IL CORPO - VI, 10/11, gennaio 2002 Apocalisse in dub La manifestazione del sacro nelle ‘messe’ di Aba Shanti I di FRANCESCO D’ORAZIO Il seme del dub approda in Inghilterra Trentacinque anni fa, a Londra, nasce Jasmine Joe. I suoi genitori, di Antigua, emigrano a Londra negli anni Cinquanta, periodo in cui dai Caraibi parte il grande esodo verso la Gran Bretagna. La maggior parte della popolazione immigrata ha origini rurali ed è povera; il miraggio del benessere economico spinge le popolazioni delle ex colonie verso la ‘madrepatria’. All’inizio il processo di integrazione sembra avviarsi. Sul finire degli anni Cinquanta però la situazione peggiora: lo sviluppo economico inglese attraversa un periodo poco florido, le tensioni razziali, mai del tutto sopite, risorgono prepotentemente, si incrina il meccanismo della convivenza ed esplode la discriminazione. All’improvviso i neri immigrati si trovano di fronte una società indifferente e ostile, nella quale si sentono sempre più indesiderati e inutili, isolati socialmente e geograficamente in veri e propri ghetti, spesso bersaglio di attacchi e intimidazioni. In questo clima, lentamente, si diffonde il consenso al movimento Rastafariano inglese. Nello stesso tempo comincia ad affermarsi anche in Inghilterra quello che in Jamaica è il mezzo di comunicazione di massa più diffuso e influente: il sound system. Negli anni Settanta si volta pagina. La comunità nera inglese è in fermento; è il momento della riaffermazione dell’identità culturale. Non si vive più di sola importazione dalla Giamaica ma si comincia a produrre cultura nera britannica. Sono gli anni dei primi sound system d’oltre oceano e soprattutto del primo reggae inglese. Col tempo le produzioni inglesi assumono forti tratti di differenziazione rispetto alle produzioni giamaicane e si costituiscono come un genere a parte, cristallizzato oggi sotto il nome di UKroots. Il reggae inglese perde l’aria festosa, caraibica, perde alcuni dei contenuti sempre più presenti nelle produzioni giamaicane come lo slackness e l’omofobia (del resto poco spendibili in Inghilterra). Il culto rastafariano diventa il tema predominante nelle canzoni ma si conserva una particolare attenzione alle tematiche sociali e politiche (politiche in senso lato, in quanto c’è un’assoluta mancanza di progettualità). Dal punto di vista musicale questo reggae privilegia atmosfere meditative, tendenza destinata ad accentuarsi con il sorprendente sviluppo del Dub in Inghilterra. Nella rinascita inglese della cultura rastafariana è importantissima la figura di Jah Shaka, sia come produttore di musica sia come sound system, che definisce un modo nuovo di fare dance hall, prettamente inglese. Non a caso il termine usato per riferirsi ad una serata roots in Inghilterra è session e non dance 71 F. D’Orazio, Apocalisse in dub hall, distinzione che segna il passaggio dalla concezione più giamaicana di festa come momento fondante della comunità, festa orgiastica, a quella caraibico-inglese di rito religioso solenne che lascia molto meno spazio all'idea di entertainment. La metamorfosi In questo clima nasce e cresce Jasmin Joe. Si avvicina giovanissimo al mondo del reggae, attraverso il padre che suonava con un sound system nella Londra degli anni Sessanta. La carriera da sound boy comincia però più tardi, alle scuole superiori, dove fonda con alcuni amici il Jah I-tal Youth sound system. L’esperienza dura qualche anno ma poi tutti prendono strade diverse tranne Joe, che dal 1983 comincia a suonare con Jah Tubbys (JTS), detentore dell’omonimo sound system, uno dei più attivi sulla scena inglese di quegli anni. La collaborazione, soprattutto come MC1, durerà fino alla fine del decennio, periodo in cui il JTS comincia a suonare sempre più raramente. Verso la fine degli anni Settanta qualcosa comincia a cambiare. Negli anni Ottanta il ragamuffin invade la scena reggae: «…andavo a un sacco di session ma non mi davano la vibrazione che avrebbero dovuto darmi, quella vibrazione che sentivo nelle session di fine anni ’70, inizio anni ’80. Mi ricordavo che le session erano qualcosa di profondamente ispirato al Rastafarianesimo. Per me il Rastafari è sempre stato parte integrante della musica che suoniamo. Negli anni Ottanta andando alle dance hall si sentiva molta musica, ma nessun messaggio. Tutta l'enfasi che c'era prima sul Rastafari era scomparsa. Jah Rastafari è questa musica e il suo messaggio…è di Sua Maestà Imperiale che stiamo parlando, per questo, credo che separare la mia musica e il suo messaggio sia sbagliato. Se la musica perde la sua essenza che è fondata su Jah Rastafari, be’, diventa sicuramente qualche altra cosa. Diventa trip hop, hip hop…»2. Nasce l'esigenza di un nuovo sound system, che abbia la funzione di baluardo contro la ‘laicizzazione’ della musica reggae suonata dai sound system inglesi. Così nell’agosto del 1990, il JTS suona al carnevale di Leicester ma ha un nuovo nome ed un nuovo leader. Jasmin Joe, ha 25 anni. Da allora in poi sarà Aba Shanti-I. Fin dall’esordio Aba Shanti-I ha grande successo. Già nel 1995 la BASS, British Association of Sound Systems, lo nomina miglior sound system dell’anno. Ultimamente Aba Shanti si è affermato a livello internazionale. Anche i media si sono interessati alle sue performance. Dal 1998 ad oggi, tre programmi televisivi si sono già occupati di lui, in tre nazioni differenti: Francia, Germania e ovviamente Inghilterra. Due aspetti del fenomeno hanno attirato maggiormente l’attenzione della televisione. Lo “MC” è la persona che sta al microfono del sound system, introduce le canzoni, canta sulle versioni musicali dei pezzi e stabilisce il rapporto col pubblico. 2 Tutte le informazioni su Jasmin Joe sono tratte da due interviste: Jah Warrior, Aba Shanti, su Boomshackalacka 9, 1992; Prodigy of Dub - Intervista a Aba Shanti, Settembre 2000. 1 72 IL CORPO - VI, 10/11, gennaio 2002 Il primo è stato il successo internazionale e multiculturale di questo sound system. Il pubblico delle session di Aba Shanti è molto vario. Del resto anche le tournée internazionali che il sound system conduce da qualche anno a questa parte confermano la composizione multiculturale del suo pubblico. Aba Shanti ha suonato di recente in Francia, Germania, Olanda, Svizzera e in altri paesi d’Europa nonché in Israele e in Giappone. Alle tournée internazionali siamo abituati; ciò che stupisce in questo caso è la particolarità dell’evento che Aba Shanti propone a tutto il mondo ottenendo in ogni differente contesto culturale il medesimo successo (sia in termini di quantità di pubblico sia in termini di qualità delle reazioni del pubblico). E qui veniamo al secondo aspetto che ha incuriosito i media. Le session di Aba Shanti sono eventi esoterici, diversi persino rispetto dalle abituali session degli altri sound system inglesi. Per gli ‘addetti ai lavori’ le session di Aba Shanti sono ‘messe’, rituali di adorazione a base di musica dub suonata da un sound system di una potenza impressionante, spesso insostenibile per il pubblico che partecipa al rito. “Who is the King of Kings, Who is the Lords of lords, Who is the Conquering Lion of the Tribe of Judah?” Le ‘messe’ venerano Jah Rastafari, Conquering Lion of The Tribe of Judah che si è manifestato sulla Terra incarnandosi nella persona del Ras Tafari, Heilè Selassiè I, Imperatore d’Etiopia incoronato ad Addis Abeba nel 1930. Il mito dell’imperatore divino è un fitto groviglio di storia contemporanea, profezia religiosa e immaginario popolare. In poco tempo l’imperatore d’Etiopia, ricchissimo di ‘epiteti’ come ogni messia, viene vestito di un’armatura mitica che permette a tutti di riconoscere la sua discendenza divina (cosa che Selassiè non immagina minimamente). Quando nel 1961 una delegazione rastafariana dalla Giamaica si reca a far visita al ‘Messia’ in Etiopia, Heilè Selassiè sembra avere reazioni poco accondiscendenti con i suoi adepti. Le origini di Heilè Selassiè si perdono nella leggenda. Il corpo sacro nasconde le radici della sua genesi così da svincolarsi da qualsiasi causalità più forte di lui stesso. Sono molte le leggende che circolano sulla nascita dell’imperatore d’Etiopia, il Re dei Re. La più interessante, soprattutto dal punto di vista della rappresentazione musicale che Aba Shanti mette in scena di questo Dio, descrive l’effetto della nascita del Ras Tafari come lo scatenamento degli elementi della natura…“la sua nascita fu annunciata da tuoni, fulmini e alluvioni che rompevano una prolungata siccità”. Predestinato al mito sin dalla nascita “egli fu l’unico, di sette figli, a sopravvivere al parto”. La Bibbia sembra confermare le aspettative del popolo ‘rastafariano’: “…l’Etiopia tenderà le mani fino a Dio…” (Salmo 67) “…il leone della tribù di Giuda, germoglio di Davide, potrà sciogliere i sette sigilli. Egli tornerà e rovescerà il Regno di Babilonia…”. (Apocalisse di Giovanni). Per quanto riguarda l’Etiopia ci siamo, Selassiè è etiope; ma la quadratura del cerchio avviene nel momento in cui si scopre che effettivamente Heilè Selassiè è il “Germoglio di Davide” (Root of King David), il predestinato. Bisogna fare un lungo passo indietro. 73 F. D’Orazio, Apocalisse in dub La Regina di Saba, in una visita al Regno di Israele, si unisce a Re Salomone. Tornata in Etiopia la Regina dà alla luce il bambino che sarà poi Menelik I, suo successore. Hailè Selassiè è il duecentoventicinquesimo discendente di una dinastia mai interrotta cominciata con Menelik I. Dunque egli è anche un discendente diretto di Re Salomone. E poiché Re Salomone fu scelto personalmente da Re Davide, il quale a sua volta fu scelto direttamente da Dio, la discendenza da Re Salomone permette a Heilè Selassiè nel 1933 di essere dichiarato divino3. A parte le procedure di divinizzazione dell'ultimo imperatore etiope, è molto interessante il tipo di divinità che Aba Shanti propone durante le sue session. Non importa tanto quale sia il dio che le sue session invocano, quanto il modo in cui Aba Shanti mette in scena il sacro e che tipo di esperienza religiosa affronta chi si trova davanti a quest’idea di sacro. Durante la session, Aba Shanti mette in scena la potenza misteriosa e terribile del divino. Il suo dio non è misericordioso. È irato, impetuoso, violento e maestoso; scaglia tuoni e fulmini, provoca terremoti e scatena tempeste, è la furia, il portento della natura. Offrendo una sacralità estrema, magica ed esoterica Aba Shanti esprime la dimensione più oscura e irrazionale del sentimento del divino. 1998.marzo.londra.hoxton square Camminiamo per strada a passo svelto: Olly, Giulia, Andrea e io. Aria umida, come al solito piove. Olly è finlandese, vive in una cittadina vicino Helsinky. Come noi, è a Londra per vedere Aba Shanti. Alcune persone in Italia mi hanno già parlato di Aba Shanti. Mi hanno descritto le sue session come qualcosa di impressionante, potente, spaventoso e ipnotico, delle ‘messe’. Eccoci al posto. L’ingresso è al primo piano di un edificio in mattoncini rossi, sembra quasi un'abitazione privata. Saliamo la classica piccola rampa di scale esterne all'edificio e entriamo. La Sala è semi buia, ci sono poche persone sparse qua e là ed un banchetto con alcuni dischi e merchandising rasta di ogni genere. Attraversiamo la Sala fino ad arrivare al lato opposto. C’è una porta: la apriamo. Siamo in una Sala rossa, vuota. Strano che non si senta ancora niente. In fondo c’è un’altra porta, sarà quella. Si comincia a sentire qualcosa ma in modo poco distinto. La porta dà su una rampa di scale che scende sotto il livello della strada. La scala è molto stretta, il soffitto basso, le pareti nere. La musica si fa più forte e più distinta. Non si vede un granché. Scendiamo… E. Leonard e Sr. Barrett, The Rastafarians, Beacon Press, 1997; Nathaniel Samuel Murrell e Adrian Anthony Mcfarlane, Chanting down Babylon, Temple University Press, 1998; J. Ki-Zerbo, Storia dell'africa nera, Torino, Einaudi, 1977. 3 74 IL CORPO - VI, 10/11, gennaio 2002 Nello scantinato del Blue Note Ci troviamo in una stanza, un unico vano, più lungo che largo. L’ambiente è piuttosto piccolo e non offre alcuna via di fuga dalle vibrazioni sonore. Ci sono molte persone. Il locale è pieno, l’aria satura. Il soffitto è bassissimo, fa molto caldo qui sotto. Appena entriamo ci sentiamo avvolti da un'aria molto densa. L'acredine dei vapori corporei e l'odore di aria umida e stantia di cantina penetrano le narici e si conficcano nella gola. Il calore dei respiri ansimanti per la fatica del ballo e la coltre di fumo addensano l'aria che respiriamo e la rendono materiale, pesante. Ingoiamo tutti uno stesso, denso, respiro. I muri sono verniciati con dello smalto giallo; sono completamente fradici, su di essi si deposita la condensa prodotta dall’aria satura di umidità, grondante di sudore. Aggrappata al soffitto, sopra le nostre teste c’è una fitta rete di cavi e tubi d’acciaio. Siamo circondati da montagne di casse (acustiche), delle cattedrali austere che incutono timore, suscitano apprensione per la potenza che sembrano poter sprigionare. L’amplificazione è divisa in colonne alte circa due metri e mezzo. Ogni colonna è composta da tre tipi diversi di casse, tutte rigorosamente autocostruite, che ostentano spesso un legno ancora grezzo. Ogni tipo di cassa emette solo un tipo di suono: o basso o medio o alto. Il primo tipo di casse è il più ingombrante. Sono alte circa un metro e sessanta e emettono solo i suoni con le frequenze più basse. In ogni cassa è montato un enorme speaker da diciotto pollici, quarantasei centimetri di diametro. Quattro casse per bassi costituiscono la base di ogni colonna. Data la posizione delle casse nella colonna il suono del basso colpisce direttamente e senza tregua gambe, addome e petto. Sopra queste casse c’è n'è un altro tipo, più piccolo, che emette esclusivamente suoni medi e sta esattamente all'altezza della testa. In ogni colonna ci sono tre speakers per medi di diametro inferiore ai subwoofer per i bassi. Infine, in cima alla montagna ci sono le casse più piccole, quelle composte dai tweeter che emettono i suoni più alti. Fortunatamente non sono all'altezza delle orecchie ma sono tanti, quasi dieci per colonna, dieci piccole trombe. Emettono un suono tagliente, lancinante. Nel limitatissimo spazio dello scantinato contiamo in tutto sedici subwoofer, dodici middles e quaranta tweeter distribuiti in quattro colonne disposte in modo che nessun punto della stanza rimanga al riparo dalle vibrazioni violentissime che producono. Non c’è via di fuga. È buio. Tra le sagome scure delle persone che abbiamo davanti si intravede una luce rivolta verso il basso che rischiara una piccola porzione di muro giallo. Illumina il piatto del sound operator. È l'unica luce accesa nella sala. Ogni tanto un lampo nero la oscura. La sagoma di un uomo ondeggia avanti e indietro, ossessivamente. Con qualche difficoltà cerchiamo di avvicinarci un po' di più a quell'ombra… Aba Shanti sta lì, suona rivolto verso il muro dando le spalle al pubblico. La consolle è addossata al muro. La sua disposizione fa sì che l'intero groviglio tecnologico che serve a far funzionare il sound system sia apertamente mostrato al pubblico. Sulla destra ci sono pile di amplificatori, decine di leds accesi, lampeggianti; fili intrecciati che disegnano ragnatele caotiche. Anche il preamlificatore con il suo letto di switch colorati è rivolto verso di noi; possiamo seguire ogni 75 F. D’Orazio, Apocalisse in dub gesto di Aba Shanti che con la sicurezza della cieca abitudine manovra gli strumenti del sound system. La ‘ferraglia’ del sound system Il tipo di impianto sonoro che usa Aba Shanti, un sound system, ha una struttura a tre ‘vie’4. È costruito in modo tale che tre tipi diversi di speakers emettano ognuno un tipo diverso di suono definito da tre precisi intervalli di frequenza che segmentano il pezzo in sonorità basse, medie, alte. Ogni disco che viene suonato è sezionato in suoni alti, medi o bassi e questi tre tagli del suono possono essere gestiti autonomamente. Dunque chi gestisce il suono del sound system svolge un compito da direttore d'orchestra: decide quando di un pezzo devono suonare bassi, medi e alti e in che sequenza devono entrare. Sa quando usare l'echo e su cosa usarlo (sul ‘pezzo’, sulla sirena, sulla synth drum, sul microfono). Decide quando e come usare la sirena, la synth drum... La sirena è un effetto costruito con rudimentali circuiti elettrici grazie ai quali si ottiene la modulazione di particolari evoluzioni sonore. Sulla consolle ci sono due sirene. Hanno timbriche differenti: la prima, che ha un suono esile e acuto, viene usata in genere nei momenti di stasi tra un pezzo e l'altro o quando il pezzo ha cominciato a suonare da poco e non sono ancora stati introdotti i bassi; serve per lo più a richiamare l’attenzione o a sottolineare qualcosa, una frase del testo della canzone o un invocazione di Aba Shanti; la seconda sirena ha un suono più corposo e grave, assomiglia molto alle sirene che annunciano il coprifuoco o gli allarmi nucleari nei film di guerra e viene usata nei momenti in cui la tensione emotiva è più elevata, poco prima dell'attacco del basso o subito dopo il suo ingresso evocando situazioni di apprensione, pericolo e ansia per l'apprestarsi dell'immensa potenza divina (il suono dei bassi). Il suono della sirena porta con sé una forte carica suggestiva. La synth drum è uno strumento digitale a percussione. Ha la forma di un piccolo disco volante, del diametro di circa dieci pollici. Aba Shanti esercita delle rapide pressioni sulla superficie del disco, dei colpetti che producono dei suoni acutissimi la cui frequenza può essere modulata da alcuni switch che si trovano alla base del “disco”. La funzione della synth drum è legata soprattutto al ritmo. Viene usata per produrre degli specchi melodici al ritmo del pezzo. Produce l’effetto di amplificazione melodica della sequenza ritmica delle percussioni o della linea di basso. Realizza una sorta di controcanto melodico. Un sound operator (così si chiama chi dirige l’‘orchestra’) deve saper gestire contemporaneamente una serie di elementi ma soprattutto deve avere in mente un preciso progetto di sequenza di questi elementi, perché solo una loro concatenazione sensata produrrà effetti di richiamo e contrappunto tra un elemento e l'altro e solo da questa coesione scaturiranno forti effetti di senso. L’elemento fondamentale per orchestrare tale struttura simbolica è il Per “impianto a tre vie” si intende un impianto sonoro in cui un preamplificatore separa in tre sezioni le frequenze di suono prodotte dai supporti suonati (vinile, Dat, MiniDisc, effetti di vario genere). Ogni sezione di frequenza (bassi, medi e alti) viene inviata a una specifica sezione di amplificatori che sono a loro volta collegati a tre differenti gruppi di casse (subwoofers, middles, tweeters). 4 76 IL CORPO - VI, 10/11, gennaio 2002 preamplificatore, rigorosamente autocostruito per soddisfare le esigenze particolari del sound system come arrivare a riprodurre frequenze sonore bassissime5. Al preamplificatore si collegano tutti i pezzi del sound: il piatto, gli effetti, le altre periferiche (come sirene e synth drum) e ovviamente l’amplificazione. Nell’economia della session bassi, medi e alti hanno funzioni diverse e dunque vengono attivati in momenti diversi. Il roboante suono dei bassi viene paragonato al tuonare del dio mentre il suono degli alti allo scroscio premonitore dei lampi. La sequenza naturale lampo-tuono viene riprodotta musicalmente nella session. Questa struttura è tipica delle session inglesi; ogni canzone viene infatti prima di tutto separata dalla precedente attraverso qualche secondo di silenzio. Poi viene introdotta dal sound operator che invoca Jah. Quando finalmente la musica parte suonano solo medi e alti, i bassi sono tagliati fuori. Solo dopo che la canzone è stata ascoltata e il suo testo compreso, allora viene suonata nuovamente da capo. All’inizio suonano medi e alti ma dopo poco, entrano anche i bassi, epifania della potenza divina. È attraverso il preamplificatore che viene gestita la rappresentazione della divinità. Limiti e grandezze di tale divinità dipendono dalle potenzialità tecnologiche del preamplificatore. La rappresentazione di Jah è filtrata e quindi informata dall’elettronica del sound system. Con la messa in mostra di tutto il lato elettronico della session si svela una sorta di ‘causalità tecnologica’ del rito di evocazione della divinità. Jah non è fatto solo di musica, vibrazioni e immagini, Jah è fatto anche di amplificatori (infernali generatori di potenza), leds e cavi intrecciati. Il corpo di Aba Shanti I Rispetto al modo in cui abitualmente i sound system dispongono la consolle c’è una differenza radicale in Aba Shanti. Normalmente il sound operator suona rivolto verso il pubblico e la consolle che ha davanti lo separa dalla yard (lo spazio in cui le persone ballano). Si crea così una frattura tra la crew (dietro la consolle) e il pubblico. Questa frattura focalizza il centro dell’evento nella performance musicale di chi sta suonando. Nel caso di Aba Shanti la diversa disposizione della consolle e del sound operator hanno un intento preciso: concentrare l’attenzione del pubblico esclusivamente sul rituale di evocazione della divinità. (“It’s not about me, It’s all about His Majesty”6). Aba Shanti si rappresenta come strumento della rivelazione divina e non come protagonista dello ‘spettacolo’. In questa ottica il vero e unico protagonista della serata è il dio che sorge dalla sugge- Nell'autocostruzione dello equipment del sound system è molto forte la componente strategica di resistenza culturale: come il preamplificatore anche le casse sono autocostruite. Strategia differente ma con lo stesso fine è l'utilizzo di effettistica vecchissima e analogica, introvabile sul mercato di oggi che dà a questo sound system una sonorità ineguagliabile. Non è un caso che in studio di registrazione, i sintetizzatori più moderni e costosi siano collegati ad un vecchio Atari che viene usato come sequencer. 6 Cfr. nota 2. 5 77 F. D’Orazio, Apocalisse in dub stione di ognuno dei presenti. Ma non si può certo negare il carisma esoterico del ‘personaggio’ Aba Shanti I, né la fascinazione magica che esso esercita sul suo pubblico. Infatti, malgrado le intenzioni dichiarate, Aba Shanti resta un ‘personaggio’ molto forte ed è esclusivamente come tale che egli si rappresenta nella session. Egli è un semi-dio e in quanto tale dimostra di possedere un corpo non umano. L’uomo Jasmin Joe ed il personaggio Aba Shanti I hanno corpi estremamente diversi. Aba Shanti sembra possedere un corpo mitico, divino, insensibile sia alla stanchezza che al dolore fisico: è un corpo instancabile, che danza convulsamente per tutta la notte senza sosta, sempre allo stesso ritmo. Alcune persone per assistere alle session usano dei tappi per le orecchie. Aba Shanti si espone ripetutamente alle migliaia di decibel che esplodono dall’immensa amplificazione senza mostrare il minimo fastidio. Questo corpo instancabile e insensibile alla violenza sonora ha una struttura molto particolare. Il corpo del personaggio è quello che tutti possono vedere durante l'orchestrazione del rito attraverso la folla delle sagome del pubblico nell’oscurità completa della sala (senza dimenticare che Aba Shanti suona sempre di spalle). Questo corpo mitico è anatomicamente incompleto. Aba Shanti è un profilo facciale che si mostra alternativamente a quello opposto e che si dilegua rapidamente nel nero della figura danzante che si contorce; Aba Shanti è un occhio solo, un rapidissimo lampo bianco nel buio; Aba Shanti è una nuca coperta da un copricapo pieno di dreadlocks; Aba Shanti è una schiena, due spalle, due braccia e solo raramente, due gambe. La maggior parte delle persone conosce metà corpo di Aba Shanti, la metà posteriore; è quella l'immagine che risulta dalla messa in scena della session. Il corpo del personaggio (Aba Shanti) è ben diverso dal corpo dell'uomo (Jasmin Joe): Aba Shanti ha degli occhi normalissimi. Jasmin Joe, da sempre, è afflitto da un forte strabismo all'occhio sinistro. Aba Shanti ha un fisico potente, agile e scattante che gli permette di danzare ore e ore senza mai fermarsi. Jasmin Joe è piuttosto basso e ha una corporatura apparentemente esile che mai farebbe pensare alle epiche performance di Aba Shanti I. Ci facciamo strada tra i corpi sudati… Aba Shanti orchestra il cerimoniale rigorosamente da solo. La conduzione della session ad opera di una sola persona è una caratteristica tipica dei sound system d'oltremanica. In Inghilterra (molto più che in Jamaica) si tende a personalizzare la conduzione della session e così nascono dei veri e propri 'personaggi' che in alcuni casi diventano dei veri e propri 'sacerdoti', 'maestri di cerimonia'. Mentre il disco gira sul piatto, Aba Shanti suona le sue due sirene, la synth drum, a volte l'armonica; parla, prega, intona melodie di adorazione, danza instancabilmente al ritmo epico della musica senza fermarsi un attimo. La sua voce melodiosa raggiunge tonalità molto alte fino a picchi elevatissimi sottolineati puntualmente da lunghissime eco che aleggiano sulla session. Ogni tanto, nel pieno del ballo, Aba Shanti si gira di scatto, per una fra78 IL CORPO - VI, 10/11, gennaio 2002 zione di secondo, e scruta il pubblico con la coda dell'occhio: un lampo bianco squarcia la massa nera che salta, si piega e si lascia modellare dalle vibrazioni sonore. Sembra controllare di tanto in tanto la situazione dietro le sue spalle, ma il suo sguardo mi colpisce perché ha un'espressione strana, assente eppure estremamente cosciente e severa… Ci avviciniamo ancora, facendoci largo nella folla delle sagome scure che urtano l’una contro l’altra. Attorno ad Aba Shanti si crea un vuoto naturale, nessuno osa avvicinarsi più di tanto. Lo vediamo fissare lo sguardo verso l'alto, direttamente sopra la consolle… Appese al muro ci sono delle immagini. La loro posizione elevata le rende visibili a tutte le persone che si trovano nella sala. Costituiscono l’altare della session; tutti sono orientati verso di esse. Notiamo tre immagini grandi, una accanto all’altra. La prima delle tre immagini rappresenta Hailè Selassiè seduto sul trono d'Etiopia. Lo scatto ritrae il momento di insediamento dell'imperatore. Alla foto in bianco e nero, è stata sovrapposta una pellicola gialla rossa e verde che fa da filtro. Sopra l’immagine c'è scritto “Emperor of Ethiopia”, sotto “Haile Selassie”. La terza immagine, a sinistra, rappresenta ancora Heilè Selassiè che però questa volta è a cavallo. Si tratta di un disegno. L'imperatore è vestito in grande uniforme, ricco di decorazioni. Indossa un'armatura dorata con un elmo munito di una grande “criniera” di un colore tra il giallo e il rosso. Non è un caso che la prima associazione che viene in mente è un leone. Attraverso i colori, la postura fiera, la “criniera”- pennacchio, il Re dei Re viene rappresentato come “conquering lion of the tribe of Judah”. Si realizza cioè plasticamente7, attraverso l'orchestrazione delle forme, dei colori e delle disposizioni degli elementi, ciò che figurativamente sarebbe risultato ridicolo: ci saremmo trovati probabilmente di fronte alla figura di un uomo con la testa di un leone, o di un leone con la testa dell'imperatore. Così invece, pur sentendo la fierezza e la possanza di un leone riconosciamo nell’immagine la figura di un uomo. Selassiè cavalca un cavallo bianco anch'esso ricchissimo di ornamenti dorati. Lo sfondo dell’immagine, blu scuro, è squarciato a partire dal centro da una forte luce anch’essa dorata che si estende circolarmente in senso centrifugo. Il punto di partenza (nascosto) del fascio luminoso circolare coincide esattamente con il baricentro del corpo unico Imperatore - cavallo. Lo scorcio del disegno inquadra l'imperatore e il suo grande cavallo bianco dal basso, aumentando così quell'effetto già presente di gigantismo e potenza. L’immagine adotta tutti gli stilemi della rappresentazione mitica, anche quelli più banali (come appunto la corrispondenza di una fonte di luce nascosta dietro il personaggio con il baricentro del personaggio stesso che sembra emanare luce dalla stabilità del suo profondo equilibrio spirituale). Al centro, tra le due immagini che ritraggono Heilè Selassiè c’è un'immagine composta da diversi elementi. Nel mezzo dell'immagine si trova una masche- 7 Sulla semiotica plastica cfr. A.J.Greimas, Semiotica figurativa e semiotica plastica, in L. Corrain e M. Valenti, Leggere l'opera d'arte, Bologna, Esculapio 1991. 79 F. D’Orazio, Apocalisse in dub ra africana, quella stessa che Aba Shanti usa come logo. È un simbolo di riconoscibilità per il sound system, si trova su quasi tutti i flyer e i dischi prodotti dalla Falasha Recordings, casa di produzione fondata nel 1997 da Aba Shanti e il resto della crew che supporta il sound system. Nella cultura africana la maschera ha principalmente tre funzioni: viene usata durante le danze nelle processioni religiose che riproducono il contesto della cosmogonia alla fine di ogni ciclo di lavoro stagionale; fa rivivere il mito; ha un indiscusso potere magico sia in senso malefico che benefico8. La maschera in questione proviene dal regno del Benin, Nigeria e risale al XVI secolo. Fu intagliata nell’avorio. Al mondo ne esistono due copie, quasi identiche. Una si trova al British Museum di Londra, l'altra si trova al Metropolitan Museum di New York. La maschera è un ritratto della madre dell'Oba (re), il quale la indossava durante le cerimonie per la commemorazione del suo ruolo di consigliera e guida. La regina madre indossa una collana di corallo e presenta segni di scarnificazione al di sopra di entrambe le sopracciglia. La sommità della testa e il mento sono incorniciati da un bordo che raffigura pesci palustri (apprezzati per la loro capacità di vivere sia in acqua sia sulla terra) e volti stilizzati di mercanti portoghesi, associati al mare e all'accumulazione di ricchezze. Come i pesci palustri, i navigatori portoghesi erano creature marine e terrestri allo stesso tempo. Essendo mercanti, essi apportarono benessere al regno del Benin. Anche l'avorio in cui la maschera è intagliata fa parte di questa rete di simboli: esso è infatti associato ai rituali di Olokun (dio del mare), ed è uno dei materiali preziosi che attirarono i portoghesi nel Benin. Dunque già di per sé, considerata nel suo contesto di produzione, questa maschera appare ricchissima di simboli intrecciati in una fitta rete di senso. In aggiunta a questa già complessa rete dobbiamo considerare il senso che deriva dal fatto che la maschera è circondata da due sagome dell’Africa (Africa-terra madre), da due Lion of Judah (rastafarianesimo) e sovrasta due leoni che ruggiscono. Alla base della composizione campeggia, nera, la scritta “Earthrocker” evidentemente riferita ad Aba Shanti I. La maschera concentra in sé tutte le simbologie africane proprie del contesto della sua produzione più tutte le simbologie derivanti dalla sua associazione a contesti e figure nuove (come l’universo Rasta o la rappresentazione della maternità africana). Ma, ancora, sembra ci sia qualcosa di più in quella maschera. Lo sguardo della regina madre è aggrottato, austero, anzi direi irato. La sua severità e la sua posizione sanzionatoria (elevata rispetto al pubblico) sono sorprendentemente in tono con quell'atmosfera di forte suggestione che Aba Shanti riproduce attraverso l’apparato simbolico della session. Sarà solo un caso? Potrebbe esserlo, ma in effetti confrontando l'immagine della foto che espone Aba Shanti e le due sculture di avorio che si trovano al British e al Metropolitan ci si accorge che nella foto sono stati modificati alcuni tratti fondamentali dei due modelli scultorei. L’assetto plastico dell’immagine modifica in modo leggero ma significativo l’originale; costruisce una fisionomia del terrore divino. Il volto della Jean Leaude, Les arts de l’Afrique noire, Hachette, 1999; J. Haskins and J.Biondi, From Afar to Zulu. A Dictionary of African Cultures, New York, Walker and Company, 1998. 8 80 IL CORPO - VI, 10/11, gennaio 2002 regina è più affilato; il taglio degli occhi è più inclinato verso il centro del volto producendo così uno sguardo accigliato, irato, che incute timore; gli occhi originariamente ben definiti nelle loro componenti qui sono orbite spaventosamente vuote e nere. Il bulbo oculare è proiettato in aggetto e orienta lo sguardo dall’alto verso il basso, dando un'impressione di schiacciamento dell'ipotetico oggetto raggiunto dallo sguardo della maschera. La posizione in cui l'immagine della maschera è collocata , tra le due immagini di Selassiè, sopra la consolle, è una posizione sanzionatoria che permette allo sguardo paurosamente vuoto e nero di dominare tutta la platea della session che è rivolta esattamente in quella direzione. La foto della maschera non esprime quel senso di serenità e protezione materna che si percepiva dalle due sculture in avorio. La maschera è 'usata' come personificazione mitica del sacro come potenza terribile che si manifesta attraverso il sound system. Sovracodifica Nella session ogni segno è sovracodificato. Aba Shanti usa in modo simbolico degli elementi che hanno già una funzione simbolica. L’immagine della maschera è l'esempio più evidente di questo processo. Nel momento in cui rappresenta la divinità porta ancora con sé tutti i suoi sensi pregressi (simbologie legate al contesto di fabbricazione, ai contesti d'uso ecc.). In questo modo essi entrano a far parte della rappresentazione del Dio. Le messe di Aba Shanti sono riti con una forte memoria semantica. Conservano il ricordo di una tradizione multilineare con radici molto resistenti ed è proprio la persistenza di antiche suggestioni che suscita quella sensazione di stridore tra arcaico e tecnologico che si percepisce quando si partecipa ad una session. Il Dio di Aba Shanti è il risultato del lavoro di un abile bricoleur9. Lo stesso nome “Aba Shanti I” è composto da termini che rimandano a differenti universi di significato. Aba (padre) appartiene alla Bibbia; gli Ashanti sono una tribù del Ghana, noti come valorosi guerrieri; I (si legge come “eye”) appartiene all'universo rastafariano. È il ‘suffisso’ che simboleggia la presenza di Jah nella parola che lo contiene. A partire dall'espressione I&I, che significa “io & Jah” (tralasciando l'interpretazione più complessa del termine che rimanda anche alla costante presenza della comunità al fianco del singolo) si è sviluppata una serie di I-words che ha dato luogo ad una vera e propria ristrutturazione del linguaggio (ad es. Itection al posto di protection, a significare Jah-protection, Ivine al posto di Divine). Pratiche di poaching10 attraverso le quali elementi simbolici con differente provenienza culturale sono risemantizzati per poter essere associati al nuovo setting (il rito) che li include tutti unificandoli sotto un denominatore comune (la 9 Cfr. C.L. Strauss, Il pensiero selvaggio, Il Saggiatore, 1964; D. Hebdige, Sottocultura: il fascino di uno stile innaturale, Genova, Costa & Nolan, 1983; Jean Marie Floch, Semiotica di un discorso plastico non figurativo: Composizione IV di Kandinsky, in L. Corrain e M. Valenti, Leggere l'opera d'arte, Bologna, Esculapio, 1991. 10 Cfr. M. De Certeau, L'invention du quotidien, Paris, Uge, 1980. 81 F. D’Orazio, Apocalisse in dub rappresentazione di un particolare tipo di divinità) ma allo stesso tempo ne mantiene vive alcune specifiche culturali di provenienza. Da questo meccanismo di sovrapposizione di sensi pregressi deriva la grande ricchezza del codice usato. Ci sono almeno quattro immaginari che vengono montati insieme: quello biblico, quello africano/tribale, quello rastafariano e quello tecnologico. L’universo semantico più presente nella session è quello biblico. Tutte le suggestioni di cui l’Antico Testamento è ricco sono recuperate ed anzi amplificate in chiave ‘magica’11. La Rivelazione della potenza divina è da temere, porterà terremoto, fuoco, lampi, tuoni e tempeste. Le session di Aba Shanti hanno un’atmosfera apocalittica. Sono profetiche, millenariste, annunciano l'avvento di Jah e la sua “vendetta”. I titoli degli album prodotti da Aba Shanti lo confermano: «The wrath of Jah», «Pure Spirit», «Jah Lightning and Thunder», «Rasta soul Jah»(soul-Jah/soldier), «Jericho Walls». Introduzione È appena terminato un pezzo. Per un momento c’è un silenzio solenne, poi Aba Shanti afferra il microfono: «…Jah, Rastafari, Selassie I Guidance and Itection to all and all, Do remember don't forget the next Friday night, the place, Soas, School of Oriental and African studies, featuring the sound Aba Shanti I, I&I will be there, giving thanks and praises to the most high God of creation, Jaaaaah Raaastafaaaari -rispondono tutti-, Selassie I liveth inna the hearth of all man, continuously» - poi la voce si fa più forte e squillante e con tono proclamatorio riprende… - «LET HIM ARIIIIIIIISE, AND THE ENEMIES BE SCATTERED» - la puntina comincia a gracchiare sui solchi del vinile, parte la musica... Dei corni emettono un suono molto grave, creano un’atmosfera drammatica e meditativa. Una voce registrata sul disco grida con tono profetico e incita la folla in delirio che risponde con urla e grida incomprensibili. Il suono ipnotico di una campana scandisce in modo solenne la melodia sacra della rivelazione di Jah… Il pubblico è rapito dalla musica, si sviluppa un’immensa e incontenibile carica emotiva. Ancora niente bassi. Suonano solo medi e alti. Aba Shanti interviene poco, lascia che il pezzo suoni. La melodia armoniosa e struggente fa accapponare la pelle. L’attesa del basso comincia a farsi sentire, sale la tensione nel pubblico, tutti si aspettano l’esplosione del basso da un momento all'altro……………e invece sul più bello, la musica s’interrompe… 11 In Sottocultura: il fascino di uno stile innaturale, D. Hebdige, parlando della cultura rasta, definisce l'appropriazione del patrimonio biblico come un “furto”. In questo caso la risemantizzazione è estremamente significativa perché riguarda «i temi della Bibbia dell'uomo bianco, un testo che precedentemente era stato usato per giustificare lo sfruttamento coloniale […] Il racconto biblico forniva da un lato “metafore particolarmente appropriate per la miserevole condizione degli indiani e dei neri della classe operaia (Babilonia, le pene degli israeliti), e dall'altro un insieme complementare di risposte metaforiche ai problemi propri di tale condizione (Liberazione dei Giusti, Punizione dei Malvagi, Giorno del Giudizio, Sion, la Terra Promessa)”» in Shaun Moores, Il consumo dei media, Bologna, Il Mulino, 1998. 82 IL CORPO - VI, 10/11, gennaio 2002 Modulazione Aba Shanti grida: «Jaaaaaaaaaahhh» - rispondono tutti - «Raaastafari»… più forte… «Jaaaaaaaaaaaaaaaaaaaahh…» - la risposta diventa possente «Rastafari»…fortissimo… «Jaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaahhhhh», «Raastafari, liveth inna the hearth of all men…» Un suono lancinante di sirena rompe il silenzio, la puntina corre sui solchi del vinile. Lo stesso pezzo ricomincia a suonare, riparte il ritmo…poi Aba Shanti comincia l’invocazione… «I&I Glorify the name of the Almighty Father, Most High God of Creation, Emperor Heile Selassie I the first…Jah children be aware of Satan…»… ancora niente basso…Aba Shanti intona un canto lento e melodioso - «Love Jah Jah, in the morning, love Jah Jah in the evening, love Jah Jah in the night and day» - si ferma e riprende con l'inizio della nuova battuta - «Jah is the power, Jah is my strenght, Jah is my salvation……oooooh, I will shout to the world I love Jah Jah…… I will sing to the world that I love Jah Jah…tell dem, tell dem man…» Il suono possente, fortissimo e prolungato di una sirena squarcia l’atmosfera, “appare” come fosse monito di qualcosa, evoca pericolo, suggestiona, mette in apprensione, sancisce la solennità del momento. Lo squillo lancinante delle trombe celesti annuncia lo scioglimento dei sigilli… Tornano alla mente suggestioni da Antico Testamento. Non si tratta solo di un’atmosfera generale. In molti casi i testi delle canzoni prendono spunto da un passo biblico, lo amplificano ricostruendone la storia e gli sviluppi e lo adattano al contesto contemporaneo utilizzandolo come metafora del presente e profezia del futuro. Avviene una risemantizzazione del racconto biblico, una trasposizione, nella realtà contemporanea, dell'intero universo biblico e di tutti i suoi rapporti interni tra figure del bene e del male. La realtà è continuamente letta sul binario parallelo della visione biblica che la ristruttura in modo “conflittuale”. Fulcro di questa struttura è la costruzione di un nemico interno che viene identificato con la madre di tutte le metafore bibliche usate dai rasta: Babilonia. Come nelle Sacre Scritture questo nome dà corpo al complesso di forze che lottano contro il Popolo di Dio, così per i rasta Babilonia indica in assoluto il male in tutte le sue forme (« “historical atrocity”, “economic rapaccity”, “mental slavery”, “politics as politriks” » etc.). La Bibbia e in particolare l’Antico Testamento è centrale anche nella costruzione dell’immagine della divinità. In tutte le canzoni ma anche nelle invocazioni di Aba Shanti, Jah è sempre definito secondo epiteti biblici (King of Kings and Lord of Lords, Conquering Lion of the tribe of Judah, Root of King David, Almighty Father). Egli intona dei veri e propri inni, delle litanie a Jah che ricalcano sempre i toni, le forme e spesso le parole di alcuni passi biblici, tratti soprattutto dai Salmi e dal libro dell’Apocalisse di Giovanni. (ad esempio: «Jah arise, and his enemies be scattered…» Salmo 67 - Inno di trionfo: «Sorga Dio, i suoi nemici si disperdano e fuggano davanti a lui quelli che lo odiano…»). Ma a parte le parole, è proprio nella musica che viene realizzata una sorta di ‘traduzione’ del complesso gioco di visioni e simboli del Libro della Rivelazione. 83 F. D’Orazio, Apocalisse in dub Nell’imponenza del suono dei bassi e nella vibrazione fisica che essi producono c’è la voce della potenza divina. Nel reggae inglese e in particolare nelle produzioni musicali di Aba Shanti (Falasha Recordings) si fa un uso massiccio di strumenti come organi e corni e che danno una connotazione di forte sacralità. Il legame al sacro è ancor più forte se consideriamo che nell’Antico Testamento strumenti come trombe, corni e flauti spesso annunciano l’imminente scatenamento dell’ira divina: «Quando l'Agnello aprì il settimo sigillo, si fece silenzio in cielo per circa mezz'ora…Poi venne un altro angelo e si fermò all'altare prendendo un incensiere d'oro…Poi l'angelo prese l'incensiere, lo riempì del fuoco preso dall'altare e lo gettò sulla terra: ne seguirono scoppi di tuono, clamori fulmini e scosse di terremoto. I sette angeli che avevano le sette trombe si accinsero a suonarle. Appena il primo suonò la tromba, grandine e fuoco mescolati a sangue scrosciarono sulla terra…Il secondo angelo suonò la tromba: come una gran montagna di fuoco fu scagliata nel mare…Vidi poi un altro angelo, possente, discendere dal cielo, avvolto in una nube…Avendo posto il piede destro sul mare e il sinistro sulla terra, gridò a gran voce come leone che ruggisce. E quando ebbe gridato, i sette tuoni fecero udire la loro voce»12. In questo passo dell’Apocalisse di Giovanni c’è il cuore della simbologia usata da Aba Shanti: l'immagine del dio del terrore viene offerta nella Bibbia attraverso la dimostrazione catastrofica del suo potere sulla natura. Aria, acqua, terra e fuoco, ‘gli elementi’, vengono tutti chiamati in causa per la rappresentazione di Dio e la sua immagine prende corpo proprio dallo sconvolgimento di tali elementi. Rispettando in pieno lo spirito apocalittico Aba Shanti parla di earthquake e si definisce earthrocker, pala di brimstone and fire, lightning and thunder… Egli adotta esattamente lo stesso immaginario; quello che cambia è la forma della messa in scena. Un modello molto simile di rappresentazione della divinità è quello della regalità sacra africana che considera il sovrano l’incarnazione vivente di un dio e gli riconosce il potere sulla natura. Qui il cerchio si chiude perché in effetti è proprio di un re terreno, anzi di un imperatore, che stiamo parlando. Nella figura del Ras Tafari si realizza la fusione perfetta tra immaginario rasta, immaginario biblico e immaginario africano. Un esempio concreto è la rappresentazione musicale di questa divinità. Il Dio tuonante dotato di una potenza estrema e distruttrice, in grado di scuotere la terra, viene ricreato dalla potenza dei bassi del sound system. Anche qui avviene una perfetta fusione tra elementi semantici appartenenti a universi molto lontani. La musica digitale, l’armamentario tecnologico del sound system (casse, amplificatori, effetti ecc.) servono a materializzare un Dio arcaico, una potenza atavica. Esplosione Ancora niente basso…Cresce la tensione. La danza si fa più ginnica, i 12 84 Bibbia, Apocalisse di Giovanni 5/10:7. IL CORPO - VI, 10/11, gennaio 2002 gesti più marcati, il pubblico si prepara ad esplodere all’attacco del basso…salgono grida di invocazione, sempre più frequenti, sempre più forti in un botta e risposta tra il pubblico e Aba Shanti. Durante la session si sviluppa un vero e proprio rapporto emotivo tra Aba Shanti ed ogni singola persona del pubblico. Aba Shanti è un formidabile polo di attrazione. Si sentono voci distorte per lo sforzo delle urla. Ascoltiamo in ‘religioso silenzio’ muovendoci al ritmo della musica… ancora niente bassi, solo una tempesta lancinante di alti e medi. I loops prodotti dall’echo si rincorrono e si sovrappongono, sempre più lunghi e insistenti, il suono della sirena imperversa con le sue evoluzioni impossibili, tutto si sovrappone, tutto si intreccia, tutto fa eco a tutto, tutto sembra essere elevato alla massima potenza e alla massima tensione emotiva, tutto è pronto per l’esplosione… Improvvisamente il suono degli alti diventa più nitido e fendente, affonda stoccate pungenti alle nostre orecchie, aumenta il volume della musica, il suono delle percussioni esplode nella testa , sembra frustare, tutti aspettano il basso con ansia, tutti temono il basso… « I&I redeeeeeeeeeeemer…….…spiritual, spiritual, you know »…- //pausa// entra il BASSO siamo investiti da una potente onda d’urto, il pavimento trema, il petto si comprime, cartilagini e membrane cominciano a vibrare come ance, la vista trema… Il luogo chiuso, il soffitto basso, la sala traboccante di persone accalcate, l’aria satura di fumo e vapori corporei…all’attacco del basso avverto una sensazione quasi di soffocamento, il petto viene compresso dalla potenza del basso. Il corpo è invaso dal ritmo. Vibra al suono del basso. Le cartilagini e le membrane sembrano sgretolarsi, anche la vista risente della potenza sonora: se provo a fissare un punto ho l’impressione che lo sguardo stia tremando. Le gambe avvertono il formicolio delle vibrazioni. La linea di basso ha un ritmo semplice e ossessivo. Colpisce ad intervalli regolari, inesorabili; la melodia è continua. Nel reggae ‘tradizionale’ invece la melodia del basso è ritmicamente spezzata, spesso sfrutta l'impiego della sincope per produrre tensione ed eccitazione13. Anche per questo motivo l’‘effetto corporeo’ del roots inglese è molto diverso da quello del reggae giamaicano. Il coinvolgimento fisico è totale, dall'interno esplode una carica emotiva struggente e distruttiva, un coinvolgimento animale, istintivo. Come perdere i sensi e riuscire a sentire lo stesso. Una tempesta di vibrazioni scuote il corpo dai piedi alla testa con inaudita violenza, lì per lì ci viene da ridere, è una sensazione strana, non siamo più noi a controllare il nostro corpo in balìa del suono e del delirio collettivo. Si ha l’impressione di non avere scampo, non c’è un angolo in cui rifugiarsi dall’imponente massa sonora che le casse ci scaricano addosso. Nel momento in cui entra il basso tutta la tensione che abbiamo accumulato fino a quel momento esplode, ed è esattamente allora che crollano tutte le barriere difensive della coscienza e ci si lascia trascinare dal flusso sonoro che invade il corpo con prepotenza. Il suono sembra esplodere all’interno del corpo. 13 O. Karolyi, La grammatica della musica, Torino, Einaudi, 1989. 85 F. D’Orazio, Apocalisse in dub Nell’analisi di alcuni riti di possessione, Bataille definisce il ritmo dei tamburi come ‘esplodente ritmico’. «Il ritmo ossessivo, ripetitivo, apparentemente monotono ma in realtà estremamente complesso dei tamburi viene in un primo momento accolto come un fatto esterno. Poi arriva il momento in cui la separazione scompare: i colpi dei tamburi si sentono dentro la testa…la droga può far precipitare tale ribaltamento della situazione. Allora i tamburi battono ovunque, non più soltanto dentro la testa, ma in tutto il corpo…la testa scoppia….Il ritmo forte, sempre più intenso e significativo dei tamburi sfonda la coscienza ordinaria, la spezza, la fa esplodere…il tamburo può facilitare o provocare quel passaggio che definisce l'ingresso nella transe, che fa vacillare e strabuzzare gli occhi e che presuppone preliminarmente un esplodere delle difese»14. Nella session, il basso e il ritmo delle percussioni hanno lo stesso ruolo di ‘esplodenti’. Oltre la ripetitività, l’ossessività e l’apparente monotonia dei ritmi, nella session il passaggio dalla percezione del ritmo come altro da sé alla percezione del ritmo come presenza interiore, viene innescato dal volume spropositato dei suoni. Il ritmo ripetitivo, monotono e ossessivo si infiltra tra le pieghe della coscienza, il cervello si abitua ad esso e comincia a riconoscerlo come presenza familiare, costante, normale e quasi necessaria. Il volume spropositato fa sì che il ritmo sia ‘udito’ da tutto il corpo. Il corpo è invaso dal ritmo. Il corpo vibra al suono del basso. Ogni difesa cede… Le vibrazioni attraversano la carne. Percussioni metalliche sincopate fanno da contrappunto al fluido del basso, e piegano il corpo in movimenti angolati. È attraverso il corpo che percepiamo la musica. Il ritmo forte sempre più intenso sfonda ogni difesa così come la barriera corporea, permeandola e invadendola, trasformando i corpi in corde vibranti al suono. Ad un certo punto ci si accorge che per sentire la musica non si usano più le orecchie ma lo stomaco. Attraverso la sensazione del ‘corpo invaso’ la coscienza percepisce il suono e il fisico come un tutt’uno. Il suono vibrante è una presenza talmente ingombrante da non poterla evitare né respingere; è una presenza da accogliere e in cui identificarsi. Il corpo si trasforma in corpo ritmico e melodico, corpo strumento. Corpo violato / Corpo esausto Il soffio musicale del sacro si manifesta attraverso la vibrazione dei corpi. La carne vibrante, i nervi tesi, i muscoli e le ossa doloranti per il ballo sono il medium della rappresentazione della potenza divina. La stimolazione del corpo insinua il sacro tra le pieghe della soggettività più intima perché tocca il sentimento più personale e segreto: la percezione del proprio organismo. Nella session, sono due i tipi di stimolazione che ‘snaturano’ la percezione del nostro corpo: il suono e la danza. 14 86 G.Lapassade, Dallo sciamano al raver, Milano, Apogeo, 1997. IL CORPO - VI, 10/11, gennaio 2002 In questo caso il suono va inteso come entità fisica brutale. La potenza impressionante del sound system fa letteralmente vibrare i corpi, li invade, li permea e li trafigge. Il corpo subisce una violenta intrusione. È in balìa di una potenza estranea e incontrollabile che se ne è impadronita e ne ha alienato la percezione. Il corpo è stato violato. La percezione del movimento del proprio organismo dà l'impressione di non esserne più padroni. Una volta entrati nel vivo del rito, ci si accorge che il corpo si muove senza bisogno alcuno della propria volontà. Ci si accorge che finché si è nel pieno dell'esaltazione il corpo non sente assolutamente alcuna stanchezza e riesce ad andare avanti per ore fino alla fine della session, quando improvvisamente, si 'risveglia' esausto. Il corpo salta, si piega, respira, suda è assetato; stomaco e gambe sono inondati dalle vibrazioni e formicolano, il petto è schiacciato dalla potenza dei bassi che si trovano esattamente a quell'altezza, la vista trema. Il corpo ha assunto esclusivamente la funzione di materializzare il suono. Il corpo si sottopone ad una tortura catartica. I due tipi di stimolazione, quella sonora-fisica e quella cinestetica, forgiano due modelli di corpo: il corpo violato e il corpo esausto. Sono due modelli di sensorialità alterata. Costruiscono l’alienazione del soggetto dal proprio corpo. L’organismo viene percepito come qualcosa di estraneo, totalmente fuori dal proprio controllo. L’alienazione dal corpo è un passaggio fondamentale per il raggiungimento di una condizione estatica. La transe si sviluppa a partire da una base neurofisiologica. Il passaggio che prelude l’ingresso in uno stato di transe è la separazione del soggetto dal suo mondo abituale, ossia dal suo universo sensoriale, dunque la separazione del soggetto dal suo ‘corpo abituale’. Questa separazione si ottiene in due modi: o attraverso l’inibizione degli analizzatori sensoriali che organizzano il flusso dei messaggi provenienti dall'esterno o attraverso la costruzione di una “cortina sensoriale”, un bombardamento di stimolazioni che, avendo un impatto massivo sui sensi del soggetto, costruisce attorno ad esso un universo sensoriale completamente diverso da quello abituale e isolato da tutto il resto (durante la session avviene proprio questo). In entrambi i casi comunque il punto fondamentale per l'induzione di stati di “coscienza marginale” è il controllo del corpo. 15 Si perde completamente il controllo sulla sensorialità del corpo. Il suono si impossessa del corpo e spinge il soggetto in un universo sensoriale ‘altro’, lo allontana dal suo universo sensoriale, il suo mondo abituale. Nello stesso istante lo stacca dal suo corpo, o meglio, dalla percezione del suo corpo, il suo universo sensoriale. La spoliazione del senso: dal pezzo alla version Intorno a me la folla magmatica continua a ribollire. Alcuni stanno ballando in silenzio, estremamente concentrati; altri lanciano grida d'esaltazione invocanti Jah Rastafari o lo stesso Aba Shanti. I movimenti della danza si fanno W. James, Le varie forme dell'esperienza religiosa, Brescia, Morcelliana, 1998; J.H.Leuba, La psicologia del misticismo religioso, Milano, Feltrinelli, 1960. 15 87 F. D’Orazio, Apocalisse in dub sempre più concitati, alcuni saltano, altri disegnano con le mani strane geometrie nell'aria, riflessi di visioni isteriche. Le dita, tese e divaricate, fanno emergere i nervi tirati sul dorso della mano. La folla in delirio sviluppa una potenza incredibile che si moltiplica ogni istante che passa. Tutti si muovono instancabilmente al ritmo di una musica epica, apocalittica, ipnotica. Aba Shanti afferra il microfono e comincia a cantare sul pezzo che gira sul piatto…«don’t you know jah live, don’t you know Jah live, don’t forget Jah Jah live, here now…» l’eco sul microfono fa risuonare a lungo la voce possente… L’echo divinizza. Dilata la presenza attraverso la reiterazione della voce. La voce tuonante dello strumento di Jah rimbomba all’infinito nella testa del pubblico, l’azione vocale umana viene amplificata a potenza sovrumana. Aba Shanti stacca i medi e gli alti attraverso il preamplificatore; rimane solo la linea di basso, potenza e ossessione…La danza assume ritmi sfrenati, ‘stepper’. La musica è completamente introiettata, i corpi non hanno altro controllo e sostegno se non quello delle vibrazioni che li trapassano, li violano, li animano. Il ritmo costringe il corpo a muoversi ed è anzi proprio il ritmo invasivo che sostiene il corpo esausto e disidratato, in movimento da ore. Quando il suono s'interrompe, ci blocchiamo immediatamente, quasi increduli per l’improvviso silenzio; il fisico crolla improvvisamente, spossato dalla fatica che fino a qualche attimo prima non sentiva affatto. Proviamo un senso di spaesamento… Solo un momento, poi Aba Shanti rompe il silenzio: «Jaaaaaaaaaah»- la folla sfiancata risponde- «Raastafari». E ancora: «Jaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaah", «Raaaastafari». E ancora, sempre più forte: «Jaaaaaaaaaaaaaaaaaaahhhhh», adesso l'urlo del gruppo si fa possente «Raaastafari»… «…And I & I say Guidance and Itection to everyone, individually, collectively, in the name of the Creator…»; un attimo di silenzio, Aba Shanti appoggia la puntina sul vinile che gira, poi la voce riprende squillante: «Who's the King of Kings?» tutti rispondono «Jaaaahh» …, qualcuno risponde «Aba»; «Who is the Lord of Lords?»…tutti… «Jaaaaaah»…; «Who is the Conquering Lion of the Tribe of Judah?»… «Jaaaaah, Rastafari, Selassie I live…Jaaaah Liiiiiiive… you Know…many more will have to suffer, many more will have to die…Oh Jah, give I the power… And may be the final trumpet…». Scroscio della puntina sul vinile, parte la version… Il pezzo è la composizione musicale originale, dotata di un testo cantato. La version è invece la composizione musicale privata del testo cantato e arrangiata in modo diverso conservando però gli elementi fondamentali (come la tonalità, il ritmo, le armonie, la linea del basso) e spesso modificando alcuni tratti del pezzo come la voce o le tastiere, gli organi ed altri strumenti melodici attraverso l’impiego di effetti, soprattutto l’echo e il riverbero. Il termine version è strettamente legato agli albori del dub: «Ascoltando i B-sides dei quarantacinque giri giamaicani, a partire dal rock steady, notiamo che in molti di essi si parla di “Version”. Questo è “Dub”, un semplice remix strumentale del lato A che può anche includere alcuni frammenti della canzone. I cantanti sono “dubbed out”, ma per molti altri aspetti la version è identica al lato A. Inizialmente veniva usata per eseguire test sui livelli del suono durante le fasi di registrazione e mixaggio, poi è diventata una moda... Il pubblico giamaicano ha sviluppato un gusto avido di version e i dee jay dei sound system 88 IL CORPO - VI, 10/11, gennaio 2002 hanno cominciato a cantare sulle version delle hit più famose…»16. Col tempo la produzione delle version diventa sempre più elaborata finché non si stacca definitivamente dai b-side dei 45 giri e acquista vita autonoma conquistando, con la nascita del dub come genere a sé stante, il lato A dei vinili. Ricomincia lo stesso pezzo, profondamente trasformato…La version è scarna e estrema. La musica è diventata più violenta, martellante e ossessiva; ripetitiva, cupa e visionaria. Gli unici elementi del pezzo che sono stati conservati sono il ritmo delle percussioni, il giro di basso e il suono di una campana che riproduce una melodia essenziale, composta di tre suoni che ossessivamente si ripetono. Il testo della canzone è stato eliminato; sono state tagliate le frasi melodiche degli strumenti solisti e il ritmo in levare delle tastiere. La melodia viene recuperata ogni tanto attraverso piccoli accenni, frammenti estratti dalla frase melodica del pezzo originale e reiterati all'infinito attraverso l’echo che è il vero protagonista della version. I loop si rincorrono su un tappeto sonoro molto confuso che mischia la musica alle grida sforzate che vengono dal pubblico… L’echo in musica funziona secondo lo stesso meccanismo del primo piano cinematografico. Come il primo piano coglie solo l'attimo dell'intero movimento di scena, così l’echo coglie una singola fase dell’intero movimento melodico e la ripete. Questo primo piano sonoro ha anche una ‘misura’, che corrisponde al numero di reiterazioni del loop. Come il dettaglio del primo piano cinematografico evoca l’intero movimento nella mente dello spettatore, così il dettaglio sonoro colto dall’echo evoca la frase melodica completa nella mente di chi ascolta. La melodia viene così interiorizzata. L’effetto dell’echo ha ovviamente anche una funzione fortemente ipnotica. La ripetizione ossessiva di loop uguali realizza un divenire che non evolve dal punto di vista melodico (si può modulare il timbro e il volume del suono, ma il loop resta sempre uguale a se stesso). Riproducendo sequenze di stimoli sonori che si ripetono con gli stessi intervalli ritmici e tonali l’echo provoca, nella mente, un effetto di livellamento della percezione. La mente insegue l’evoluzione statica del loop ripetuto e così la percezione del suono rimane ipnoticamente imbrigliata. Tutto ciò che sta dietro l'eco (come la canzone stessa, il suo ritmo, le sue armonie ecc.) viene percepito come un magma indistinto: non si sente più separatamente un suono del basso, delle tastiere, delle percussioni…ma solo un sostrato sonoro indistinto che ‘ipocodifichiamo’ attraverso le categorie musicali più elementari come acuto/grave, minore/maggiore, piano/forte, consonante/dissonante, ecc. ecc. La sequenza pezzo-version è una trasformazione che consiste nella ‘spoliazione’17 (semplificazione, riduzione ai tratti fondamentali) dell'espressione musicale e dunque anche del senso che essa ‘esprime’. 16 C. Davis e R. Simon, Reggae International, capitolo 8, X-Ray Music; vedi anche D. Slayen, What is dub - The Uk perspective, in Step Forward, issue 2, London, Dubwise Production, January 2000. 17 Ignacio Assis da Silva, Arte astratta: una poetica della spoliazione, 1987 in Corrain e Valenti, Leggere l'opera d'arte, Bologna, Esculapio, 1991. 89 F. D’Orazio, Apocalisse in dub La version è la spoliazione del pezzo originale. Nella creazione della version si mantengono un certo numero di elementi del pezzo originale e se ne omettono altri. I tratti fondamentali del pezzo che rimangono anche nella version vengono poi esaltati attraverso l'uso di effetti (echo, riverbero, flanger ecc.). Altre strategie usate per amplificare un elemento fondamentale come la melodia del basso, o il ritmo delle percussioni sono la duplicazione verticale della melodia principale all’interno della partitura (la stessa melodia viene suonata anche da un altro strumento che precede o si sovrappone all'originale) e la variazione sul tema. Consideriamo una sequenza tipica di una session dub che abbia superato la metà della serata: pezzo-version1-version2-version3. Partendo dal primo riarrangiamento (version1) fino ad arrivare al terzo ci si accorge di come mano a mano la composizione musicale stia perdendo tutte le strutture superficiali “discorsive” “figurative” e “tematiche”18. Il meccanismo pezzo-version/s può essere paragonato al meccanismo di ‘spoliazione del senso’ che nelle arti visive avviene col passaggio dal ‘figurativo’ all’‘astratto’. Il passaggio dalla figurazione (musicale) all'astrazione (musicale) corrisponde ad un’analoga trasformazione del senso veicolato, prima concreto, umano e profano poi immateriale, divino, sacro. Il passaggio dal pezzo alle version che seguono è la narrazione musicale di una ‘defigurativizzazzione’. Aba Shanti stesso dice a proposito del suonare la sequenza pezzo/versions: «the playing is like the painting…every song is like a painting. The' versions' are steps in the ladder of creation…». La sequenza pezzo/version nasconde in realtà la sovrapposizione di tre cicli diversi che vanno avanti parallelamente: un ciclo musicale, un ciclo di danza ed un ciclo di possessione. La sequenza musicale minima attraversa quattro fasi: introduzione modulazione - esplosione - silenzio. Anche la danza si sviluppa in quattro fasi: riscaldamento - tensione - scatenamento - stasi. La ‘possessione’ attraversa quattro stati mentali: contestualizzazione esaltazione - culmine - schianto. Il sound operator deve saper attivare questi cicli suscitando una tensione così grande da provocare una vera esplosione nel pubblico al momento dell'attacco dei bassi (esplosione/scatenamento/culmine). L’ingresso del basso avviene sempre al culmine del ciclo di evocazione, il momento di massima tensione in cui effettivamente avviene la ‘manifestazione’ di Jah. La funzione delle prime due fasi (introduzione-modulazione) è appunto quella di esaltare il pubblico, di costruire la tensione, di provocare l'alienazione e accentuare la concentrazione. Nelle prime due fasi il coinvolgimento è soprattutto emotivo, viene prodotto attraverso la melodia del pezzo; nella seconda fase il coinvolgimento è piuttosto fisico, la musica si percepisce attraverso il corpo. Il pubblico è trascinato fino al limite massimo, fin sull'orlo del precipizio e nella fase dell'esplosione viene spinto nel vuoto. 18 90 A.J.Greimas, Del Senso 2. Narrativa, modalità, passioni, Bompiani, 1998. IL CORPO - VI, 10/11, gennaio 2002 Farsi invadere, dopo tutto, è un piacere… Sguardi fissi e concentrati, facce tese, grida sparpagliate tra la folla «…Aba…» , «…Jah…», «…ligthning and thunder…» Aba Shanti prende il microfono e comincia a cantare. Le percussioni metalliche spezzettano la fluidità del canto. Il ‘terzo battito’ frusta più che mai. L’echo distorce la voce, la potenzia, aggroviglia le parole. Non si capisce più dove una parola finisce e dove l'altra comincia. I tweeter sono taglienti, le percussioni fanno male alle orecchie. La folla è invasata, potrebbe esplodere in qualsiasi momento, tutti si muovono freneticamente, le parole di Aba Shanti risuonano possenti. È impossibile descrivere esaurientemente quello che si prova ma mentre ci avviciniamo al momento in cui il basso comincerà a suonare proviamo un senso di delirante esaltazione, talmente forte che ci sentiamo scoppiare per la carica che stiamo accumulando…l'esplosione del basso è una necessità, ne abbiamo bisogno per scaricare l'infinita potenza che abbiamo accumulato…sentiamo il bisogno di esplodere, di gridare a più non posso…Ci siamo quasi, il basso sta per entrare…adesso che conosciamo la potenza che sprigionano le casse, lo aspettiamo con più apprensione di prima… ma in realtà la nostra è perversa trepidazione, perché farsi invadere, dopo tutto, è un piacere… …«Inna the atmosphere, inna the atmosphere… the words of the Most High God Jah Rastafari, exalt Him, the King He is the foundation, he live, He liiiiiiiiiiiiiiiiiive…liveth inna the heart of all man, Jaaaaaaaaaaaaaaaah, yes I, Babylon affi buuuuurn… Rasta disciples/ yes / dubwise/… … Make a joyful noise unto Jah… …Make a joyful noise unto Jah… …Make a joyful noise unto Jah… …Make a joyful noise unto Jah… feel the vibe man, feel the vibe…» Le grida ripetute di Aba Shanti non fanno che esaltare ancora di più il delirio del pubblico. La tensione è altissima, la frenesia dei movimenti è inarrestabile, le facce delle persone hanno espressioni tiratissime, occhi spalancati, bocche aperte caricano avidamente aria come se dovessero andare in apnea e in un certo senso quando attacca il basso ci s'immerge… « Aba Shanti I sound/ /sound/ /sound/ /sound/ /sound/ /sound/ /sound/ » entra il basso… Il basso sembra dieci volte più potente di prima, tutti si abbandonano al delirio e si lasciano trafiggere dalle onde sonore. Aba Shanti stacca i bassi per un attimo…«When you're walking and when you're talking remember the words of 91 F. D’Orazio, Apocalisse in dub Jah…»… il basso ricomincia martellante, possiede i corpi…«feel the Wrath of Jah…» La version continua a suonare per qualche minuto. Poi improvvisamente la musica tace e si sentono solo le grida del pubblico…una donna ripete ossessivamente «Heilè I…Heilè I…Heile I…». Improvvisamente sentiamo una micidiale stanchezza. Lentamente riprendo coscienza del corpo, le articolazioni sono doloranti, i muscoli indolenziti. Mi sento spaesato e stordito…Aba Shanti fruga rapidamente tra le scatole dei vinili. Tira fuori un disco e lo mette sul piatto. Poi prende il microfono. …comincia un altro ciclo. Evocare l'irrapresentabile, generare l’‘upliftment’ L’obbiettivo della session è far rivivere l’esperienza della rivelazione divina. Il rito reintegra un tempo sacro, che nel caso di Selassiè non è ‘mitico’ ma ‘storico santificato’19. La session ha esattamente le stesse funzioni della 'festa religiosa': entrambe si basano sulla reintegrazione di un tempo 'originario' ed entrambe sono rituali periodici in quanto hanno la funzione di chiudere un ciclo vitale ed inaugurarne uno nuovo sotto il segno del sacro20. Durante le 'messe' molte delle persone del pubblico raggiungono stati di transe. Aba Shanti stesso dichiara che il fine del rito è provocare l'upliftment, condizione mentale privilegiata per la venerazione del divino. L'upliftment è il raggiungimento di uno stato di alienazione dalla realtà circostante e di esclusiva concentrazione sulla ricostruzione dell'immagine della divinità. Tale immagine viene incisa nella coscienza di ognuno a colpi di stimolazioni uditive, sonore, tattili e cinestetiche. Bersaglio privilegiato di queste stimolazioni è il corpo. Le stimolazioni che la session di Aba Shanti esercita sul pubblico esasperano le capacità sensoriali del corpo, stuprano la percezione (avviene con la tattilità e l'autopercezione del proprio corpo, con l'udito e persino con la vista che trema). Su molti flyer di Aba Shanti appare, come un motto, la scritta: "Hear the music and feel the vibe". L'iperstimolazione21 che travalica le possibilità percettive umane in modo così violento costruisce la rappresentazione emozionale di una potenza spropositata, sovrumana. In questo senso il corpo è il fulcro di tutto il dispositivo session. La rivelazione divina, non si può spiegare né descrivere, bisogna farla esperire, sentire, provare. Il sacro può essere rappresentato solo in modo asintotico. Infatti Aba Shanti non rappresenta oggettivamente il sacro ma fa rivivere il ‘sentimento del sacro’. Aba Shanti mette in scena una rappresentazione fortemente irrazionale della divinità. Non a caso essa si fonda esclusivamente sulle emozioni che la session stimola. Riproducendo gli effetti fisici e il contesto mentale di M. Eliade, Il sacro e il profano, Torino, Boringhieri, 1995. Cfr. Eliade, op. cit. 21 A. Ludwig, Altered states of consciousness, in G. Lapassade, 1997. 19 20 92 IL CORPO - VI, 10/11, gennaio 2002 un'emozione si ottiene la revivescenza dell'emozione stessa e tramite quest'ultima l'impressione del contatto con Dio. La musica “fa” il suo pubblico Aba Shanti suggestiona il suo pubblico. La suggestione ci circonda di ‘qualcosa’, di presenze che ci assediano. Questa sensazione deriva dal fatto che proviamo lo stato d'animo che corrisponde all'essere in presenza di quel “qualcosa”. Inducendo artificialmente un particolare stato d'animo in un individuo provocheremo in lui l’effetto di presenza dell'evento che normalmente è associato ad esso. Lo stesso principio viene adottato nello “psicodramma” (nelle sequenze iniziali di The Brood, Cronenberg ne dà un esempio eccezionale). Stimolare una persona in modo da farle assumere un determinato stato d'animo permette di ottenere da quella persona il comportamento e l'autoinvestizione del ruolo corrispondente. Nella session avviene questo: l'induzione di un determinato stato d'animo, la modalizzazione del pubblico. Modalizzare il pubblico significa 'costruirlo', fare in modo che esso entri nello stato emotivo più adatto per la ricezione del messaggio che deve essere comunicato. Un dispositivo segnico che modalizza il suo "recettore" costruisce il suo destinatario, fa sì che il soggetto entri nello stato emotivo più adatto per la ricezione del messaggio che deve essere comunicato. La session di Aba Shanti I è un’‘opera costitutiva dell'osservatore’22 perché prepara emozionalmente il suo destinatario alla ricezione del messaggio che contiene. La maschera africana appesa sopra la consolle, in quanto agente sanzionatore, è solo una delle strategie di modalizzazione adottate nella session. Fondamentale è la modalizzazione prodotta dalla violazione del corpo. Ma come avviene questa modalizzazione, come vengono suscitate le emozioni che suggestionano il pubblico? «Noi non piangiamo perché siamo tristi, ma siamo tristi perché piangiamo…Il sentimento è il risultato dell'espressione corporea anche nell'emozione più ordinaria. Ciò che noi pensiamo istintivamente a proposito di queste emozioni ordinarie è che la percezione mentale di un fatto provochi quell'affezione mentale chiamata emozione e che quest'ultimo stato della mente faccia sorgere l'espressione corporea. La mia teoria al contrario è che i cambiamenti corporei sono una diretta conseguenza della percezione del fatto scatenato e che l'emozione altro non è che il sentimento di questi stessi cambiamenti»23. G.E.Lessing elabora un paradigma simile a proposito della recitazione degli attori: “Le modificazioni dell'anima, quando hanno come conseguenza delle F.Thürlemann, Il Compianto di Mantegna della Pinacoteca di Brera o: il quadro fa l'osservatore, 1989 in Corrain e Valenti, Leggere l'opera d'arte, Bologna, Esculapio, 1991. 23 W. James, Psychology, capitolo Emotion, in S.M.Ejzenstejn, Teoria generale del montaggio, Venezia, Marsilio, 1985. 22 93 F. D’Orazio, Apocalisse in dub modificazioni nel fisico, vengono a loro volta determinate da queste”24. Secondo James e Lesssing è possibile suscitare un’emozione se si adottano gli stati corporei esteriori in cui l’emozione si esprime e si materializza comunemente. Le tesi di James e Lessing spiegano perfettamente come l’insieme delle stimolazioni orchestrato da Aba Shanti agisce nel soggetto a livello emotivo. Aba Shanti suscita l'emozione attraverso l'induzione degli stati corporei in cui essa comunemente si manifesta. Il fulcro del dispositivo session è, infatti, l’iperstimolazione corporea che produce il corpo violato e il corpo stremato. Aba Shanti e Sant'Ignazio Il cinema rimedia all'assenza del ‘corpo vivo’ sfruttando, attraverso il montaggio, le capacità immaginative del soggetto che ad ogni dettaglio mostrato fa corrispondere l'immagine completa. Aba Shanti rappresenta il corpo sacro attraverso una tempesta di stimoli che funzionano come una serie di primi piani, legati in alcuni casi all’udito, in altri alla vista, in altri ancora alla percezione del proprio corpo. Una serie di cariche emotive si sviluppano a partire dalle differenti stimolazioni fisiche cui si è sottoposti durante la session. Il montaggio di tali ‘istantanee’ avviene grazie al sincretismo della sensorialità umana che produce l'immagine completa della Rivelazione divina come mosaico di emozioni differenti. La session è un’esperienza plurisensoriale. Quella proposta da Aba Shanti I è una religiosità totale, che coinvolge tutti i sensi attraverso un rituale di gruppo che invade il corpo del singolo. L'insieme degli stimoli che bombardano il fisico nella session ha un effetto emotivo suggestionante. L'immagine della divinità nasce dalla suggestione. Aba Shanti fa in modo che la rappresentazione del Dio Imperatore sorga autonomamente dalla coscienza di ogni individuo, per mezzo della sua capacità immaginativa. In questo modo ognuno esperisce la ‘sua’ Rivelazione e costruisce la ‘sua’ intima immagine della divinità. Il vantaggio di un processo del genere è che l’individuo crea l'immagine a partire da elementi che possiede nella coscienza. L’immagine della divinità non sarà una rappresentazione esterna ed estranea al soggetto ma sarà un prodotto assolutamente soggettivo e dunque più forte e più stabile. Questa è l'intuizione fondamentale degli esercizi spirituali di Ignazio di Loyola25: l'immaginazione è una facoltà che varia talmente da individuo ad individuo che sarebbe inutile offrire una stessa rappresentazione oggettiva dell'evento a tanti individui differenti, perché tale rappresentazione non può essere efficace in quanto sarà percepita sempre come qualcosa di estraneo con cui è impossibile identificarsi. Ecco allora che la rappresentazione efficace e verosimile sarà solo quella che ognuno costruisce autonomamente, secondo la propria immagina- 24 G.E.Lessing, Drammaturgia d’Amburgo, in S.M.Ejzenstejn, Teoria generale del montaggio, Venezia, Marsilio, 1985. 25 I. de Loyola, Esercizi spirituali, Milano, Mondadori, 1984. 94 IL CORPO - VI, 10/11, gennaio 2002 zione combinando i fantasmi che popolano la memoria. Ignazio di Loyola si pone questo problema nel momento in cui si trova a dover definire una metodologia della meditazione e della contemplazione per il raggiungimento dell'estasi mistica. Una delle preoccupazioni della Chiesa era che i suoi devoti avessero l'illusione di assoluta realtà riguardo ai misteri cristiani su cui meditavano perché solo questo profondo convincimento della esperibilità del dogma divino avrebbe permesso una fede sicura ed una predicazione sincera. A tal fine la meditazione e la contemplazione erano armi fondamentali per la “reviviscenza emotiva”26 del dogma religioso ma la loro pratica era poco diffusa e necessitava di una vera e propria iniziazione cui solo pochi potevano accedere. Ignazio di Loyola propose allora, nella prima metà del cinquecento, un 'metodo' della meditazione ma non fece altro che rendere in principi pratici e comprensibili ciò che da secoli era definito attraverso principi astratti condivisibili da pochi. Meditazione e contemplazione diventano così fasi di esercizi spirituali altamente strutturati. Gli esercizi spirituali hanno due fini: il raggiungimento dell'estasi religiosa e attraverso quest’ultima la reviviscenza soggettiva della manifestazione del divino. La reviviscenza del mistero cristiano è fondamentale perché solo «ciò che abbiamo visto con i nostri occhi, che abbiamo inteso con le nostre orecchie, toccato con le nostre mani: ecco ciò che noi crediamo e che predichiamo!»27. Il fine degli esercizi è dunque far sì che per i devoti i misteri cristiani acquistino un valore di realtà, come se essi li avessero vissuti in prima persona, per mezzo di una corretta stimolazione dell'immaginazione. Ogni esercizio prende in considerazione uno dei dogmi del cristianesimo e si pone l’obbiettivo di farlo rivivere nella sua piena sensorialità. In questa operazione un ruolo fondamentale spetta alla ricostruzione mentale dei luoghi, ossia del contesto naturale dell'evento che si deve rivivere in prima persona. Per far questo non offre una rappresentazione oggettiva del luogo né dell’evento in questione ma una serie di quadri separati appartenenti ognuno ad un diverso dominio sensoriale per poi ottenere al termine dell’esercizio uno spettro sensoriale completo dell'esperienza dell’evento. Solo dopo che un quadro del genere è stato tracciato attraverso «l’application des sens», è possibile proseguire nell’esercizio passando alla fase della contemplazione in cui il soggetto riflette sull'immagine emotiva che egli ha autonomamente creato attraverso la meditazione. In un esercizio per la costruzione dell’immagine emotiva di un luogo come l'Inferno si richiede al soggetto ad esempio di «immaginare di vedere la lunghezza e la larghezza degli Inferi, di immaginare di vedere anime avvolte in corpi di fuoco…, di immaginare di sentire l'odore dello zolfo delle fiamme e dei corpi in putrefazione, di immaginare di assaporare l'amaro dei rimpianti, della disperazione, dei rimorsi di un reprobo, di immaginare di toccare le fiamme che consumano non solo i corpi ma le anime stesse, fino a scottarsi…». S.M.Ejzenstejn, Teoria generale del montaggio, Venezia, Marsilio, 1985. Manrèse, ou les Exercises Spirituels de Saint Ignace, Paris, 1911 in S.M.Ejzenstejn, Teoria generale del montaggio, Venezia, Marsilio, 1985. 26 27 95 F. D’Orazio, Apocalisse in dub Questo insieme di dettagli immaginati si combina nel costruire un'immagine emotiva soggettiva del fenomeno in questione. Ma il fenomeno di elaborazione deve essere rigorosamente interno al soggetto. Non a caso, il repertorio delle immagini che Ignazio di Loyola usa nei suoi esercizi è molto povero e ancor più illuminante è il fatto che esse non sono descrizioni ma solo notule28, suggerimenti, stimoli, spunti, schemi per innescare la creatività dell'immaginazione del soggetto che produrrà un’immagine assolutamente soggettiva fondata su materiali recuperati dalla memoria. Lo stesso immaginario povero viene proposto da Aba Shanti attraverso stimolazioni che sono esclusivamente spunti per l'immaginazione. La divinità non viene mai descritta, tant’è che l'unico tipo di descrizione che si può rinvenire nel dispositivo della session è l’epiteto, grado descrittivo minimo. Estrarre dettagli da un fenomeno e combinare tali dettagli in unità superiori è ciò che facciamo ogni giorno. Poiché la nostra sensorialità è imperfetta nelle sue singole ‘applicazioni’ (i singoli sensi) necessitiamo sempre di integrare stimolazioni diverse per ottenere una percezione completa. Il corpo è un sistema di equivalenze e di trasformazioni sensoriali. La sinestesia, come fusione degli ambiti sensoriali, è alla base di ogni atteggiamento cosciente e intenzionale verso la realtà. Attraverso la ricostruzione di questo processo, le ‘messe’ di Aba Shanti donano anima e corpo al mysterium tremendum29. 28 29 96 R. Barthes, Sade, Fourier, Loyola. La scrittura come eccesso, Torino, Einaudi, 1977. R. Otto, Il Sacro, Milano, Gallone, 1998.