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IL CORPO - VI, 10/11, gennaio 2002
Apocalisse in dub
La manifestazione del sacro nelle
‘messe’ di Aba Shanti I
di FRANCESCO D’ORAZIO
Il seme del dub approda in Inghilterra
Trentacinque anni fa, a Londra, nasce Jasmine Joe. I suoi genitori, di
Antigua, emigrano a Londra negli anni Cinquanta, periodo in cui dai Caraibi
parte il grande esodo verso la Gran Bretagna. La maggior parte della popolazione immigrata ha origini rurali ed è povera; il miraggio del benessere economico
spinge le popolazioni delle ex colonie verso la ‘madrepatria’. All’inizio il processo di integrazione sembra avviarsi.
Sul finire degli anni Cinquanta però la situazione peggiora: lo sviluppo
economico inglese attraversa un periodo poco florido, le tensioni razziali, mai del
tutto sopite, risorgono prepotentemente, si incrina il meccanismo della convivenza ed esplode la discriminazione. All’improvviso i neri immigrati si trovano di
fronte una società indifferente e ostile, nella quale si sentono sempre più indesiderati e inutili, isolati socialmente e geograficamente in veri e propri ghetti, spesso bersaglio di attacchi e intimidazioni. In questo clima, lentamente, si diffonde il
consenso al movimento Rastafariano inglese. Nello stesso tempo comincia ad
affermarsi anche in Inghilterra quello che in Jamaica è il mezzo di comunicazione di massa più diffuso e influente: il sound system.
Negli anni Settanta si volta pagina. La comunità nera inglese è in fermento; è il momento della riaffermazione dell’identità culturale. Non si vive più di
sola importazione dalla Giamaica ma si comincia a produrre cultura nera britannica. Sono gli anni dei primi sound system d’oltre oceano e soprattutto del primo
reggae inglese. Col tempo le produzioni inglesi assumono forti tratti di differenziazione rispetto alle produzioni giamaicane e si costituiscono come un genere a
parte, cristallizzato oggi sotto il nome di UKroots.
Il reggae inglese perde l’aria festosa, caraibica, perde alcuni dei contenuti sempre più presenti nelle produzioni giamaicane come lo slackness e l’omofobia (del resto poco spendibili in Inghilterra). Il culto rastafariano diventa il tema
predominante nelle canzoni ma si conserva una particolare attenzione alle tematiche sociali e politiche (politiche in senso lato, in quanto c’è un’assoluta mancanza di progettualità).
Dal punto di vista musicale questo reggae privilegia atmosfere meditative, tendenza destinata ad accentuarsi con il sorprendente sviluppo del Dub in
Inghilterra. Nella rinascita inglese della cultura rastafariana è importantissima la
figura di Jah Shaka, sia come produttore di musica sia come sound system, che
definisce un modo nuovo di fare dance hall, prettamente inglese. Non a caso il termine usato per riferirsi ad una serata roots in Inghilterra è session e non dance
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hall, distinzione che segna il passaggio dalla concezione più giamaicana di festa
come momento fondante della comunità, festa orgiastica, a quella caraibico-inglese di rito religioso solenne che lascia molto meno spazio all'idea di entertainment.
La metamorfosi
In questo clima nasce e cresce Jasmin Joe. Si avvicina giovanissimo al
mondo del reggae, attraverso il padre che suonava con un sound system nella
Londra degli anni Sessanta. La carriera da sound boy comincia però più tardi, alle
scuole superiori, dove fonda con alcuni amici il Jah I-tal Youth sound system.
L’esperienza dura qualche anno ma poi tutti prendono strade diverse tranne Joe,
che dal 1983 comincia a suonare con Jah Tubbys (JTS), detentore dell’omonimo
sound system, uno dei più attivi sulla scena inglese di quegli anni. La collaborazione, soprattutto come MC1, durerà fino alla fine del decennio, periodo in cui il
JTS comincia a suonare sempre più raramente.
Verso la fine degli anni Settanta qualcosa comincia a cambiare. Negli anni
Ottanta il ragamuffin invade la scena reggae: «…andavo a un sacco di session ma
non mi davano la vibrazione che avrebbero dovuto darmi, quella vibrazione che
sentivo nelle session di fine anni ’70, inizio anni ’80. Mi ricordavo che le session
erano qualcosa di profondamente ispirato al Rastafarianesimo. Per me il Rastafari
è sempre stato parte integrante della musica che suoniamo. Negli anni Ottanta
andando alle dance hall si sentiva molta musica, ma nessun messaggio. Tutta l'enfasi che c'era prima sul Rastafari era scomparsa. Jah Rastafari è questa musica e il
suo messaggio…è di Sua Maestà Imperiale che stiamo parlando, per questo,
credo che separare la mia musica e il suo messaggio sia sbagliato. Se la musica
perde la sua essenza che è fondata su Jah Rastafari, be’, diventa sicuramente qualche altra cosa. Diventa trip hop, hip hop…»2. Nasce l'esigenza di un nuovo sound
system, che abbia la funzione di baluardo contro la ‘laicizzazione’ della musica
reggae suonata dai sound system inglesi.
Così nell’agosto del 1990, il JTS suona al carnevale di Leicester ma ha un
nuovo nome ed un nuovo leader. Jasmin Joe, ha 25 anni. Da allora in poi sarà Aba
Shanti-I.
Fin dall’esordio Aba Shanti-I ha grande successo. Già nel 1995 la BASS,
British Association of Sound Systems, lo nomina miglior sound system dell’anno.
Ultimamente Aba Shanti si è affermato a livello internazionale. Anche i media si
sono interessati alle sue performance. Dal 1998 ad oggi, tre programmi televisivi
si sono già occupati di lui, in tre nazioni differenti: Francia, Germania e ovviamente Inghilterra. Due aspetti del fenomeno hanno attirato maggiormente l’attenzione della televisione.
Lo “MC” è la persona che sta al microfono del sound system, introduce le canzoni, canta sulle versioni musicali dei pezzi e stabilisce il rapporto col pubblico.
2
Tutte le informazioni su Jasmin Joe sono tratte da due interviste: Jah Warrior, Aba Shanti, su
Boomshackalacka 9, 1992; Prodigy of Dub - Intervista a Aba Shanti, Settembre 2000.
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Il primo è stato il successo internazionale e multiculturale di questo sound
system. Il pubblico delle session di Aba Shanti è molto vario. Del resto anche le
tournée internazionali che il sound system conduce da qualche anno a questa
parte confermano la composizione multiculturale del suo pubblico. Aba Shanti
ha suonato di recente in Francia, Germania, Olanda, Svizzera e in altri paesi
d’Europa nonché in Israele e in Giappone. Alle tournée internazionali siamo abituati; ciò che stupisce in questo caso è la particolarità dell’evento che Aba Shanti
propone a tutto il mondo ottenendo in ogni differente contesto culturale il medesimo successo (sia in termini di quantità di pubblico sia in termini di qualità delle
reazioni del pubblico).
E qui veniamo al secondo aspetto che ha incuriosito i media. Le session
di Aba Shanti sono eventi esoterici, diversi persino rispetto dalle abituali session
degli altri sound system inglesi. Per gli ‘addetti ai lavori’ le session di Aba Shanti
sono ‘messe’, rituali di adorazione a base di musica dub suonata da un sound
system di una potenza impressionante, spesso insostenibile per il pubblico che
partecipa al rito.
“Who is the King of Kings, Who is the Lords of lords, Who is the Conquering Lion
of the Tribe of Judah?”
Le ‘messe’ venerano Jah Rastafari, Conquering Lion of The Tribe of Judah
che si è manifestato sulla Terra incarnandosi nella persona del Ras Tafari, Heilè
Selassiè I, Imperatore d’Etiopia incoronato ad Addis Abeba nel 1930. Il mito dell’imperatore divino è un fitto groviglio di storia contemporanea, profezia religiosa e immaginario popolare. In poco tempo l’imperatore d’Etiopia, ricchissimo di
‘epiteti’ come ogni messia, viene vestito di un’armatura mitica che permette a tutti
di riconoscere la sua discendenza divina (cosa che Selassiè non immagina minimamente). Quando nel 1961 una delegazione rastafariana dalla Giamaica si reca
a far visita al ‘Messia’ in Etiopia, Heilè Selassiè sembra avere reazioni poco accondiscendenti con i suoi adepti. Le origini di Heilè Selassiè si perdono nella leggenda. Il corpo sacro nasconde le radici della sua genesi così da svincolarsi da qualsiasi causalità più forte di lui stesso. Sono molte le leggende che circolano sulla
nascita dell’imperatore d’Etiopia, il Re dei Re. La più interessante, soprattutto dal
punto di vista della rappresentazione musicale che Aba Shanti mette in scena di
questo Dio, descrive l’effetto della nascita del Ras Tafari come lo scatenamento
degli elementi della natura…“la sua nascita fu annunciata da tuoni, fulmini e alluvioni che rompevano una prolungata siccità”. Predestinato al mito sin dalla nascita “egli fu l’unico, di sette figli, a sopravvivere al parto”.
La Bibbia sembra confermare le aspettative del popolo ‘rastafariano’:
“…l’Etiopia tenderà le mani fino a Dio…” (Salmo 67) “…il leone della tribù di
Giuda, germoglio di Davide, potrà sciogliere i sette sigilli. Egli tornerà e rovescerà il Regno di Babilonia…”. (Apocalisse di Giovanni).
Per quanto riguarda l’Etiopia ci siamo, Selassiè è etiope; ma la quadratura del cerchio avviene nel momento in cui si scopre che effettivamente Heilè
Selassiè è il “Germoglio di Davide” (Root of King David), il predestinato.
Bisogna fare un lungo passo indietro.
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La Regina di Saba, in una visita al Regno di Israele, si unisce a Re
Salomone. Tornata in Etiopia la Regina dà alla luce il bambino che sarà poi
Menelik I, suo successore. Hailè Selassiè è il duecentoventicinquesimo discendente di una dinastia mai interrotta cominciata con Menelik I. Dunque egli è
anche un discendente diretto di Re Salomone. E poiché Re Salomone fu scelto
personalmente da Re Davide, il quale a sua volta fu scelto direttamente da Dio, la
discendenza da Re Salomone permette a Heilè Selassiè nel 1933 di essere dichiarato divino3. A parte le procedure di divinizzazione dell'ultimo imperatore etiope, è molto interessante il tipo di divinità che Aba Shanti propone durante le sue
session. Non importa tanto quale sia il dio che le sue session invocano, quanto il
modo in cui Aba Shanti mette in scena il sacro e che tipo di esperienza religiosa
affronta chi si trova davanti a quest’idea di sacro.
Durante la session, Aba Shanti mette in scena la potenza misteriosa e terribile del divino. Il suo dio non è misericordioso. È irato, impetuoso, violento e
maestoso; scaglia tuoni e fulmini, provoca terremoti e scatena tempeste, è la furia,
il portento della natura.
Offrendo una sacralità estrema, magica ed esoterica Aba Shanti esprime
la dimensione più oscura e irrazionale del sentimento del divino.
1998.marzo.londra.hoxton square
Camminiamo per strada a passo svelto: Olly, Giulia, Andrea e io. Aria
umida, come al solito piove.
Olly è finlandese, vive in una cittadina vicino Helsinky. Come noi, è a
Londra per vedere Aba Shanti. Alcune persone in Italia mi hanno già parlato di
Aba Shanti. Mi hanno descritto le sue session come qualcosa di impressionante,
potente, spaventoso e ipnotico, delle ‘messe’.
Eccoci al posto. L’ingresso è al primo piano di un edificio in mattoncini
rossi, sembra quasi un'abitazione privata. Saliamo la classica piccola rampa di
scale esterne all'edificio e entriamo. La Sala è semi buia, ci sono poche persone
sparse qua e là ed un banchetto con alcuni dischi e merchandising rasta di ogni
genere. Attraversiamo la Sala fino ad arrivare al lato opposto. C’è una porta: la
apriamo.
Siamo in una Sala rossa, vuota. Strano che non si senta ancora niente. In
fondo c’è un’altra porta, sarà quella. Si comincia a sentire qualcosa ma in modo
poco distinto. La porta dà su una rampa di scale che scende sotto il livello della
strada. La scala è molto stretta, il soffitto basso, le pareti nere. La musica si fa più
forte e più distinta. Non si vede un granché.
Scendiamo…
E. Leonard e Sr. Barrett, The Rastafarians, Beacon Press, 1997; Nathaniel Samuel Murrell e Adrian
Anthony Mcfarlane, Chanting down Babylon, Temple University Press, 1998; J. Ki-Zerbo, Storia dell'africa nera, Torino, Einaudi, 1977.
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Nello scantinato del Blue Note
Ci troviamo in una stanza, un unico vano, più lungo che largo. L’ambiente
è piuttosto piccolo e non offre alcuna via di fuga dalle vibrazioni sonore. Ci sono
molte persone. Il locale è pieno, l’aria satura. Il soffitto è bassissimo, fa molto
caldo qui sotto. Appena entriamo ci sentiamo avvolti da un'aria molto densa.
L'acredine dei vapori corporei e l'odore di aria umida e stantia di cantina penetrano le narici e si conficcano nella gola. Il calore dei respiri ansimanti per la fatica del ballo e la coltre di fumo addensano l'aria che respiriamo e la rendono materiale, pesante. Ingoiamo tutti uno stesso, denso, respiro. I muri sono verniciati
con dello smalto giallo; sono completamente fradici, su di essi si deposita la condensa prodotta dall’aria satura di umidità, grondante di sudore.
Aggrappata al soffitto, sopra le nostre teste c’è una fitta rete di cavi e tubi
d’acciaio. Siamo circondati da montagne di casse (acustiche), delle cattedrali
austere che incutono timore, suscitano apprensione per la potenza che sembrano
poter sprigionare. L’amplificazione è divisa in colonne alte circa due metri e
mezzo. Ogni colonna è composta da tre tipi diversi di casse, tutte rigorosamente
autocostruite, che ostentano spesso un legno ancora grezzo. Ogni tipo di cassa
emette solo un tipo di suono: o basso o medio o alto. Il primo tipo di casse è il
più ingombrante. Sono alte circa un metro e sessanta e emettono solo i suoni con
le frequenze più basse. In ogni cassa è montato un enorme speaker da diciotto
pollici, quarantasei centimetri di diametro. Quattro casse per bassi costituiscono
la base di ogni colonna. Data la posizione delle casse nella colonna il suono del
basso colpisce direttamente e senza tregua gambe, addome e petto.
Sopra queste casse c’è n'è un altro tipo, più piccolo, che emette esclusivamente suoni medi e sta esattamente all'altezza della testa. In ogni colonna ci
sono tre speakers per medi di diametro inferiore ai subwoofer per i bassi.
Infine, in cima alla montagna ci sono le casse più piccole, quelle composte dai tweeter che emettono i suoni più alti. Fortunatamente non sono all'altezza delle orecchie ma sono tanti, quasi dieci per colonna, dieci piccole trombe.
Emettono un suono tagliente, lancinante.
Nel limitatissimo spazio dello scantinato contiamo in tutto sedici subwoofer, dodici middles e quaranta tweeter distribuiti in quattro colonne disposte in
modo che nessun punto della stanza rimanga al riparo dalle vibrazioni violentissime che producono. Non c’è via di fuga. È buio. Tra le sagome scure delle persone che abbiamo davanti si intravede una luce rivolta verso il basso che rischiara una piccola porzione di muro giallo. Illumina il piatto del sound operator. È
l'unica luce accesa nella sala. Ogni tanto un lampo nero la oscura. La sagoma di
un uomo ondeggia avanti e indietro, ossessivamente. Con qualche difficoltà cerchiamo di avvicinarci un po' di più a quell'ombra…
Aba Shanti sta lì, suona rivolto verso il muro dando le spalle al pubblico.
La consolle è addossata al muro. La sua disposizione fa sì che l'intero groviglio
tecnologico che serve a far funzionare il sound system sia apertamente mostrato al
pubblico. Sulla destra ci sono pile di amplificatori, decine di leds accesi, lampeggianti; fili intrecciati che disegnano ragnatele caotiche. Anche il preamlificatore
con il suo letto di switch colorati è rivolto verso di noi; possiamo seguire ogni
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gesto di Aba Shanti che con la sicurezza della cieca abitudine manovra gli strumenti del sound system.
La ‘ferraglia’ del sound system
Il tipo di impianto sonoro che usa Aba Shanti, un sound system, ha una
struttura a tre ‘vie’4. È costruito in modo tale che tre tipi diversi di speakers emettano ognuno un tipo diverso di suono definito da tre precisi intervalli di frequenza che segmentano il pezzo in sonorità basse, medie, alte. Ogni disco che viene
suonato è sezionato in suoni alti, medi o bassi e questi tre tagli del suono possono essere gestiti autonomamente. Dunque chi gestisce il suono del sound system
svolge un compito da direttore d'orchestra: decide quando di un pezzo devono
suonare bassi, medi e alti e in che sequenza devono entrare. Sa quando usare l'echo e su cosa usarlo (sul ‘pezzo’, sulla sirena, sulla synth drum, sul microfono).
Decide quando e come usare la sirena, la synth drum...
La sirena è un effetto costruito con rudimentali circuiti elettrici grazie ai
quali si ottiene la modulazione di particolari evoluzioni sonore. Sulla consolle ci
sono due sirene. Hanno timbriche differenti: la prima, che ha un suono esile e
acuto, viene usata in genere nei momenti di stasi tra un pezzo e l'altro o quando
il pezzo ha cominciato a suonare da poco e non sono ancora stati introdotti i
bassi; serve per lo più a richiamare l’attenzione o a sottolineare qualcosa, una
frase del testo della canzone o un invocazione di Aba Shanti; la seconda sirena ha
un suono più corposo e grave, assomiglia molto alle sirene che annunciano il
coprifuoco o gli allarmi nucleari nei film di guerra e viene usata nei momenti in
cui la tensione emotiva è più elevata, poco prima dell'attacco del basso o subito
dopo il suo ingresso evocando situazioni di apprensione, pericolo e ansia per l'apprestarsi dell'immensa potenza divina (il suono dei bassi). Il suono della sirena
porta con sé una forte carica suggestiva.
La synth drum è uno strumento digitale a percussione. Ha la forma di un
piccolo disco volante, del diametro di circa dieci pollici. Aba Shanti esercita delle
rapide pressioni sulla superficie del disco, dei colpetti che producono dei suoni
acutissimi la cui frequenza può essere modulata da alcuni switch che si trovano
alla base del “disco”. La funzione della synth drum è legata soprattutto al ritmo.
Viene usata per produrre degli specchi melodici al ritmo del pezzo. Produce l’effetto di amplificazione melodica della sequenza ritmica delle percussioni o della
linea di basso. Realizza una sorta di controcanto melodico.
Un sound operator (così si chiama chi dirige l’‘orchestra’) deve saper gestire contemporaneamente una serie di elementi ma soprattutto deve avere in mente
un preciso progetto di sequenza di questi elementi, perché solo una loro concatenazione sensata produrrà effetti di richiamo e contrappunto tra un elemento e
l'altro e solo da questa coesione scaturiranno forti effetti di senso.
L’elemento fondamentale per orchestrare tale struttura simbolica è il
Per “impianto a tre vie” si intende un impianto sonoro in cui un preamplificatore separa in tre
sezioni le frequenze di suono prodotte dai supporti suonati (vinile, Dat, MiniDisc, effetti di vario genere). Ogni sezione di frequenza (bassi, medi e alti) viene inviata a una specifica sezione di amplificatori che
sono a loro volta collegati a tre differenti gruppi di casse (subwoofers, middles, tweeters).
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preamplificatore, rigorosamente autocostruito per soddisfare le esigenze particolari del sound system come arrivare a riprodurre frequenze sonore bassissime5.
Al preamplificatore si collegano tutti i pezzi del sound: il piatto, gli effetti, le altre periferiche (come sirene e synth drum) e ovviamente l’amplificazione.
Nell’economia della session bassi, medi e alti hanno funzioni diverse e dunque
vengono attivati in momenti diversi. Il roboante suono dei bassi viene paragonato al tuonare del dio mentre il suono degli alti allo scroscio premonitore dei
lampi. La sequenza naturale lampo-tuono viene riprodotta musicalmente nella
session.
Questa struttura è tipica delle session inglesi; ogni canzone viene infatti
prima di tutto separata dalla precedente attraverso qualche secondo di silenzio.
Poi viene introdotta dal sound operator che invoca Jah.
Quando finalmente la musica parte suonano solo medi e alti, i bassi sono
tagliati fuori. Solo dopo che la canzone è stata ascoltata e il suo testo compreso,
allora viene suonata nuovamente da capo.
All’inizio suonano medi e alti ma dopo poco, entrano anche i bassi, epifania della potenza divina.
È attraverso il preamplificatore che viene gestita la rappresentazione della
divinità. Limiti e grandezze di tale divinità dipendono dalle potenzialità tecnologiche del preamplificatore. La rappresentazione di Jah è filtrata e quindi informata dall’elettronica del sound system. Con la messa in mostra di tutto il lato elettronico della session si svela una sorta di ‘causalità tecnologica’ del rito di evocazione della divinità. Jah non è fatto solo di musica, vibrazioni e immagini, Jah è fatto
anche di amplificatori (infernali generatori di potenza), leds e cavi intrecciati.
Il corpo di Aba Shanti I
Rispetto al modo in cui abitualmente i sound system dispongono la consolle c’è una differenza radicale in Aba Shanti. Normalmente il sound operator
suona rivolto verso il pubblico e la consolle che ha davanti lo separa dalla yard (lo
spazio in cui le persone ballano). Si crea così una frattura tra la crew (dietro la
consolle) e il pubblico. Questa frattura focalizza il centro dell’evento nella performance musicale di chi sta suonando. Nel caso di Aba Shanti la diversa disposizione della consolle e del sound operator hanno un intento preciso: concentrare l’attenzione del pubblico esclusivamente sul rituale di evocazione della divinità. (“It’s
not about me, It’s all about His Majesty”6). Aba Shanti si rappresenta come strumento della rivelazione divina e non come protagonista dello ‘spettacolo’. In questa ottica il vero e unico protagonista della serata è il dio che sorge dalla sugge-
Nell'autocostruzione dello equipment del sound system è molto forte la componente strategica di
resistenza culturale: come il preamplificatore anche le casse sono autocostruite. Strategia differente ma
con lo stesso fine è l'utilizzo di effettistica vecchissima e analogica, introvabile sul mercato di oggi che dà
a questo sound system una sonorità ineguagliabile. Non è un caso che in studio di registrazione, i sintetizzatori più moderni e costosi siano collegati ad un vecchio Atari che viene usato come sequencer.
6
Cfr. nota 2.
5
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stione di ognuno dei presenti. Ma non si può certo negare il carisma esoterico del
‘personaggio’ Aba Shanti I, né la fascinazione magica che esso esercita sul suo
pubblico. Infatti, malgrado le intenzioni dichiarate, Aba Shanti resta un ‘personaggio’ molto forte ed è esclusivamente come tale che egli si rappresenta nella session. Egli è un semi-dio e in quanto tale dimostra di possedere un corpo non
umano. L’uomo Jasmin Joe ed il personaggio Aba Shanti I hanno corpi estremamente diversi. Aba Shanti sembra possedere un corpo mitico, divino, insensibile
sia alla stanchezza che al dolore fisico: è un corpo instancabile, che danza convulsamente per tutta la notte senza sosta, sempre allo stesso ritmo. Alcune persone
per assistere alle session usano dei tappi per le orecchie. Aba Shanti si espone
ripetutamente alle migliaia di decibel che esplodono dall’immensa amplificazione
senza mostrare il minimo fastidio. Questo corpo instancabile e insensibile alla violenza sonora ha una struttura molto particolare. Il corpo del personaggio è quello che tutti possono vedere durante l'orchestrazione del rito attraverso la folla
delle sagome del pubblico nell’oscurità completa della sala (senza dimenticare
che Aba Shanti suona sempre di spalle).
Questo corpo mitico è anatomicamente incompleto. Aba Shanti è un profilo facciale che si mostra alternativamente a quello opposto e che si dilegua rapidamente nel nero della figura danzante che si contorce;
Aba Shanti è un occhio solo, un rapidissimo lampo bianco nel buio;
Aba Shanti è una nuca coperta da un copricapo pieno di dreadlocks;
Aba Shanti è una schiena, due spalle, due braccia e solo raramente, due
gambe. La maggior parte delle persone conosce metà corpo di Aba Shanti, la
metà posteriore; è quella l'immagine che risulta dalla messa in scena della session.
Il corpo del personaggio (Aba Shanti) è ben diverso dal corpo dell'uomo (Jasmin
Joe):
Aba Shanti ha degli occhi normalissimi. Jasmin Joe, da sempre, è afflitto
da un forte strabismo all'occhio sinistro.
Aba Shanti ha un fisico potente, agile e scattante che gli permette di danzare ore e ore senza mai fermarsi. Jasmin Joe è piuttosto basso e ha una corporatura apparentemente esile che mai farebbe pensare alle epiche performance di
Aba Shanti I.
Ci facciamo strada tra i corpi sudati…
Aba Shanti orchestra il cerimoniale rigorosamente da solo. La conduzione della session ad opera di una sola persona è una caratteristica tipica dei sound
system d'oltremanica. In Inghilterra (molto più che in Jamaica) si tende a personalizzare la conduzione della session e così nascono dei veri e propri 'personaggi'
che in alcuni casi diventano dei veri e propri 'sacerdoti', 'maestri di cerimonia'.
Mentre il disco gira sul piatto, Aba Shanti suona le sue due sirene, la synth drum,
a volte l'armonica; parla, prega, intona melodie di adorazione, danza instancabilmente al ritmo epico della musica senza fermarsi un attimo. La sua voce melodiosa raggiunge tonalità molto alte fino a picchi elevatissimi sottolineati puntualmente da lunghissime eco che aleggiano sulla session.
Ogni tanto, nel pieno del ballo, Aba Shanti si gira di scatto, per una fra78
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zione di secondo, e scruta il pubblico con la coda dell'occhio: un lampo bianco
squarcia la massa nera che salta, si piega e si lascia modellare dalle vibrazioni
sonore. Sembra controllare di tanto in tanto la situazione dietro le sue spalle, ma
il suo sguardo mi colpisce perché ha un'espressione strana, assente eppure estremamente cosciente e severa…
Ci avviciniamo ancora, facendoci largo nella folla delle sagome scure che
urtano l’una contro l’altra. Attorno ad Aba Shanti si crea un vuoto naturale, nessuno osa avvicinarsi più di tanto. Lo vediamo fissare lo sguardo verso l'alto, direttamente sopra la consolle…
Appese al muro ci sono delle immagini. La loro posizione elevata le rende
visibili a tutte le persone che si trovano nella sala. Costituiscono l’altare della session; tutti sono orientati verso di esse. Notiamo tre immagini grandi, una accanto
all’altra. La prima delle tre immagini rappresenta Hailè Selassiè seduto sul trono
d'Etiopia. Lo scatto ritrae il momento di insediamento dell'imperatore. Alla foto
in bianco e nero, è stata sovrapposta una pellicola gialla rossa e verde che fa da
filtro. Sopra l’immagine c'è scritto “Emperor of Ethiopia”, sotto “Haile Selassie”.
La terza immagine, a sinistra, rappresenta ancora Heilè Selassiè che però
questa volta è a cavallo. Si tratta di un disegno. L'imperatore è vestito in grande
uniforme, ricco di decorazioni. Indossa un'armatura dorata con un elmo munito
di una grande “criniera” di un colore tra il giallo e il rosso. Non è un caso che la
prima associazione che viene in mente è un leone. Attraverso i colori, la postura
fiera, la “criniera”- pennacchio, il Re dei Re viene rappresentato come “conquering lion of the tribe of Judah”. Si realizza cioè plasticamente7, attraverso l'orchestrazione delle forme, dei colori e delle disposizioni degli elementi, ciò che figurativamente sarebbe risultato ridicolo: ci saremmo trovati probabilmente di fronte alla figura di un uomo con la testa di un leone, o di un leone con la testa dell'imperatore. Così invece, pur sentendo la fierezza e la possanza di un leone riconosciamo nell’immagine la figura di un uomo. Selassiè cavalca un cavallo bianco
anch'esso ricchissimo di ornamenti dorati. Lo sfondo dell’immagine, blu scuro, è
squarciato a partire dal centro da una forte luce anch’essa dorata che si estende
circolarmente in senso centrifugo. Il punto di partenza (nascosto) del fascio luminoso circolare coincide esattamente con il baricentro del corpo unico Imperatore
- cavallo.
Lo scorcio del disegno inquadra l'imperatore e il suo grande cavallo bianco dal basso, aumentando così quell'effetto già presente di gigantismo e potenza.
L’immagine adotta tutti gli stilemi della rappresentazione mitica, anche quelli più
banali (come appunto la corrispondenza di una fonte di luce nascosta dietro il
personaggio con il baricentro del personaggio stesso che sembra emanare luce
dalla stabilità del suo profondo equilibrio spirituale).
Al centro, tra le due immagini che ritraggono Heilè Selassiè c’è un'immagine composta da diversi elementi. Nel mezzo dell'immagine si trova una masche-
7
Sulla semiotica plastica cfr. A.J.Greimas, Semiotica figurativa e semiotica plastica, in L. Corrain e M.
Valenti, Leggere l'opera d'arte, Bologna, Esculapio 1991.
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ra africana, quella stessa che Aba Shanti usa come logo. È un simbolo di riconoscibilità per il sound system, si trova su quasi tutti i flyer e i dischi prodotti dalla
Falasha Recordings, casa di produzione fondata nel 1997 da Aba Shanti e il resto
della crew che supporta il sound system.
Nella cultura africana la maschera ha principalmente tre funzioni: viene
usata durante le danze nelle processioni religiose che riproducono il contesto
della cosmogonia alla fine di ogni ciclo di lavoro stagionale; fa rivivere il mito; ha
un indiscusso potere magico sia in senso malefico che benefico8.
La maschera in questione proviene dal regno del Benin, Nigeria e risale
al XVI secolo. Fu intagliata nell’avorio. Al mondo ne esistono due copie, quasi
identiche. Una si trova al British Museum di Londra, l'altra si trova al
Metropolitan Museum di New York. La maschera è un ritratto della madre
dell'Oba (re), il quale la indossava durante le cerimonie per la commemorazione
del suo ruolo di consigliera e guida. La regina madre indossa una collana di corallo e presenta segni di scarnificazione al di sopra di entrambe le sopracciglia. La
sommità della testa e il mento sono incorniciati da un bordo che raffigura pesci
palustri (apprezzati per la loro capacità di vivere sia in acqua sia sulla terra) e volti
stilizzati di mercanti portoghesi, associati al mare e all'accumulazione di ricchezze.
Come i pesci palustri, i navigatori portoghesi erano creature marine e terrestri allo stesso tempo. Essendo mercanti, essi apportarono benessere al regno
del Benin. Anche l'avorio in cui la maschera è intagliata fa parte di questa rete di
simboli: esso è infatti associato ai rituali di Olokun (dio del mare), ed è uno dei
materiali preziosi che attirarono i portoghesi nel Benin. Dunque già di per sé,
considerata nel suo contesto di produzione, questa maschera appare ricchissima
di simboli intrecciati in una fitta rete di senso. In aggiunta a questa già complessa rete dobbiamo considerare il senso che deriva dal fatto che la maschera è circondata da due sagome dell’Africa (Africa-terra madre), da due Lion of Judah
(rastafarianesimo) e sovrasta due leoni che ruggiscono. Alla base della composizione campeggia, nera, la scritta “Earthrocker” evidentemente riferita ad Aba
Shanti I.
La maschera concentra in sé tutte le simbologie africane proprie del contesto della sua produzione più tutte le simbologie derivanti dalla sua associazione
a contesti e figure nuove (come l’universo Rasta o la rappresentazione della
maternità africana). Ma, ancora, sembra ci sia qualcosa di più in quella maschera.
Lo sguardo della regina madre è aggrottato, austero, anzi direi irato. La sua severità e la sua posizione sanzionatoria (elevata rispetto al pubblico) sono sorprendentemente in tono con quell'atmosfera di forte suggestione che Aba Shanti
riproduce attraverso l’apparato simbolico della session. Sarà solo un caso?
Potrebbe esserlo, ma in effetti confrontando l'immagine della foto che espone
Aba Shanti e le due sculture di avorio che si trovano al British e al Metropolitan
ci si accorge che nella foto sono stati modificati alcuni tratti fondamentali dei due
modelli scultorei. L’assetto plastico dell’immagine modifica in modo leggero ma
significativo l’originale; costruisce una fisionomia del terrore divino. Il volto della
Jean Leaude, Les arts de l’Afrique noire, Hachette, 1999; J. Haskins and J.Biondi, From Afar to
Zulu. A Dictionary of African Cultures, New York, Walker and Company, 1998.
8
80
IL CORPO - VI, 10/11, gennaio 2002
regina è più affilato; il taglio degli occhi è più inclinato verso il centro del volto
producendo così uno sguardo accigliato, irato, che incute timore; gli occhi originariamente ben definiti nelle loro componenti qui sono orbite spaventosamente
vuote e nere. Il bulbo oculare è proiettato in aggetto e orienta lo sguardo dall’alto verso il basso, dando un'impressione di schiacciamento dell'ipotetico oggetto
raggiunto dallo sguardo della maschera. La posizione in cui l'immagine della
maschera è collocata , tra le due immagini di Selassiè, sopra la consolle, è una
posizione sanzionatoria che permette allo sguardo paurosamente vuoto e nero di
dominare tutta la platea della session che è rivolta esattamente in quella direzione. La foto della maschera non esprime quel senso di serenità e protezione materna che si percepiva dalle due sculture in avorio. La maschera è 'usata' come personificazione mitica del sacro come potenza terribile che si manifesta attraverso il
sound system.
Sovracodifica
Nella session ogni segno è sovracodificato. Aba Shanti usa in modo simbolico degli elementi che hanno già una funzione simbolica. L’immagine della
maschera è l'esempio più evidente di questo processo. Nel momento in cui rappresenta la divinità porta ancora con sé tutti i suoi sensi pregressi (simbologie
legate al contesto di fabbricazione, ai contesti d'uso ecc.). In questo modo essi
entrano a far parte della rappresentazione del Dio. Le messe di Aba Shanti sono
riti con una forte memoria semantica. Conservano il ricordo di una tradizione
multilineare con radici molto resistenti ed è proprio la persistenza di antiche suggestioni che suscita quella sensazione di stridore tra arcaico e tecnologico che si
percepisce quando si partecipa ad una session. Il Dio di Aba Shanti è il risultato
del lavoro di un abile bricoleur9. Lo stesso nome “Aba Shanti I” è composto da
termini che rimandano a differenti universi di significato. Aba (padre) appartiene alla Bibbia; gli Ashanti sono una tribù del Ghana, noti come valorosi guerrieri; I (si legge come “eye”) appartiene all'universo rastafariano. È il ‘suffisso’ che
simboleggia la presenza di Jah nella parola che lo contiene. A partire dall'espressione I&I, che significa “io & Jah” (tralasciando l'interpretazione più complessa
del termine che rimanda anche alla costante presenza della comunità al fianco del
singolo) si è sviluppata una serie di I-words che ha dato luogo ad una vera e propria ristrutturazione del linguaggio (ad es. Itection al posto di protection, a significare Jah-protection, Ivine al posto di Divine).
Pratiche di poaching10 attraverso le quali elementi simbolici con differente provenienza culturale sono risemantizzati per poter essere associati al nuovo
setting (il rito) che li include tutti unificandoli sotto un denominatore comune (la
9
Cfr. C.L. Strauss, Il pensiero selvaggio, Il Saggiatore, 1964; D. Hebdige, Sottocultura: il fascino di
uno stile innaturale, Genova, Costa & Nolan, 1983; Jean Marie Floch, Semiotica di un discorso plastico non
figurativo: Composizione IV di Kandinsky, in L. Corrain e M. Valenti, Leggere l'opera d'arte, Bologna,
Esculapio, 1991.
10
Cfr. M. De Certeau, L'invention du quotidien, Paris, Uge, 1980.
81
F. D’Orazio, Apocalisse in dub
rappresentazione di un particolare tipo di divinità) ma allo stesso tempo ne mantiene vive alcune specifiche culturali di provenienza.
Da questo meccanismo di sovrapposizione di sensi pregressi deriva la
grande ricchezza del codice usato. Ci sono almeno quattro immaginari che vengono montati insieme: quello biblico, quello africano/tribale, quello rastafariano
e quello tecnologico. L’universo semantico più presente nella session è quello
biblico. Tutte le suggestioni di cui l’Antico Testamento è ricco sono recuperate ed
anzi amplificate in chiave ‘magica’11. La Rivelazione della potenza divina è da
temere, porterà terremoto, fuoco, lampi, tuoni e tempeste. Le session di Aba
Shanti hanno un’atmosfera apocalittica. Sono profetiche, millenariste, annunciano l'avvento di Jah e la sua “vendetta”. I titoli degli album prodotti da Aba Shanti
lo confermano: «The wrath of Jah», «Pure Spirit», «Jah Lightning and Thunder»,
«Rasta soul Jah»(soul-Jah/soldier), «Jericho Walls».
Introduzione
È appena terminato un pezzo. Per un momento c’è un silenzio solenne,
poi Aba Shanti afferra il microfono: «…Jah, Rastafari, Selassie I Guidance and Itection to all and all, Do remember don't forget the next Friday night, the place,
Soas, School of Oriental and African studies, featuring the sound Aba Shanti I, I&I
will be there, giving thanks and praises to the most high God of creation, Jaaaaah
Raaastafaaaari -rispondono tutti-, Selassie I liveth inna the hearth of all man, continuously» - poi la voce si fa più forte e squillante e con tono proclamatorio riprende… - «LET HIM ARIIIIIIIISE, AND THE ENEMIES BE SCATTERED» - la
puntina comincia a gracchiare sui solchi del vinile, parte la musica...
Dei corni emettono un suono molto grave, creano un’atmosfera drammatica e meditativa. Una voce registrata sul disco grida con tono profetico e incita la
folla in delirio che risponde con urla e grida incomprensibili. Il suono ipnotico di
una campana scandisce in modo solenne la melodia sacra della rivelazione di
Jah… Il pubblico è rapito dalla musica, si sviluppa un’immensa e incontenibile
carica emotiva. Ancora niente bassi. Suonano solo medi e alti. Aba Shanti interviene poco, lascia che il pezzo suoni. La melodia armoniosa e struggente fa accapponare la pelle.
L’attesa del basso comincia a farsi sentire, sale la tensione nel pubblico,
tutti si aspettano l’esplosione del basso da un momento all'altro……………e
invece sul più bello, la musica s’interrompe…
11
In Sottocultura: il fascino di uno stile innaturale, D. Hebdige, parlando della cultura rasta, definisce l'appropriazione del patrimonio biblico come un “furto”. In questo caso la risemantizzazione è estremamente significativa perché riguarda «i temi della Bibbia dell'uomo bianco, un testo che precedentemente era stato usato per giustificare lo sfruttamento coloniale […] Il racconto biblico forniva da un lato
“metafore particolarmente appropriate per la miserevole condizione degli indiani e dei neri della classe
operaia (Babilonia, le pene degli israeliti), e dall'altro un insieme complementare di risposte metaforiche
ai problemi propri di tale condizione (Liberazione dei Giusti, Punizione dei Malvagi, Giorno del
Giudizio, Sion, la Terra Promessa)”» in Shaun Moores, Il consumo dei media, Bologna, Il Mulino, 1998.
82
IL CORPO - VI, 10/11, gennaio 2002
Modulazione
Aba Shanti grida: «Jaaaaaaaaaahhh» - rispondono tutti - «Raaastafari»…
più forte… «Jaaaaaaaaaaaaaaaaaaaahh…» - la risposta diventa possente «Rastafari»…fortissimo… «Jaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaahhhhh», «Raastafari,
liveth inna the hearth of all men…»
Un suono lancinante di sirena rompe il silenzio, la puntina corre sui solchi del vinile. Lo stesso pezzo ricomincia a suonare, riparte il ritmo…poi Aba
Shanti comincia l’invocazione… «I&I Glorify the name of the Almighty Father,
Most High God of Creation, Emperor Heile Selassie I the first…Jah children be
aware of Satan…»… ancora niente basso…Aba Shanti intona un canto lento e
melodioso - «Love Jah Jah, in the morning, love Jah Jah in the evening, love Jah Jah
in the night and day» - si ferma e riprende con l'inizio della nuova battuta - «Jah
is the power, Jah is my strenght, Jah is my salvation……oooooh, I will shout to the
world I love Jah Jah…… I will sing to the world that I love Jah Jah…tell dem, tell
dem man…»
Il suono possente, fortissimo e prolungato di una sirena squarcia l’atmosfera, “appare” come fosse monito di qualcosa, evoca pericolo, suggestiona, mette
in apprensione, sancisce la solennità del momento. Lo squillo lancinante delle
trombe celesti annuncia lo scioglimento dei sigilli…
Tornano alla mente suggestioni da Antico Testamento. Non si tratta solo
di un’atmosfera generale. In molti casi i testi delle canzoni prendono spunto da
un passo biblico, lo amplificano ricostruendone la storia e gli sviluppi e lo adattano al contesto contemporaneo utilizzandolo come metafora del presente e profezia del futuro. Avviene una risemantizzazione del racconto biblico, una trasposizione, nella realtà contemporanea, dell'intero universo biblico e di tutti i suoi
rapporti interni tra figure del bene e del male. La realtà è continuamente letta sul
binario parallelo della visione biblica che la ristruttura in modo “conflittuale”.
Fulcro di questa struttura è la costruzione di un nemico interno che viene identificato con la madre di tutte le metafore bibliche usate dai rasta: Babilonia.
Come nelle Sacre Scritture questo nome dà corpo al complesso di forze
che lottano contro il Popolo di Dio, così per i rasta Babilonia indica in assoluto il
male in tutte le sue forme (« “historical atrocity”, “economic rapaccity”, “mental slavery”, “politics as politriks” » etc.).
La Bibbia e in particolare l’Antico Testamento è centrale anche nella
costruzione dell’immagine della divinità. In tutte le canzoni ma anche nelle invocazioni di Aba Shanti, Jah è sempre definito secondo epiteti biblici (King of Kings
and Lord of Lords, Conquering Lion of the tribe of Judah, Root of King David,
Almighty Father). Egli intona dei veri e propri inni, delle litanie a Jah che ricalcano sempre i toni, le forme e spesso le parole di alcuni passi biblici, tratti soprattutto dai Salmi e dal libro dell’Apocalisse di Giovanni. (ad esempio: «Jah arise,
and his enemies be scattered…» Salmo 67 - Inno di trionfo: «Sorga Dio, i suoi
nemici si disperdano e fuggano davanti a lui quelli che lo odiano…»). Ma a parte
le parole, è proprio nella musica che viene realizzata una sorta di ‘traduzione’ del
complesso gioco di visioni e simboli del Libro della Rivelazione.
83
F. D’Orazio, Apocalisse in dub
Nell’imponenza del suono dei bassi e nella vibrazione fisica che essi producono c’è la voce della potenza divina. Nel reggae inglese e in particolare nelle
produzioni musicali di Aba Shanti (Falasha Recordings) si fa un uso massiccio di
strumenti come organi e corni e che danno una connotazione di forte sacralità. Il
legame al sacro è ancor più forte se consideriamo che nell’Antico Testamento
strumenti come trombe, corni e flauti spesso annunciano l’imminente scatenamento dell’ira divina:
«Quando l'Agnello aprì il settimo sigillo, si fece silenzio in cielo per circa mezz'ora…Poi venne un altro angelo e si fermò all'altare prendendo un incensiere d'oro…Poi
l'angelo prese l'incensiere, lo riempì del fuoco preso dall'altare e lo gettò sulla terra: ne
seguirono scoppi di tuono, clamori fulmini e scosse di terremoto. I sette angeli che avevano le sette trombe si accinsero a suonarle. Appena il primo suonò la tromba, grandine
e fuoco mescolati a sangue scrosciarono sulla terra…Il secondo angelo suonò la tromba:
come una gran montagna di fuoco fu scagliata nel mare…Vidi poi un altro angelo, possente, discendere dal cielo, avvolto in una nube…Avendo posto il piede destro sul mare
e il sinistro sulla terra, gridò a gran voce come leone che ruggisce. E quando ebbe gridato, i sette tuoni fecero udire la loro voce»12.
In questo passo dell’Apocalisse di Giovanni c’è il cuore della simbologia
usata da Aba Shanti: l'immagine del dio del terrore viene offerta nella Bibbia
attraverso la dimostrazione catastrofica del suo potere sulla natura.
Aria, acqua, terra e fuoco, ‘gli elementi’, vengono tutti chiamati in causa
per la rappresentazione di Dio e la sua immagine prende corpo proprio dallo
sconvolgimento di tali elementi. Rispettando in pieno lo spirito apocalittico Aba
Shanti parla di earthquake e si definisce earthrocker, pala di brimstone and fire,
lightning and thunder… Egli adotta esattamente lo stesso immaginario; quello che
cambia è la forma della messa in scena. Un modello molto simile di rappresentazione della divinità è quello della regalità sacra africana che considera il sovrano
l’incarnazione vivente di un dio e gli riconosce il potere sulla natura. Qui il cerchio si chiude perché in effetti è proprio di un re terreno, anzi di un imperatore,
che stiamo parlando. Nella figura del Ras Tafari si realizza la fusione perfetta tra
immaginario rasta, immaginario biblico e immaginario africano. Un esempio concreto è la rappresentazione musicale di questa divinità. Il Dio tuonante dotato di
una potenza estrema e distruttrice, in grado di scuotere la terra, viene ricreato
dalla potenza dei bassi del sound system.
Anche qui avviene una perfetta fusione tra elementi semantici appartenenti a universi molto lontani. La musica digitale, l’armamentario tecnologico del
sound system (casse, amplificatori, effetti ecc.) servono a materializzare un Dio
arcaico, una potenza atavica.
Esplosione
Ancora niente basso…Cresce la tensione. La danza si fa più ginnica, i
12
84
Bibbia, Apocalisse di Giovanni 5/10:7.
IL CORPO - VI, 10/11, gennaio 2002
gesti più marcati, il pubblico si prepara ad esplodere all’attacco del basso…salgono grida di invocazione, sempre più frequenti, sempre più forti in un botta e
risposta tra il pubblico e Aba Shanti. Durante la session si sviluppa un vero e proprio rapporto emotivo tra Aba Shanti ed ogni singola persona del pubblico. Aba
Shanti è un formidabile polo di attrazione. Si sentono voci distorte per lo sforzo
delle urla. Ascoltiamo in ‘religioso silenzio’ muovendoci al ritmo della musica…
ancora niente bassi, solo una tempesta lancinante di alti e medi. I loops prodotti
dall’echo si rincorrono e si sovrappongono, sempre più lunghi e insistenti, il
suono della sirena imperversa con le sue evoluzioni impossibili, tutto si sovrappone, tutto si intreccia, tutto fa eco a tutto, tutto sembra essere elevato alla massima
potenza e alla massima tensione emotiva, tutto è pronto per l’esplosione…
Improvvisamente il suono degli alti diventa più nitido e fendente, affonda stoccate pungenti alle nostre orecchie, aumenta il volume della musica, il suono delle
percussioni esplode nella testa , sembra frustare, tutti aspettano il basso con
ansia, tutti temono il basso…
« I&I redeeeeeeeeeeemer…….…spiritual, spiritual, you know »…- //pausa//
entra il BASSO
siamo investiti da una potente onda d’urto, il pavimento trema, il petto si comprime, cartilagini e membrane cominciano a vibrare come ance, la vista trema… Il
luogo chiuso, il soffitto basso, la sala traboccante di persone accalcate, l’aria satura di fumo e vapori corporei…all’attacco del basso avverto una sensazione quasi
di soffocamento, il petto viene compresso dalla potenza del basso. Il corpo è invaso dal ritmo. Vibra al suono del basso. Le cartilagini e le membrane sembrano
sgretolarsi, anche la vista risente della potenza sonora: se provo a fissare un punto
ho l’impressione che lo sguardo stia tremando. Le gambe avvertono il formicolio
delle vibrazioni.
La linea di basso ha un ritmo semplice e ossessivo. Colpisce ad intervalli
regolari, inesorabili; la melodia è continua. Nel reggae ‘tradizionale’ invece la
melodia del basso è ritmicamente spezzata, spesso sfrutta l'impiego della sincope
per produrre tensione ed eccitazione13.
Anche per questo motivo l’‘effetto corporeo’ del roots inglese è molto
diverso da quello del reggae giamaicano.
Il coinvolgimento fisico è totale, dall'interno esplode una carica emotiva
struggente e distruttiva, un coinvolgimento animale, istintivo. Come perdere i
sensi e riuscire a sentire lo stesso. Una tempesta di vibrazioni scuote il corpo dai
piedi alla testa con inaudita violenza, lì per lì ci viene da ridere, è una sensazione
strana, non siamo più noi a controllare il nostro corpo in balìa del suono e del
delirio collettivo. Si ha l’impressione di non avere scampo, non c’è un angolo in
cui rifugiarsi dall’imponente massa sonora che le casse ci scaricano addosso. Nel
momento in cui entra il basso tutta la tensione che abbiamo accumulato fino a
quel momento esplode, ed è esattamente allora che crollano tutte le barriere
difensive della coscienza e ci si lascia trascinare dal flusso sonoro che invade il
corpo con prepotenza. Il suono sembra esplodere all’interno del corpo.
13
O. Karolyi, La grammatica della musica, Torino, Einaudi, 1989.
85
F. D’Orazio, Apocalisse in dub
Nell’analisi di alcuni riti di possessione, Bataille definisce il ritmo dei tamburi come ‘esplodente ritmico’.
«Il ritmo ossessivo, ripetitivo, apparentemente monotono ma in realtà estremamente complesso dei tamburi viene in un primo momento accolto come un fatto esterno.
Poi arriva il momento in cui la separazione scompare: i colpi dei tamburi si sentono dentro la testa…la droga può far precipitare tale ribaltamento della situazione. Allora i tamburi battono ovunque, non più soltanto dentro la testa, ma in tutto il corpo…la testa
scoppia….Il ritmo forte, sempre più intenso e significativo dei tamburi sfonda la coscienza ordinaria, la spezza, la fa esplodere…il tamburo può facilitare o provocare quel passaggio che definisce l'ingresso nella transe, che fa vacillare e strabuzzare gli occhi e che presuppone preliminarmente un esplodere delle difese»14.
Nella session, il basso e il ritmo delle percussioni hanno lo stesso ruolo di
‘esplodenti’. Oltre la ripetitività, l’ossessività e l’apparente monotonia dei ritmi,
nella session il passaggio dalla percezione del ritmo come altro da sé alla percezione del ritmo come presenza interiore, viene innescato dal volume spropositato dei suoni.
Il ritmo ripetitivo, monotono e ossessivo si infiltra tra le pieghe della
coscienza, il cervello si abitua ad esso e comincia a riconoscerlo come presenza
familiare, costante, normale e quasi necessaria. Il volume spropositato fa sì che il
ritmo sia ‘udito’ da tutto il corpo. Il corpo è invaso dal ritmo. Il corpo vibra al
suono del basso.
Ogni difesa cede…
Le vibrazioni attraversano la carne. Percussioni metalliche sincopate
fanno da contrappunto al fluido del basso, e piegano il corpo in movimenti angolati. È attraverso il corpo che percepiamo la musica. Il ritmo forte sempre più
intenso sfonda ogni difesa così come la barriera corporea, permeandola e invadendola, trasformando i corpi in corde vibranti al suono. Ad un certo punto ci si
accorge che per sentire la musica non si usano più le orecchie ma lo stomaco.
Attraverso la sensazione del ‘corpo invaso’ la coscienza percepisce il suono e il
fisico come un tutt’uno. Il suono vibrante è una presenza talmente ingombrante
da non poterla evitare né respingere; è una presenza da accogliere e in cui identificarsi. Il corpo si trasforma in corpo ritmico e melodico, corpo strumento.
Corpo violato / Corpo esausto
Il soffio musicale del sacro si manifesta attraverso la vibrazione dei corpi.
La carne vibrante, i nervi tesi, i muscoli e le ossa doloranti per il ballo sono il
medium della rappresentazione della potenza divina. La stimolazione del corpo
insinua il sacro tra le pieghe della soggettività più intima perché tocca il sentimento più personale e segreto: la percezione del proprio organismo.
Nella session, sono due i tipi di stimolazione che ‘snaturano’ la percezione del nostro corpo: il suono e la danza.
14
86
G.Lapassade, Dallo sciamano al raver, Milano, Apogeo, 1997.
IL CORPO - VI, 10/11, gennaio 2002
In questo caso il suono va inteso come entità fisica brutale. La potenza impressionante del sound system fa letteralmente vibrare i corpi, li invade, li permea e li
trafigge. Il corpo subisce una violenta intrusione. È in balìa di una potenza estranea e incontrollabile che se ne è impadronita e ne ha alienato la percezione.
Il corpo è stato violato.
La percezione del movimento del proprio organismo dà l'impressione di
non esserne più padroni. Una volta entrati nel vivo del rito, ci si accorge che il
corpo si muove senza bisogno alcuno della propria volontà. Ci si accorge che finché si è nel pieno dell'esaltazione il corpo non sente assolutamente alcuna stanchezza e riesce ad andare avanti per ore fino alla fine della session, quando
improvvisamente, si 'risveglia' esausto. Il corpo salta, si piega, respira, suda è assetato; stomaco e gambe sono inondati dalle vibrazioni e formicolano, il petto è
schiacciato dalla potenza dei bassi che si trovano esattamente a quell'altezza, la
vista trema. Il corpo ha assunto esclusivamente la funzione di materializzare il
suono. Il corpo si sottopone ad una tortura catartica.
I due tipi di stimolazione, quella sonora-fisica e quella cinestetica, forgiano due modelli di corpo: il corpo violato e il corpo esausto.
Sono due modelli di sensorialità alterata. Costruiscono l’alienazione del
soggetto dal proprio corpo. L’organismo viene percepito come qualcosa di estraneo, totalmente fuori dal proprio controllo. L’alienazione dal corpo è un passaggio fondamentale per il raggiungimento di una condizione estatica. La transe si
sviluppa a partire da una base neurofisiologica. Il passaggio che prelude l’ingresso in uno stato di transe è la separazione del soggetto dal suo mondo abituale,
ossia dal suo universo sensoriale, dunque la separazione del soggetto dal suo
‘corpo abituale’. Questa separazione si ottiene in due modi: o attraverso l’inibizione degli analizzatori sensoriali che organizzano il flusso dei messaggi provenienti dall'esterno o attraverso la costruzione di una “cortina sensoriale”, un
bombardamento di stimolazioni che, avendo un impatto massivo sui sensi del
soggetto, costruisce attorno ad esso un universo sensoriale completamente diverso da quello abituale e isolato da tutto il resto (durante la session avviene proprio
questo). In entrambi i casi comunque il punto fondamentale per l'induzione di
stati di “coscienza marginale” è il controllo del corpo. 15
Si perde completamente il controllo sulla sensorialità del corpo. Il suono
si impossessa del corpo e spinge il soggetto in un universo sensoriale ‘altro’, lo
allontana dal suo universo sensoriale, il suo mondo abituale. Nello stesso istante
lo stacca dal suo corpo, o meglio, dalla percezione del suo corpo, il suo universo
sensoriale.
La spoliazione del senso: dal pezzo alla version
Intorno a me la folla magmatica continua a ribollire. Alcuni stanno ballando in silenzio, estremamente concentrati; altri lanciano grida d'esaltazione
invocanti Jah Rastafari o lo stesso Aba Shanti. I movimenti della danza si fanno
W. James, Le varie forme dell'esperienza religiosa, Brescia, Morcelliana, 1998; J.H.Leuba, La psicologia del misticismo religioso, Milano, Feltrinelli, 1960.
15
87
F. D’Orazio, Apocalisse in dub
sempre più concitati, alcuni saltano, altri disegnano con le mani strane geometrie
nell'aria, riflessi di visioni isteriche. Le dita, tese e divaricate, fanno emergere i
nervi tirati sul dorso della mano. La folla in delirio sviluppa una potenza incredibile che si moltiplica ogni istante che passa. Tutti si muovono instancabilmente al
ritmo di una musica epica, apocalittica, ipnotica. Aba Shanti afferra il microfono
e comincia a cantare sul pezzo che gira sul piatto…«don’t you know jah live, don’t
you know Jah live, don’t forget Jah Jah live, here now…» l’eco sul microfono fa
risuonare a lungo la voce possente…
L’echo divinizza. Dilata la presenza attraverso la reiterazione della voce.
La voce tuonante dello strumento di Jah rimbomba all’infinito nella testa del pubblico, l’azione vocale umana viene amplificata a potenza sovrumana.
Aba Shanti stacca i medi e gli alti attraverso il preamplificatore; rimane
solo la linea di basso, potenza e ossessione…La danza assume ritmi sfrenati, ‘stepper’. La musica è completamente introiettata, i corpi non hanno altro controllo e
sostegno se non quello delle vibrazioni che li trapassano, li violano, li animano.
Il ritmo costringe il corpo a muoversi ed è anzi proprio il ritmo invasivo
che sostiene il corpo esausto e disidratato, in movimento da ore. Quando il suono
s'interrompe, ci blocchiamo immediatamente, quasi increduli per l’improvviso
silenzio; il fisico crolla improvvisamente, spossato dalla fatica che fino a qualche
attimo prima non sentiva affatto. Proviamo un senso di spaesamento…
Solo un momento, poi Aba Shanti rompe il silenzio: «Jaaaaaaaaaah»- la
folla sfiancata risponde- «Raastafari». E ancora: «Jaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaah",
«Raaaastafari». E ancora, sempre più forte: «Jaaaaaaaaaaaaaaaaaaahhhhh», adesso l'urlo del gruppo si fa possente «Raaastafari»… «…And I & I say Guidance and
Itection to everyone, individually, collectively, in the name of the Creator…»; un
attimo di silenzio, Aba Shanti appoggia la puntina sul vinile che gira, poi la voce
riprende squillante: «Who's the King of Kings?» tutti rispondono «Jaaaahh» …,
qualcuno risponde «Aba»; «Who is the Lord of Lords?»…tutti… «Jaaaaaah»…;
«Who is the Conquering Lion of the Tribe of Judah?»… «Jaaaaah, Rastafari,
Selassie I live…Jaaaah Liiiiiiive… you Know…many more will have to suffer, many
more will have to die…Oh Jah, give I the power…
And may be the final trumpet…». Scroscio della puntina sul vinile, parte
la version…
Il pezzo è la composizione musicale originale, dotata di un testo cantato.
La version è invece la composizione musicale privata del testo cantato e
arrangiata in modo diverso conservando però gli elementi fondamentali (come la
tonalità, il ritmo, le armonie, la linea del basso) e spesso modificando alcuni tratti del pezzo come la voce o le tastiere, gli organi ed altri strumenti melodici attraverso l’impiego di effetti, soprattutto l’echo e il riverbero. Il termine version è
strettamente legato agli albori del dub:
«Ascoltando i B-sides dei quarantacinque giri giamaicani, a partire dal
rock steady, notiamo che in molti di essi si parla di “Version”. Questo è “Dub”, un
semplice remix strumentale del lato A che può anche includere alcuni frammenti della canzone. I cantanti sono “dubbed out”, ma per molti altri aspetti la version
è identica al lato A. Inizialmente veniva usata per eseguire test sui livelli del suono
durante le fasi di registrazione e mixaggio, poi è diventata una moda... Il pubblico giamaicano ha sviluppato un gusto avido di version e i dee jay dei sound system
88
IL CORPO - VI, 10/11, gennaio 2002
hanno cominciato a cantare sulle version delle hit più famose…»16.
Col tempo la produzione delle version diventa sempre più elaborata finché non si stacca definitivamente dai b-side dei 45 giri e acquista vita autonoma
conquistando, con la nascita del dub come genere a sé stante, il lato A dei vinili.
Ricomincia lo stesso pezzo, profondamente trasformato…La version è
scarna e estrema. La musica è diventata più violenta, martellante e ossessiva; ripetitiva, cupa e visionaria. Gli unici elementi del pezzo che sono stati conservati
sono il ritmo delle percussioni, il giro di basso e il suono di una campana che
riproduce una melodia essenziale, composta di tre suoni che ossessivamente si
ripetono. Il testo della canzone è stato eliminato; sono state tagliate le frasi melodiche degli strumenti solisti e il ritmo in levare delle tastiere. La melodia viene
recuperata ogni tanto attraverso piccoli accenni, frammenti estratti dalla frase
melodica del pezzo originale e reiterati all'infinito attraverso l’echo che è il vero
protagonista della version. I loop si rincorrono su un tappeto sonoro molto confuso che mischia la musica alle grida sforzate che vengono dal pubblico…
L’echo in musica funziona secondo lo stesso meccanismo del primo piano
cinematografico. Come il primo piano coglie solo l'attimo dell'intero movimento
di scena, così l’echo coglie una singola fase dell’intero movimento melodico e la
ripete. Questo primo piano sonoro ha anche una ‘misura’, che corrisponde al
numero di reiterazioni del loop. Come il dettaglio del primo piano cinematografico evoca l’intero movimento nella mente dello spettatore, così il dettaglio sonoro colto dall’echo evoca la frase melodica completa nella mente di chi ascolta. La
melodia viene così interiorizzata.
L’effetto dell’echo ha ovviamente anche una funzione fortemente ipnotica. La ripetizione ossessiva di loop uguali realizza un divenire che non evolve dal
punto di vista melodico (si può modulare il timbro e il volume del suono, ma il
loop resta sempre uguale a se stesso). Riproducendo sequenze di stimoli sonori
che si ripetono con gli stessi intervalli ritmici e tonali l’echo provoca, nella mente,
un effetto di livellamento della percezione. La mente insegue l’evoluzione statica
del loop ripetuto e così la percezione del suono rimane ipnoticamente imbrigliata.
Tutto ciò che sta dietro l'eco (come la canzone stessa, il suo ritmo, le sue
armonie ecc.) viene percepito come un magma indistinto: non si sente più separatamente un suono del basso, delle tastiere, delle percussioni…ma solo un
sostrato sonoro indistinto che ‘ipocodifichiamo’ attraverso le categorie musicali
più elementari come acuto/grave, minore/maggiore, piano/forte, consonante/dissonante, ecc. ecc.
La sequenza pezzo-version è una trasformazione che consiste nella ‘spoliazione’17 (semplificazione, riduzione ai tratti fondamentali) dell'espressione
musicale e dunque anche del senso che essa ‘esprime’.
16
C. Davis e R. Simon, Reggae International, capitolo 8, X-Ray Music; vedi anche D. Slayen, What
is dub - The Uk perspective, in Step Forward, issue 2, London, Dubwise Production, January 2000.
17
Ignacio Assis da Silva, Arte astratta: una poetica della spoliazione, 1987 in Corrain e Valenti, Leggere
l'opera d'arte, Bologna, Esculapio, 1991.
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La version è la spoliazione del pezzo originale. Nella creazione della version si mantengono un certo numero di elementi del pezzo originale e se ne omettono altri. I tratti fondamentali del pezzo che rimangono anche nella version vengono poi esaltati attraverso l'uso di effetti (echo, riverbero, flanger ecc.). Altre
strategie usate per amplificare un elemento fondamentale come la melodia del
basso, o il ritmo delle percussioni sono la duplicazione verticale della melodia
principale all’interno della partitura (la stessa melodia viene suonata anche da un
altro strumento che precede o si sovrappone all'originale) e la variazione sul tema.
Consideriamo una sequenza tipica di una session dub che abbia superato
la metà della serata: pezzo-version1-version2-version3. Partendo dal primo riarrangiamento (version1) fino ad arrivare al terzo ci si accorge di come mano a
mano la composizione musicale stia perdendo tutte le strutture superficiali
“discorsive” “figurative” e “tematiche”18.
Il meccanismo pezzo-version/s può essere paragonato al meccanismo di
‘spoliazione del senso’ che nelle arti visive avviene col passaggio dal ‘figurativo’
all’‘astratto’. Il passaggio dalla figurazione (musicale) all'astrazione (musicale)
corrisponde ad un’analoga trasformazione del senso veicolato, prima concreto,
umano e profano poi immateriale, divino, sacro. Il passaggio dal pezzo alle version che seguono è la narrazione musicale di una ‘defigurativizzazzione’. Aba
Shanti stesso dice a proposito del suonare la sequenza pezzo/versions: «the playing
is like the painting…every song is like a painting. The' versions' are steps in the ladder of creation…».
La sequenza pezzo/version nasconde in realtà la sovrapposizione di tre
cicli diversi che vanno avanti parallelamente: un ciclo musicale, un ciclo di danza
ed un ciclo di possessione.
La sequenza musicale minima attraversa quattro fasi: introduzione modulazione - esplosione - silenzio.
Anche la danza si sviluppa in quattro fasi: riscaldamento - tensione - scatenamento - stasi.
La ‘possessione’ attraversa quattro stati mentali: contestualizzazione esaltazione - culmine - schianto.
Il sound operator deve saper attivare questi cicli suscitando una tensione
così grande da provocare una vera esplosione nel pubblico al momento dell'attacco dei bassi (esplosione/scatenamento/culmine). L’ingresso del basso avviene
sempre al culmine del ciclo di evocazione, il momento di massima tensione in cui
effettivamente avviene la ‘manifestazione’ di Jah. La funzione delle prime due fasi
(introduzione-modulazione) è appunto quella di esaltare il pubblico, di costruire
la tensione, di provocare l'alienazione e accentuare la concentrazione. Nelle
prime due fasi il coinvolgimento è soprattutto emotivo, viene prodotto attraverso
la melodia del pezzo; nella seconda fase il coinvolgimento è piuttosto fisico, la
musica si percepisce attraverso il corpo.
Il pubblico è trascinato fino al limite massimo, fin sull'orlo del precipizio
e nella fase dell'esplosione viene spinto nel vuoto.
18
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A.J.Greimas, Del Senso 2. Narrativa, modalità, passioni, Bompiani, 1998.
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Farsi invadere, dopo tutto, è un piacere…
Sguardi fissi e concentrati, facce tese, grida sparpagliate tra la folla
«…Aba…» , «…Jah…», «…ligthning and thunder…»
Aba Shanti prende il microfono e comincia a cantare. Le percussioni
metalliche spezzettano la fluidità del canto. Il ‘terzo battito’ frusta più che mai.
L’echo distorce la voce, la potenzia, aggroviglia le parole. Non si capisce più dove
una parola finisce e dove l'altra comincia. I tweeter sono taglienti, le percussioni
fanno male alle orecchie. La folla è invasata, potrebbe esplodere in qualsiasi
momento, tutti si muovono freneticamente, le parole di Aba Shanti risuonano
possenti. È impossibile descrivere esaurientemente quello che si prova ma mentre ci avviciniamo al momento in cui il basso comincerà a suonare proviamo un
senso di delirante esaltazione, talmente forte che ci sentiamo scoppiare per la carica che stiamo accumulando…l'esplosione del basso è una necessità, ne abbiamo
bisogno per scaricare l'infinita potenza che abbiamo accumulato…sentiamo il
bisogno di esplodere, di gridare a più non posso…Ci siamo quasi, il basso sta per
entrare…adesso che conosciamo la potenza che sprigionano le casse, lo aspettiamo con più apprensione di prima…
ma in realtà la nostra è perversa trepidazione, perché farsi invadere, dopo
tutto, è un piacere…
…«Inna the atmosphere, inna the atmosphere… the words of the Most High God
Jah Rastafari, exalt Him, the King
He is the foundation, he live, He liiiiiiiiiiiiiiiiiive…liveth inna the heart of all man,
Jaaaaaaaaaaaaaaaah,
yes I, Babylon affi buuuuurn…
Rasta disciples/ yes / dubwise/…
… Make a joyful noise unto Jah…
…Make a joyful noise unto Jah…
…Make a joyful noise unto Jah…
…Make a joyful noise
unto Jah…
feel the vibe man, feel the vibe…»
Le grida ripetute di Aba Shanti non fanno che esaltare ancora di più il
delirio del pubblico. La tensione è altissima, la frenesia dei movimenti è inarrestabile, le facce delle persone hanno espressioni tiratissime, occhi spalancati, bocche
aperte caricano avidamente aria come se dovessero andare in apnea e in un certo
senso quando attacca il basso ci s'immerge…
« Aba Shanti I sound/
/sound/ /sound/ /sound/
/sound/
/sound/
/sound/
»
entra il basso…
Il basso sembra dieci volte più potente di prima, tutti si abbandonano al
delirio e si lasciano trafiggere dalle onde sonore. Aba Shanti stacca i bassi per un
attimo…«When you're walking and when you're talking remember the words of
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F. D’Orazio, Apocalisse in dub
Jah…»… il basso ricomincia martellante, possiede i corpi…«feel the Wrath of
Jah…»
La version continua a suonare per qualche minuto. Poi improvvisamente
la musica tace e si sentono solo le grida del pubblico…una donna ripete ossessivamente «Heilè I…Heilè I…Heile I…».
Improvvisamente sentiamo una micidiale stanchezza. Lentamente riprendo coscienza del corpo, le articolazioni sono doloranti, i muscoli indolenziti. Mi
sento spaesato e stordito…Aba Shanti fruga rapidamente tra le scatole dei vinili.
Tira fuori un disco e lo mette sul piatto. Poi prende il microfono.
…comincia un altro ciclo.
Evocare l'irrapresentabile, generare l’‘upliftment’
L’obbiettivo della session è far rivivere l’esperienza della rivelazione divina. Il rito reintegra un tempo sacro, che nel caso di Selassiè non è ‘mitico’ ma ‘storico santificato’19.
La session ha esattamente le stesse funzioni della 'festa religiosa': entrambe si basano sulla reintegrazione di un tempo 'originario' ed entrambe sono rituali periodici in quanto hanno la funzione di chiudere un ciclo vitale ed inaugurarne uno nuovo sotto il segno del sacro20. Durante le 'messe' molte delle persone del
pubblico raggiungono stati di transe. Aba Shanti stesso dichiara che il fine del rito
è provocare l'upliftment, condizione mentale privilegiata per la venerazione del
divino. L'upliftment è il raggiungimento di uno stato di alienazione dalla realtà
circostante e di esclusiva concentrazione sulla ricostruzione dell'immagine della
divinità. Tale immagine viene incisa nella coscienza di ognuno a colpi di stimolazioni uditive, sonore, tattili e cinestetiche. Bersaglio privilegiato di queste stimolazioni è il corpo.
Le stimolazioni che la session di Aba Shanti esercita sul pubblico esasperano le capacità sensoriali del corpo, stuprano la percezione (avviene con la tattilità e l'autopercezione del proprio corpo, con l'udito e persino con la vista che
trema). Su molti flyer di Aba Shanti appare, come un motto, la scritta: "Hear the
music and feel the vibe". L'iperstimolazione21 che travalica le possibilità percettive umane in modo così violento costruisce la rappresentazione emozionale di una
potenza spropositata, sovrumana. In questo senso il corpo è il fulcro di tutto il
dispositivo session.
La rivelazione divina, non si può spiegare né descrivere, bisogna farla
esperire, sentire, provare. Il sacro può essere rappresentato solo in modo asintotico. Infatti Aba Shanti non rappresenta oggettivamente il sacro ma fa rivivere il
‘sentimento del sacro’. Aba Shanti mette in scena una rappresentazione fortemente irrazionale della divinità. Non a caso essa si fonda esclusivamente sulle emozioni che la session stimola. Riproducendo gli effetti fisici e il contesto mentale di
M. Eliade, Il sacro e il profano, Torino, Boringhieri, 1995.
Cfr. Eliade, op. cit.
21
A. Ludwig, Altered states of consciousness, in G. Lapassade, 1997.
19
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un'emozione si ottiene la revivescenza dell'emozione stessa e tramite quest'ultima
l'impressione del contatto con Dio.
La musica “fa” il suo pubblico
Aba Shanti suggestiona il suo pubblico. La suggestione ci circonda di
‘qualcosa’, di presenze che ci assediano. Questa sensazione deriva dal fatto che
proviamo lo stato d'animo che corrisponde all'essere in presenza di quel “qualcosa”. Inducendo artificialmente un particolare stato d'animo in un individuo provocheremo in lui l’effetto di presenza dell'evento che normalmente è associato ad
esso. Lo stesso principio viene adottato nello “psicodramma” (nelle sequenze iniziali di The Brood, Cronenberg ne dà un esempio eccezionale). Stimolare una persona in modo da farle assumere un determinato stato d'animo permette di ottenere da quella persona il comportamento e l'autoinvestizione del ruolo corrispondente.
Nella session avviene questo: l'induzione di un determinato stato d'animo, la modalizzazione del pubblico.
Modalizzare il pubblico significa 'costruirlo', fare in modo che esso entri
nello stato emotivo più adatto per la ricezione del messaggio che deve essere
comunicato. Un dispositivo segnico che modalizza il suo "recettore" costruisce il
suo destinatario, fa sì che il soggetto entri nello stato emotivo più adatto per la
ricezione del messaggio che deve essere comunicato.
La session di Aba Shanti I è un’‘opera costitutiva dell'osservatore’22 perché prepara emozionalmente il suo destinatario alla ricezione del messaggio che
contiene. La maschera africana appesa sopra la consolle, in quanto agente sanzionatore, è solo una delle strategie di modalizzazione adottate nella session.
Fondamentale è la modalizzazione prodotta dalla violazione del corpo. Ma come
avviene questa modalizzazione, come vengono suscitate le emozioni che suggestionano il pubblico?
«Noi non piangiamo perché siamo tristi, ma siamo tristi perché piangiamo…Il
sentimento è il risultato dell'espressione corporea anche nell'emozione più ordinaria. Ciò
che noi pensiamo istintivamente a proposito di queste emozioni ordinarie è che la percezione mentale di un fatto provochi quell'affezione mentale chiamata emozione e che quest'ultimo stato della mente faccia sorgere l'espressione corporea. La mia teoria al contrario è che i cambiamenti corporei sono una diretta conseguenza della percezione del fatto
scatenato e che l'emozione altro non è che il sentimento di questi stessi cambiamenti»23.
G.E.Lessing elabora un paradigma simile a proposito della recitazione
degli attori: “Le modificazioni dell'anima, quando hanno come conseguenza delle
F.Thürlemann, Il Compianto di Mantegna della Pinacoteca di Brera o: il quadro fa l'osservatore, 1989
in Corrain e Valenti, Leggere l'opera d'arte, Bologna, Esculapio, 1991.
23
W. James, Psychology, capitolo Emotion, in S.M.Ejzenstejn, Teoria generale del montaggio, Venezia,
Marsilio, 1985.
22
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modificazioni nel fisico, vengono a loro volta determinate da queste”24.
Secondo James e Lesssing è possibile suscitare un’emozione se si adottano gli stati corporei esteriori in cui l’emozione si esprime e si materializza comunemente. Le tesi di James e Lessing spiegano perfettamente come l’insieme delle
stimolazioni orchestrato da Aba Shanti agisce nel soggetto a livello emotivo.
Aba Shanti suscita l'emozione attraverso l'induzione degli stati corporei
in cui essa comunemente si manifesta. Il fulcro del dispositivo session è, infatti,
l’iperstimolazione corporea che produce il corpo violato e il corpo stremato.
Aba Shanti e Sant'Ignazio
Il cinema rimedia all'assenza del ‘corpo vivo’ sfruttando, attraverso il
montaggio, le capacità immaginative del soggetto che ad ogni dettaglio mostrato
fa corrispondere l'immagine completa. Aba Shanti rappresenta il corpo sacro
attraverso una tempesta di stimoli che funzionano come una serie di primi piani,
legati in alcuni casi all’udito, in altri alla vista, in altri ancora alla percezione del
proprio corpo. Una serie di cariche emotive si sviluppano a partire dalle differenti stimolazioni fisiche cui si è sottoposti durante la session. Il montaggio di tali
‘istantanee’ avviene grazie al sincretismo della sensorialità umana che produce
l'immagine completa della Rivelazione divina come mosaico di emozioni differenti. La session è un’esperienza plurisensoriale. Quella proposta da Aba Shanti I è
una religiosità totale, che coinvolge tutti i sensi attraverso un rituale di gruppo che
invade il corpo del singolo.
L'insieme degli stimoli che bombardano il fisico nella session ha un effetto emotivo suggestionante. L'immagine della divinità nasce dalla suggestione.
Aba Shanti fa in modo che la rappresentazione del Dio Imperatore sorga autonomamente dalla coscienza di ogni individuo, per mezzo della sua capacità immaginativa.
In questo modo ognuno esperisce la ‘sua’ Rivelazione e costruisce la ‘sua’
intima immagine della divinità. Il vantaggio di un processo del genere è che l’individuo crea l'immagine a partire da elementi che possiede nella coscienza.
L’immagine della divinità non sarà una rappresentazione esterna ed estranea al
soggetto ma sarà un prodotto assolutamente soggettivo e dunque più forte e più
stabile.
Questa è l'intuizione fondamentale degli esercizi spirituali di Ignazio di
Loyola25: l'immaginazione è una facoltà che varia talmente da individuo ad individuo che sarebbe inutile offrire una stessa rappresentazione oggettiva dell'evento a tanti individui differenti, perché tale rappresentazione non può essere efficace in quanto sarà percepita sempre come qualcosa di estraneo con cui è impossibile identificarsi. Ecco allora che la rappresentazione efficace e verosimile sarà
solo quella che ognuno costruisce autonomamente, secondo la propria immagina-
24
G.E.Lessing, Drammaturgia d’Amburgo, in S.M.Ejzenstejn, Teoria generale del montaggio, Venezia,
Marsilio, 1985.
25
I. de Loyola, Esercizi spirituali, Milano, Mondadori, 1984.
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zione combinando i fantasmi che popolano la memoria.
Ignazio di Loyola si pone questo problema nel momento in cui si trova a
dover definire una metodologia della meditazione e della contemplazione per il
raggiungimento dell'estasi mistica.
Una delle preoccupazioni della Chiesa era che i suoi devoti avessero l'illusione di assoluta realtà riguardo ai misteri cristiani su cui meditavano perché
solo questo profondo convincimento della esperibilità del dogma divino avrebbe
permesso una fede sicura ed una predicazione sincera. A tal fine la meditazione e
la contemplazione erano armi fondamentali per la “reviviscenza emotiva”26 del
dogma religioso ma la loro pratica era poco diffusa e necessitava di una vera e
propria iniziazione cui solo pochi potevano accedere.
Ignazio di Loyola propose allora, nella prima metà del cinquecento, un
'metodo' della meditazione ma non fece altro che rendere in principi pratici e
comprensibili ciò che da secoli era definito attraverso principi astratti condivisibili da pochi. Meditazione e contemplazione diventano così fasi di esercizi spirituali altamente strutturati.
Gli esercizi spirituali hanno due fini: il raggiungimento dell'estasi religiosa e attraverso quest’ultima la reviviscenza soggettiva della manifestazione del
divino. La reviviscenza del mistero cristiano è fondamentale perché solo «ciò che
abbiamo visto con i nostri occhi, che abbiamo inteso con le nostre orecchie, toccato con le nostre mani: ecco ciò che noi crediamo e che predichiamo!»27.
Il fine degli esercizi è dunque far sì che per i devoti i misteri cristiani
acquistino un valore di realtà, come se essi li avessero vissuti in prima persona,
per mezzo di una corretta stimolazione dell'immaginazione.
Ogni esercizio prende in considerazione uno dei dogmi del cristianesimo
e si pone l’obbiettivo di farlo rivivere nella sua piena sensorialità. In questa operazione un ruolo fondamentale spetta alla ricostruzione mentale dei luoghi, ossia
del contesto naturale dell'evento che si deve rivivere in prima persona.
Per far questo non offre una rappresentazione oggettiva del luogo né dell’evento in questione ma una serie di quadri separati appartenenti ognuno ad un
diverso dominio sensoriale per poi ottenere al termine dell’esercizio uno spettro
sensoriale completo dell'esperienza dell’evento. Solo dopo che un quadro del
genere è stato tracciato attraverso «l’application des sens», è possibile proseguire
nell’esercizio passando alla fase della contemplazione in cui il soggetto riflette sull'immagine emotiva che egli ha autonomamente creato attraverso la meditazione.
In un esercizio per la costruzione dell’immagine emotiva di un luogo
come l'Inferno si richiede al soggetto ad esempio di «immaginare di vedere la lunghezza e la larghezza degli Inferi, di immaginare di vedere anime avvolte in corpi
di fuoco…, di immaginare di sentire l'odore dello zolfo delle fiamme e dei corpi
in putrefazione, di immaginare di assaporare l'amaro dei rimpianti, della disperazione, dei rimorsi di un reprobo, di immaginare di toccare le fiamme che consumano non solo i corpi ma le anime stesse, fino a scottarsi…».
S.M.Ejzenstejn, Teoria generale del montaggio, Venezia, Marsilio, 1985.
Manrèse, ou les Exercises Spirituels de Saint Ignace, Paris, 1911 in S.M.Ejzenstejn, Teoria generale
del montaggio, Venezia, Marsilio, 1985.
26
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F. D’Orazio, Apocalisse in dub
Questo insieme di dettagli immaginati si combina nel costruire un'immagine emotiva soggettiva del fenomeno in questione. Ma il fenomeno di elaborazione deve essere rigorosamente interno al soggetto. Non a caso, il repertorio
delle immagini che Ignazio di Loyola usa nei suoi esercizi è molto povero e ancor
più illuminante è il fatto che esse non sono descrizioni ma solo notule28, suggerimenti, stimoli, spunti, schemi per innescare la creatività dell'immaginazione del
soggetto che produrrà un’immagine assolutamente soggettiva fondata su materiali recuperati dalla memoria.
Lo stesso immaginario povero viene proposto da Aba Shanti attraverso
stimolazioni che sono esclusivamente spunti per l'immaginazione. La divinità non
viene mai descritta, tant’è che l'unico tipo di descrizione che si può rinvenire nel
dispositivo della session è l’epiteto, grado descrittivo minimo. Estrarre dettagli da
un fenomeno e combinare tali dettagli in unità superiori è ciò che facciamo ogni
giorno. Poiché la nostra sensorialità è imperfetta nelle sue singole ‘applicazioni’ (i
singoli sensi) necessitiamo sempre di integrare stimolazioni diverse per ottenere
una percezione completa. Il corpo è un sistema di equivalenze e di trasformazioni sensoriali. La sinestesia, come fusione degli ambiti sensoriali, è alla base di ogni
atteggiamento cosciente e intenzionale verso la realtà.
Attraverso la ricostruzione di questo processo, le ‘messe’ di Aba Shanti
donano anima e corpo al mysterium tremendum29.
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R. Barthes, Sade, Fourier, Loyola. La scrittura come eccesso, Torino, Einaudi, 1977.
R. Otto, Il Sacro, Milano, Gallone, 1998.
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