materiale fornito dal prof. Appi

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ESCURSUS SU BENE COMUNE
NELLA DOTTRINA SOCIALE DELLA CHIESA
(Bologna 01/03/2010 – prof. Franco Appi)
Introduzione
Il termine bene comune è di origine medioevale. L’idea equivalente però si può
trovare in qualche modo già presente nella classicità greca, in cui si pensa che la polis
si forma in vista di un bene più alto e collettivo.
Questi concetti passano alla civiltà romana e a quella cristiana.
In S.Tommaso
Soprattutto però il concetto è sviluppato da S.Tommaso d’Aquino.
Per lui il bene comune è il punto di convergenza e di collegamento dei rapporti che
costituiscono la società.
C’è nell’uomo, dice Tommaso, un’inclinazione verso il bene che è conforme alla
natura della ragione, per esempio a vivere in società.1
L’uomo infatti è di sua natura portato alla società; è di natura razionale e relazionale e
tende ad unirsi agli altri, sia per la coscienza della insufficienza individuale a
raggiungere il proprio bene, sia per la naturale relazionalità a cooperare per
raggiungere il bene insieme alla comunità.
Per gli uomini è necessario vivere in società in modo che l’uno sia aiutato dall’altro e
ognuno con la sua ragione si occupi di cose diverse…
Si forma così una società, tenuta insieme dalla convergenza al bene comune che
prevale sui beni particolari, i quali, anzi, sono ordinati al bene comune come a
qualcosa di più perfetto.
Questo concetto è superiore all’idea di interesse particolare e di interesse generale
che viene invece spesso introdotto in politica nella modernità e oggi più che mai
dominante in politica.
L’interesse tende ad una dimensione egoistica e soggettiva, mentre il bene tende alla
realizzazione degli individui in ordine ad un bene oggettivo, ai diritti naturali, alle
inclinationes individuate dalla scolastica e in particolare da Tommaso.
Nella Summa S. Tommaso stabilisce un rapporto fra diritti naturali o legge naturale, e
inclinazioni naturali. Tali inclinazioni non sono da intendere come intrinseche alla
dimensione umana.
Egli segue pensieri precedenti; viene citato al proposito Guglielmo di Auxerre(2) , il
quale suddistingue la legge naturale in tre passaggi, o inclinationi:
 conservazione dell’essere dell’individuo
1
Cfr I Politica, lect 8 citato in Gianfranco Iorio Introduzione alla filosofia politica e alla filosofia delle leggi in
Tommaso d’Aquino, progetto editoriale mariano, Padova 1998 pg 12 s
2
Cfr R.Pizzorni Il contenuto del diritto naturale secondo S.Tommaso D’Aquino in Atti Congresso internazionale VII
centenario di Tommaso D’Aquino – Napoli 1978 pg 195
1
 propagazione della specie
 condizione umana della cultura
Esaminando la natura dell’uomo possiamo riscontrare tendenze o inclinazioni che
corrispondono alla sua forma specifica, cioè alla sua razionalità.
Da ciò agire secundum naturam è agire secundum rationem, ed è agire secundum
personam.
Cioè è compiere quegli atti umani che per la loro intrinseca natura concordano con
la ragione e che conducono alla perfezione della persona umana rispettandone e
attuandone la dignità e la grandezza.
Tommaso, dunque come dicevamo, suddistingue il diritto naturale seguendo le
inclinationes in una triplice classificazione e cioè:
 E’ bene per il singolo ciò che conserva la sua vita fisica individuale.
 E’ bene per la vita della specie umana ciò che conserva la vita della specie
umana.
 E bene ciò che conserva la sua vita razionale.
Dunque è cosa buona ciò che conserva il bene dell’individuo, della specie, della
ragione.
Come essere individuale tende alla autoconservazione della vita.
Come essere animale tende alla autoconservazione della specie, alla trasmissione
della vita, alla fecondità.
Come essere razionale tende al suo sviluppo spirituale e morale: è la legge della
persona umana.(3)
Oggi diremmo per quest’ultima inclinazione che comprende la dimensione
trascendente. Non c’è solo la ragione come strumento, essa è inscindibile dalla
dimensione del pathos, della passione.
Ragione e pathos costituiscono la spinta che chiama ad unirsi in società, a partire
dalla società familiare, e fino a quella della polis; queste caratterizzano l’uomo.
Per bene vivere per Tommaso occorre una dimensione morale della società che
comprende la convivenza nella polis e dunque anche nella economia, nella tecnica,
nell’organizzazione sociale, nell’esercizio di qualsiasi potere, nella scienza, nell’arte.
L’insieme i questi valori, cioè di queste realtà va vissuto in ordine alla realizzazione
del bene comune.
Esso è un tutto che si attua nell’insieme delle persone e per ciascuna di esse.
Così si capisce che ricchezza, salute, cultura sono beni particolari da ordinare al bene
della collettività così che lo scambio e la comunicazione dei beni particolari
promuova il bene di tutti.
Il bene comune, già anche per Tommaso, non è somma di beni particolari, ma
armonizzazione e comunicazione di essi finalizzati fin dall’origine alla comunità.
3
R.Pizzorni oc pg 211
2
Al bene comune si subordina il bene dell’individuo inteso in senso individualista ed
egoista, il quale così inteso non coopera al bene comune.
Piuttosto il bene individuale va armonizzato e coordinato al bene comune.
L’armonizzazione e la comunicazione delle attività personali sono compito
dell’autorità politica la quale interviene con le leggi finalizzate al bene comune e
devono ispirarsi alla legge naturale, le inclinationes. Così autorità opera per il bene
comune.
Rispetto alla dimensione politica si deve affermare che la legge è frutto di un dettame
della ragion pratica per regolare la vita di una comunità.
La legge naturale ci fornisce solo i principi con cui procedere, insufficienti a guidare
tutta la vita umana.
Per questo è necessario arrivare a leggi positive.
La ragione umana, partendo da alcuni principi, principi primi evidenti e
indimostrabili, elabora delle regolamentazioni più dettagliate (q. 94 a. 3).
Tali dettami particolari, ottenuti dalla ragione umana prendono il nome di legge
umana o positiva.
Nella comunità politica il fine è il bene comune, cioè il motivo stesso per cui si sta
insieme nella comunità politica; la legge di conseguenza deve essere ordinata al bene
comune.
Ordinare al bene comune è compito di tutto il popolo, oppure di un singolo in sua
vece.
Per Tommaso il concetto di bene comune va pensato in una gerarchia di valori al cui
sommo c’è il rapporto con Dio, al quale tutto va subordinato. Dio è come il bene
comune trascendente, fine ultimo ma anche immediato del Regno ei cieli. A lui va
subordinato il bene comune immanente della città terrena.
Certamente l’analogia con Dio è affascinante: di lui infatti, bene sommo, possiamo
godere di più quanto più siamo uniti in comunione fra noi, essendo questa la sua
logica intrinseca, l’amore che costituisce la sua sostanza: Dio è amore.
Il magistero dei papi a partire da Leone XIII
Questa lunga riflessione su Tommaso era necessaria perché nel magistero si fa
riferimento a questo concetto di bene comune fin dalla Rerm Novarum e non si
cercherà di darne ulteriori definizioni fino al magistero di Giovanni XXIII.
Leone XIII recupera concetti della scolastica che ripropone come base degli studi di
teologia; quando scrive la RN quaesta impostazione è presente.
Questo papa cerca di superare l’isolamento della Chiesa dopo la perdita del potere
temporale. L’enciclica RN è forse il tentativo più riuscito dei suoi documenti in
questa direzione.
3
In questa enciclica, la prima della raccolta delle encicliche sociali, ma non il primo
documento sociale della Chiesa, ricorda al n. 26: “…tra i molti e gravi doveri dei
governanti solleciti del bene pubblico, primeggia quello di provvedere ugualmente ad
ogni ordine di cittadini…”
Qui si dà per scontato il contenuto concettuale di questo bene e la possibilità della sua
conoscenza.
Al n. 37 si dice meglio che: “Il fine della società civile è universale, perché è quello
che riguarda il bene comune, a cui tutti e singoli i cittadini hanno diritto nella debita
proporzione”.
La sottolineatura di universale è mia e intende evidenziare la dimensione che sarà
sempre più evidente di universalità del bene comune che sarà più esplicita in seguito.
Qui il bene comune rimane ancora un compito dei poteri politici, non di tutti i singoli
cittadini.
Pio XI
Pio XI nella Quadragesimo Anno ne parla facendo riferimento al compito
dell’autorità politica che è chiamata a entrare nella relazione fra operai e datori di
lavoro. (n 49) Così pure ne parla al n 73 come riferimento del giusto salario agli
operai: se questo è troppo basso o troppo alto (!?) è a detrimento del b.c.
Pio XII
Pio XII aggiunge un chiarimento, nel radiomessaggio della Pentecoste del ’41 dice:
“Tutelare l’intangibile campo dei diritti della persona umana e renderle agevole il
compimento dei suoi doveri vuol esser ufficio essenziale di ogni pubblico potere.
Non è forse questo che porta con sé il significato genuino del bene comune, che lo
stato è chiamato a promuovere?
Da qui nasce cha la cura di un tale bene comune non importa (comporta ndr) un
potere tanto esteso sui membri della comunità, che in virtù di esso sia concesso
all’autorità pubblica di menomare lo svolgimento dell’azione individuale sopra
descritta, decidere sull’inizio o ( escluso il caso di legittima pena) sul termine della
vita umana, determinar a proprio talento la maniera del suo movimento fisico,
spirituale, religioso e morale in contrasto con i doveri e diritti dell’uomo, e a tale
intento abolire o privare d’efficacia il diritto naturale ai beni materiali.
Dedurre tanta estensione di potere dalla cura di bene comune vorrebbe dire
travolgere il senso stesso del bene comune e cadere nell’errore di affermare che io,
proprio scopo dell’uomo sulla terra è la società, che la società è fine a se stessa, che
l’uomo non ha altra vita che l’attende fuori di quella che si termina quaggiù.”
Ho trascritto tutto il passo perché qui si vanno a recuperare dei contenuti, non dati più
per scontati, considerata l’esperienza che si stava vivendo di fascismo, nazismo e
comunismo, tutti e tre presenti mentre Pio XII scrive.
I contenuti riguardano i diritti umani naturali che salvaguardano la vita, la libertà, la
giustizia e sono i concetti che riprenderà Giovanni XXIII.
4
Egli infatti ne darà una definizione al n. 51 della Mater e Magistra, e cioè il bene
comune è: “…l’insieme di quelle condizioni sociali che consentono e favoriscono
negli esseri mani lo sviluppo integrale della loro persona.”
In questa enciclica il bc è indicato come criterio per riformare strutture e mezzi
(n.41).
Sono da considerare “esigenze del bene comune: dare occupazione…evitare che si
costituiscano categorie privilegiate…mantenere un’equa proporzione fra salari e
prezzi e rendere accessibili beni e servizi…eliminare o conenere squilibri fra
settori…realizzare l’equilibrio fra espansione economica e sviluppo dei servizi
pubblici essenziali… adeguare le strutture produttiveai progressi delle scienze e delle
tecniche…contemperare i miglioramenti nel tenore di vita della generazione rpesente
con l’obiettivo di preperare un futuro migliore alle generazioni future…”(n.66)
“…sul piano internazionale evitare ogni forma di sleale concorrenza… favorire la
collaborazione fra economie…(n. 67)
Bisogna partire dal principio fondamentale da cui ha origine tutta la dottrina sociale
della Chiesa che è la “dignità sacra della persona”: “I singoli esseri umani sono e
devono essere il fondamento, il fine e i soggetti di tutte le istituzioni in cui si esprime
la vita sociale (...) Da quel principio fondamentale, che tutela la dignità sacra della
persona, il magistero della Chiesa ha enucleato (...) una dottrina sociale”.(M.M.
143-144)
Lo stesso Giovanni XXIII, nella Pacem in Terris al n. 5 dice: “In una convivenza
ordinata e feconda va posto come fondamento il principio che ogni essere umano è
persona, cioè una natura dotata di intelligenza e di volontà libera; e quindi è
soggetto di diritti e di doveri che scaturiscono immediatamente e simultaneamente
dalla sua stessa natura: diritti e doveri inalienabili.
Che se poi si considera la dignità della persona umana alla luce della divina
rivelazione, allora essa apparirà incomparabilmente più grande, poiché gli uomini
sono stati redenti dal sangue di Gesù Cristo, e con la grazia sono divenuti figli e
amici di Dio e costituiti eredi della gloria eterna”.
La dignità dell’uomo noi la possiamo conoscere anche razionalmente, fondandola
sulla sua evidente libertà e razionalità. Infatti l’uomo è in grado di scegliersi
coscientemente un fine e di porre in atto scelte e mezzi con i quali cercare di
raggiungerlo. E’, dunque, libero e razionale e perciò soggetto di diritti e doveri.
Oggi si definisce la ‘persona’ umana come ‘essere in relazione’. Egli infatti nasce,
cresce e si realizza in quanto uomo in un mondo di relazioni.
Nella teologia tradizionale persona (ipostasis) era definita “sostanza individua
razionale”. Oggi si mette più in evidenza la relazionalità: ‘persona’ deve indicare sia
5
l’identità dell’ ‘uomo’nella sua individualità e razionalità, sia la sua relazionalità con
Dio e con le altre persone umane.
Dice ancora la Pacem in Terris al n. 33: “Il bene comune non può essere concepito in
termini dottrinali, e meno ancora determinato nei suoi contenuti storici, che avendo
riguardo all’uomo, essendo esso un oggetto essenzialmente correlativo alla natura
umana”.
Nella Pacem in terris c’è un ulteriore passaggio circa il bc perché, pur rimanendo un
impegno della autorità politica, si riconosce che tutti i cittadini hanno diritto e dovere
di prendere parte attiva alla vita pubblica e portare un contributo personale
all’attuazione del bene comune. (n.13)
Così tutti, singoli e corpi intermedi, devono portare un contributo al bene comune.
Questo poi contiene elementi di culture etniche, di spiritualità, di esigenze
fisiobiologiche…(nn.33;34;35)
Nella GS 19 la dignità umana è evidenziata nel modo più alto proprio dalla vocazione
alla comunione con Dio. Ogni persona è fatta per un fine che la trascende.
La Pacem in Terris ci indicava che “Il bene comune ha attinenza a tutto l’uomo: tanto
ai bisogni del suo corpo che alle esigenze del suo spirito. Per cui i poteri pubblici si
devono adoperare ad attuarlo nei modi e nei gradi che ad essi convengono, in
maniera tale però da promuovere simultaneamente, nel riconoscimento e nel rispetto
della gerarchia dei valori, tanto la prosperità materiale che i beni spirituali (...) Ma
gli esseri , composti di corpo e anima immortale, non esauriscono la loro esistenza
né conseguono la loro perfetta felicità nell’ambito del tempo. Per cui il bene comune
va attuato in modo non solo da non porre ostacoli, ma da servire altresì al
raggiungimento del loro fine ultraterreno ed eterno.”4
Persona e comunità
La persona umana intrinsecamente aperta al dialogo con le altre persone, non poteva
che costituire una comunità.
Dice la Gaudium et Spes al n. 12: “Dio non creò l’uomo lasciandolo solo: fin da
principio ‘uomo e donna li creò’ ( Gn 1,27 ) e la loro unione costituisce la prima
forma di unione fra le persone. L’uomo, infatti, per sua intima natura è un essere
sociale e senza i rapporti con gli altri non può vivere né esplicare le sue doti”.
In questo senso la realizzazione delle persone non può avvenire che all’interno di una
realtà comunitaria. Ne deriva una concezione dell’uomo solidale, dialogale,
comunionale.
4
Ibidem n. 35
6
Le relazioni interpersonali non hanno ostacoli, ogni persona le intreccia ed espande, e
queste via via, raggiungono direttamente o indirettamente, almeno potenzialmente
l’intera umanità. Questa nel disegno divino è voluta come unica comunità, come una
unica intera famiglia umana, costituita dall’essere tutti creati a immagine di Dio,
fratelli figli dello stesso Padre, tutti investiti della stessa dignità, tutti aperti al dialogo
con ogni altro uomo.
In tutta la Sacra Scrittura “il genere umano è una unità corporativa, una natura
umana, anche se ciò risulta pienamente chiaro soltanto considerando l’unità
dell’agire storico salvifico di Dio con l’umanità e soprattutto partendo dal Figlio
dell’uomo Cristo. In questa luce è significativo che in Genesi 1,26 ss la creazione di
Adamo intenda genericamente l’umanità e non solo degli individui”.5
Qui si capisce la ‘interdipendenza’, che è frutto di una socialità allargata a livello
globale. Si prende sempre più coscienza di questo a partire dalla P.T., alla P.P., alla
Sollicitudo rei Socialis, e ora alla C.V. come categoria non solamente sociologica, ma
teologica.
Dice la Gaudium et Spes al n. 24: “Dio, che ha cura paterna di tutti, ha voluto che
tutti gli uomini formassero una sola famiglia e si trattassero fra loro con animo da
fratelli. Tutti infatti creati ad immagine di Dio, che da un solo uomo ha prodotto
l’intero genere umano affinché popolasse la terra, sono chiamati all’unico e
medesimo fine, cioè Dio stesso”.
La società è per noi non frutto di contratto, ma frutto della naturale apertura che porta
ogni uomo a relazionarsi con gli altri, pena la disumanizzazione. Così la società
politica è pensabile come una strutturazione più organica della società, per così
dire, spontanea; è un costituirsi più organico in vista di un bene comune: è lo stato, o
qualsiasi organizzazione politica.
Società organizzata e dimensione globale della famiglia umana implicano visioni in
evoluzione rispetto a quelle ora in atto. Il bene comune va pensato in senso universale
e gli organismo politici devono poter organizzarsi ed armonizzarsi fino a riformare le
istituzioni mondiali, quali l’ONU e le sue derivazioni, per organizzare una
governante in vista di un bene comune universale.
Il punto cruciale sono i diritti che l’autorità deve tutelare e che tutti devono rispettare.
Così il bc universale si fonda in ultima analisi nel rispetto della dignità e dei dritti
delle singole persone umane.
La Gaudium et Spes
La Gaudium et Spes al n. 26 ripropone la definizione di bene comune della Mater et
Magistra e della Pacem in Terris.
5
G.Holzen “L’uomo nella comunità” in “Misterium Salutis” (Queriniana) Brescia 1979, pg. 475
7
Il bene comune è “L’insieme di quelle condizioni della vita sociale che permettono
tanto ai gruppi quanto ai singoli membri di raggiungere la propria perfezione più
pienamente e più speditamente”.
Oggi si deve assumere una dimensione universale di bene comune, “investendo diritti
e doveri che riguardano l’intero genere umano”.
Al n. 74, sulla natura e il fine della comunità politica si dice: “Gli uomini, le famiglie
e i diversi gruppi che formano la comunità civile sono consapevoli di non essere in
grado, da soli, di costruire una vita capace di rispondere pienamente alle esigenze
della natura umana e avvertono la necessità di una comunità più ampia, nella quale
tutti rechino quotidianamente il contributo delle proprie capacità, allo scopo di
raggiungere sempre meglio il bene comune (156).
Per questo essi costituiscono, secondo vari tipi istituzionali, una comunità politica.
La comunità politica esiste dunque in funzione di quel bene comune, nel quale essa
trova significato e piena giustificazione e che costituisce la base originaria del suo
diritto all’esistenza.
Il bene comune si concreta nell’insieme di quelle condizioni di vita sociale che
consentono e facilitano agli esseri umani, alle famiglie e alle associazioni il
conseguimento più pieno della loro perfezione (157).
Ma nella comunità politica si riuniscono insieme uomini numerosi e differenti, che
legittimamente possono indirizzarsi verso decisioni diverse.
Affinché la comunità politica non venga rovinata dal divergere di ciascuno verso la
propria opinione, è necessaria un’autorità capace di dirigere le energie di tutti i
cittadini verso il bene comune, non in forma meccanica o dispotica, ma prima di tutto
come forza morale che si appoggia sulla libertà e sul senso di responsabilità.
È dunque evidente che la comunità politica e l’autorità pubblica hanno il loro
fondamento nella natura umana e perciò appartengono all’ordine fissato da Dio,
anche se la determinazione dei regimi politici e la designazione dei governanti sono
lasciate alla libera decisione dei cittadini (158).
Ne segue parimenti che l’esercizio dell’autorità politica, sia da parte della comunità
come tale, sia da parte degli organismi che rappresentano lo Stato, deve sempre
svolgersi nell’ambito dell’ordine morale, per il conseguimento del bene comune (ma
concepito in forma dinamica), secondo le norme di un ordine giuridico già definito o
da definire. Allora i cittadini sono obbligati in coscienza ad obbedire (159). Da ciò
risulta chiaramente la responsabilità, la dignità e 1 importanza del ruolo di coloro
che governano.
Dove i cittadini sono oppressi da un’autorità pubblica che va al di là delle sue
competenze, essi non rifiutino ciò che è oggettivamente richiesto dal bene comune;
sia però lecito difendere i diritti propri e dei concittadini contro gli abusi
dell’autorità, nel rispetto dei limiti dettati dalla legge naturale e dal Vangelo.
Le modalità concrete con le quali la comunità politica organizza le proprie strutture
e l’equilibrio dei pubblici poteri possono variare, secondo l’indole dei diversi popoli
e il cammino della storia; ma sempre devono mirare alla formazione di un uomo
educato, pacifico e benevolo verso tutti, per il vantaggio di tutta la famiglia umana.”
8
Riportato per intero fa comprendere ormai lo sviluppo del concetto di bc a partire
certamente dai concetti di Tommaso, ma ormai evoluti a confronto con le vicende
storiche che hanno richiesto precisazioni e approfondimenti.
Il bene comune è una categoria etica necessaria a regolare la vita politica e sociale; è
insieme l’obiettivo e il criterio di verifica dei mezzi e dei processi messi in atto per
raggiungerlo. La concezione di bene comune sarà diversa a seconda della concezione
di uomo che sta alla base.
Ci sono state e ci sono diverse concezioni di bene comune nella modernità: spesso è
definito come interesse generale definito a volte come somma dei beni,
indipendentemente dalla distribuzione di detti beni; oppure come bene di una
collettività senza attenzione ai singoli.
Nella dottrina sociale della Chiesa il bene comune tiene conto della persona nella sua
dignità individuale e nel suo integrarsi con le altre persone nella comunità.
La comunità politica è finalizzata al bene della persona, delle persone aperte per sé al
dialogo, alla comunità.
Per questo il bene comune non può essere ridotto ai soli beni economici, che pure ne
costituiscono una parte rilevante.
Come pure lo sviluppo umano non può essere ridotto alla sola crescita economica.
Esso comprende ogni e tutto l’uomo, come dalla P.P. e ora dalla C.V.
Dunque il bene comune comprende beni non materiali come: la giustizia, la
concordia, la garanzia di libertà, la vivibilità dell’ambiente, l’armonia delle relazioni .
Di qui la complessità delle componenti del bene comune, quanto ai contenuti per così
dire ‘tecnici’, che si commisura alla complessità delle persone, della cui dimensione
trascendente occorre tenere conto.
Considerando allora la dinamicità della storia, all’interno della quale vanno realizzati
i contenuti del bene comune, questo potrebbe essere definito come
‘il complesso dinamico e progressivo delle condizioni economiche, giuridiche,
morali, spirituali che consentono e favoriscono, nelle persone umane e nei gruppi
sociali, il conseguimento della loro perfezione temporale, senza precludere, anzi
rendendo più agevole, il raggiungimento dei fini ultraterreni ed eterni’.
Paolo VI
I documenti di Paolo VI riprendono la concezione del Vat II circa il bene comune.
Queso viene indicato come scopo della vita politica e delle attività dei singoli
cittadini i quali, proprio perché il bc è primariamente scopo della politica, devono essi
9
stessi dedicarsi a tale attività come espressione di impegno per il prossimo. (cfr. OA
46)
Giovanni Paolo II
Anche GPII da per scontata l’accezione del Vat II. Tocca un punto di originalità
quando immette l’idea di attività politica nell’azione del sindacato e la definisce
prudens curatio boni communis ( L.E. n.20).
Il bene comune universale è lo sfondo su cui si svolge la SRS, in cui lo sviluppo è
indicato come tutela dei diritti umani personali e sociali, economici e politici di tutti i
popoli (n. 33); per questo è necessario combattere le strutture di peccato, agire nella
dimensione della solidarietà, intesa come responsabilità di ognuno per ogni altro
(n.40), seguendo in particolare l’opzione preferenziale per i poveri (n.42).
Nella Centsimus annus il discorso si fa più esplicito, proprio a partire dalla centenario
della RN.
“Se Leone XIII si appella allo Stato per rimediare secondo giustizia alla condizione
dei poveri, lo fa anche perché riconosce opportunamente che lo Stato ha il compito di
sovraintendere al bene comune e di curare che ogni settore della vita sociale, non
escluso quello economico, contribuisca a promuoverlo, pur nel rispetto della giusta
autonomia di ciascuno di essi.”
Esprime anche una definizione con qualcosa di nuovo rispetto alla GS, al n. 47, dove
riparte dai diritti, e in primis dalla libertà religiosa, non intesa come libertà di culto,
ma come libertà della ricerca di Dio, della verità, del mistero, che è la libertà
originante di tutte le libertà e di tutti diritti.
“Tra i principali sono da ricordare: il diritto alla vita, di cui è parte integrante il
diritto a crescere sotto il cuore della madre dopo essere stati generati; il diritto a
vivere in una famiglia unita e in un ambiente morale, favorevole allo sviluppo della
propria personalità; il diritto a maturare la propria intelligenza e la propria libertà
nella ricerca e nella conoscenza della verità; il diritto a partecipare al lavoro per
valorizzare i beni della terra ed a ricavare da esso il sostentamento proprio e dei
propri cari; il diritto a fondare liberamente una famiglia ed a accogliere e educare i
figli, esercitando responsabilmente la propria sessualità.
Fonte e sintesi di questi diritti è, in un certo senso, la libertà religiosa, intesa come
diritto a vivere nella verità della propria fede ed in conformità alla trascendente
dignità della propria persona.
Anche nei Paesi dove vigono forme di governo democratico non sempre questi diritti
sono del tutto rispettati. Né ci si riferisce soltanto allo scandalo dell'aborto, ma
anche a diversi aspetti di una crisi dei sistemi democratici, che talvolta sembra
abbiano smarrito la capacità di decidere secondo il bene comune. Le domande che si
10
levano dalla società a volte non sono esaminate secondo criteri di giustizia e di
moralità, ma piuttosto secondo la forza elettorale o finanziaria dei gruppi che le
sostengono. Simili deviazioni del costume politico col tempo generano sfiducia ed
apatia con la conseguente diminuzione della partecipazione politica e dello spirito
civico in seno alla popolazione, che si sente danneggiata e delusa. Ne risulta la
crescente incapacità di inquadrare gli interessi particolari in una coerente visione
del bene comune. Questo, infatti, non è la semplice somma degli interessi particolari,
ma implica la loro valutazione e composizione fatta in base ad un'equilibrata
gerarchia di valori e, in ultima analisi, ad un'esatta comprensione della dignità e dei
diritti della persona.”
Benedetto XVI
Siamo ormai alle ultime considerazioni circa il bene comune.
Benedetto XVI ha da poco pubblicato la Caritas in Veritate nella quale inanzitutto
evidenzia l’interconnessione fra giustizia, solidarietà, sussidiarietà e bene comune,
tutto fondato sulla verità e l’amore.
Prima aveva toccato argomenti relativi alla politica nella DCE. Qui il papa afferma
che il perseguimento della giustizia è “norma fondamentale dello stato”. Dunque
perseguimento della politica è la giustizia che si identifica anche come bene comune,
per quanto questo la trascenda contenendo altri riferimenti.
In questa ottica la DCE affronta insieme, nello stesso paragrafo, le due esplicitazioni
concrete dell’amore al prossimo: la politica e l’organizzazione caritativa..(n. 28)
Scopo della politica e dello stato è la giustizia.
“Il giusto ordine della società e dello stato è compito centrale della politica. Uno stato
che non fosse retto secondo giustizia si ridurrebbe ad una grande banda di ladri.” dice
il papa citando S.Agostino.
Ma il cristianesimo ha, fin dall’origine, saputo distinguere fra stato e Chiesa. Così
almeno pare a vedere il significato del “date a Cesare …”.
Per statuto la Chiesa non può prendere nelle sue mani la battaglia politica, pur avendo
in questo ambito un compito preciso, perchè:
“In questo punto politica e fede si toccano” perché la fede “è una forza purificatrice
per la ragione stessa. (…) La fede permette alla ragione di svolgere in modo migliore
il suo compito e di vedere meglio ciò che le è proprio. È qui che si colloca la dottrina
sociale cattolica (…essa) Vuole semplicemente contribuire alla purificazione della
ragione (…) La dottrina sociale della Chiesa argomenta a partire dalla ragione e dal
diritto naturale, cioè a partire da ciò che è conforme alla natura di ogni essere
umano.”
11
Il cristiano che entra nel dibattito politico, e lo deve fare laicamente con la “ragione”,
e si espone al rischio della confutazione delle sue ragioni, perché la Chiesa non ha il
monopolio dell’uso della ragione, né pretende di far tacere tutti gli altri.
I cristiani, tutti noi, siamo chiamati ad argomentare sul piano della ragione ogni volta
che entriamo nell’agone politico, sociale, economico, nell’ambito degli impegni
terreni, e ad approfondire i concetti ogni volta che una domanda o obiezione ci
mettono in discussione.
La fede ci spinge ad assumere le responsabilità e ci illumina.
Proprio per questo possiamo e dobbiamo pretendere da tutti coloro che vi entrano di
fare altrettanto, abbandonando pregiudizi ed esclusioni in nome di visioni dovute ad
appartenenze religiose.
Poi aggiunge: “essa(dottrina sociale ndr) vuole servire la formazione della coscienza
nella politica e contribuire affinché cresca la percezione delle vere esigenze della
giustizia”.
In questo senso la purificazione della ragione avviene nella concezione e nella analisi
più precisa di ciò che è male, egoismo, chiusura su di sé; tutto ciò che indurrebbe, per
esempio, a cercare il proprio interesse invece che il bene comune.
Infine afferma: “La Chiesa non può e non vuole prendere nelle sue mani la battaglia
politica per realizzare la società più giusta. Non può e non deve mettersi al posto
dello stato. Ma non può e non deve neanche restare ai margini della lotta per la
giustizia. Deve inserirsi in essa per la via dell’argomentazione razionale e deve
risvegliare le forze spirituali, senza le quali la giustizia , che sempre richiede anche
rinunce, non può affermarsi e prosperare.” (n. 28)
Non c’è, però, solo uno spazio dottrinale; il suo modo di agire non potrà che avvenire
attraverso la libera presenza dei laici a loro volta formati all’argomentazione
razionale e alla sensibilità ai valori etici attraverso la stessa dottrina sociale.
Dunque si aprono spazi primariamente dei laici a cui la Chiesa offre gli strumenti per
la formazione della coscienza e per la purificazione della ragione.
I cristiani laici devono totalmente assumere come responsabilità la politica. Infatti
hanno “il compito immediato di operare per un giusto ordine nella società (…) Come
cittadini dello stato, essi sono chiamati a partecipare in prima persona alla vita
pubblica”.
É loro compito “configurare rettamente la vita sociale, rispettandone la legittima
autonomia e cooperando con gli altri cittadini secondo le rispettive competenze e
sotto la propria responsabilità”.(n. 29)
12
Benedetto XVI aveva toccato l’argomento del bene comune anche nel saluto ali
componenti della settimana sociale del 2007 a Pisa-Pistoia, cogliendo l’elemento più
significativo del Compendio della Dottrina sociale della Chiesa6:
“Il tema scelto - "Il bene comune oggi: un impegno che viene da lontano" -, pur
essendo stato già affrontato in alcune precedenti edizioni, mantiene intatta la sua
attualità ed anzi è opportuno che sia approfondito e precisato proprio ora, per
evitare un uso generico e talvolta improprio del termine bene comune.
Il Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, rifacendosi all’insegnamento del
Concilio Ecumenico Vaticano II, specifica che "il bene comune non consiste nella
semplice somma dei beni particolari di ciascun soggetto del corpo sociale.
Essendo di tutti e di ciascuno è e rimane comune, perché indivisibile e perché
soltanto insieme è possibile raggiungerlo, accrescerlo e custodirlo, anche in vista
del futuro" (Cost. Gaudium et spes, 164).
Già il teologo Francisco Suárez individuava un bonum commune omnium nationum,
inteso come "bene comune del genere umano".
In passato, e ancor più oggi in tempo di globalizzazione, il bene comune va pertanto
considerato e promosso anche nel contesto delle relazioni internazionali ed appare
chiaro che, proprio per il fondamento sociale dell’esistenza umana, il bene di
ciascuna persona risulta naturalmente interconnesso con il bene dell’intera umanità.
L’amato Servo di Dio Giovanni Paolo II osservava, in proposito, nell’Enciclica
Sollicitudo rei socialis che "si tratta dell’interdipendenza, sentita come sistema
determinante di relazioni nel mondo contemporaneo, nelle sue componenti
economica, culturale, politica e religiosa, e assunta come categoria morale" (n. 38).
Ed aggiungeva: "Quando l’interdipendenza viene così riconosciuta, la correlativa
risposta, come atteggiamento morale e sociale, come ‘virtù’, è la solidarietà. Questa,
dunque, non è un sentimento di vaga compassione o di superficiale intenerimento per
i mali di tante persone, vicine o lontane. Al contrario, è la determinazione ferma e
perseverante di impegnarsi per il bene comune: ossia per il bene di tutti e di ciascuno
perché tutti siamo veramente responsabili di tutti" (ibid.).
Nell’Enciclica Deus caritas est ho voluto ricordare che "la formazione di strutture
giuste non è immediatamente compito della Chiesa, ma appartiene alla sfera della
politica, cioè all’ambito della ragione autoresponsabile" (n. 29). Ed ho poi notato
che "in questo, il compito della Chiesa è mediato, in quanto le spetta di contribuire
alla purificazione della ragione e al risveglio delle forze morali, senza le quali non
vengono costruite strutture giuste, né queste possono essere operative a lungo"
(ibid.). Quale occasione migliore di questa per ribadire che operare per un giusto
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Nel compendio il tema del bene comune è trattato ai nn. 164-170
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ordine nella società è immediatamente compito proprio dei fedeli laici? Come
cittadini dello Stato tocca ad essi partecipare in prima persona alla vita pubblica e,
nel rispetto delle legittime autonomie, cooperare a configurare rettamente la vita
sociale, insieme con tutti gli altri cittadini secondo le competenze di ognuno e sotto la
propria autonoma responsabilità. Nel mio intervento al Convegno Ecclesiale
Nazionale di Verona, l’anno scorso, ebbi a ribadire che agire in ambito politico per
costruire un ordine giusto nella società italiana non è compito immediato della
Chiesa come tale, ma dei fedeli laici.”
La settimana sociale, che aveva per tema il bene comune, si è diffusa poi sui
contenuti tecnici e su come l’impegno dei credenti doveva orientarsi per ottenerlo.
Nell’ultima enciclica la Caritas in Veritate afferma: “La caritas in veritate è
principio intorno a cui ruota la dottrina sociale della Chiesa, un principio che
prende forma operativa in criteri orientativi dell'azione morale. Ne desidero
richiamare due in particolare, dettati in special modo dall'impegno per lo sviluppo in
una società in via di globalizzazione: la giustizia e il bene comune.
La giustizia anzitutto. Ubi societas, ibi ius : ogni società elabora un proprio sistema
di giustizia.
La carità eccede la giustizia, perché amare è donare, offrire del “mio” all'altro; ma
non è mai senza la giustizia, la quale induce a dare all'altro ciò che è “suo”, ciò che
gli spetta in ragione del suo essere e del suo operare.
Non posso « donare » all'altro del mio, senza avergli dato in primo luogo ciò che gli
compete secondo giustizia.” Ciò che è suo va stabilito in base a ciò che a lui occorre
per uno sviluppo integrale della sua umanità nelle quattro dimensioni.
“ Chi ama con carità gli altri è anzitutto giusto verso di loro. Non solo la giustizia
non è estranea alla carità, non solo non è una via alternativa o parallela alla carità:
la giustizia è « nseparabile dalla carità » [1], intrinseca ad essa.
La giustizia è la prima via della carità o, com'ebbe a dire Paolo VI, « la misura
minima » di essa , parte integrante di quell'amore « coi fatti e nella verità » (1 Gv
3,18), a cui esorta l'apostolo Giovanni. Da una parte, la carità esige la giustizia: il
riconoscimento e il rispetto dei legittimi diritti degli individui e dei popoli. Essa
s'adopera per la costruzione della “città dell'uomo” secondo diritto e giustizia.
Dall'altra, la carità supera la giustizia e la completa nella logica del dono e del
perdono. La “città dell'uomo” non è promossa solo da rapporti di diritti e di doveri,
ma ancor più e ancor prima da relazioni di gratuità, di misericordia e di comunione.
La carità manifesta sempre anche nelle relazioni umane l'amore di Dio, essa dà
valore teologale e salvifico a ogni impegno di giustizia nel mondo.”
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Ma al n.7, tutto sul bene comune egli dice:” Bisogna poi tenere in grande
considerazione il bene comune.
Amare qualcuno è volere il suo bene e adoperarsi efficacemente per esso. Accanto
al bene individuale, c'è un bene legato al vivere sociale delle persone: il bene
comune. È il bene di quel “noi-tutti”, formato da individui, famiglie e gruppi
intermedi che si uniscono in comunità sociale .”
Qui ci si riaggancia ad una visione di bene comune che dà forma ai contenuti tecnici
ma non si riduce ad essi.
“Non è un bene ricercato per se stesso, ma per le persone che fanno parte della
comunità sociale e che solo in essa possono realmente e più efficacemente
conseguire il loro bene.
Volere il bene comune e adoperarsi per esso è esigenza di giustizia e di carità.
Impegnarsi per il bene comune è prendersi cura, da una parte, e avvalersi, dall'altra,
di quel complesso di istituzioni che strutturano giuridicamente, civilmente,
politicamente, culturalmente il vivere sociale, che in tal modo prende forma di
pólis, di città. Si ama tanto più efficacemente il prossimo, quanto più ci si adopera
per un bene comune rispondente anche ai suoi reali bisogni.”
Qui emerge l’urgenza dell’impegno politico di ognuno di noi.
Già la G.S. 43 diceva : “Il Concilio esorta i cristiani, cittadini dell’una e dell’altra
città, di sforzarsi di compiere fedelmente i propri doveri terreni, facendosi guidare
dallo spirito del Vangelo. Sbagliano coloro che, sapendo che qui noi non abbiamo
una cittadinanza stabile ma che cerchiamo quella futura, pensano che per questo
possono trascurare i propri doveri terreni, e non riflettono che invece proprio la fede
li obbliga ancora di più a compierli, secondo la vocazione di ciascuno. … A loro
volta non sono meno in errore coloro che pensano di potersi immergere talmente
nelle attività terrene, come se queste fossero del tutto estranee alla vita religiosa, la
quale consisterebbe, secondo loro, esclusivamente in atti di culto e in alcuni doveri
morali.”
Poi c’è un’affermazione molto impegnativa sempre nella GS: “La dissociazione che
si constata in molti, tra la fede che professano e la loro vita quotidiana, va
annoverata fra i più gravi errori del nostro tempo”.
E viene emesso un giudizio molto forte: “Il cristiano che trascura i suoi impegni
temporali, trascura i suoi doveri verso il prossimo, anzi verso Dio stesso, e mette in
pericolo la propria salvezza eterna”.
La CV riprende questi concetti “Ogni cristiano è chiamato a questa carità, nel modo
della sua vocazione e secondo le sue possibilità d'incidenza nella pólis.
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È questa la via istituzionale — possiamo anche dire politica — della carità, non
meno qualificata e incisiva di quanto lo sia la carità che incontra il prossimo
direttamente, fuori delle mediazioni istituzionali della pólis. (Cfr O.A.46)
Quando la carità lo anima, l'impegno per il bene comune ha una valenza
superiore a quella dell'impegno soltanto secolare e politico.
In quanto la motivazione è più significativa…
Come ogni impegno per la giustizia, esso s'inscrive in quella testimonianza della
carità divina che, operando nel tempo, prepara l'eterno.
L'azione dell'uomo sulla terra, quando è ispirata e sostenuta dalla carità,
contribuisce all'edificazione di quella universale città di Dio verso cui avanza la
storia della famiglia umana.
In una società in via di globalizzazione, il bene comune e l'impegno per esso non
possono non assumere le dimensioni dell'intera famiglia umana, vale a dire della
comunità dei popoli e delle Nazioni,, così da dare forma di unità e di pace alla città
dell'uomo, e renderla in qualche misura anticipazione prefiguratrice della città
senza barriere di Dio.”
È impegno preciso per i credenti l’attività politica con un elemento che la trascende,
che è l’animazione ad opera della carità. Questa immette un bene superiore allo
stesso bene oggettivo che la relazione umana improntata dalla carità trasmette. Ciò
già introduce una visione anche di società fraterna, di gratuità, di reciprocità, che più
avanti l’enciclica propone come supporto allo stesso funzionamento del mercato.
Viene ulteriormente sviluppato insieme al bene comune il concetto di società il quale
viene espresso in prima persona: noi tutti.
È un concetto molto più caldo e supera quella dimensione di terzietà a cui spesso
facciamo, o facevamo ricorso.
Il noi tutti passa da un concetto di società in terza persona singolare ad uno in prima
persona plurale.
Questo implica un impegno in prima persona dei credenti nella società come luogo
del lavorio culturale, progettuale, realizzativo delle relazioni e dei corpi intermedi.
La società è il soggetto attivo della ricerca del bene comune e ne è anche il
destinatario.
Averlo espresso in prima persona plurale indica la assunzione diretta delle
responsabilità sociali e politiche di ognuno di noi.
Inoltre il bene comune, che veniva indicato come scopo della organizzazione politica,
qui assume anche le altre attività sociali e relazionali, e quindi tutte le attività anche
dei singoli e dei gruppi, di tutte le soggettività della società.
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È la dimensione della trascendenza che amplia il concetto di bene comune e di
impegno nelle realtà terrene. Questa comprende ragione e passione, logos e pathos,
questi hanno una alimentazione reciproca: la ragione viene alimentata dalla passione
intesa in senso sia buono che cattivo, si pone alla ricerca e all’approfondimento di ciò
che il cuore desidera.
Pensiamo alla teologia dei sommi Agostino e Tommaso, razionale, ma spinta dal
fascino della ricerca di Dio, del mistero, della sua verità. La passione viene
alimentata dalla ragione che aumenta la conoscenza, apre spiragli sulla realtà, sulla
verità e aumenta il desiderio stesso di conoscenza tipico dell’amore.
Da questo deriva spiritualità, cultura, arte, ma anche progettualità sociale, politica,
economica.
L’amore come logica della relazionalità intrinseca, dimensione sociale, delle persone
umane è pensato come riflesso e immagine della stessa vita trinitaria; è qualcosa che
conosciamo perché lo riceviamo innanzitutto come cura genitoriale, e come dono di
Dio.
Lo conosciamo come legame familiare e come legame sociale. La sua consistenza è
insita nella natura umana, nella verità dell’uomo.
Il dono dell’amore di Dio che conosciamo nel dono della vita e che riceviamo
attraverso il dono dei genitori, diventa vocazione.
Nella Deus caritas est l’esperienza dell’amore sta alla base della capacità di amare.
Conosciamo l’amore perché siamo stati amati e solo per questo possiamo amare.
È questo il modello che sta a base del dono che è insieme vocazione: il dono
dell’amore chiama all’amore, il quale per sé è operativo verso le persone amate.
Così la scoperta di essere amati da Dio, padre universale, ci rende operosi per tutti i
fratelli, attraverso la dimensione sociale e della politica, come già Paolo VI aveva
detto nella Octogesima adveniens; ma anche nelle attività quotidiane, culturali,
economiche.
Questo amore è chiamato a diventare passione sociale, per il bene comune.
L’amore infatti esige una prassi e una riflessione razionale per farsi pernsiero e
progetto; non può infatti rimanere puro emozionismo.
È per la prassi e per la chiarezza degli obiettivi che caritas e logos, amore e ragione,
non possono che stare insieme.
Conclusione
Questo bene comune, così ripetutamente pensato e approfondito ma fedele alle prime
ispirazioni, diventa criterio etico per il giudizio e l’incessante revisione
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dell’ordinamento istituzionale e delle politiche, per un progressivo adeguamento alle
dinamiche storiche. Il bene comune non può essere concepito che a dimensione
universale, data la concezione universale della umanità e la mondializzazione dei
fenomeni; come pure nel concetto ‘universale’ vanno compresi non solo tutti i popoli
del mondo ma anche le generazioni successive.
Il bene comune va conosciuto per analogia al bene sommo che è Dio. Egli infatti è il
fine di ogni cosa e di ogni persona. Ognuno di noi ne può godere senza che questo
tolga qualcosa agli altri. Anzi, nella logica della comunione con Dio, più uno ne gode
e più desidera che anche altri ne godano. Non c’è concorrenza o competizione
sfrenata, c’è piuttosto desiderio di comunione e di espansione del godimento di Dio.
Bibliografia essenziale
E.Berti – G Campanini ( a cura) Dizionario delle idee politiche AVE Roma 1993
G. Iorio Introduzione alla filosofia politica e alla Filosofia delle leggi di Tommaso
d’Aquino Progetto editoriale mariano- Vigodarzere 1998
A. Passerin D’Entreves- R.Spiazzi (a cura) Tommaso d’Aquino. Scritti politici
Massimo Milano 1985
M.Simone ( a cura ) Il bene comune oggi – un impegno che viene da lontano. Atti
della 45° settimana sociale dei cattolici italiani EDB Bologna 2008
Fonti
I testi del magistero
I documenti del Vaticano secondo
Le encicliche sociali
Compendio della dottrina sociale della Chiesa
Summa teologica di S.Tommaso d’Aquino
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