Stato" discenda dalla "volontà sovrana", Caterina II afferma, con Montesquieu, che la legge non è un "puro atto di potenza", perché la legislazione e l'opera del legislatore deriva dallo spirito generale della nazione: l'uguaglianza dei cittadini consiste nell'essere sottomessi alla medesima legge. Il Nakaz, perciò, avrebbe dovuto sancire la definitiva fuoriuscita della Russia dal "dispotismo moscovita" descritto da Montesquieu, anche, se nel contempo si inseriva, in una concezione della sovranità e del diritto che trovava la propria legittimazione in quella volontà sovrana che è un "canone in materia di diritto pubblico russo"67 e che era stato codificato da Prokopovič e da Strube de Piermont. 65 Ju. M. Lotman, L' opposizione " onore-gloria" nei testi profani del periodo di Kiev, in Ju.M. LotmanB.A. Uspenskij, Tipologia della cultura, cit. p. 266. 66 Nakaz Komissii o sostavlenni proekta novogo Uloženija, sostavlennyj Ekaterinoj II, in Konstitucionnye proekty v Rossii XVIII-načalo XX v, cit. , pp. 251-252. 27 4. La difesa del Nakaz: l'Antidote Come sottolinea Carrère d'Encausse, il "silenzio" di Montesquieu sulla Russia (pervertita dai popoli conquistatori) fornisce a Caterina II il mezzo per utilizzare De l'Esprit des lois a sostegno delle proprie tesi68. Alcuni silenzi ed espressioni laconiche della stessa imperatrice contenute nel Nakaz si chiariscono dal momento in cui la legislatrice si trasforma in polemista. Nel 1768 l'abate astronomo Jean Chappe d'Auteroche pubblicò Voyage en Sibèrie fait par ordre du roi en 1761. Oltre a riportare le sue osservazioni di viaggio, Chappe d'Auteroche traccia un quadro della storia politica russa dall'861 al 1767, pervendo alla conclusione che la Russia è stata governata da souverains despotes. Lo stesso Pietro il Grande era stato un tyran despote, perché il suo progetto di riforma e di civilizzazione della Russia aveva stretto ulteriormente les liens de l'escalvage. Il trono era conquistato con l'intrigo e in base al "diritto del più forte", come attestava anche l'ascesa al potere di Caterina II. Nonostante ciò, l'abate non formulava un giudizio negativo sull'azione riformatrice dell'imperatrice e auspicava che fosse accordata la libertà alla nobiltà69. Caterina II ingaggiò un duello letterario e politico con l'abate, pubblicando anonimo il pamphlet intitolato Antidote (1770), che può essere considerato sia come una cesura con la stratégie de seduction nei confronti dei philosophe70, sia come la difesa del Nakaz e del sistema politico russo. Secondo Caterina II, l'esperienza storica mostrava che la Russia aveva accresciuto la propria "potenza" e "forza" in virtù della sua forma di governo. A tal proposito Caterina II si riferisce 67 M. Raeff, La Russia degli zar, cit. p. 49. H. Carrère Encausse, Introduction , in L'Imperatrice et l'Abbé. Un duel littéraire inédit entre Catherine II et l'Abbé Chappe d'Auteroche, cit., p. 27. 69 J. Chappe d' Auteroche, Voyage en Sibèrie, in L'Imperatrice et l'Abbé. Un duel littéraire inédit entre Catherine II et l'Abbé Chappe d'Auteroche, cit. , pp. 143-160. 70 Cfr. A. Monier, Catherine II pamphlétaire. L'Antidote, in Catherine II et l'Europe, cit., pp. 53-69. 68 28 esplicitamente al capitolo XI del Nakaz nel quale è sancito che la "società civile" esige un determinato "ordine": tale ordine è caratterizzato dal comando e dall'obbedienza. L'origine di ogni sorta di dipendenza deriva dalla divisione tra coloro che governano e comandano e coloro che obbediscono. Tuttavia la legge naturale impone al sovrano di contribuire al benessere dei sudditi e di evitare di ridurli allo "stato di schiavitù", a meno che la "necessità" non lo richieda. D'altro canto, però, le leggi civili, senza essere troppo "severe", devono impedire gli abusi e i pericoli. A tal proposito, il Nakaz rinvia ad una legge emanata da Pietro I nel 1722 che interdiva gli "insensati" che tiranneggiavano i loro servi. Era necessario, però, prevenire le rivolte dei servi contro i loro padroni, anche se non era possibile ovviare per legge a simili inconvenienti. Per reprimere la rivolta contadina guidata da Pugačëv, Caterina II, infatti, utilizzò gli strumenti eslege della repressione violenta71. Polemizzando con Chappe d'Auteroche, Caterina II afferma ironicamente che la monarchia francese, doux et modéré, aveva proibito la pubblicazione e la diffusione del Nakaz. Tale proibizione smascherava il vero carattere del governo francese che era purement despotique. Secondo Caterina II, il dispotismo è una forma di governo nella quale la volontà "momentanea" e non codificata di uno solo decide. Nel caso della Russia, invece, la decisione sovrana non era arbitraria, ma era "conforme" alla legge. A tal proposito, Caterina II traccia una sorta di genealogia del diritto russo per dimostrare che l'autocrazia era un governo "réglé" come le altre monarchie d' Europa. Con il battesimo della Russia e con il cristianesimo era stato introdotto il diritto romano, che era parte integrante delle leggi della Chiesa. Nel XIII secolo Jaroslav II aveva fatto Nakaz Komissii o sostavlenni proekta novogo Uloženija, sostavlennyj Ekaterinoj II, in Konstitucionnye proekty v Rossii XVIII-načalo XX v, cit., pp. 264-266. 71 29 redigere il primo codice che era un calco delle antiche leggi di Novgorod. La Moscovia era entrata nell'età moderna nel 1550 quando Ivan il Terribile aveva sancito un nuovo codice legale (Sudebnik) che intendeva instaurare l'uniformità dell'ordine giuridico e introduceva una riforma amministrativa72. Nel 1649 Aleksej Romanov (padre di Pietro il Grande) aveva emanato un altro codice (Uloženie, rimasto in vigore fino al 1833), che fissava i doveri della società verso lo Stato, metteva ordine nel sistema di governo e legava definitivamente i contadini alla terra73. L'Uloženie era stato redatto con il contributo dello zemskij sobor, che era anche all'origine dell'elezione di Michail, primo zar della dinastia Romanov. Chappe d'Auteroche aveva definito riduttivamente lo zemskij sobor un'"assemblea dei principali boiari", mentre per Caterina II rappresentava lo spirito della nazione che si era "radunato" per salvare la patria e, dopo il periodo dei "torbidi", aveva scelto Michail Romanov74. Chappe d'Auteroche, inoltre, aveva descritto la presa del potere di Elisabetta nel 1741 come un roman, come una congiura di palazzo contro il partito tedesco guidato dall'imperatrice Anna. Per Caterina II, Elisabetta non aveva preso il potere "a mano armata" (come Maria de Medici e Anna d'Austria), ma era stata "scelta dal popolo" e aveva ascoltato la "voce del popolo". Elisabetta, infatti, aveva convocato il Senato e il Santo Sinodo che avevano legittimano il primo manifesto della zarina e il suo "giuramento di fedeltà". In tal modo Caterina II intendeva legittimare anche la sua discussa ascesa al trono: Elisabetta, figlia di Pietro il Grande, era ascesa alla dignità imperiale perché era "sicura" dei suffrages de toute la nation. Quando lo Stato era in pericolo si sentiva il cri général de la nation, 72 M. Heller, Histoire de la Russie et de son empire, cit , p. 194. Ivi, pp. 334-335. 74 Antidote ou examen du mauvais livre superbement imprimé intitulé Voyage en Sibérie, in L'Imperatrice et l'Abbé. Un duel littéraire inédit entre Catherine II et l'Abbé Chappe d'Auteroche, cit. , p. 412 73 30 quale adunanza di tutti gli "spiriti" che volevano la conservation de la patrie: quando tutti gli "spiriti" concordavano su questo punto la révolution era "prossima"75. Nel XVIII secolo il pensiero politico e giuridico russo confermava la dottrina formulata da Prokopovič: il potere deriva da Dio, ma sulla terra trova la propria legittimazione nel popolo, che, come soggetto del contratto sociale, trasferisce l'autorità politica nelle mani del monarca. Per sostituire uno zar che governava "ingiustamente" occorreva il "consenso" popolare, al fine designare la persona più "meritevole". Sebbene guidasse l'opposizione nobiliare nell'ambito della Commissione legislativa, il principe Ščerbatov, storico e pensatore politico, affermava che in Russia il sovrano ascendeva al trono o per "elezione" o per "diritto di nascita". I testi politico-giuridici ritenevano che quando la successione al trono non era chiara, per mancanza di istruzioni esplicite, si doveva "tornare" al popolo che aveva la "libertà naturale" di scegliere il proprio sovrano76. L'ascesa al trono di Elisabetta e di Caterina II, perciò, non era una cabale di "intriganti" e méchants perché la congiura, soprattutto se debole e senza effetto, è destinata a "fallire". A conferma di questo principio codificato dal diritto pubblico russo, Caterina II afferma di essere il sovrano più "meritevole" e chiama a testimone lo stesso Chappe d'Auteroche che aveva intessuto l'elogio dell'allora gran-duchessa, apprezzandone la "tranquillità": in mezzo ai "tumulti" della corte, la futura imperatrice coltivava "le scienze, le arti e le lettere". La stessa Caterina porta a compimento questo panegirico, affermando di aver fornito a Pietro III i consigli più "sensati", che, però, erano risultati inutili e nocivi per lei stessa. Caterina II si era trovata, perciò, di fronte a un aut-aut: condividere i malheurs di un marito che la odiava e 75 Ivi, pp. 426-427. 31 che era incapace di seguire i buoni consigli o salvare l'impero, che riponeva le proprie speranze in lei77. La genealogia del diritto russo tracciata da Caterina II non sembra collimare con la versione di Voltaire, secondo la quale la Russia di Pietro il Grande era uscita dal "nulla" e aveva raggiunto con un balzo lo stadio della civilisation. Con il secondo tomo dell'Histoire de l'empire de Russie (pubblicato nel 1763), Voltaire aveva forgiato un'immagine ideale della Russia, che fu utilizzata per "distruggere" l'opera di Chappe d'Auteroche78. Pietro I, legislatore e génie, aveva forzato la natura con un atto creatore e la sua opera, secondo Voltaire (che riprende in parte Prokopovič), simboleggia il trionfo della volontà sovrana. Secondo Voltaire, il padre di Pietro il Grande, Aleksej, con l' Uloženie aveva tentato di imporre alla Russia un'uniformità giuridica, ma l'edificio dello Stato crollava "da tutte le parti". Nei suoi viaggi in Europa, Pietro il Grande aveva "ammassato" dei materiali per ricostruire il grande edificio dello Stato e, pur prendendo ciò che era più "conveniente" dalle istituzioni dei principali Stati europei, aveva "creato tutto", redigendo leggi e regolamenti e imponendo alla Russia una métamorphose étonnante. Pietro il Grande aveva amato la "gloria" e l'aveva posta al servizio del "bene" e aveva "forzato la natura" del suo paese per abbellirlo. Le "leggi" e gli altri fondamenti della vita pubblica si erano "perfezionati" e tale opera di perfezionamento era proseguita con i successori di Pietro il Grande. Nella prefazione "storica e critica" dell'edizione del 1775 dell'Histoire de l'empire de Russie, Voltaire afferma che gli étonnant progrès di Caterina II e della "nazione russa" erano la prova 76 C.H. Whittaker, Chosen by "All the Russian People". The Idea of an Elected Monarch in EighteenthCentury Russia, cit., p. 5. 77 Antidote ou examen du mauvais livre superbement imprimé intitulé Voyage en Sibérie, in L'Imperatrice et l'Abbé. Un duel littéraire inédit entre Catherine II et l'Abbé Chappe d'Auteroche, cit. p. 436. 78 M. Marvaud, Introduction à Histoire de l'empire de Russie sous Pierre le Grand, in Voltaire, Anecdotes sur le czar Pierre le Grand. Histoire de l'empire de Russie sous Pierre le Grand , Oxford, Voltaire Foundation, 1999, The Complete Work of Voltaire, vol. 46, p. 153. 32 "evidente" che Pietro il Grande aveva costruito il suo impero "su fondamenta stabili e durature"79. Partendo da questo assunto, Voltaire polemizza aspramente con il visionnaire Rousseau che aveva predetto in Du contract social (o insocial) che l'impero russo era destinato a crollare80. Per Rousseau, infatti, Pietro il Grande non era un autentico legislatore e un vero genio che aveva creato tutto dal nulla, ma un génie imitatif che aveva preso delle decisioni "intempestive". Pietro I, infatti, non aveva atteso che sopraggiungesse il periodo di maturità della Russia e aveva incivilito troppo "presto" un popolo "barbaro". L'intempestività dello zar avrebbe prodotto delle conseguenze catastrofiche sul piano geopolitico e, a tal proposito, Rousseau vaticinava una "rivoluzione inevitabile": la Russia voleva "soggiogare" l'Europa, ma sarebbe rimasta soggiogata dai "tartari" che sarebbero diventati i padroni dell'intero continente europeo81. Sebbene il Nakaz non citi espressamente il Contrat social, Caterina II si contrappone polemicamente a Rousseau affermando che l'autocrazia illuminata era la migliore forma di governo europea e che Pietro il Grande aveva liberato la Russia dal "costume" asiatico: lo zar riformatore era un monarca che incarnava lo spirito della nazione. Caterina II, inoltre, interpretava la geopolitica della catastrofe vaticinata da Rousseu come un appello a una "crociata contro la Russia" ed era convinta che la propaganda di questa idea avrebbe potuto avere successo, quale conseguenza delle guerre di conquista e delle spartizioni della Polonia82. Nell'Antidote, Caterina II polemizza 79 Voltaire, Histoire de l'empire de Russie sous Pierre le Grand, in Idem, Anecdotes sur le czar Pierre le Grand. Histoire de l'empire de Russie sous Pierre le Grand, pp. 385-86. 80 Ivi, p. 384. 81 J.J. Rousseau, Du Contract social, in Oeuvres completes, Paris, Gallimard, 1964, vol. III , p. 386. Sull'infondatezza dell'"oscura profezia" di Rousseau cfr. R. Minuti, Oriente barbarico e storiografia settecentesca. Rappresentazioni della storia dei Tartari nella cultura francese del XVIII secolo, Venezia, Marsilio, 1994, p.110. 82 Ju. M. Lotman , Rousseau e la cultura russa del XVIII secolo , in Idem, Da Rousseau a Tolstoj. Saggi sulla cultura russa, cit., pp.74-75. 33 indirettamente con Rousseau quando afferma, ironicamente, che le leggi più crudeli della giustizia criminale russa erano una "imitazione" delle cattive legislazioni delle nazioni europee. Queste ultime, invece, se fossero state "sagge" avrebbero dovuto "imitare" la legislazione criminale introdotta dal capitolo X del Nakaz83. Il nuovo codice dimostrava, inoltre, quanto fosse arbitraria l'affermazione di Voltaire, secondo la quale la Russia non era governata dai "costumi", ma dai supplices, dai quali nasceva la "servitù". Diversamente da quanto sosteneva il grand homme e ami de la vérité, la Russia era un paese che più di ogni altro governato dai costumi e dalle consuetudini: all'inizio del XVIII secolo, infatti, la riforma di questi costumi erano costate molte "pene"84. Il giudizio di Voltaire era stato ripreso da Chappe d'Auteroche che si ostivana ad attribuire l'"odiosa denominazione di despota" ai sovrani della Russia. La Francia era stata governata da Richelieu (Luigi XIII era solo il prestanome) con uno "scettro di ferro"; il cardinale aveva regnato despotique-tyranniquement, soggiogando la Francia con il "supplizio" e l'"esilio". In Russia, il sovrano emanava quelle leggi che venivano presentate dal Senato, evitando che si sollevassero delle remonstrances. In Francia, invece, i parlamenti potevano rifiutarsi di accettare le cattive leggi, giudicando se quest'ultime fossero conformi o difformi dalle leggi fondamentali. In realtà, le leggi fondamentali francesi erano un problema perpetuamente en dispute e il re i suoi ministri risolvevano questi conflitti con la Bastiglia. Sebbene l'abate difendesse la forma di governo francese che indirizzava l'uomo verso "l'onore, la gloria e 83 Per quanto riguarda la legislazione sui "delitti" e sulle "pene", secondo Franco Venturi, Caterina II utilizza e modifica l'opera di Beccaria per giustificare la propria politica. Nel reprimere le rivolte contadine e il dissenso intellettuale, Caterina II era ispirata da una "volontà ben diversa" da quella che aveva animato il Nakaz. Cfr. F. Venturi, Beccaria in Russia, "Il Ponte", a. XI, n. 2, febbraio 1953, pp. 168-169. 84 Antidote ou examen du mauvais livre superbement imprimé intitulé Voyage en Sibérie, in L'Imperatrice et l'Abbé. Un duel littéraire inédit entre Catherine II et l'Abbé Chappe d'Auteroche, cit. , p. 414. 34 il coraggio", la Russia non poteva importare questo èvangile des lois. L'onore, la gloria e il coraggio, tre virtù che destavano l'ammirazione di tutta Europa e della gente saggia, erano contemplate dal Nakaz ed erano diventate legge: in Francia, invece, il Nakaz era "proscritto". La Francia si cullava nella "chimera" di essere il centre de la liberté e relegava nell'impolitesse le altre nazioni. La declamazione della libertà, affidata alla propaganda di oratori e preti, impediva di resistere a queste "testimonianze così unanimi". Caterina II afferma, ironicamente, che in Francia i potenti comandavano par invitation e riducevano il popolo all'obbedienza con la masque de la douceur et le langage de la politesse. Con un coup d'oeil philosophique, Caterina II aveva esaminato "scrupolosamente e senza passione" il libro di Chappe d'Auteroche e ne aveva tratto la conclusione che era l'opera "meno filosofica" che si potesse stampare. L'Academie royale des sciences che aveva approvato la pubblicazione del Voyage en Sibérie sembrava, perciò, un consulto di "medici nelle commedie di Molière".Tra questi ultimi spiccava l'"illustre" d'Alembert che aveva approvato la pubblicazione di un "cumulo di inezie, di contraddizioni, di calunnie, di banalità, di assurdità e di animosità". D'Alembert era il "primo geometra d'Europa", un "genio sublime", un "amico della verità" e l'"ornamento del secolo". Nonostante ciò l'"illustre" philosophe si era permesso di prestare il proprio nome a un abate privo di "senso comune", che smerciava la sua "ciarlataneria"85. La Francia non era, perciò, il "centro della libertà", ma della decadenza della philosophie: la capitale del XVIII secolo non era più Parigi, ma Pietroburgo. Nell'interpretazione di Caterina II, il Nakaz era il nuovo nomos dei Lumi e definiva una diversa geo-filosofia del diritto e della civiltà. 85 Ivi, pp. 334-336. 35 5. Diderot, Voltaire, Rousseau e la Russia In una lettera a Grimm del 4 marzo 1771, Diderot definisce l'Antidote il "libro più cattivo", per il suo tono "meschino" , e il più "assurdo" per le sue pretese. L'Antidote, infatti, sosteneva che i russi erano il popolo più "saggio", il più policé, il più ricco e il più numeroso della terra. Diderot ignorava che Caterina II fosse l'autrice del libro e ne attribuiva la paternità allo scultore Falconet che si trovava a Pietroburgo per realizzare la statua equestre di Pietro il Grande86. Oltre al monumento al cavaliere di bronzo, Falconet, per "piaggeria", aveva innalzato un monumento di carta all'autocrazia russa che era più "spregevole" degli errori e delle menzogne di Chappe d' Auteroche87. Prima di intraprendere il suo viaggio a Pietroburgo, Diderot, pur essendo un intellettuale enroleur come attaché culturale di Caterina II in Francia, formulava un giudizio negativo sulla pretese filosofiche ed egemoniche dell' Antidote: Pietroburgo non era il nuovo centro di irradiazione dell'Illuminismo politico e giuridico. Come attesta una lettera a Voltaire del 29 settembre 1762, Diderot declina l'invito di Caterina II di trasferire l'entreprise dell' Encyclopédie a Pietroburgo88. L' immagine negativa della Russia si può trarre, anzitutto, dalla corrispondenza di Diderot e soprattutto dalle lettere a Sophie Vollad: lo stesso philosophe definisce queste lettere radotage philosophique e causeries storico-politiche. 86 Cfr. J-Cl. Bonnet, Diderot et Falconet: le cavalier de bronze e la pyramide, in L'Homme des Lumières de Paris à Pétersbourg, cit. pp. 51-61. 87 D. Diderot, Correspondance , cit. p. 1059. Secondo Gianluigi Goggi, il giudizio di Diderot sulla Russia è stato influenzato dall'opera di Chappe d'Auteroche. Soprattutto nel frammento Sur la Russie (1772), Diderot prende le mosse dalle critiche di Chappe indirizzate all'opera di Pietro il Grande e dei suoi successori, che avevano innalzato l'edificio della civilisation a partire dall'alto e non dalle fondamenta. Cfr. G. Goggi, Alexandre Deleyre et le Voyage en Sibérie de Chappe d'Auteroche: la Russie, le pays du Nord et la question de la civilisation, in Le Mirage russe au XVIIIème siècle, cit., p. 84. 88 Ivi, p. 449. Alla fine del suo soggiorno in Russia, Diderot discusse con Caterina II la possibilità di una riedizione dell'Encyclopedie a Pietroburgo. L'affare fu trattato da Beckij, una sorta di ministro della cultura dell'imperatrice, soprannominato da Diderot la "Sfinge". A causa del costo dell'impresa, non se ne fece nulla: come scrive Diderot in una lettera del 22 febbraio 1774 a Caterina II, la belle dédicace all'imperatrice 36 Sebbene considerasse Voltaire e Algarotti dei bons observateurs della realtà russa, l'Histoire de l'empire de Russie, secondo Diderot era attraversata da réflexions antiphilosophique. In una lettera a Sophie Voland del 20 ottobre 1760, Diderot definisce "puerile" e "faceta" la prefazione di Voltaire. L' étrange paradoxe di Voltaire consisteva nel non voler descrivere la "vita domestica" dei grandi uomini e poggiava sull'assunto che l'"onestà rende speciosi": ma, come insegna Plurarco, questa affermazione era un "falsità". La descrizione della Russia era commune: ponendosi al di là della histoire naturelle,sembrava assumere la fisionomia di una historiette. Lo "scrittore di Francia" , inoltre, pretendeva di innalzarsi al livello di legislatore della Russia89. In una lettera a Damilaville, Diderot, riferendosi al modo in cui Voltaire aveva trattato l'Histoire naturelle di Buffon, afferma di non apprezzare il "furore di biasimare "tutto ciò che è "stimato"90. I giudizi pronunciati nelle due lettere confluirono nella recensione dell'opera di Voltaire, pubblicata il 1° e 15 novembre sulla Correspondance littéraire. Sebbene fosse un philosophe séduisant e il primo bel esprit del secolo, Voltaire mostrava di non avere la "vocazione" dello storico e aveva scritto un libro insipide. Paragonati ai tableaux di Tacito, le descrizioni e le riflessioni di Voltaire sono petites e antithétiques: l'antiteticità dei giudizi deriva dal fatto che, nel difendere aprioristicamente il genio del "legislatore dei russi", Voltaire è reticente e lancia strali contro avversari obscurs e méprisables. La rapidità dello stile, inoltre, si addice alla descrizione delle battaglie, ma non alla narration ordinaire. La "marcia" della storia, per Diderot, è grave e posée; quella di Pietro il Grande, invece, era court sarebbe rimasta nella sua "testa". Cfr. D. Diderot, Mémoires pour Catherine II, cit., pp. 262-268; Idem, Correspondance, cit., p. 1212. 89 D. Diderot, Correspondance, cit. , pp. 274-275. 90 Ivi, pp. 264-265. 37 toujours e, mancando di "profondità", si arrestava al stadio dell'effimero e dell' evenemenziale: essa non andava al di là dei trionfi bellici e degli anedotti sulla perizia artigiana di maître Pierre91. Nei Mémoires pour Catherine II, Diderot non considera il volontarismo riformatore un modello da imitare ed esorta la zarina a non proseguire l'opera di Pietro il Grande. Diderot, infatti, contesta l'efficacia del despotisme éclairé, condanna l'espansionismo e la politica di potenza dell'impero russo e vuole restituire il titolo di capitale a Mosca, considerando la fondazione di Pietroburgo non come il simbolo di una nuova epoca, ma come un "ammasso confuso" di nazioni che impediva alla Russia di avere dei costumi propri e un'indentità92 . Diversamente da quanto sostiene Stroev93, il giudizio di Diderot sulla Russia non collima con quello di Voltaire, né si modifica dopo il soggiorno a Pietroburgo. Diderot, infatti, non abolisce la storia, che è un'impresa difficile e di lunga durata: la Russia prepetrina non era una tabula rasa e l'azione di Pietro il Grande non era un atto inaugurale capace di éclairer les ténèbres94. Il siècle philosophe, per Diderot, non è una cesura definitiva con il passato e un'epifania del progresso. Nel XVIII secolo la Russia non era ancora éclairée e Pietro il Grande non meritava il "sublime" titolo di législateur; lo 91 D. Diderot, Sur l'histoire de l'Empire de Russie sous Pierre le Grande de Voltaire, in Idem, Oeuvres complètes, cit., t. IV, pp. 433-441. Per Christiane e Michel Mervaud, Voltaire non è un mythistorien, anche se nel suo "immaginario storico" i grandi uomini hanno un ruolo fondamentale. Come moderniste, Voltaire considera Pietro il Grande un "demiurgo" che ha realizzato una rupture éclatante con il passato storico della Russia. Voltaire, inoltre, non ha creato un mito, quale "pura costruzione dello spirito", ma, sia pur investendole di un potentiel de rêve, ha visto delle "realtà positive" nelle riforme dello zar,. Cfr. C. et M. Mervaud, Le Pierre le Grande et la Russie de Voltaire: histoire ou mirage?, in Le Mirage russe au XVIIIème siècle, cit., pp. 11-35. Il sostegno all'azione di Caterina II deriverebbe dal pragmatismo empirista di Voltaire che rifiuta il dogmatismo di Rousseau e non privilegia né la monarchia, né la repubblica. Sul "relativismo politico" di Voltaire e sulla sua diffidenza nei confronti delle "regole generali" e della dogmatica delle forme di governo Cfr. M.L. Lanzillo, Voltaire. La politica della tolleranza, Roma-Bari, laterza, 2000, p. 61. 92 B. Binoche, Diderot et Catherine II, ou les deux histoires, in Sens du devenir et pensée de l'histoire, éd. B. Binoche et F. Tinland, Syselles, Etdtions Champ Vallon, 2000, p. 148. 93 A. Stroev, Les aventuriers des Lumières, cit., p. 302. 94 G. Dulac, Diderot e le "mirage russe": quelques préliminaires à l'étude de son travail politique de Pétersbourg, in Le Mirage russe au XVIIIème siècle, cit, p. 186. 38 zar si era limitato ad emanare due o tre leggi che portavano l'impronta di un "carattere feroce". L'autorité arbitraire dello zar era all'origine di quelle riforme che non avevano instaurato un ètat bien constitué. Il "despota" aveva riformato lo Stato russo secondo il proprio caprice e non era riuscito a combinare la felicità dei suoi popoli con la grandeur personale. I magnifiques établissements di Pietro il Grande non erano solidi e la Russia continuava a languire nella povertà, nel servaggio e nell'oppressione. Non solo Pietro il Grande non aveva mutato la forma di governo della Russia, ma aveva accentuato il carattere "patrimoniale" dello Stato e aveva reso più "incerta" la successione al trono: come dimostrava la rivoluzione che aveva posto sul trono Caterina II, la corona era diventata élective. L'esprit de création di Pietro il Grande era suscitato dall'amore per la gloria; il suo genio aveva creato solo un vano "splendore", senza utilità: l'azione riformatrice dello zar dimostrava che l'"arte" non poteva forzare la natura"95. Diversamente da Voltaire, Diderot non vedeva in Pietro il Grande l'archetipo del legislatore e non considerava il dispotismo come méthode de progrés. Per Rousseau, invece, il legislatore è un essere semidivino distinto dal grand prince e dal faiseur des lois; la legislazione non solo deve creare una macchina politico-sociale, ma deve anche mutare la natura umana: Pietro il Grande si era limitato ad imporre modelli stranieri e aveva manipolato la società russa, per deviarla dal suo naturale sviluppo96 . Nel recensire la storia della Russia "dall'862 al 1054" di Lomonosov, Diderot ne inficia il carattere scientifico. Lomonosov era "superstizioso" e riferiva i discorsi del gran principe Vladimir come se fosse un testimone oculare e non uno storico. 95 G.-T.Raynal, Histoire philosophique et politique des établissemens e du commerce des Européens dans le deux Indes, La Haye 1774, t. II, pp. 278-280. 96 G. Goggi, Diderot e la formazione del terzo stato, in Diderot, il politico, il filosofo, lo scrittore, cit. , pp. 55-81. 39 Vladimir, che aveva battezzato la Russia cristiana, era per Diderot come Rousseau, un "fanatico" e "nemico del progresso dello spirito umano". I filosofi come Rousseau erano apologeti dell'ignoranza e volevano fondare la società non sugli esseri umani, ma sui "bruti", sugli "animali stupidi senza alcuna regola di costumi e senza alcuna legge". Leggendo la storia dei "secoli barbari" ci si doveva, perciò, felicitare di essere nati in un siècle éclairé e in una nation policée97. 6. Diderot e l'anatomia del diritto naturale: ressentiment e volonté générale Nei Mémoires pour Catherine II, Diderot immagina l'apparizione del génie de la France a Pietro il Grande; la grande "figura fantastica, semplice, nobile e triste" rimprovera allo zar riformatore di aver imitato un modello politico-sociale che versava in uno stato di crisi permanente: tale crisi era epitomata dal "caos delle leggi" generato dalla coesistenza di diversi e contraddittori codici. Pietro il Grande aveva viaggiato in Francia per vedere un male che era senza rimedio, mentre il bene era solo passeggero. Per Diderot, invece, solo i primi legislatori sono stati incaricati di interpretare la volontà degli dèi: quando un popolo si police la funzione politica si separa da quella religiosa. Il legislatore è colui che ha il potere di dare e di abrogare le leggi e che deve mutare l' esprit de proprieté in esprit de communauté. Il legislatore deve mantenere o modificare quelle lois constitutives che definisco la forma di governo. Nel forgiare queste leggi, il legislatore deve avere riguardo al genio e all'étendue della nazione: in tal modo sono solo si garantisce la sicurezza dello Stato, ma anche il bonheur des citoyens98. Nei 97 D. Diderot, Histoire de la Russie depuis l'an 862 jusq'en 1054 traduite du russe en allemand et de l'allemand en français, in Idem, Oeuvres complètes, cit., t. VIII, pp. 363-366. 98 D. Diderot, Legislateur , in Idem, Oeuvres complètes. Encyclopedie, Paris, Garnier Frères, 1876, t. XV, pp. 417-436 40 Mémoires pour Catherine II, Diderot afferma che il legislatore deve conformare la propria azione alla nozione di "utilità pubblica": il primo dovere del legislatore, infatti, è quello di rendere felici gli uomini; la felicità è la sola base di ogni "buona legislazione". Qualsiasi legge che prescriva all'uomo una cosa contraria al suo bonheur è "falsa", perché si pone nell'impossibilità di durare. Esistono, però, due forme di bonheur: da un lato un bonheur costante che riguarda la libertà, la sicurezza della proprietà e la ripartizione delle imposte; dall'altro un bonheur accidentel, variabile e transeunte, che richiede una loi momentanée, perché la durata della legge più risultare "funesta" al punto da essere "revocata" 99 . Ci sono due leggi e due "grandi procuratori generali": la natura e l' homme public. La morale dell' homme public non è quella dell'homme privé: tale discarsia non solo attesta l'impossibilità della giustizia, ma anche che il droit des gens è una chimère100. L'esperienza storica dimostra, infatti, che la massima Salus populi suprema lex esto è una bella citazione e niente più. In realtà, in ogni tempo si è osservato il principio Salus dominantium suprema lex esto : la legge, secondo Diderot, salvaguarda il patre e non il trupeau. Tuttavia mentre il padrone delle bestie ha l'accortezza di portare al pascolo i buoi che poi "divorerà", il sovrano-padre conduce i sudditi direttamente alla sua bocherie. Un tale clima da mattatoio si respirava anche nel contesto dell'admirable governo inglese, del quale Montesquieu aveva detto un "gran bene" senza conoscerlo. Diderot ironizza sulle querelles perpetuelles per definire l'equilibrio e i limiti dei tre poteri, perché tutte le società risultavano mal amministrate. Per Diderot, qualsiasi potere che non è orientato al bonheur général è illégitime: in tal senso, nessun potere poteva essere 99 D. Diderot, Mémoires pour Catherine II, cit. pp. 235-236. Ivi, p. 233. 100 41 definito légitime e la società era fondata sul mal commun101 . L'antropologia materialista di Diderot anatomizza questo mal commun: nel XVIII secolo, infatti, il termine "antropologia appartiene ancora al lessico dell'"anatomia" e significa "studio del corpo umano"102. La società umana è fatta di corpi senza fede, senza legge e senza probità. La natura umana è détestable: tale assunto è dimostrato dalla fatale inclinazione a commettere azioni malvage. Per Diderot, la società umana è un equilibrio di interessi contrastanti e non è governata dal "bene" e dal "giusto", ma dalla "vergogna", dalla "paura del biasimo" e della "perdita di considerazione"103. La diatriba di Diderot contro Rousseau è, perciò, un riflesso di una diversa concezione del rapporto tra diritto e storia. Diversamente da Rousseau, Diderot non considera il diritto come un artificio prodotto dalla storia e non contrappone il codice naturale a quello civile. La doxographie sceptique e il matérialisme vitaliste di Diderot, infatti, rifiutano la finzione di uno stato di natura preesistente alla società: l'uomo è un essere sociale e storico che non può sottrarsi al tempo e alla lotta contro la natura. Diderot, perciò, si contrappone all'"atarassia" antropologica e giuridica che risulta dalla genealogia fittizza di Rousseau104. Tale concezione è, in primo luogo, contenuta nell'articolo Droit naturel (1740) dell'Encyclopedie, nel quale Diderot non solo "sconvolge la dommatica astrattamente intellettualistica del giusnaturalismo"105, ma stabilisce anche quei principi filosofici che spiegano 101 D. Diderot , Correspondance, cit., p. 548. M. Duchet, Anthropologie et Histoire au siècle des lumières. Buffon, Voltaire, Rousseau, Helvétius, Diderot, cit. , p. 12. Nell'articolo Anatomie dell'Encyclopédie, Diderot scrive che l'anatomia è l'"arte" che molti definiscono "antropologia". 103 Ivi, p. 547. 104 E. Martin- Haag, Diderot ou la revalorisation du dévenir, "Kairos", Les Lumières et l'histoire,, n.14, 1999, pp. 131-153. 105 N. Bobbio, Il diritto naturale nel secolo XVIII, Torino, Giappichelli, 1947, p. 161. A tal proposito cfr. anche A. J. Porras Nadales, Contractualismo y neocontractualismo, "Revista de Estudios Politicos", Numero monografico sobre Diderot, cit., pp. 15-42; L. Strauss, Legge naturale e diritto naturale, in Idem, Gerusalemme e Atene. Studi sul pensiero politico dell'Occidente, introduzione di R. Esposito, Torino, 102 42 il " necessario paradosso della perfettibilità umana" 106 . Per Diderot, infatti, il male e la violenza nascono dalla sottomissione della ragione alle passioni; tuttavia, paradossalmente, le manifestazioni della ragione sono inseparabili dalle passioni. Al di là del bon usage des passions, non esiste un meccanismo "provvidenziale" che ristabilisca l'equilibrio tra passioni e ragione. Secondo la definizione di Diderot, l'uomo è un raisonneur violent che vive un'esistenza inquieta e tormentata, mossa da "passioni" e "bisogni". La questione del diritto naturale è, perciò, più "complicata" di ciò che appare dall'uso "familiare" di questa formula. L'homme injuste et passioné manifesta l'"abominevole predilezione" ad agire in funzione dell'infelicità degli altri, imponendo la propria "volontà particolare". Il diritto naturale, però, non è solo, come afferma Hobbes, la libertà di ciascuno di usare il proprio potere nella maniera più conveniente alla propria conservazione. Pur apprezzando l'hardiesse de penser di Hobbes, Diderot intende correggere gli errori dell'hobbisme, affermando che il diritto naturale è anche l'obbligo a rendere a ciascuno ciò che gli appartiente. Tale giustizia distributiva si manifesta nella passione di operare per il "bene di tutti". In tal senso la volonté générale è sempre bonne e non inganna, perché è désir commun ed è il legame che tiene unite tutte le società, comprese quelle che si sono formate attraverso il crimine. Sulla base della volontà generale, le leggi devono essere fatte per tutti e non per uno solo, altrimenti questo "essere solitario" è destinato a restare un raisonneur violent107 . Diderot ribadisce Einaudi, 1998, pp. 314-318. Nell'illustrare il passaggio dalla concezione "premoderna" della legge naturale(che è conservatrice), a quella moderna (che è rivoluzionaria), Strauss afferma che nel XVIII secolo l'assemblea legislativa è indicata come l'unica istituzione in armonia con il "diritto naturale". 106 E. Martin-Haag, La pensée de la violence chez Diderot: des limites de la raison au droit à l'insurrection, "Kairos", La paix, n.6, 1995, p. 131. 107 D.Diderot, Droit naurel (Moral), in Encyclopédie, ou Dictionnaire raisonné des sciences, des arts et de métiers, Paris, 1755, vol. 5, pp. 115-116. La recezione della teoria della legge naturale nell'Encyclopédie ha come autore di riferimento Pufendorf , piuttosto che Thomasius. Cfr. J. Proust, La contribution de Diderot all'Encyclopédie et les théories du droit naturel, "Annales historiques de la Révolution française", 35, 43 questo concetto nei Mémoires pour Catherine II e afferma che il "primo principio" della società è la "lotta contro la natura". Tutto ciò che tende a isolare l'uomo non solo indebolisce la potenza della lotta contro la natura, ma lo riconduce alla condizione primitiva dell'"uomo selvaggio". Nel sedicente stato di simple nature gli uomini sono come un'infinità di piccole ressorts isolés; per ovviare a questo accidente, il legislatore deve rapprocher le ressorts isolés e comporre la belle machine société. Tuttavia questa bella macchina può infrangersi dal momento in cui le "piccole molle", animate da una infinità di interessi "diversi e opposti", agiscono le une contro le altre. Se questa guerre accidentelle si potrae è destinata a sfociare in uno stato di guerre continue, per cui l'uomo ritorna allo stato primitivo e isolato dove il ressentiment è l'unica legge108. Negli articoli 250 e 251 del Nakaz, Caterina II sembra far proprio il principio filosofico-giurdico sancito da Strube de Piermont: la "società civile" esige un ordine basato su coloro che governano e comandano e coloro che obbediscono; tale principio è all'origine di ogni sorta di dipendenza109. Nelle Observations sur le Nakaz, Diderot confuta questo assunto, affermando che in origine gli uomini si sono riuniti in società par istinct, come gli animali deboli che si costituiscono in branco. In origine non cè stato nessun contratto sociale, nessuna forma di convenzione: sebbene si ispiri anche a Beccaria, lo stesso Nakaz non si fonda sui princìpi del contratto sociale. Gli uomini , per Diderot, si sono riuniti in società per lottare contro il nemico comune: la natura. Nei confronti della natura, l'uomo non si è accontentato di vincere, ma ha voluto trionfare, generando una 1963, pp. 257-286. Droit naturel è stato il primo articolo di Diderot per l'Encyclopédie che è stato tradotto in russo con il titolo Pravo estestvennoe. Cfr. S. Ja. Karp, Francuzkie prosvetiteli i Rossija. Issledovannija i novye materialy po istorii russko-francuzskich kul'turnych svjazej vtoroj poloviny XVIII veka, cit., p. 309. 108 D. Diderot, Mémoires pour Catherine II, cit., pp. 173-175. La stessa metafora si trova in D. Diderot , Supplément au Voyage de Bougainville, Paris, Le Livre de Poche, 1995, pp. 93-94. 109 Nakaz Komissii o sostavlenni proekta novogo Uloženija, sostavlennyj Ekaterinoj II, in Konstitucionnye proekty v Rossii XVIII-načalo XX v, cit., p. 264. 44 moltitudine di besoins artificiels. L'individuo, secondo Diderot, non è completamente assorbito dalla società, ma, nella sua insocevole socievolezza, può rifuggire la compagnia. L'individuo che dispone del "superfluo" per soddisfare il proprio "gusto" non è un "cattivo cittadino". Diversamente dai fisiocrati, per Diderot, l'individuo non deve restituire tutto alla terra, non deve vivere in una sorta di "abbrutimento" e in una médiocrité de jouissances et de félicité che sono antitetici alla propria natura: tutte le filosofie contrarie alla natura umana sono "assurde"; altrettanto assurde sono quelle legislazioni che coerciscono l'individuo a sacrificare il proprio "gusto" e la sua felicità per il bene della società. La società, perciò, non è un meccanismo provvidenziale che stabilisce un equilibrio permanente tra ragione e passioni. La volontà generale è in parte consensus gentium sancito sia dai princìpi del diritto scritto di tutte le nazioni policées, sia dalle azioni sociali e dalle convenzioni tacite dei popoli selvaggi. D'altro canto, però, nella volontà generale si manifesta anche il sentimento soggettivo del ressentiment dell'homme opprimé110 . Nel commentare l'articolo 67 del Nakaz, Diderot afferma apoditticamente che il ressentiment è l'unica legge di natura e varia a seconda del carattere dell'"offesa" e dell'"offeso". La loi sociale non solo eclissa il ressentiment, ma codifica la natura dell'offesa: assoggettandosi alla legge, l'indulgente diventa "venticativo" e il vendicativo "indulgente"111 . 110 L. G. Crocker, La loi naturelle, " Europe", cit., p. 62. D. Diderot, Observations sur le Nakaz, in Idem, Oeuvres complètes, cit. , t. XI, pp. 235-236. Nell'articolo scritto per l'Encyclopedie, Diderot definisce il ressentiment un movimento di "indignazione" e di "collera", una passione che la natura ha instillato negli uomini per la loro conservation. Per questo il ressentiment e la sola legge nello stato di natura. Cfr. D. Diderot, Ressentiment, in Idem, Oeuvres complètes, cit., Extraits de l'Encyclopedie, t. XV, p. 372. 111 45 7.La politica sperimentale di Diderot: civilisation legale e politesse Descrivendo la storia naturale del diritto, Diderot formula la teoria dei tre codici a partire da una lettera a Falconet del 6 settembre 1768. Secondo Diderot, il grandi princìpi possono avere un'influenza sulle scienze e sulle arti, ma non sui costumi. Il progresso delle scienze e delle arti, infatti, attiene all' incoraggiamento, all'elogio, agli onori e alla ricompensa. Per migliorare i costumi, invece, è necessaria una bonne législation, perché ogni altro rimedio è "momentaneo". Se la legge di natura, la legge civile e la legge religiosa sono in contraddizione tra loro, sono destinate ad essere infrante e disprezzate e non si avranno né uomini, né cittadini, né credenti. Da tale contraddizione, secondo Diderot, nasceva la difficoltà di dare dei costumi alle "contrade d'Europa": il paese scevro dalle stigmate dei fatti compiuti sarebbe stato il più "avanzato". Per questo Diderot avrebbe preferito policer i "selvaggi" piuttosto che i "russi" e i russi piuttosto che gli inglesi, i francesi, gli spagnoli o i portoghesi112. Diderot, perciò, consiglia Caterina II di ridurre i codici all'identità; il codice della natura non è che la "trascrizione nel linguaggio del diritto positivo delle regole del giusto e dell'ingiusto che gli uomini osservano spontaneamente nello stato sociale"113. Per questo Diderot considera artificiosa la tripartizione del diritto sancita dall'articolo 440 del Nakaz; secondo il codice di Caterina II, l'intero corpo legislativo si divide in tre parti: leggi, regolamenti, che si modificano a seconda delle circostanze, e ordinanze. Per Diderot, invece, il diritto andrebbe suddiviso in lois naturelle e lois civiles: se una legge civile non è conseguente a una legge naturale, risulta essere una loi arbitraire e, perciò, "inutile" o "nociva" 112 D. Diderot, Correspondance, cit., p. 855. M. Duchet, Anthropologie et Histoire au siècle des lumières. Buffon, Voltaire, Rousseau, Helvétius, Diderot, cit., p. 441. 113 46 114 . L'idea di ridurre i codici all'identità viene sviluppata da Diderot in Supplément au voyage de Bougainville che è una satira sanglante dei primi legislatori che spesso si sono mostrati "seviziatori" della volontà generale. Se le leggi sono buone, anche i costumi sono buoni; a tal fine è necessaria una legislazione omogenea, nella quale la legge civile deve essere l'"enunciazione" della "legge di natura". Fondando la legge su una morale che scaturisce dai "rapporti eterni" che sussistono tra gli uomini, la legge "religiosa" diventa "superflua"115. Nelle Observations sur le Nakaz, Diderot stabilisce una sorta di sillogismo sul quale basare la codificazione delle leggi: le leggi "naturali" sono éternelles et communes; le leggi positive sono "corollari" delle leggi naturali; dunque, le leggi positive sono "ugualmente" éternelles et communes. Tuttavia la legge positiva va anche considerata nella sua circostanza, per cui possono esserci delle parti del codice che vanno riformate con il tempo116. La teoria dei tre codici non solo si fonda su una peculiare concezione del diritto naturale, ma si inserisce anche nell'ambito di una politica sperimentale che si basa su principi non dissimili da quelli che Diderot, in Pensées sur l'interpretation de la nature, definisce "filosofia sperimentale". Diderot, infatti, approda ad una concezione asistematica e non dogmatica della verità ed la sua ricerca etico-politica è animata da una "volontà di problematizzare" qualsiasi assunto attraverso un "multiforme" ricorso al "dialogismo". La politica sperimentale implica, perciò, la critica dell'"autorità" e di tutte le relazioni basate su una "gerarchia di poteri"117. La politica sperimentale si distingue da quella razionale sia per la sua asistematicità, sia perché l'esperienza moltiplica il proprio movimento 114 D. Diderot, Observations sur le Nakaz, in Idem, Oeuvres complètes, cit. , t. XI, p. 296. D. Diderot , Supplément au Voyage de Bougainville, cit. , pp. 82-83. 116 D. Diderot, Observations sur le Nakaz, in Idem, Oeuvres complètes, cit. , t. XI, p. 227. 115 47 all'infinito e non si cristalizza in una assiologia dogmatica. La politica sperimentale, perciò, ricerca i "fenomeni", mentre la ragione si limita a stabilire delle "analogie"118. Fondandosi su questo assunto, la politica sperimentale approda ad una concezione filosofica della storia che si pone come superamento della dell' histoire naturelle: al "naturalismo ottimista", Diderot contrappone un fatalisme désabusé 119 , che affranca l'uomo sia dall'arbitrio della Provvidenza, sia dal determinismo scientista120. Come rileva Bertrand Binoche, Diderot ha indicato a Caterina II un'"arte di governare" e di "civilizzare la Russia", ma soprattutto un "arte di fare la storia russa" oltre e contro il "modello francese": tale arte è una "tecnica" resa possibile dalla "identificazione sperimentale" delle cause121. La storia è il luogo dove si sviluppa una contraddizione tra le leggi della natura e quelle della politica. Approdando ad una concezione ciclica della storia, Diderot afferma che l'uomo selvaggio, che non è ancora entrato nel ciclo "fatale" della storia, conosce una felicità che consiste nell'assenza di tutti i mali inerenti lo stato di civilisation122 . La civilisation porta con sé il "germe della distruzione"; la potenza distruttiva della civiltà, infatti, può condurre alla 117 J. Proust, Diderot o la politica experimental, "Revista de Estudios Politicos", Numero monografico sobre Diderot, cit., 11. 118 D. Diderot, Pensées sur l'intérpretation de la nature, in Idem, Oeuvres complètes, cit., t. II, pp. 725-731. 119 Cfr. M. Duchet, Anthropologie et Histoire au siècle des lumières. Buffon, Voltaire, Rousseau, Helvétius, Diderot, cit., pp. 413-423. Voltaire ha coniato l'espressione "filosofia della storia" per indicare l'emancipazione dalle teologie della storia. Per Voltaire, l'entelechia del processo storico è la "civiltà", quale sviluppo progressivo della scienza e della tecnica, dei costumi e delle leggi. Pur ponendosi nella prospettiva della "filosofia della storia" di Voltaire, Diderot non attribuisce alla civilisation e al progresso un significato teleologico e soteriologico. A tal proposito cfr. K. Lowith, Significato e fine della storia. I presupposti teologici della filosofia della storia, Milano, EST, 1998, pp. 125-133. 120 J. Ehard, Lumières et roman, ou les paradoxes de Denis le Fataliste, in Au siècle des Lumières, cit., pp. 137-155. 121 B. Binoche, Diderot et Catherine Ii, ou les deux histoires, in Sens du devenir et pensée de l'histoire, cit., p. 144. Nel formulare un piano per istituire una università in Russia, Diderot afferma che lo studio della storia inizia a partire dalla popria nazione secondo un itinerario à rebours: dai tempi più recenti fino ai siècles de la fable e della mytothologie. La conoscenza della storia, inoltre, non deve precedere quella della morale: la nozione del juste e dell'injuste è, infatti, "utile e conveniente" per comprendere sia le azioni dei protagonisti, sia la stroria stessa. D. Diderot, Plan d'une université pour le gouvernement de Russie ou d'une éducation publique dans toutes le sciences, Idem, Oeuvres complètes, cit., Philosophie, t. III, p. 493. 48 guerra e al ritorno della superstizione: davanti al progresso delle scienze e delle arti si può spalancare l'abisso della barbarie. Come sostiene Diderot a proposito della Russia, la civilisation è un ouvrage long et difficile e richiede una politica della politesse incentrata sulla legislazione, al fine di garantire una precaria stabilità. La storia delle nazioni, infatti, non segue la teleologia del progresso lineare, ma si fonda su una inquietante oscillazione tra la barbarie e l'état policé. Questo movimento pendolare può essere arrestato da alcune "cause impreviste": tuttavia la stabilità istituzionale e sociale non può mai essere conservata perfettamente123. Nelle Observations sur le Nakaz, Diderot sostiene che i buoni costumi non sono indipendenti dalle leggi, ma una "conseguenza" delle buone leggi: un popolo selvaggio ha dei costumi, dal momento in cui osserva le lois naturelles (umanità, dolcezza, benevolenza, fedeltà, buona fede); un popolo policé ha dei costumi dal momento in cui osserva le leggi naturali e civili. La differenze tra un popolo selvaggio e uno civile derivano dalla grossièreté e dalla politesse124 . Diderot ha tracciato nell'Encyclopedie le grandi linee della politica della politesse che diventa uno strumento per interpretare la realtà125. Per Diderot la filosofia politica deve insegnare agli uomini ad agire con "prudenza", senza ricorrere, come Platone, all'idea di una repubblica imaginaire fondata su leggi forgiate per degli uomini che non esistono; d'altro canto, però, non si può prendere a modello Machiavelli che utilizza il termine politica per mascherare la "cattiva fede dei principi" 126 . La politica, inoltre, non può essere disgiunta dalla politesse che è una qualità sconosciuta al selvaggio. La politesse non va confusa con la civilité; tutti sono capaci di apprendere la 122 M. Duchet, Le primitivisme de Diderot, " Europe", cit., p. 130. D. Diderot, Extraits de l'Histoire des deux Indes,in Idem, Oeuvres complètes, cit., t. XV, pp. 551-552. 124 D. Diderot, Observations sur le Nakaz, in Idem, Oeuvres complètes, cit. , t. XI, pp. 234-235. 125 Cfr. J. Proust, Diderot et l' Encyclopedie, Paris, Albin Michel, 1995. 123 49 civilité che si compendia in certe cerimonie arbitrarie soggette, come la lingua, ai costumi di un paese e alle mode. Al contrario, la politesse si apprende attraverso una disposizione naturale che deve essere perfezionata con l'istruzione e l'usage du monde. La politesse, perciò, non va confusa con la flatterie che è un eccesso di condiscendenza e di sottomissione iperbolica: il servilismo dell'adulatore, paradossalmente, svela il progressivo abbrutimento del principe che si trasforma in tiranno127. Rifacendosi al lessico degli artigiani, Diderot afferma che polir significa togliere tutto ciò che c'è di rude nella materia, al fine di raffinarla e perfezionarla. Quando la politesse è "profanata" e "corrotta" diventa uno degli strumenti più pericolosi dell'amour-propre mal réglé128 . La civilité è soltanto la maschera di quella politesse che si manifesta nella solidità delle istituzioni: essere policé, infatti, implica leggi che stabiliscono i reciproci doveri della "benevolenza comune" e un potere autorizzato a garantire nel tempo l'osservanza delle leggi129. Nell'articolo Legislateur, infatti, Diderot afferma che gli uomini si riuniscono in società per creare una situazione più hereuse rispetto a quella dello stato di natura. Quest'ultimo risulta vantaggioso perché garantisce l'uguaglianza e la libertà, ma presenta due inconvenienti la "violenza" e la "paura". Per evitare questi due inconvenienti gli uomini si sono riuniti in società e il legislatore deve fornire agli uomini "sicurezza" e "felicità". Nei siècles éclairés è impossibile fondare la legislazione sull'errore, sul fanatismo "distruttore" di Maometto e sui pregiudizi contrari al droit des 126 D. Diderot, Politique , in Idem, Oeuvres complètes, cit., Encyclopedie, t. XVI, pp. 340-346. J. Starobinski , Sull'adulazione , in Idem, Il rimedio nel male. Critica e legittimazione dell'artificio nell'età dei Lumi, Torino, Einaudi, 1990, pp. 61-62. 128 D. Diderot, Politesse, in Idem, Oeuvres complètes, cit., Encyclopedie, t. XVI, pp. 337-340. 129 Sulla storia del termine civilisation cfr.P. Béneton, Histoire de mots: culture et civilisation, Paris, Presses de la Fondation Nationale de Sciences Politiques, 1975; J. Starobinski, La parola "civilisation", in Idem, Il rimedio nel male. Critica e legittimazione dell'artificio nell'età dei Lumi, cit., pp. 5-48; H-Ju. Lusebrink, Civilizzazione, in L'Illuminismo. Dizionario storico, cit., pp. 168-176. 127 50 gens e alle leggi di natura. La legislazione, perciò, è l' "arte" di dare delle leggi ai popoli; il legistatore deve tener conto dell'"opinione" e dell'approvazione dei cittadini130. La migliore legislazione è quella più semplice e più conforme alla natura: il legislatore non si deve opporre alle passioni umane, ma, al contrario, deve incoraggiarle, armonizzando l’interesse pubblico con quello particolare. Le legislazioni "perfette" devono tendere a questo fine e ciascun uomo deve essere "amico" e non "schiavo" della legge: citando Metastasio, Diderot afferma che ogni uomo è "compagno della legge e non seguace". Nell'articolo Autorité politique, Diderot sostiene che nessun uomo ha ricevuto dalla natura il "diritto di comandare". Solo la puissance paternelle ha un'origine naturale; tutti gli altri poteri, invece, hanno altre fonti: la forza e la violenza. All'origine di ogni autorità politica c'è un'usurpazione, per cui la tirannia è la forma archetipica di governo. Il tiranno diventa principe dal momento in cui si manifesta espressamente il consenso di coloro che si sottomettono: ogni sorta di sottomissione che esclude il consenso è un crime d'idolatrie. Il potere legittimo, perciò, è limitato dalle leggi della natura e dello Stato e il principe non può disporre arbitrariamente del proprio potere senza il consentement de la nation e indipendentemente dalle scelte sottoscritte nel contrat de soumission. Lo Stato non è un bene patrimoniale del principe, ma è quest'ultimo che appartiene allo Stato; il compito del principe è l'osservanza delle leggi e la conservazione della libertà131. L'uomo, infatti, non è automa del fatum: il suo unico destino è quello indicato dalla "libertà naturale", che è un diritto che la natura assegna a tutti gli uomini: in virtù di tale diritto ciascun uomo può disporre della propria persona e dei propri beni nel modo 130 131 D. Diderot, Legislateur, in Idem, Oeuvres complètes, cit., Encyclopedie, t. XV, pp. 417-436. D. Diderot, Autorité politique, in Idem, Oeuvres complètes, cit., Encyclopedie, t. XIII, pp. 392-400 51 che ritiene più "conveniente" per la propria "felicità"132. La "libertà naturale" è alla base di quella "civile" che è il diritto di fare tutto ciò che la legge permette: per questo la libertà civile è fondata sulle migliori leggi possibili133. La libertà, perciò, non deve sconfinare nella "licenza" che una sorta di relachement esiziale per le leggi, i costumi e le arti134. La "licenza" del principe, quale padrone assoluto, è all'origine di tutti i mali dello Stato e genera flatterie, esprit de servitude, sottomissione honteuse e dominazione cruelle. A tal proposito, Diderot cita il caso dell'impero ottomano, nel quale non si governava secondo la legge della giustizia e i sudditi erano ridotti a un tropeau d'animaux che un padrone assoluto faceva marciare secondo il proprio capriccio. Il "tiranno" è l'usurpatore del potere sovrano o un sovrano legittimo che abusa della propria autorità: per Diderot, la tirannia è il più funesto dei mali che affliggono l'umanità, perché il tiranno è unicamente preoccupato di soddisfare le proprie passioni e considera i propri sudditi come "vili" schiavi135. La sovranità non esiste allo stato di natura e la sua fonte primaria è la "volontà" del popolo. In base a questo mandato, il sovrano ha la puissance legislative che deve garantire il buon ordine della società, emanando leggi generali che regolino passioni e interessi. Al sovrano è anche attribuita la puissance exécutrice che deve essere limitata e non absolu: il souverain absolu, infatti, si arroga il diritto di cambiare secondo la propria volontà le lois fondamentales ed esercita un pouvoir arbitraire che sconfina nel dispotismo136. La sovranità e la libertà non consistono nel fare tutto ciò che si vuole; sovranità e libertà sono limitate 132 D. Diderot, Liberté, in Idem, Oeuvres complètes, cit., Encyclopedie, t. XV pp. 478-508. D. Diderot, Liberté civile (droit des nations), Idem, Oeuvres complètes, cit., Encyclopedie, t. XV, pp. 509-510134 D. Diderot, Licence, in Idem, Oeuvres complète,cit., Encyclopedie,t. XV, pp. 512-514. 135 D. Diderot, Tyran, in Idem, Oeuvres complètes, cit., Encyclopedie, t. XVII, pp. 302-303. 136 D. Diderot, Souverains, in Idem, Oeuvres complète, cit., Encyclopedie, t. XVII, pp. 166-170. 133 52 dalla medesima "barriera": il rispetto della proprietà da parte del sovrano e il suo uso da parte dei cittadini. Per Diderot, è necessario formarsi un'idea chiara e distinta della libertà: se il sovrano può fare ciò che vieta la legge, è garantita la libertà di uno solo e la schiavitù di tutti137. All'origine della sovranità non c'è il merito, come affermava Caterina II, ma la coerzione: la sovranità si è imposta per mezzo di una "grande qualità", la force corporelle, e di un "grande vizio", la paresse. Le idee "nuove" dei Lumières erano, per Diderot, recenti e avevano dato voce al cri de l'homme opprimé che aveva subito nel corso dei secoli una lunga sequela di mali prodotti dall'abus de l'autorité. I philosophes avevano affermato che la società ha avuto origine da un pacte tacite, che i cittadini non sono stati creati per i "capi", ma sono depositari di diritti inalienabili, come la liberà e la proprietà. Sulla base di queste idee nuove i popoli civilisés, attraverso la "voce" dei philosophes, rendevano espliciti i loro "reclami"; tuttavia questa radicale contestazione del potere costituito non aveva prodotto nulla e il dispotismo continuava ad espandersi. Era necessario, perciò, un nuovo potere costituente che abdicasse la propria sovranità e con un editto affermasse di governare per grace de ses sujets e non per grace de Dieu, che è un principio "teocratico"138. 8. La Russia come circostance extrême dell'Illuminismo giuridico Seguendo gli orientamenti lessicali e concettuali indicati nell'Encyclopedie, Diderot consacra principalmente la sua politica sperimentale alla Russia. Per Diderot la Russia è la "circostanza estrema" nella quale si manifesta in maniera eclatante la crisi dell'età classica 137 138 D. Diderot, Observations sur le Nakaz, in Idem, Oeuvres complètes, cit. , t. XI, p. 229. D. Diderot, Ivi, pp. 263-266. 53 dell'Illuminismo giuridico compendiata nell'opera di Montesquieu 139. In una lettera del luglio 1767 a Falconet, Diderot afferma che le grandes circonstances fanno schiudere le grandes ames. Caterina II era una sovranapadrona in grado di imporre ai propri sudditi le leggi, la forma di governo e il proprio "giogo". Convocando la Commisione legislativa, Caterina II avrebbe potuto, invece, affermare la sovranità delle leggi, che devono essere emanate per la felicità pubblica. A tal fine, l'imperatrice avrebbe dovuto ascoltare la voce della nazione, la sola in grado di porre le condizioni per la propria felicità. In tal senso, i membri della Commisione legislativa non dovevano aver paura di dispiacere al sovrano, ma avrebbero dovuto parlare con "franchezza" senza temere conseguenze spiacevoli. Una tale azione avrebbe consacrato la memoria di Caterina II più di "cento momumenti". Nel "disordine" della sua testa e nella "pena" della sua anima, Diderot aveva "immaginato" di tentare qualche "grande cosa" che rispondesse alle vedute politico-giuridiche di Caterina II e che fornisse alle circostanze le temps de changer. Ma Caterina II aveva renversé tutte le speranze nelle quali si era cullato Diderot: la zarina voleva il filosofo, non la sua opera 140 .Diversamente da Voltaire, Diderot attribuisce, fin dal suo apparire, un'importanza capitale al Nakaz , piuttosto che alle vittorie militari russe contro l'impero ottomano: Caterina II avrebbe dovuto avere progetti politici al di sopra della "gloria dei conquistatori"141. Già alla fine degli Sessanta Diderot annuncia l'evanescenza del miraggio russo, quale circostanza geofilosofica estrema che aveva messo in luce la crisi dell'Illuminismo giuridico. La crisi dell'età classica dell'Illuminismo giuridico viene descritta 139 J.C.Rebejkow, Diderot lecteur de l'Esprit de lois de Montesquieu dans les Observations sur le Nakaz, "Studies on Voltaire and the Eighteenth Century", 319, 1994, pp. 295-312; S. Cotta, Montesquieu, Diderot e Caterina II, in Idem, I limiti della politica , Bologna, Il Mulino, 2002, pp. 145-165. 140 D. Diderot, Correspondance, cit., pp.742-743. 54 da Diderot in una lettera del 3 aprile 1771 alla principessa Daškov142. Secondo Diderot, ogni secolo ha uno spirito che lo caratterizza: l'esprit de liberté era la cifra per interpretare il XVIII secolo che aveva sferrato un attacco violento e smisurato contro la superstizione. L'assalto alla formidabile "barriera della religione" era inarrestabile: gli sguardi minacciosi che si erano rivolti contro la "maestà del cielo" non avrebbero mancato di dirigersi contro la "sovranità della terra". Questa crisi epocale avrebbe condotto a una "schiavitù" non dissimile da quella ottomana o alla "libertà". Il colpo di Stato di Maupeou e l'abolizione dei parlamenti era un adieu a tutti quei privilegi d'états che formavano un principio correttivo, impedendo alla monarchia di degenerare in dispotismo. Tale dispotismo era una sorta di "teocrazia" che sarebbe retrogradé verso il più "assoluto" stato di barbarie. Questo stato di cose aveva indotto Diderot ad una svolta politico-filosofica e a concepire delle idee che altrimenti non avrebbe nutrito. Egli si era persuaso che è mille volte più facile per un popolo éclairé tornare alla barbarie, che per un popolo barbaro avanzare di un solo passo verso la civilisation143 . Prima di giungere a Pietroburgo, Diderot considera la Russia nella sua "circostanza estrema" e dal punto di vista della politica 141 Ivi, p. 998. La principessa Ekaterina Daškov nel 1770 aveva soggiornato a Parigi dove aveva frequentato regolarmente Diderot, che aveva raccolto da lei molte informazioni sulla Russia. Nel suo ritratto, Diderot afferma che la principessa era penétrée d'aversion per il dispotismo. La principessa, inoltre, giudicava il Nakaz come un "progetto" che avrebbe fatto epoca solo per averlo "tentato" e anche se non avesse avuto un compimento. D'altro canto, il dibattito sulla codificazione delle leggi era stato molto "acceso" e aveva suscitato il malcontento della nobiltà: tutto ciò faceva temere una "seconda rivoluzione". La principessa Daškov era stata testimone della "rivoluzione" che aveva condotto Caterina II sul trono. La principessa avrebbe voluto incontrare Rulhière, ma non se ne era fatto nulla. Il libro di Rulhière sulla rivoluzione del 1762 sembraba un tissu romanesque senza una conoscenza reale dei fatti; tuttavia, secondo Diderot, era destinato in futuro ad assurgere all'"autorità della storia". Secondo la ricostruzione della principessa, dopo la morte di Elisabetta I la corte era divisa in "partiti" e le strade di Pietroburgo pullulavano di spie. Tuttavia la situazione politica era precipitata a causa delle stravaganze di Pietro III che avevano suscitato il "disprezzo" della nazione. Sebbene la fine di Pietro III fosse stata causata da una morte violenta, nessuno in Russia pensava che Caterina II fosse coinvolta nell'assassinio. Pur non riuscendo a comprendere se Caterina II fosse un "angelo" o un "demonio", la principessa si era schierata con la futura zarina. Cfr. D. Diderot, La Princesse Dashkoff, in Idem, Oeuvres complètes, cit. , t. VIII, pp. 675-685. 142 55 della politesse in due casi emblematici: l'affaire Le Mercier de la Rivière e i Fragments politique. Con il viatico di Diderot, il fisiocrate Le Mercier de la Rivière (discepolo di Quesnay e affiliato alla "setta degli economisti") nel 1767 si era recato a Pietroburgo al fine di introdurre in Russia i princìpi generali del diritto sul modello europeo. In realtà, Le Mercier de la Rivière si alienò le simpatie della zarina sia perché esigeva esosi emolumenti, sia perché era convinto di essere stato chiamato a governare la Russia per trarla dalla "tenebre della barbarie" e per favorire l'"espansione dei Lumi". Caterina II infranse il sogno del fisiocrate: Le Mercier de La Rivière non solo non divenne "legislatore" e "primo ministro", ma, licenziato bruscamente dalla zarina, dovette far ritorno in Francia144. Le disavventure di Le Mercier de la Rivière in Russia sono state oggetto della satira della stessa Caterina II nella commedia Nell'anticamera di un pezzo grosso, nella quale il francese Oranbar è la caricatura grottesca del fisiocrate ambizioso. Oranbar afferma di essere giunto in Russia con la convinzione che gli uomini camminassero a quattro zampe: egli aveva posto i russi di fronte all'"evidenza" (suprema legge della fisiocrazia) che si vive meglio nella posizione eretta. Nella commedia, Caterina II stigmatizza la pretesa dei philosophes di voler rifare il mondo a modo loro: tutto ciò che non era alla "maniera francese" era giudicato "cattivo" e "indecente"145. Diderot invece apprezzava Le Mercier de la Rivière e considerava sua opera capitale, 143 D. Diderot, Correspondance, cit. , pp.1067-1068. Ch. de Larivière, La France et la Russie au XVIIème siècle. E’tudes d’histoire et de littèrature francorusse, cit. , pp. 73-88. Secondo la testimonianza di Caterina II, La Mercier de la Rivière intendeva istituire un proprio governo e una propria burocrazia. Egli aveva preteso, infatti, di alloggiare in tre case contigue e sulle porte dei numerosi appartamenti aveva scritto Département de l'intérieur, Département du commerce, Département de la justice, Département des finances, Bureau des imposition . Le Mercier de La Rivière, inoltre, aveva invitato i cittadini russi e stranieri dotati di istruzione a inviargli i loro titoli, al fine di ottenere degli impieghi nel suo governo. 145 Caterina II di Russia, Nell'anticamera di un pezzo grosso, Introduzione e cura di G. Moracci, Lecce, Argo, 2000, pp. 75-79. 144 56 L'ordre naturel et essentiel des sociètés politiques, come il caposaldo di una nuova scienza politica. Per Diderot, il libro di Le Mercier de la Rivière era "cento volte più utile" dell'Esprit des lois ed era talmente "cosmopolita" che un filosofo di Londra, Mosca, Parigi e Pechino ne poteva essere l'autore. Tale libro dimostrava per primo che dalla legislazione e dall'istituzione dell'"ordine essenziale" potevano scatutire dei "buoni costumi nazionali costanti". Il fisiocrate dimostrava, inoltre, che l'évidence è la sola contreforce della tirannia146. Montesquieu aveva studiato le malattie, ma Le Mercier de la Riviere aveva indicato i "rimedi" e coloro che sostenevano il contrario erano in malafede. Se l'evidenza era "nulla", allora lo erano anche i fisiocrati; ma l'evidenza era la verità, l'opinione "dimostrata". Dopo la disavventura di Le Mercier de la Rivière in Russia, Diderot continuò a tessere le lodi del "Solone" fisiocrate; tuttavia l'appassionata difesa de L'ordre naturel et essentiel des societés politiques era un sintomo evidente della crisi nella quale versava l'Illuminismo giuridico. In realtà, Le Mercier de la Rivière ha definito è sostenuto il despotisme légal, che diversamente dal despotime factice et déréglé, è goveranto dalle leggi ed è necessario alla "felicità" dei sudditi147 Nelle Observations sur le Nakaz, Diderot rettifica il proprio giudizio e afferma che il libro di Le Mercier de La Rivière va rubricato tra le utopie: l'"ordine essenziale" della società descritto dal fisiocrate si caratterizza, infatti, come un sistema "geometrico", nel quale non sono contemplati la follia e le passioni, l'interesse e i pregiudizi. Il fisiocrate, inoltre, non ha preso in considerazione la differenza tra un popolo 146 D. Diderot, Correspondance, cit., pp. 738-740. Le Mercier de la Rivière, L'ordre naturel et essentiel des societés politiques, Paris 1767, pp- 278-279. Su Le Mercier de la Rivière e sul "dispotismo legale" cfr. L.Ph. May, Le Mercier de la Rivière 1719-1801: aux origines de la science economique, Paris, C.N.R.S., 1975; D. Taranto, L'eclisse del tiranno. Per una storia del concetto di tirannide tra Cinque e Settecento, "Filosofia Politica", a. X, n. 3, dicembre 1996, pp.382-387. 147 57 policé e un popolo à policer. La scienza politica moderna, secondo Diderot, è un "mostro" forgiato dalle mani di un géomètre, che non ha fatto rientrare nei suoi calcoli né gli "ingranaggi", né gli "attriti", né gli "urti", né la "gravità". Alcuni autori avevano individuato il male, ma non avevano indicato il rimedio; altri presupponevano che la macchina fosse sana e affatto nuova e non indicavano nessun mezzo per applicare il rimedio 148. A tal proposito, Diderot cita anche Dei delitti e delle pene: pur riconoscendo al trattato di Beccaria un carettere di "umanità", egli rileva la difficoltà di proporzionare i delitti e le pene, perché le circostanze possono rendere la "prima" pena arbitraire. Una volta fissata per legge tale prima pena determina tutte le altre: solo nella realtà fattuale del delitto si può giudicare se un codice è "dolce" o "severo"149. La disputa sull'opera di Le Mercier de la Rivière dimostrava, inoltre, che le franczouski manières erano mal accette in Russia e che il partito filosofico era diviso al proprio interno e non riusciva a superare l'impasse dell'Illuminismo giuridico. Secondo Diderot, gli stessi philosophes sembravano dimenticare che grazie ai Lumi erano state abolite le cattive leggi e le legislazioni erano state "rettificate": in tal modo, i "nervi della superstizione" erano stati recisi, i "furori del dispotismo" erano stati "temperati" e le nazioni barbare erano gradualmente avanzate verso un stato plus policé150 . Non si poteva essere difensori della libertà di stampa e del regno dell'opinione e contrapporsi all'autorità dell'evidenza che è 148 D. Diderot, Observations sur le Nakaz, in Idem, Oeuvres complètes, cit. , t. XI, pp. 233-234. Secondo Dulac, Diderot ha "verosimilmente letto" anche il manoscritto di L'Esprit de l'Istruction , un commento al Nakaz silato nel 1775 dal fisiocrate Le Trosne. Mentre Diderot denuncia il pericolo del dispotismo, Le Trosne difende il despote éclairé. Diderot, inoltre, si contrappone "vigorosamente" all'economicismo dei fisiocrati e alla teoria dell'ottimizzazione della riproduzione delle ricchezze della terra. Cfr. G. Dulac, Pour reconsidérer l'histoire des Observations sur le Nakaz (à partir des réflexions de 1775 sur la physiocratie) cit. pp, 467-485. In appendice, Dulac compara il testo del Nakaz con i commenti di Diderot e Le Trosne Cfr. Le commentaire du commentaire, pp. 486-514. 149 D. Diderot, Observations sur le Nakaz, in Idem, Oeuvres complètes, cit. , t. XI, p. 257. Su Beccaria e le Observations sur le Nakaz cfr. F. Venturi, Utopia e riforma nell'illuminismo, Torino, Einaudi, 2001, p. 137. 150 D. Diderot, Correspondance, cit., p. 852. 58 l'opinion démontrée vérité. Tuttavia i philosophes, creatori dell'evidenza, si credevano i veri "giudici"della sua forza. Il philosophe imbécile era simile a un cieco che parlava della luce e recitava un ruolo indecente e ridicolo: i philosophes erano diventati delle teste assurde che si facevano trattare dai tiranni come "chiacchieroni" inopportuni o dei "sediziosi" inutili e dannosi da far strangolare151. Nei Fragments politiques, Diderot stigmatizza come "temeraria" l'idea del despotisme legal sostenuta dai fisiocrati152 e si prepara all'incontro con Caterina II affermando che il governo di un despota juste et éclairé si basa sulla volontà di un padrone assoluto in contrasto con la volontà dei suoi sudditi. Malgrado i Lumi, il despota ha sempre torto, perché spoglia i sudditi dei "loro diritti" e li tratta come un "branco di bestie". Un sovrano non è il padre della società, ma un intendant; l'eliminazione del sovrano che si è macchiano del crimine di lése-société non può essere, perciò, assimilata al parricidio. Anche nelle piccole aristocrazie le leggi sono atroci, perché infrangono con il terrore quel concert des volontés che è l'espressione più compiuta della "volontà generale"153. L'Europa aveva un assetto troppo "solido" per dare luogo a delle rivoluzioni rapide; in Europa, infatti, si era stabilito uno "spirito" degli scambi amico della "tranquillità e della pace". Un guerra tra diverse nations commercantes era un "incendio" nocivo per tutte. Dal canto suo, la Russia avrebbe dovuto commencer par le commencement, per far nascere in un popolo " schiavo" il sentimento della libertà: un popolo schiavo era simile a un popolo selvaggio e andava "convertito". Cominciare dall'inizio significava, anzitutto, creare le condizioni basilari per impiantare le arts mécaniques e non istituire 151 Ivi, p. 825. D. Diderot, Pensées détachées ou Fragments politique échappés du portefeuille d'un philosophe, Idem, Oeuvres complètes, cit. , t. X, pp. 74-75. 153 Ivi, p. 73. 152 59 l'Accademia delle scienze e delle arti. Non si poteva avanzare verso la "perfezione" ed essere "originali" imitando i modelli stranieri: ignorando la perfezione delle arti e delle scienze, la Russia era condannata ad essere una faible copie dell'Europa. Di fronte all'alternativa di essere niente o di essere mediocre, la Russia doveva accettare gli heureux hasards e fare di se stessa qualcosa. A tal fine, si dovevano impiantare delle colonie di uomini liberi e proprietari della terra e nelle quali fossero tollerate tutte le religioni. Da queste colonie il levain della libertà si sarebbe diffuso in tutto l'impero: lo "spettacolo" di queste colonie sarebbe stato l'autentico "predicatore" della libertà154. Secondo Goggi, la seconda parte del frammento Sur la Russie è l'"asse" di una diversa concezione della civilisation: la civilisation non è un "progetto" imposto dall'alto, ma una "lenta evoluzione sociale". Si afferma, perciò, una "immagine temporale nuova" dell'idea di civilisation: tale immagine esclude ogni sorta di riuscita a "breve scadenza" nella trasformazione di una "realtà complessa" come quella della Russia155. Nei Mémoires pour Catherine II, Diderot definisce le colonie di hommes libres come un'idea sistematica per condurre un popolo al sentimento della libertà e all'état policé. Per "creare" una nazione libera non occorrevano prescrizioni imposte dall'alto, ma degli esempi da imitare. Una colonia di uomini molto liberi (come gli svizzeri) sarebbe stata un levain précieux che avrebbe cambiato la massa del popolo, perché il suo spirito sarebbe diventato l'ésprit général156 . 154 Ivi, pp. 100-105. G.Goggi,Colonisation et civilisation: le modele russe selon Diderot,http://old.sgu.ru/user/project/dokl_goldzhi. html. A tal proposito cfr. anche G. Dulac, Politique de civilisation et colonies en Russie d'apres le dr Ribeiro Sanches (1765-1768), http://old.sgu.ru/user/project/dokl_dulak.html. 156 D. Diderot, Mémoires pour Catherine II, cit. , p. 199. Secondo Starobinski, Diderot concepisce "l'azione e reazione" come un movimento verso la "fermentazione" in cui si manifesta l'azione dei "lieviti": sia sul piano della chimica, sia sul piano socio-politico il "lievito" ha la proprietà di comunicare le proprie qualità a ciò che analogo e di assimilarlo. Ricorrendo a una "metafora chimica", Diderot denuncia quella cattiva 155 60 9. Diderot e il renversement dell'autocrazia Quando nell'ottobre del 1773 Diderot arrivò a Pietroburgo si confrontò con tutti i paradossi dell'lluminismo giuridico, come attestano i suoi colloqui con la zarina registrati nei Mémoires pour Catherine II. L'ambizione di Diderot non era quella di "convertire" la zarina alla filosofia dei Lumi, perché Caterina II aveva già aderito al partito filosofico, come attesta anche la sua corrispondenza con Voltaire157. Diderot espone a Caterina II un progetto per renverser sûrement une monarchie: per il philosophe, ci sono delle "circostanze" (come quella della Russia) nelle quali "l'estremo del male è un bene"; in tali "circostanze" un "palliativo" è più "funesto" di tutti i rimedi, perché rende il male inveterato. Nel compiere il suo mandato di philosophe, Diderot si appella ironicamente a Montesquieu, nume tutelare della législomanie di Caterina II, chiedendosi come avrebbe parlato al cospetto della zarina e come avrebbe risposto ai quesiti postigli. Prologo del progetto di renversement dell'autocrazia è l'Essai historique sur la police, nel quale Diderot ironizza sull'influsso che Montesquieu aveva avuto nella redazione del Nakaz. Pur inchinandosi all'auctoritas di Montesquieu, che sembrava aver scritto solo per Caterina II 158, Diderot afferma che il limite de L'Esprit des lois consiste nell'aver affermato che il governo feudale era un grand et sublime spectacle. La vecchia nobiltà apparteneva al passato e la mobilité de la tradition l'avrebbe ricondotta assimilaziome che, in una società, confonde tutti i ranghi, facendo regnare una "somigliamza illusoria" e una "uguaglianza ipocrita". A questa cattiva assimilazione, Diderot contrappone l'"uomo-fermento", l'"uomo-lievito" che fa vernire fuori la "verità". Cfr. J. Starobinski, Diderot e i chimici, in Idem, Azione e reazione. Vita e avventure di una coppia, Torino, Einaudi, 2001, p. 55. 157 Come risulta dalla corrispondenza con Caterina II, Voltaire già nel 1767 affermava che i Lumières venivano dalla Russia e che l'imperatrice era Ceres la législatrice. Cfr. Documents of Catherine the Great. The Correspondance with Voltaire and the Instrusction of 1767 in the English text of 1768, cit., pp. 14-17. 158 D. Diderot, Mémoires pour Catherine II, cit. pp. 10-11. In una lettera da Pietroburgo del 30 dicembre 1773, indirizzata alla moglie e alla figlia, Diderot scrive, ironicamente, che l'Esprit des lois era il libro di preghiera di Caterina II. Cfr, D. Diderot, Correspondance, cit., p. 1207. 61 nell'oblio, al fine di affermare la necessità di un codice "uniforme e generale". Prima che tutte le vecchie legislazioni cadessero nell'oblio, Diderot traccia un quadro della storia del diritto francese, a partire dalla "legge salica": il peccato originale di tale storia consisteva nell'aver istituito nel medesimo tempo il "principe" e la "legge"159. La legislazione non è un' affaire dell'autorità sovrana: dal momento in cui è posta sotto la "salvaguardia" di un solo uomo essa è "vacillante". D'altro canto, la legislazione non è un'affaire dei jurisconsultes, che , non essendo un corps, non rappresentano la nazione e non c'è unanimità nelle loro decisioni. Nelle mani dei jurisconsultes, la legislazione diventa come la religione in mano agli "scismatici" al tempo della Riforma. Solo la nazione può conservare la legislazione, fondata su un codice di lois simples. La Francia sembrava condannata a non avere un codice, perché il suo droit coutumier era "immenso" e legato allo stato e alla fortuna dei particuliers: il renversement di questo "colosso mostruoso" avrebbe fatto vacillare "tutte le proprietà". In Francia la nazione era rimasta gothique nei suoi "usi": essa era avversa alle buone riforme, schiava delle forme, intollerante e bigotta, susperstizosa e nemica dei philosophes. Il regno di Francia era una terrible machine: Helvétius aveva invocato l'invasione di una potenza straniera; dal canto suo, Diderot afferma che era necessario un lungo lavoro per déranger la terribile macchina. Tra la "testa del desposta" e la nazione c'era una "grande tela di ragno" sulla quale la moltitudine adorava una "grande immagine della libertà". Solo i "chiarovvegenti" avevano visto attraverso i "piccoli fori" della tela cosa c'era dietro. Il colpo di Stato dell'homme pervers, Maupeou, aveva squarciato la tela e la tirannia si era mostrata a volto scoperto. A tal proposito, Diderot cita il pamphlet di André Blonde Le Parlament justifié 159 D. Diderot, Mémoires pour Catherine II, cit. pp. 1-3. 62 par l'imperatrice de Russie, che aveva utilizzato il Nakaz per distinguere il governo russo, autenticamente monarchico, dal dispotismo francese. Secondo Blonde, il potere del re non derivava né da Dio, né dalla spada, ma dal consentement de la nation e doveva essere necessariamente sottomesso alla "legge come i suoi sudditi"160. Per Diderot, il pamphlet di Blonde intendeva dimostrare che la "condotta" di Caterina II era exactement le revers di quella del re di Francia: mentre la zarina si preoccupava di creare dei "cittadini", il re di Francia stava creando degli "schiavi". Se il proposito del Nakaz era stato quello di éterniser le leggi e di erigere un'"autorità insormontabile" contro il despotisme à venir, Caterina II non avrebbe potuto fare di meglio. Tuttavia, per Diderot, Caterina II si era limitata a confié ai suoi sudditi la redazione di un codice; la zarina avrebbe dovuto oltrepassare la linea della decisione sovrana con un gesto "grande" e "coraggioso" e creare una "diga" per arginare la sua stessa "sovranità". A tal fine, Caterina II avrebbe dovuto rendere permanente la Comissione legislativa, lasciando alle province il diritto di perpetuare o cassare i loro rappresentanti e togliendo ai suoi successori il potere di disporre di loro o di annientarli161. La funzione di rappresentante, però, non doveva diventare un oggetto di ambizione come in Inghilterra, dove i deputati, perpetuando il sistema feudale, seguivano la "via della corruzione" dei loro "vassalli". Non si trattava, perciò, di trasformare l'impero russo applicando la costituzione inglese. Il prospettivismo filosofico-giuridico di Diderot si pone oltre la divisione dei poteri di Montesquieu, perché anche su di essa incombe la minaccia del despotisme à venir. Nell' indicare questa prospettiva, Diderot, pur non avendo la "testa" di Montesquieu, rinvia all'Esprit des lois, 160 J. Flammermont, Le Chancelier Maupeou et les Parlements, Paris, Picard, 1883 pp. 416-417. 161 D. Diderot, Mémoires pour Catherine II, cit. p. 9. 63 "breviario" di Caterina II. Nel raffigurare l'idée du despotisme, Montesquieu paragona i despoti ai selvaggi della Lousiana che abbattono l'albero per cogliere i frutti più comodamente162. A partire da questa iconografia del dispotismo, Diderot afferma che tutti i governi arbitrari sono "cattivi", anche nel caso in cui il sovrano è juste et éclairé. Una delle più grandi disgrazie che possa capitare a una "nazione libera" è la presenza di due o tre regni consecutivi di un dispotismo juste et éclairé. In Inghilterra, tre sovrani di seguito come Elisabetta I avrebbero condotto "impercettibilmente" il popolo a una "schiavitù" della quale non si sarebbe potuto determinare la durata. Confidando su un solo uomo, le leggi sono rien e subiscono tutte le vicissitudini delle "passioni" e dei "capricci" del sovrano. D'altro canto, dopo la deposizione di Pietro III si avvertiva in Russia un vacillamento degli spiriti, una sorta di "inquietudine" fondata sulla paura che un simile evento potesse ripetersi. Tale inquietudine induceva a credere che il sovrano fosse transeunte, mentre la traquillità era la certezza e la sicurezza di un'état fixé. Pietro il Grande e Caterina II erano due "fenomeni molto rari": allorché fa troppo affidamento sul "favore del cielo", un impero è insensé. 10. Que faire? Il terzo stato Perpetuando l'autocrazia illuminata, la Russia non solo non sarebbe uscita definitivamente dalla "barbarie", ma vi sarebbe ripiombata come in un sommeil de mort. Que faire? A questo quesito fatale per la Russia, Diderot risponde con la necessaria instaurazione, da parte della Commissione legilativa, dell'égalité légale che è "naturale" e "umana", perché solo le "bestie feroci" possono rifiutarla. La "generalità della legge" è uno dei più grandi princìpi dell'égalité des sujets. Con un atto generoso, Caterina II non si doveva limitare a convocare la nazione, ma avrebbe dovuto abdiquer 162 Montesquieu, De l' Espirt de lois, cit., t. I, p. 174. 64 l'autorité législative: i sovrani, infatti, sono soggetti alla folie più delle nations policées. Il diritto di deliberare, perciò, spetta alla nazione, che si può opporre anche al "bene" imposto dall'alto. In una "società di uomini", il droit d'opposition è un "diritto naturale, inalienabile e sacro". Se la permanenza della Commissione legislativa avrebbe assicurato alle leggi e alle istituzioni russe la necessaria durata, i concorsi pubblici avrebbero assicurato al "merito" la propria rincompensa. La trasformazione legale della Russia doveva poggiare su una solida base sociale ed economica, per questo era necessario favorire la formazione di un tiers état. Per Montesquieu, la Russia non poteva descendre dal "suo" dispotismo, a causa dell'assetto sociale: il popolo, infatti, era composto da servi della gleba e da proprietari terrieri, a loro volta schiavi dell'autocrazia. Non restava, perciò, guère personne per quel "terzo stato" che doveva formare gli "operai e i "mercanti"163. Nelle sue "note" alle Lettres russiennes di Strube de Piermont, Caterina II contraddice Montesquieu, affermando che Pietro il Grande aveva tentato di former ce Tiers-Etat164 . Il Capitolo XVI del Nakaz (articoli 376383) attesta l'esistenza di un ordine intermedio (mitoyen) che vive nelle città e si distingue per la politesse, per lo spirito di intrapresa nei settori del commercio, delle arti e delle scienze. Sebbene dovesse essere composto di cittadini "liberi", il terzo stato (tret'ij rod) era nato dalla "trasfigurazione" della Russia operata da Pietro il Grande ed era stato istituito per decreto. Questo état mitoyen, perciò, non doveva "violare" quei doveri "prescritti" dal suo status e dalle regole dell'onore e della stima sociale: questi cittadini dovevano distinguersi per le buone maniere e per l'amore per il lavoro e non dovevano infrangere le promesse, essere sleali e oziosi. Coloro che 163 Montesquieu, De l'Espit des lois, cit., t. II, p. 732. 65 violavano questi doveri sarebbero stati esclusi dal loro "ordine"165. Il capitolo XVI del Nakaz non solo dissente da L'Esprit des Lois, ma riprende la descrizione del terzo stato russo contenuta nelle Lettres russiennes di Strube de Piermont. Nel polemizzare con Montesquieu, Strube de Piermont afferma che le città, i borghi della Russia "formicolano" di operai, di mercanti e di "diverse specie di persone" che non erano comprese né nella nobiltà, né nel clero166. Nelle Observations sur le Nakaz, Diderot si dichiara "afflitto" per la preferenza accordata da Caterina II alla "gente d'arte e mestiere": senza i contadini questo ceto sarebbe morto di fame. Secondo la definizione del Nakaz, il terzo stato, inoltre, aveva solo dei doveri che gli derivavano dalla sottomissione alle leggi; l'esclusione dall'ordine mitoyen avrebbe ridotto i liberi cittadini al rango di servi167. Nel Nakaz Caterina II non aveva detto nulla a proposito dell'affrancamento della servitù della gleba; per Diderot, questo era un punto nevralgico, perché non si poteva perpetuare la schiavitù della nazione: dove non c'è la libertà non c'è vraie police, né leggi, né popolazione, né agricoltura, né commercio, né ricchezze, né scienze, né gusto e né arte168. La distribuzione delle terre alle famiglie indigenti non avrebbe alleviato la loro condizione, perché dovevano essere sanciti per legge l'affrancamento della persona e la proprietà del suolo. Caterina II tendeva "sordamente" alla formazione di un terzo stato, quale trasfigurazione del tradizionale stato dei ceti, che si adeguava alla circostanza storica. Dal canto suo, Diderot reinterpreta la teoria fisiocratica del bonheur e inserisce nel terzo stato quel ceto contadino che non deve 164 Notes de Catherine II la Grande Impératrice de Russie griffonnées sur un exemplaire des Lettres russiennes, in F. H. Strube de Piermont, Lettres russiennes: suivies de Notes de Catherine II, cit., 165 Documents of Catherine the Great. The Correspondance with Voltaire and the Instrusction of 1767 in the English text of 1768, cit. p. 275. 166 F. H. Strube de Piermont, Lettres russiennes: suivies de Notes de Catherine II, cit., p. 220. 167 D. Diderot, Observations sur le Nakaz, in Idem, Oeuvres complètes, cit. , t. XI, p. 291. 168 Ivi, p. 250. 66 essere più schiavo, ma proprietario: tutti gli strati sociali avrebbero dovuto rientrare nella classe générale des citoyens169. Per Diderot, inoltre, il terzo stato non ha solo una valenza socio-economica, ma anche politico-giuridica, perché avrebbe dovuto fornire quegli hommes éclairés che sarebbero stati l'architrave della Commissione legislativa permanente. Secondo il philosophe, la classe générale des citoyens non si lascia condizionare dalla ragion di Stato e persegue un ideale di giustizia. Senza la sanzione della Commissione legislativa permanente, il Nakaz era un atto unitaterale privo di validità giuridica, che notificava alla nazione l'ideologia della ragion di Stato formulata da un despota illuminato. Nei Mémoires pour Catherine II , Diderot afferma che la città deve dare la "legge" alla nazione: una delle più grandi differenze tra la Russia e gli Stati d'Europa consisteva nella mancanza di "urbanità" e di città popolose. La prossimità lega gli uomini tra loro e li "addolcisce" e li "civilizza" e fa nascere le belle arti che devono essere "indigene" e "durevoli". A tal fine, era necessario rendere Pietroburgo, più vivant, più agissant, più commerçant, collegando quella moltitudine di palazzi isolati sede di maisons particulières. Pietroburgo era destinata ad essere una città-deposito e commerciale, ma non poteva essere quella capitale in grado di dare la legge alla Russia. Sebbene Pietro il Grande avesse fondato una nuova capitale preferendola a Mosca, Pietroburgo rimaneva un un ammasso confuso di nazioni che era destinata ad avere des moeurs d'Arlequin170 . La capitale dell'impero russo era un centro di opulence réelle con una periferia che era una "immensa e vasta miseria": il 169 A proposito della proprietà contadina, secondo Goggi, nelle Observations sur le Nakaz si avverte l'iflusso dell'opera di Giambattista Vasco La felicità pubblica considerata nei coltivatori di terre proprie, che aveva partecipato al dibattito sui contadini russi promosso dal concorso della Società economica di Pietroburgo. Cfr. G. Goggi, Diderot e la formazione del terzo stato in Russia, in Diderot, il politico, il filosofo, cit. , p. 81. 170 D. Diderot, Mémoires pour Catherine II, cit. pp. 179-180. 67 lusso non doveva essere la "maschera" della miseria, ma il segno dell'"agiatezza" pubblica e della felicità generale 171 . Nelle Observations sur le Nakaz, Diderot esorta Caterina II a scegliere tra lui e i fisiocrati che stigmatizzavano la vanità del lusso. Per Diderot, esiste un lusso "cattivo" che riunisce in sé i vizi dell'opulenza e i crimini della miseria. Tuttavia egli preconizza un second luxe segno della ricchezza e dall'agiatezza di una nazione opulente et heureuse. Tale opulenza doveva derivare da una buona amministrazione, da una "grande libertà" di commercio, dalla protezione dell'agricoltura e da una equa ripartizione delle imposte, regolata secondo gli autentici bisogni dello Stato172 . A tal fine, il sovrano doveva essere l'intendant de la maison e non manufacturier ed entrepreneur. Il second luxe necessitava di un sistema economico integrato, nel quale l'attività manufatturiera contribuiesse a far "fiorire" l'agricoltura. Mentre per Voltaire il mercantilismo di Pietro il Grande aveva accrescriuto la potenza della Russia, per Diderot il governo non doveva immischiarsi nel commercio, né con regolamenti, né con proibizioni. La Russia non aveva una maison de commerce, gli agenti di cambio erano stranieri e le tariffe doganali erano "assurde"173. Le leggi contro l'usura, inoltre, ritardavano lo sviluppo della Russia, perché il denaro è un "derrata" come tutte le altre e ha un proprio prezzo: il prestito con pegno, perciò, è di assoluta necessità in una grande società orientata dalla police174. Nei Mémoires pour Catherine II, Diderot pone anche la questione dell'"educazione" che doveva avere una "base nazionale", al fine di garantire la civilizzazione della Russia175. L'istruzione 171 Ivi, p. 149. D. Diderot, Observations sur le Nakaz, in Idem, Oeuvres complètes, cit. , t. XI, p. 273. 173 Ivi, p. 279. 174 D. Diderot, Mémoires pour Catherine II, cit. pp. 92-93 Cfr. anche D. Diderot , Observations sur le Nakaz, in Idem, Oeuvres complètes, cit. , t. XI, pp. 313-316. 175 D. Diderot, Mémoires pour Catherine II, cit. , p. 160. A tal proposito cfr. D. Diderot, Plan d'une univversité pour le gouvernement de Russie ou d'une éducation publique dans toutes le sciences, Idem, 172 68 nazionale doveva tendere a forgiare dei cittadini onesti ed éclairés e doveva comprendere tutte le "classi della società": ai genitori doveva essere imposto per legge di mandare a scuola i propri figli. Gli uomini di merito, inoltre, dovevano essere scelti attraverso dei concorsi, unico strumento in grado di eliminare quelle ingiustizie conosciute con il nome di "favori" e di "grazie". Dal canto loro, invece, i grandi uomini e i geni si distinguono per il fureur naturelle con il quale di dedicano alla loro opera. Uno degli incoveninenti della società policées consiste nel fatto che il genio è étouffé o égaré: il metodo più sicuro per civilizzare una nazione era quello di rispettare l' inegalité naturelle, che è sola distinction réelle tra la studipità e del talento, tra il lavoro e l'ozio, tra il vizio e la virtù176. L'uguaglianza di fronte alla legge avrebbe garantito l'abolizione di tutti i privilegi della nobiltà e del clero e delle inegalité conventionelles che dipendono dallo status sociale. Nel caso in cui lo status è deciso dal merito, l'ineguaglianza non solo è naturale, ma è anche una portion de la propriété: il genio deve agire in libertà177. Acme del genio del XVIII secolo era l'Encyclopédie, che era di vantaggio per la specie umana e per l'instruction particulière di una grande nazione178. Oeuvres complètes, cit., Philosophie, t. III, pp. 429-510. Scritto nel 1775-1776 (e pubblicato parzialmente per la prima volta nel 1813-1814), il Plan identifica l'istruzione con la civilisation: l'ignoranza è il tratto caratteristico dello schiavo e del selvaggio. L'istruzione, perciò, restituisce all'uomo la sua dignità e, attraverso di essa, il selvaggio perde la propria ferocia: tuttavia l'esprit géométrique non deve frenare l'immaginazione, perché l'istruzione non serve a nulla senza il genio. Nell'ambito del sistema d'istruzione, l'università deve accogliere indistintamente tutti i "figli della nazione" e i docenti devono essere stipendiati dallo Stato. Nell'istituire una università, Caterina II, per Diderot, poteva edificare a suo piacimento: la zarina, infatti, aveva il vantaggio di trovare davanti a sé uno "spazio libero" da tutti gli ostacoli che in Francia erano frapposti da una tradizione di studi "futili" che aveva fatto perdere il gusto della "vera scienza". In Francia, infatti, la facoltà di diritto era misèrable: non vi si insegnava il diritto francese, ma quello romano in tutte le sue branche. Nel formulare il suo piano, perciò, Diderot attribuisce un ruolo decisivo allo studio del diritto. Secondo Diderot, la facoltà di diritto doveva impartire i seguenti insegnamenti: diritto naturale, storia della legislazione, istituzioni di diritto delle genti, istituti di Giustiniano, diritto civile nazionale, diritto ecclesiatico, procedura civile e criminale. 176 D. Diderot, Mémoires pour Catherine II, cit. , p. 168. 177 D. Diderot, Observations sur le Nakaz, in Idem, Oeuvres complètes, cit. , t. XI, pp. 227-228. 178 D. Diderot, Mémoires pour Catherine II, cit. p. 266. 69 11. Il despote abdiqué Dai Mèmoires pour Caterina II si evince che Diderot attendeva che Caterina II approfittasse del suo "lavoro": nell'attesa il philosophe doveva illuminare gli uomini sui loro diritti inalienabili, temperare il fanatismo religioso e preparare i popoli a quelle rivoluzioni che sopraggiungono all'extrémité du malheur179. Collocandosi all'extrémité du malheur, la Russia avrebbe dovuto darsi un codice di leggi che fosse un oltrepassamento del Nakaz: una volta approvato dalla Comissione legislativa, tale codice avrebbe dovuto essere sottoposto al vaglio di tous les habiles gens d' Europa che dovevano inviare le loro observations180. Al termine del suo "esilio" a Pietroburgo, Diderot soggiornò all'Aja dove stilò, tra l'inizio di aprile e l'inizio d'agosto del 1774, le Observations sur le Nakaz181 . Nel Voyage d'Hollande, Diderot afferma che l'esprit d'observation è raro: tale esprit nasce da quello sguardo "imparziale" che è proprio del viaggiatore e dello storico. In tal senso, perciò, bisogna diffidare dell'immaginazione e della memoria: l'immaginazione snatura le impressioni di viaggio, sia che le abbelisca, sia che le "imbruttisca"; la memoria, invece, è ingrata e infedele, mutila tutto e dimentica ciò che non è scritto182. Non diversarmente da Ulisse, Diderot aveva percorso un cammino che gli aveva permesso di vedere molti luoghi e di disgustarsi dello studio dei costumi umani. E' necessario un lungo soggiorno per conoscere con exactitude i fenomeni più 179 Ivi, p. 235 Ivi, p. 244. 181 A L'Aja il principe Dmitrij Alekseevič Golicyn, ambasciatore russo in Olanda, forzò i bagagli di Diderot, per rubare il manoscritto delle Observations sur le Nakaz. L'effrazione causò un raffredamento dei rapporti tra Diderot e Golicyn. Golcicyn distrusse l'originale delle Observations sur le Nakaz: quella che è pervenuta è una copia sfuggita alle "investigazioni" di Golicyn. Cfr. G. Dulac, La circulation des thèmes et de fragments etre l'Histore des deux Indes et les Observations sur le Nakaz, "Studies on Voltaire and the Eighteenth Century", L' Histoire des deux Indes: réecriture et polygraphie, ed. H.J. Lusenbrink and A. Strugnell, 333, 1995, p. 374; Idem, Les relation s de Diderot avec la Russie: transcription et identification des nommes de personnes, "Studies on Voltaire and the Eighteenth Century", cit., 254, 1988, pp. 417-341. 182 D. Diderot, Voyage en Hollande, in Idem, , Oeuvres complètes, cit. , t. XI, pp. 325-451. 180 70 comuni, altrimenti di rischia di scrivere delle "menzogne". Diderot formula le sue prime osservazioni sulla Russia in una lettera dall' Aja del 6 settembre 1774 indirizzata a Madame Necker. In questa lettera, Diderot afferma di non aver visto la Russia, ma solo Pietroburgo. La capitale dell'impero russo non era una città, ma la "Corte": Pietroburgo, infatti, era un ammasso confuso di palazzi e di capanne, di "grandi signori" circondati da contadini e da pourvoyers. Quei philosophes che sembravano aver conosciuto meglio il dispotismo, in realtà l'avevano visto solo dal "collo della bottiglia": c'era una differenza abissale tra una tigre dipinta da Oudry e una "tigre nella foresta". L'osservazione diretta della Russia non solo non aveva fatto cambiare opinione a Diderot, ma le conversazioni con Caterina II lo avevano posto di fronte a quella "tigre nella foresta"183. In una lettera del 13 settembre 1774 indirizzata alla stessa Caterina II, Diderot scrive che i bons réformateurs sono rari: la legislazione di Licurgo era un sublime sistema di atrocità. Alla base della legislazione di Caterina II, invece, ci doveva essere l'humanité: tale legislazione non doveva formare delle formidabili "bestie feroci", ma cittadini onesti e difensori della patria. Durante il suo soggiorno a L'Aja, Diderot aveva riletto Tacito e aveva scritto un pamphlet presentato come "note a margine" della storia degli imperatori romani stilate dalla " mano di un sovrano". Egli aveva avuto anche l'"isolenza" di rileggere il Nakaz con la "penna in mano"184. Sulla base di questa insolente rilettura, Diderot ha stilato le Observations sur le Nakaz, che affermano la necessità dell'abdicazione o della destituzione del despota. Il preambolo delle Observations sur le Nakaz, infatti, afferma apoditticamente che il sovrano è la nazione e che il legislatore è il popolo. L'abbrivio di un codice deve 183 184 D. Diderot, Correspondance, cit., pp. 1252-1253. Ivi, pp. 1256-1258. 71 affermare questo principio, sancito congiuntamente da un giuramento tra sovrano e popolo. I sovrani che rifuggono da questo giuramento sono despoti: in tal senso, l'imperatrice di Russia era "certamente" una desposta. Nel Nakaz Caterina II riprendeva lo "scettro" che sermbrava voler consegnare alla nazione, dal momento in cui aveva convocato la Comissione legislativa. Diderot non vede alcuna differenza tra il dispotismo e la monarchie pure: il despota fa tutto ciò che vuole, il monarca è assoggettato a delle forme che può trascurare a proprio piacimento. L'esprit della monarchia pura aveva ispirato il Nakaz, ma tale tipo di monarchia è una cattiva forma di governo, perché, secondo il "carattere" del monarca, può "ritornare" al dispotismo. Il "ritorno" al dispotismo è un legge ciclica che si impone ad ogni forma di governo monarchico: la stessa monarchie tempérée, privilegiata da Montesquieu, non si sottrae a questa legge. Il re d'Inghilterra, infatti, si adoperava per instaurare una monarchia assoluta alla francese, mentre il re di Francia avrebbe preferito un governement asiatique185 . Dal canto suo, la Russia era governata peggio della Francia, perché la liberté naturelle dell'individuo era ridotta a "niente" e l'autorità del sovrano era illimitée186 . Solo nelle democrazie è possibile l'esercizio della libertà: nelle monarchie si manifesta solo l'esprit de liberté, secondo il quale il popolo crede di essere libero; chi distrugge questo "pregiudizio nazionale" è considerato uno "scellerato". In una monarchia, i corps depositari delle leggi fondamentali sono una "tela di ragno" sulla quale è dipinta l'immagine della libertà: attraverso i fori di questa tela l'osservatore acuto può vedere la testa "orrenda" del despota. Nel Nakaz è sancito che il sovrano è la fonte del potere politico e civile: Diderot giudica una tale sanzione un'"idea tirannica". 185 186 D. Diderot, Observations sur le Nakaz, in Idem, Oeuvres complètes, cit. , t. XI, pp. 209-210. Ivi, p. 218. 72 Caterina II, invece, avrebbe dovuto spogliarsi della prerogativa di legislatrice in favore dei suoi sudditi. Il depositario della legge non può essere subordinato e dipendente dal potere supremo, che deve essere bilanciato con delle contre-forces. Svanito ogni entusiasmo per Le Mercier de la Rivière, Diderot polemizza con i fisiocrati e sostiene che l'évidence générale non è una solida contre-force: l'evidenza non impedisce né il "gioco degli interessi", né quello delle "passioni". Le contre-forces non devono essere metafisiche, ma physiques: un corps politique che sorvegli l'autorità sovrana è senz'altro più solido. In tal senso, il parlamento inglese era una terrible contre-force del potere del re187. Gli stessi pouvoirs intermédiaires non possono essere dei canaux conducteurs del potere del sovrano, altrimenti si avverte un odeur de despotisme. Le leggi fondamentali dello Stato sono tali solo quando i canaux conducteurs sono gli organi di trasmissione della volontà generale. Caterina II aveva avvertito la necessità di un dépôt des lois fondamentales, senza però garantire la forza e la durata di una tale istituzione. In Francia il depositario delle leggi fondamentali era il parlamento, ma era stato abolito; in Russia, invece, era il Senato, che non era "nulla", una vox clamantis in deserto. Il Nakaz restava un progetto di codice excellent, ma non garantiva la stabilità della legislazione. Nell'articolazione del codice era scritto il nome del despote abdiqué, ma la "cosa" era conservata. La forma di governo era definita monarchica, ma restava dispotica: il Nakaz, infatti, non conteneva nessuna disposizione per l'affrancamento dei corps de la nation. Senza libertà non ci poteva essere proprietà; senza proprietà non esisteva agricoltura; senza agricoltura nessuna forza, nessuna grandezza, opulenza e prosperità188. Non diversamente da 187 188 Ivi, pp. 220-221. Ivi, p. 317. 73 Montesquieu, inoltre, Caterina II aveva posto le istituzioni politiche sotto la sanzione della religione: il Nakaz, infatti, esordisce con una invocazione a Dio, affinché doni al legislatore quell'"'intelligenza" necessaria per giudicare il popolo secondo la "sua santa legge" e secondo "giustizia"189. Per Diderot, la religione è un appiglio che finisce per renverser la maison: i preti non solo erano dei fanatici che pregavano un essere superiore al sovrano, ma era i più suspects conservateurs delle leggi190. Facendo riferimento a Hobbes, Diderot afferma che la religione è una superstizione autorizzata dalla legge e la superstizione una religione vietata per legge. Il fanatismo e l'intolleranza suscitati dall'odio religioso non potevano essere posti a fondamento delle leggi "nazionali" e "civili": la nozione di Dio doveva, perciò, essere bandita dal codice191. Tuttavia anche l'abuso giuridico dei Lumières avrebbe potuto corrompere dei popoli virtuosi; i Lumières non potevano "epurare" e "riformare" una nation dégénérée come la Russia, potevano solo rendere il crimine più "raro", gettare una "vernice di eleganza" sulla corruzione, introdurre una "ipocrita urbanità" e l'idiosincrasia per il "vizio grossier" 192 . La crisi dell'Illuminismo giuridico era attestata dall'impasse della Russia: Pietro il Grande e Caterina II avevano regolamentato una superficiale ed eclatante civilisation, ma non avevano instaurato una politica della politesse. Caterina II non aveva voluto renverser l'autocrazia russa e aveva cercato la gloria nella guerra contro i turchi: ma i trionfi della guerra non avrebbero compensato l'impero della perdita di un sovrano riformatore. La guerra di conquista non avrebbe evitato alla Russia la guerra civile: il "principio segreto" di tutti i disordini era nel "sovrano egoista" che si separa dalla Nakaz Komissii o sostavlenni proekta novogo Uloženija, sostavlennyj Ekaterinoj II, in Konstitucionnye proekty v Rossii XVIII-načalo XX v, cit., p. 247. 190 D. Diderot, Observations sur le Nakaz, in Idem, Oeuvres complètes, cit. , t. XI, p. 210. 191 D. Diderot, Mémoires pour Catherine II, cit. , pp. 106-110. 189 74 nazione e si sente in guerra con essa. Soggetta a un cattivo regno, la nazione si sente, a sua volta, in uno "stato di guerra" contro il sovrano: il popolo, infatti, si abitua a considerare il sovrano come il proprio nemico. La concezione ciclica della storia consente a Diderot non solo di preconizzare il dispotismo à venir, ma anche di concepire una svolta che si ponesse al di là del progresso pianificato della civilisation: la crisi dell'Illumismo giuridico si sottraeva alla guida razionale dei philosophes e poneva la questione della guerra civile per instaurare un ordine basato sulla volontà generale. Per Diderot, infatti, la "parola" società dovrebbe evocare un état de réunion, di pace, di concorso delle volontà degli individui verso un fine comune. La "cosa" era esattemente il contrario: la società versava in uno stato di guerra tra il sovrano e i sudditi. Tale stato di guerra permanente era una conseguenza della tirannia: per Diderot, è preferibile un popolo "barbaro" a un popolo posto sotto il tallone della tirannide. In uno stato di barbarie le "anime" sono "feroci", ma sotto la tirannia sono "vili": temperando la ferocia della barbarie si possono avere anime grandi, nobili, forti e generose; risulta, impossibile, invece rivivificare e fortificare delle anime che sono avvilite dalla tirannia. Aveva ragione, perciò, Caterina II che rimpiangeva les premiers Russes; tuttavia quello russo era ancora un popolo "giovane" che doveva essere formato senza l'atrocità dispotica. L'oppressione illimitata, esercitata soprattutto nell'ambito della ripartizione dei prodotti agricoli, non solo condannava una parte del popolo a morire di fame, ma favoriva l'approssimarsi del moment de la révolte193. Nel corso del soggiorno a 192 D. Diderot,Observations sur le Nakaz, in Idem, Oeuvres complètes, cit. , t. XI, p. 263 Secondo Koselleck, Diderot si pone oltre la critica illuministica del dispotismo e pone l'aut-aut di una crisi che inevitabilmente impone la "decisione politica" a favore della "guerra civile". Cfr. R. Koselleck, Critica illuminista e crisi della società borghese, Bologna, Il Mulino, 1972, pp. 215-216. A tal proposito cfr. anche E. Martin-Haag, La pensée de la violence chez Diderot: des limites de la raison au droit à l'insurrection, "Kairos", cit., pp. 141-142. Diderot si contrappone al paternalismo politico del "dispotismo illuminato", perché non c'è nulla di peggiore che la douce violence del tiranno "ragionevole e buono". La 193 75 Pietroburgo di Diderot imperversava la rivolta contadina capeggiata da Pugačëv: nelle conversazioni con il philosophe, Caterina II si era mostrata tranquilla e considerva il capo dei rivoltosi uno "sciocco" che attendeva il suo supplizio194. Per Diderot, invece, la rivolta contadina era il segnale di un renversement dal "basso" della "piramide" autocratica che avrebbe provocato un "fragore spaventoso". 12. Geo-filosofia del diritto: la grande révolution e lo "smembramento" dell'impero russo Nei "frammenti" sulla Russia inseriti nell'edizione del 1780 di Histoire philosophique et politiques des deux Indes di Raynal195, Diderot considera la questione della durata delle istituzioni e quella della rivolta russa alla luce di considerazioni geopolitiche. Sulla base di tali considerazioni, Diderot afferma che l'autocrazia (che mancava di un sicura legge di successione) e l'incostanza di un popolo schiavo provocavano frequenti e improvvise rivoluzioni: l'"odio comune" univa i rivoltosi. Nella désolation universelle di questo stato di cose il più grand bonheur sarebbe scaturito da una grande révolution: tale rivoluzione avrebbe "smembrato" l'impero russo en petites sauverainetés contigues, perché non era vantaggioso civilizzare un grand empire barbare196. Diversamente da Rousseau, Diderot non inserisce la smembramento dell'impero russo nella prospettiva di una geopolitica della catastrofe che avrebbe travolto l'intero concezione della violenza di Diderot non è dissimile da quella di Sade e rimane nell'ambito del diritto naturale. Il diritto all'insurrezione è un prodotto della ragione, perché la rivoluzione suscitata dall'istruzione non conduce al dispotismo illuminato. 194 D. Diderot, Correspondance, cit., p. 1260. 195 Sui contributi di Diderot alle diverse edizioni dell' Histoire philosophique et politiques des deux Indes cfr. M. Duchet, Diderot et l'Histoire des deux Indes ou l'écriture fragmentaires, Paris, Nizet, 1978; G. Dulac, La circulation des thèmes et de fragments etre l'Histore des deux Indes et les Observations sur le Nakaz, "Studies on Voltaire and the Eighteenth Century", cit., 333, 1995, pp. 371-384; G. Goggi e G. Dulac, L'édition de l'Histoire des deux Indes dont sont issus les Fragments imprimés du fons Vandeul, , "Studies on Voltaire and the Eighteenth Century", cit., 254, 1988; 196 D. Diderot, Extraits de l'Histoire des deux Indes, in Idem, Oeuvres complètes, cit., 1973, t. XV, p. 553. 76 continente europeo. Lo smembramento dell'impero russo era considerato in funzione del sistema di equilibrio europeo che Diderot considera dinamico e in "continua fluttuazione": le potenze si "incalzano" tra loro e "agiscono" le une sulle altre; alcune si estendono, mentre altre sono destinate a scomparire. Le due cause "perturbatrici" dell'equilibrio europeo erano il "fanatismo" e lo "spirito di conquista": queste perturbazioni del nomos continentale dovevano necessariamente "cessare" 197 . La prevoyance di Diderot, perciò, prende le mosse dalla disamina delle categorie geopolitiche del Nakaz e di quella geofilosofia del diritto forgiata da Montesquieu: infatti, gli articoli 6 e 7 del Nakaz sanciscono che la Russia è una "potenza europea" (evropejskaja deržava); con lo "Stato regolare", Pietro il Grande aveva introdotto dei costumi europei in una nazione d'Europa198. Come ha rilevato Gottmann, Montesquieu, nello studiare i sistemi giuridici, non si limita ad una ricerca descrittiva di diritto comparato; concentrando la sua attenzione sulle leggi, egli va al "cuore" stesso della "differenziazione dello spazio"199. L'opera di Montesquieu, infatti, si incentra sui rapporti tra la differenziazione fisica e la varietà dei caratteri e dell'organizzazione politica, ricondotti, però, a un peculiare "determinismo geografico" che non può essere ridotto alla sola dimensione dell'ambiente climatico. Per Montesquieu, i cattivi legislatori favoriscono i vizi del clima, mentre i buoni sono coloro che vi si 197 D. Diderot, Pensées détachées ou Fragments politique échappés du portefeuille d'un philosophe, Idem, Oeuvres complètes, cit. , t. X, pp. 77-79. 198 Nakaz Komissii o sostavlenni proekta novogo Uloženija, sostavlennyj Ekaterinoj II, in Konstitucionnye proekty v Rossii XVIII-načalo XX v, cit. , pp. 248-249. Secondo Ezequiel Adamovsky, Diderot definisce l'Europa terra di civiltà, perché la civilisation scaturisce dallo sviluppo del commercio e dalla presenza nella struttura sociale della "classe media". L'identità europea, per Diderot, è definita in base alla sfera socio-economica. La Russia, invece, era la terra del dispotismo e dell'assenza del terzo stato e, perciò, doveva essere esclusa dall'Europa. E. Adamovsky, Diderot en Rusia, Rusia en Diderot. El papel de la imagen de Rusia en la evoluciòn del pensamìento politico del ùltimo Diderot, "Studia Historica: Historia Moderna" (Salamanca), vol.22, 2000, pp. 245-282. 199 J. Gottmann, La politique des Etat et leur géographie, Paris, Librairie Armand Colin, 1952, p. 28 77 oppongono200. Nel descrivere il processo di formazione dello "spirito" delle leggi, Montesquieu non cerca tutte le spiegazioni nell'ambiente fisico, ma anche nei rapporti con le religioni dei diversi paesi, con i principi che formano lo spirito generale, con i costumi e le consuetudini di una nazione e con il commercio, quale espressione delle rete di relazioni esterne di un paese: tutti questi fattori contribuiscono a configurare l'"iconografia regionale". L'analisi di Montesquieu muove, perciò, dalla "preoccupazione filosofica delle condizioni spaziali" dalla "grande varietà degli spazi abitati e dalla complessità delle relazioni che possono determinare tale varietà" 201. Il XVIII secolo, infatti, attesta la nascita della géographie politique202, che ricolloca le grandi potenze a Nord della Francia: l'Inghilterra, l'Olanda, la Svezia, la Prussia e, soprattutto, la Russia. La dicotomia Nord-Sud continua a coesistere con quella divisione dell'Europa tra Est-Ovest introdotta dall'Illuminismo con l'idea di "Oriente" europeo203. Come risulta dai 200 Montesquieu, De l'Esprit des lois, cit., t. I, pp. 451-452. J. Gottmann, La politique des Etat et leur géographie, cit. , p. 31 202 Nel 1751, Turgot stilò un piano di un'opera sulla géographie politique. La geografia politica, per Turgot è una descrizione della terra e come tableau del presente varia incessantemente; il presente geografico va interpretato alla luce del passato storico, perché tale passato "è stato presente". La geografia politica deve essere considerata, inoltre, in relazione alle diverse forme di governo, ai diversi caratteri dei popoli e allo stadio dello sviluppo economico di una nazione. Cfr. A.R.J. Turgot, Plan d'un ouvrage sur la géographie politique, in Idem, Oeuvres et documents, Paris, Libraire Félix Alcan, 1913, pp. 255-274. 203 Sulla "geografia politica" e la "cartografia culturale" dell'Illuminismo e sulla "nascita" dell' "idea" di Europa orientale cfr. L. Wolff, Inventing Eastern Europe. The Map of Civilization on the Mind of the Enlightenment, Stanford, Stanford University Press, 1994. In uno scambio epistolare con lo storico russo Aleksandr Janov, Wolff pone la questione della collocazione geopolitica della Russia, dal XVIII secolo ad oggi. Janov è autore, tra l'altro, di The Origins of Autocracy (1981) che aveva predetto, per la fine del XX secolo, l'inevitabile ritorno ad una alternativa europea al secolare dispotismo russo: secondo Janov, tale alternativa politico-filosofica è stata già proposta dall'Illuminismo, che ha indicato il destino europeo della Russia. Anziutto, Larry Wolff sottolinea che i philosophes consideravano la Russia come parte integrante della "semi-barbarica" Europa orientale (Voltaire, per esempio, incoraggiava la Russia a spingersi sempre più verso Oriente, al fine di espellere i turchi e conquistare Costantinopoli). L'ambivalente status geopolitico della Russia è al centro di una controversia che ha avuto origine con il Nakaz, il quale dichiara solennemente che la Russia è una "potenza europea". Per Wolff, tale affermazione conferma che l'Europa non è un'entità concretamente definibile e agli "occhi dell'osservatore" appare "soggettivamente determinata". Nei confronti delle categorie geopolitiche del Nakaz, Wolff si dichiara sympathetic con lo "scetticismo" delle Observations sur le Nakaz di Diderot: etichettare un continente come "buono" o "cattivo" è una sorta di "artificio semantico e sentimentale". Per Janov, invece, è necessario leggere attentamente il Nakaz e l'Antidote, al fine di comprendere che Caterina II aveva ragione e che la Russia è 201 78 Mémoires pour Catherine II, Diderot era stato incaricato dall'ambasciatore francese a Pietroburgo Durand de Distroff di indurre Caterina II ad una alleanza con la Francia in funzione antiprussiana. Durand de Distroff, infatti, desiderava sinceramente che si stabilisse una sorta di "equilibrio" tra le quattro masse che "bilanciavano" le sorti dell'Europa. La Francia non avrebbe dovuto avere nessuna répugnance ad includere la Russia tra le prime potenze d'Europa; dal canto suo, la potenza prussiana era "momentanea e precaria". I philosophes e la monarchia francese erano uniti dall'odio nei confronti di Federico di Prussia: i philosophes lo odiavano, perché lo giudicavano un politico ambizioso e senza fede, un principe che sacrificava la felicità dei suoi sudditi e che non rispettava nulla come sacro. Dal canto suo, la monarchia francese avversava Federico II, perché era un "grande uomo "che avrebbe potuto accrescere la propria potenza. La Francia considerava lo "smembramento" dello Polonia un fatto compiuto: la spartizione di quel "montone" sarebbe stata fonte di una lunga diatriba tra i tre "lupi", Austria, Prussia e Russia. La Francia, "quarto lupo", avrebbe potuto contenere le mire dell'Austria, che era minacciata dagli altri altri due lupi: su questa menace réciproque avrebbe riposato l'equilibrio europeo204. Se nei Mémoires pour Catherine II la rêverie del philosophe sembra essere la compiuta inclusione della Russia nell'Europa, nelle Observations sur le Nakaz, invece, Diderot sembra respingere questa prospettiva in virtù di una geo-filosofia del diritto che si pone oltre quella di Montesquieu. Confutando l'articolo 6 del Nakaz, il philosophe attribuisce un'importanza primaria alla capace di realizzare la propria modernizzazione politica: in tal senso, la Russia e Caterina II appartengono all'Europa. Da Pietro il Grande a Gorbačëv, la storia russa dimostra che non c'è "ombra di dubbio" sulla capacità della Russia di modernizzarsi e di europeizzarsi. All'inizio del XXI secolo, per Janov, solo la riunificazione con l'Europa può garantire alla Russia di aprire una nuova "finestra" sul vecchio continente, al fine di non seguire un ulteriore e separato Sonderweg moscovita. Cfr. L. Wolff-A. Yanov, Is Russia a European Country?, "Eurozine", 2003, pp. 1-12. 204 D. Diderot, Mémoires pour Catherine II , cit., pp. 37-44 79 buona legislazione che dà una base solida alle istituzioni e non alla collocazione geopolitica della Russia: non importa che una potenza sia asiatica o europea, l'importante è che sia "grande", "fiorente" e "duratura". Non esiste un "rapporto essenziale" tra costumi e "topografia di un impero": se fossero ancora esistiti gli Sciti, così gelosi della loro libertà, avrebbero occupato qualche provincia russa o limitrofa della Russia. Per Diderot, i costumi sono dappertutto delle conseguenze della "legislazione" e del "governo": essi non sono né africani, né asiatici, né europei, ma si distinguono per essere buoni o cattivi. Il futuro europeo della Russia non dipendeva dall'influsso del clima, ma dai cattivi e buoni costumi: la buona legislazione era europea e cosmopolita ed era il limes della civilisation e della politesse. Da una parte, perciò, Diderot sostiene una sorta di atopia eurocentrica delle leggi, dall'altra afferma che la "topografia" di uno Stato influisce sulla politica, sulle alleanze , sui trattati e sul commercio. Civilizzare un'enorme contrada come la Russia era un progetto al di sopra delle forze umane: l'impero russo, infatti, si collocava sul "limitare" della civilisation e in un "altrove" nel quale c'erano deserti e ghiacci e "barbari di ogni sorta". Le geopolitica russa era stata ulteriormente sconvolta dalla decisione di Pietro il Grande di fondare per decreto Pietroburgo: la capitale di uno Stato deve essere posta al centro; in Russia, invece, il "cuore" era mal posto all'"estremità del dito". Piuttosto che aprire una "finestra" sull'Europa, la Russia avrebbe dovuto aprire una finestra su se stessa: dalla capitale, infatti, si dovevano irradiare le grandi vie di comunicazione, per collegare il centro con la periferia. Privilegiando la realtà continentale della Russia rivolta verso le steppe asiatiche, Diderot, ancipando le tesi degli slavofili ottocenteschi, indica Mosca come capitale naturale dell'impero. Pietro il Grande ambiva a far diventare la Russia una "potenza marittima", 80 ma tali ambizioni erano sbagliate: l'arte non poteva forzare la natura e Pietroburgo e Kronstadt non potevano diventare dei porti militari, anche se potevano essere utilizzate come scali commerciali. Al fine di temperare l'éclat della gloire russa, era necessario sacrificare l'influenza che la Russia aveva negli affari europei e ricondurla nel suo alveo geopolitico. Si doveva, perciò, instaurare un nouvel ordre che, sia pur ispirato dall'Illuminismo giuridico, escludesse la Russia dall'Europa e ne neutralizzasse la potenza. Nell'edizione del 1772 dell' Histoire des deux Indes, Diderot elogia il tentativo di Caterina II di passare alla posterità non come conquistatrice, ma come legislatrice: l'"augusta" sovrana aveva compreso che i popoli seguono e rispettano quelle leggi delle quali si sentono artefici. Caterina II aveva convocato i rappresentanti del suo vasto impero nella Commissione legislativa, al fine di formare insieme a loro un corpo di leggi che avrebbe stabilito istituzioni solide e la "felicità pubblica"205. Nell'edizione dell' Histoire des deux Indes del 1780, Diderot condivide il medesimo giudizio di Rousseau: i russi erano "marci" prima di essere "maturi"; la natura e le abitudini ponevano degli ostacoli insormontabili alla civilisation della Russia. Leggendo con attenzione il Nakaz , si comprendeva che Caterina II non aveva veramente abdicato l'"autorità dispotica". Convocati per confezionare una nuova legislazione, i deputati si erano dovuti limitare ad avallare il nuovo lessico politico imposto da Caterina II con il Nakaz: la sovrana, infatti, voleva essere demoninata monarca e non autocrate, mentre i suoi popoli erano definiti sudditi e non schiavi. Essendo tutti "ciechi", i russi, per lungo tempo, avrebbero scambiato la parola per la cosa: al di là degli slittamenti semantici del lessico politico, il popolo non sarebbe stato 205 G.-T. Raynal, Histoire philosophique et politique des établissemens e du commerce des Européens dans le deux Indes, La Haye, 1774, t. II, pp. 279-280. 81 élevé da questa comédie e la nazione non avrebbe avuto quel grande impulso verso la civilisation che il Nakaz si proponeva di imprimerle. Come Pietro il Grande, Caterina II seguiva solo il proprio genio e non poteva introdurre dei cambiamenti politico-sociali di un qualche rilievo e la stabilité. L'imperatrice offriva al popolo solo la guerra, accentuando l'irreggimentazione militare dei suoi sudditi, che diventavano dei martiri fanatici, animati dal disprezzo per la vita e per la morte: morendo sul campo di battaglia, i russi credevano che la loro anima sarebbe ascesa in cielo. La gioventù che era stata inviata a studiare in Europa formava una race différente che, pur avendo una base solida, nel XIX secolo avrebbe potuto decadere. Viaggiando all'estero, i russi riportavano il "pregiudizio della loro superiorità" insieme ai vizi contratti in Europa. La corruzione non avrebbe risparmiato questa tendre jeunesse, perduta nell'"immensità" dell'impero e "assalita" da ogni parte dai mauvaises moeurs. Si era, inoltre, rivelata superflua e rovinosa l'istituzione di una Accademia, in un paese nel quale i savants non erano compresi e non c'era un point d'occupation per gli artisti. L'efficacia di ogni innovazione doveva essere commisurata alla durée e in Russia non c'erano istituzioni "durature"206. I russi come i cinesi erano troppo presentuosi e difficilmente avrebbero accettato delle riforme radicali: in Cina, però, vigeva il despotisme de loix par la raison; in Russia, invece, l'autocrate professava l' athéisme pratique e non rispettava né le leggi divine, né quelle umane. Soggiornando alla corte di Pietroburgo, Diderot aveva conosciuto i misfatti e 206 la scelleratezza dei machiavelliani secrets de G.-T. Raynal, Histoire philosophique et politique des établissemens e du commerce des Européens dans le deux Indes, Neuchatel-Geneve, Les Libraires Associés, 1783, t. IX, pp. 56-65. Sull'opera di Raynal come critica del dispotismo e profezia della crisi dell'assetto europeo del XVIII secolo cfr. R. Koselleck, Critica illuminista e crisi della società borghese, cit., pp. 218-225. 82 domination (dominationis arcana) 207 . Per questo nell'Histoire des deux Indes la descrizione del grande progetto riformatore di Caterina II è definita ironicamente magnifique éloge e apologie: con il suo coraggio e con il suo genio, Caterina II non avrebbe mai sormontato tutti quegli ostacoli che si frapponevano alla civilisation della Russia; nel contempo, però, il suo grande progetto non era destinato a soccombere , perché era una comédie. Caterina II aveva redatto il Nakaz nella sua veste di premier poète comique della Russia208. Spettatore freddo e tranquillo della comédie legale inscenata da Caterina II, Diderot riconosce che la rappresentazione della legalità contenuta nel Nakaz era intonata al carattere nazionale della Russia. Lo spettacolo legale messo in scena da Caterina II con la convocazione della Commissione legislativa, infatti, era la rappresentazione di una società ben organizzata209. La politica della politesse si basa su un' estetica, secondo la quale il "conflitto con il potere" si inserisce in una dimensione teatrale, nella quale il philosophe e comédien, quale "predicatore laico", schernisce l'etica dei costumi e suscita l'estetica dei comportamenti210. Attribuendo al teatro una funzione civile, Diderot considerava il Nakaz una comédie, perché aveva fatto apparire sulla scena politica russa la Commissione legislativa, rappresentazione fortuita della "volontà generale". Con il renversement dell'autocrazia, l'occasionale rappresentazione della "volontà generale" 207 D. Diderot, Principes de la politique du souverains. Notes écrites de la main d'un souverain à la marge de Tacite, in Idem, Oeuvres complètes, cit. , t. XI, pp. 145-198. Nei Mémoires Diderot aveva annunciato di voler scrivere un pamphlet contro Federico II e il désir de commander. Da tale desiderio non era immune la stessa Caterina II: a tal proposito, Diderot fa un esplicito riferimento al colpo di Stato del 1762, quando coloro che si erano mostrati fedeli a Pietro III si precipitarono a prestare giuramento alla nuova zarina. 208 Sul "teatro del potere" in Russia e sulle ceremonie per l'inaugurazione della Commissione legislativa cfr. R.S. Wortman, Scenarios of Power. Myth and Ceremony in Russian Monarchy, Princeton, Princeton University press, 1995. Lo scopo del "teatro del potere" era quello di affermare la supremazia del sovrano, investendolo di "sacralità" 209 Cfr. D. Diderot, Paradoxe sur le comédien, in Idem, Oeuvres complètes, cit., t. VIII, pp. 339-423. 210 Cfr. M.L. Varga, Diderot, paradosso critico, in D. Diderot, Trattato sul bello, Milano, SE, 1995, p. 77; F. Venturi, Giovinezza di Diderot, Palermo, Sellerio, 1988, pp. 149-167. 83 avrebbe potuto diventare rappresentanza permanente, occupando la scena lasciata vuota dal "teatro del potere".