DIO? UNA CREDENZA TIPICA DELL’INFANZIA DELL’UMANITA’ O UN MISTERO? Introduzione al positivismo Siamo al positivismo, una corrente culturale che - come sai - nasce in Francia nella prima metà dell'800 e diventerà pressoché dominante in Europa nella seconda metà. Il padre del positivismo è Augusto Comte 1 . Questi sostiene che l'umanità ha avuto un'evoluzione passando da un approccio "teologico”, tipico dell’"infanzia” dell'umanità, ad uno di tipo "metafisico”, tipico della "adolescenza" dell'umanità, fino ad arrivare a quello "positivo" o "scientifico" che rappresenta la "maturità" dell'umanità. Cosa ne dici? Mi sembra il classico schema illuministico che non tiene conto della dignità del fenomeno religioso, uno schema, oggi, considerato dagli intellettuali più seri come anacronistico. Il positivismo, di sicuro, riprende motivi illuministici. Comte, tuttavia, non dimostra nei confronti della religione l'atteggiamento di disprezzo tipico degli illuministi: per lui la religione non è tout court "superstizione", ma una fase importante dello sviluppo dell'umanità. Comte, quindi, conferisce alla religione una certa dignità. Del resto come si potrebbe disprezzare l'età infantile di ciascuno di noi? Per Comte la fase religiosa non è affatto da disprezzare perché rappresenta una tappa necessaria nell'evoluzione dell'umanità. Puoi qui vedere non l'ottica degli illuministi, ma quella "hegeliana": i momenti che l'uomo percorre prima di arrivare alla verità sono momenti che sono la condicio sine qua non del loro superamento. E le tappe dell'evoluzione dell'umanità sono anche le tappe dell'evoluzione del singolo uomo. Cosa ne dici? Che i bambini leggano il mondo con una fervida fantasia è un fatto: lo sanno tutti, ad esempio, che i bambini sono "animistici", tendono, cioè, a vedere le cose come "animate", come aventi una "volontà" (se un bambino picchia la testa contro il tavolo, si mette egli stesso a picchiare il tavolo perché lo considera colpevole e, quindi, avente una volontà). Che la fantasia caratterizzi l'età infantile è un fatto. Ma questo vuol dire che la religione è una semplice tappa, una tappa necessaria che è destinata ad essere superata dalla scienza? Riprendiamo il discorso: la presenza ancora diffusa oggi della religione è una prova che la religione non è destinata ad essere abolita dalla scienza? Cosa ne dici? Per nulla: allo stato attuale la scienza ha ancora degli enigmi da esplorare, ma non è escluso che un domani (chissà nel... 3023!) riesca a spiegare completamente il mondo senza più alcun bisogno di introdurre Dio. Siamo arrivati ad un passaggio analogo a quello che ti ho posto a proposito di Marx: si arriverà mai un giorno a spiegare completamente l'universo dal punto di vista "scientifico", senza alcuna ombra residua, senza alcun enigma irrisolto? Quand'anche si riuscisse, non ci si troverebbe di fronte ad una "teoria"? Senti: la scienza, quand'anche riuscisse a dipanare tutti i misteri, riuscirebbe a provare l'ateismo? Ovviamente no. La scienza, per sua natura, non può dire né che Dio esiste né che Dio non esiste essendo Dio al di fuori del suo orizzonte metodologico: come si potrebbe "verificare" o "falsificare" l'ipotesi che Dio non esiste o che esiste? Mi pare corretto il tuo discorso: la posizione dello scienziato "in quanto scienziato" dovrebbe essere "agnostica”. Poi, ovviamente lo scienziato "in quanto uomo” può affermare o no Dio. Vediamo l'esempio della teoria evoluzionistica di Darwin (uno scienziato di cultura positivistica). E' una teoria che porta o no all'ateismo? Certo: si tratta, infatti, di una teoria che spiega l'origine dell'uomo senza alcun bisogno di Dio. 1 Nasce a Montpellier, da famiglia cattolica e di condizioni economiche modeste, nel 1798. A sedici anni – giovanissimo - vince il concorso per entrare nella prestigiosa "Ecole Polytechnique". Si appassiona nella lettura di opere di biologi, di matematici e di filosofi. Nel 1818 incontra Saint-Simon di cui diventa segretario e collaboratore (l'amicizia continua fino al 1822). In questi anni incominciano a manifestarsi i sintomi di una grave malattia mentale. Nel 1825 si sposa (si tratta di un matrimonio, però, che lo rende infelice). Nel '26 inizia, presso la sua abitazione, un corso di filosofia. E' un corso che ha subito successo: partecipano, infatti, come uditori alcune personalità di primo piano della cultura scientifico-filosofica di Parigi. Comte ha un attacco di pazzia e deve interrompere il corso. Lo riprenderà nel '29 dopo due anni di manicomio. Nel '32 viene nominato "ripetitore" all'Ecole Polytechnique e dopo cinque anni diventa "esaminatore". Gli anni più fecondi: dal '30 al 42: è in questi anni che matura e scrive i sei volumi del suo capolavoro "Corso di filosofia positiva". Nel '44: una nuova crisi. Nel '45 si innamora della celebre Clotilde de Vaux: si tratta di un amore bellissimo che continuerà a lungo, anche dopo la morte di lei. Dal '44 al '46 Comte passa alla sua fase "mistica" (il positivismo diventa una vera e propria "religione" dell'Umanità con tanto di dogmi, di riti, di calendario nuovo dedicato non ai santi, ma agli eroi dell'Umanità). Muore nel 1857. Questo è vero. Ma… in questa ottica come si spiegherebbe l'anima o, comunque, la mente umana? Diamo - a livello di ipotesi - per certa la teoria della selezione naturale: si tratta di una teoria che esclude in modo assoluto Dio? Non credo: perché non si potrebbe pensare che Dio abbia guidato l'evoluzione di animali fino alla genesi della specie umana e poi abbia infuso lo spirito? E' questa l'opinione che è stata espressa dalla teologia cattolica che, dopo la scomunica pronunciata dalla Chiesa contro la teoria evoluzionistica, ha cercato una conciliazione tra detta teoria e il Cristianesimo. All'interno del positivismo troviamo chi - vedi Spencer - sostiene l'inaccessibilità sia da parte della religione che da parte della scienza della realtà ultima e assoluta, di quello che egli chiama "L’Inconoscibile". Secondo lui c'è e continuerà ad esistere il "mistero" sulla natura ultima della materia, del tempo, dello spazio... Si tratta di una posizione che potremmo chiamare equilibrata, lontana dagli accenti anti-religiosi che abbiamo trovato nell'illuminismo. Sulla stessa lunghezza d'onda è, ad esempio, il tedesco Du Bois-Reymond che considera alcuni problemi (quali l'origine della materia, il pensiero razionale, la libertà...) come degli enigmi che non saranno mai risolti dalla scienza. L’UOMO? NIENT’ALTRO CHE UN ANIMALE EVOLUTO. L’INTELLIGENZA DELL’UOMO? SI DIFFERENZIA DA QUELLA DELL’ANIMALE SOLO PER GRADO. Introduzione a Charles Darwin 2 La svolta operata da Darwin costituisce, indubbiamente, uno dei nodi più importanti dell’età contemporanea. Si tratta di una concezione dell’uomo radicalmente nuova. E’ vero? Certo. Darwin ha demolito la concezione finalistica, provvidenziale del mondo: gli organismi (compreso l'uomo) si sono formati non in base ad un disegno divino, ma per una selezione naturale. Mi pare sia corretta la tua analisi: Darwin dal punto di vista scientifico esclude, ovviamente, l'intervento di Dio. L'uomo, quindi, sarebbe nato da una evoluzione per selezione naturale da animali. Darwin, naturalmente, esclude Dio dalla sua teoria scientifica: lo sviluppo delle specie di animali (compresa la specie umana) è avvenuta - secondo lui - per cause naturali. Quali? Le variazioni individuali (variazioni fortuite, casuali) offrono agli individui condizioni di vantaggio o di svantaggio nella lotta per la sopravvivenza e nella possibilità di avere una maggiore o minore discendenza. Da qui l’"evoluzione” per "selezione naturale”, una selezione che, a differenza della selezione artificiale operata dagli allevatori, avviene in tempi lunghissimi. Cosa ne dici? Mi rifiuto di pensare che alla base di quell'essere eccezionale che è l'uomo ci sia il "caso". Lo stesso anticlericale Voltaire era convinto che l'ordine che c'è nella macchina-universo non può essere spiegato senza l'intervento di un Progettista. Se abbiamo presente la complessità del cervello umano, non possiamo non attribuirla ad un disegno divino! 2 Nasce a Shrewsbury nel 1809. Il nonno Erasmus Darwin, medico, era famoso per aver formulato una teoria dell'evoluzione. Il padre, anch'egli medico, indirizza Charles verso studi di medicina. Charles si iscrive all'università di Edimburgo, ma gli studi di medicina non lo appassionano. Egli mostra più interesse per le scienze naturali. Il padre lo invia a Cambridge con la speranza che il figlio, una volta rifiutati gli studi di medicina, si dedicasse alla carriera ecclesiastica. Ma anche a Cambridge Charles delude il padre continuando a coltivare i suoi interessi. Nel '31 riceve una proposta che segnerà il destino della sua vita: l'imbarco, in qualità di naturalista, sulla nave "Beagle". Il compito della spedizione: effettuare rilevamenti di carattere nautico in particolare lungo le coste dell'America latina. Darwin, tra l'altro, scopre che nelle isole Galapagos - all'altezza dell'Ecuador - l'ambiente è pressoché identico, ma la fauna (vedi soprattutto le tartarughe) e la flora presentavano differenze significative da isola a isola: si tratta di una situazione che non può essere inquadrata dalla teoria di Lamarck secondo cui sono le condizioni ambientali a determinare l'evoluzione. Nel '37 formula la sua nuova ipotesi su cui poi lavorerà nei decenni successivi. Si tratta di un'ipotesi che trova confermata dalla lettura del "Saggio sulla popolazione" di Malthus (in natura l'incremento della popolazione supera l'incremento delle disponibilità alimentari: da cui la lotta per sopravvivere) e dall'osservazione delle tecniche degli allevatori che riescono a creare nuove razze pregiati di animali domestici grazie ad incroci (la selezione che in natura avviene in tempi lunghissimi, viene accelerata "artificialmente"). Si sposa nel '39. Nel '42 si trasferisce a Down nel Kent dove rimane per tutta la vita. Si mette a lavorare per scrivere il suo capolavoro "L'origine della specie". Nel 1858 un fatto inaspettato: Edgar Russel Wallace, uno studioso di botanica e suo corrispondente, gli invia uno scritto in cui espone - pressoché negli stessi termini - la teoria su cui egli sta lavorando da un ventennio. Darwin prova un evidente imbarazzo. La situazione viene risolta dalla Società linneana che pubblica contemporaneamente lo scritto di Wallace ed un breve riassunto delle idee di Darwin. "L'origine della specie" viene pubblicata nel 1859. Il titolo completo: Sull'origine delle specie per selezione naturale ovvero la conservazione delle razze favorite nella lotta per l'esistenza". Nel 1871 l'altra sua grande opera: "L'origine dell'uomo e la selezione sessuale". Darwin muore nel 1882. Un punto di vista legittimo. Si tratta, ovviamente, di un punto di vista che esula dall'ottica scientifica: l'ipotesi di Dio, naturalmente, non può essere un'ipotesi "scientifica". Monod, riferendosi alle variazioni fortuite individuali, parla di un'"immensa riserva": sostiene che nella popolazione umana attuale si verificano "ad ogni generazione da cento a mille miliardi di mutazioni circa" (Il caso e la necessità", Oscar Mondadori, pag. 121). E aggiunge: "Tenuto conto dell'entità di quest'enorme lotteria e della rapidità con cui gioca la Natura, non è più l'evoluzione, ma la stabilità delle "forme" nella biosfera, a sembrare difficilmente spiegabile, se non quasi paradossale" (ib. pag. 121). Monod precisa che alla base dell'evoluzione non vi è solo il "caso", ma anche la "necessità":"... una volta inscritto nella struttura del DNA, l'avvenimento singolare, e in quanto tale essenzialmente imprevedibile, verrà automaticamente e fedelmente replicato e tradotto, cioè contemporaneamente moltiplicato e trasposto in milioni o miliardi di esemplari." "Uscito dall'ambito del puro caso - continua Monod - , esso [l’avvenimento singolare] entra in quello della necessità, delle più inesorabili determinazioni. La selezione opera in effetti in scala macroscopica, cioè a livello di organismo”. (ib. pag. 118). Cosa ne dici? Nonostante queste precisazioni - sul numero enorme di variazioni fortuite e sul ruolo della necessità accanto al ruolo del caso - continuo a rifiutare l'idea che la vita e, in particolare, l'uomo, siano prodotti della casualità. Quante probabilità avevano delle particelle inorganiche di organizzarsi in modo tale da costituire la prima cellula vivente? Praticamente nulle! Non si parli, quindi, della lotteria alla base della vita! Lo stesso Monod sostiene che la probabilità a priori che si verificasse la vita era "quasi nulla". Però precisa: "La probabilità a priori che, fra tutti gli avvenimenti possibili nell'universo, se ne verifichi uno particolare è quasi nulla. Eppure l'universo esiste: bisogna dunque che si producano in esso certi eventi strani la cui probabilità (prima dell'evento) era minima. Al momento attuale non abbiamo alcun diritto di affermare, né di negare, che la vita sia apparsa 'una sola volta' sulla Terra e che, di conseguenza, prima che essa comparisse le sue possibilità di esistenza erano pressoché nulle" (ib. pag. 141). La teoria darwiniana secondo cui l'uomo è il prodotto di una lunga selezione naturale (una selezione durata milioni di anni) costituisce uno vero e proprio schiaffo al patrimonio ebraicocristiano. Non è vero? Non credo: la Bibbia - a quanto mi risulta - dice "che" Dio ha fatto l'uomo, ma non "come" l'ha fatto. E' la tesi stessa che è espressa all'interno della Chiesa cattolica. La teoria di Darwin ha provocato un vero e proprio match tra la scienza e la Chiesa proprio perché la Chiesa immemore della lezione di Galileo - leggeva la Bibbia alla lettera. Una lettura, questa, che per lo più i teologi hanno oggi abbandonato. Al di là del "come", la Bibbia sostiene che Dio ha creato l'uomo sulla base di un suo disegno. Nella teoria evoluzionistica, naturalmente, tale disegno non c'è più: noi siamo figli del "caso" e della "necessità" (per usare l'espressione di Monod). Mettiamoci nell'ottica evoluzionistica. Consideriamola, addirittura, per ipotesi, "vera”. Come potrebbe essere spiegata la specificità dell'uomo (intelligenza, coscienza, libertà... ) rispetto all'animale più evoluto? Nell'ottica religiosa si può pensare che Dio abbia seguito l'evoluzione di determinati animali finché - una volta si è costituita la struttura corporea dell'uomo - Dio ha infuso lo spirito. In un'ottica razionale-filosofica, invece, non vedo proprio come si possa spiegare la derivazione dello "spirito" dalla "materia". Hai toccato il cuore del problema: come spiegare la specificità dell'uomo se l'uomo deriva - per evoluzione - dalla scimmia o dallo scimpanzé? Un problema non solubile se si dovesse leggere questa specificità come assoluta eterogeneità con gli animali più evoluti. Per Darwin le differenze dell'uomo rispetto all'animale più evoluto non sono di "qualità", ma di "grado". Vedi l'intelligenza, la capacità cioè di risolvere problemi: per Darwin vi è una differenza più grande tra il potere mentale di un pesce inferiore e quella di una scimmia, che tra una scimmia e l'uomo. Vedi i sentimenti: anche gli animali provano curiosità, meraviglia, gelosia, terrore. Vedi il senso morale: tieni presente l'istinto di solidarietà esistente nel mondo animale. Per Darwin, quindi, le differenze tra l'uomo e gli animali superiori sono solo di "grado", non di qualità": cosa ne dici? Mi pare forzata la lettura di Darwin. La capacità di astrazione, tipica dell'intelligenza umana, come può essere assimilata alla intelligenza concretissima degli animali? Per me vi è una differenza abissale, quella differenza che ha portato l'uomo alla civiltà, a scoprire l'universo, a creare prodotti intellettuali e artistici sublimi. Una differenza che può essere spiegata solo affermando la presenza nell'uomo dello spirito. Legittima la tua reazione. Indubbiamente l'intelligenza umana è di gran lunga superiore a quella di uno scimpanzé. Questo vuol dire, però, che l'intelligenza umana sia spiegabile solo ammettendo nell'uomo lo spirito? Come potrebbe lo "spirito" - qualcosa, tra l'altro, che non potrebbe mai essere oggetto di sperimentazione - essere spiegato all'interno della teoria evoluzionistica? Stiamo affrontando un problema delicatissimo, uno dei problemi più importanti dal punto di vista esistenziale: chi è l'uomo? Concludiamo. La teoria di Darwin non è esente da difficoltà: il sentimento di solidarietà tra gli animali - sentimento da cui è derivato il senso morale che si è sviluppato nell'uomo - è in netto contrasto con la lotta per la sopravvivenza (si tratta, quindi, di un sentimento che frena l'evoluzione stessa). Darwin, poi, non essendo a conoscenza delle scoperte di Mendel nel campo dell'ereditarietà, non è in grado di spiegare i caratteri anomali - vedi il classico collo lungo della giraffa - che offrono condizioni di vantaggi in determinati ambienti: al suo tempo domina la teoria secondo cui i figli hanno caratteri intermedi a quelli dei genitori. Da qui il compromesso di Darwin col principio lamarkiano dell'ereditarietà dei caratteri acquisiti dall'ambiente (mediante l'uso e il disuso di organi): per lui gli individui che vincono la lotta per la sopravvivenza hanno acquisito i caratteri vantaggiosi dopo la nascita. Cosa ne dici? Mi pare che tutta la teoria di Darwin crolli: lo sanno tutti che i caratteri acquisiti non sono ereditari! La tua osservazione secondo cui i caratteri acquisiti non sono ereditari è corretta: il fatto che tu hai - ad esempio - un braccio più grosso dell'altro perché giochi a tennis, non avrà alcuna ripercussione sui tuoi figli. Ma con questo non cade la teoria di Darwin. Il problema è di spiegare il nascere delle anomalie genetiche. La scienza da Mendel in poi ha fatto molti progressi, progressi che hanno spianato la strada a quello che oggi si chiama "neodarwinismo". La teoria evoluzionistica di Darwin - nonostante i problemi che non riesce a spiegare - ha un grande successo proprio perché sembra suffragata da numerosi fatti: dalla paleontologia (specie superiori che ad un certo momento appaiono) alla embriologia (vi è chi arriva a dire che l'evoluzione dell'embrione umano non fa che ricapitolare in nove mesi l'evoluzione della vita animale, evoluzione durata milioni di anni) alla anatomia comparata (tra l'animale superiore e l'uomo vi è una struttura anatomica simile). LA TEORIA EVOLUZIONISTICA? E’ VALIDA PER SPIEGARE L’INTERA STORIA DELL’UNIVERSO E DELL’UOMO! Introduzione a Spencer, Ardigò… E in questo clima vi è chi estrapola la teoria evoluzionistica dal suo ambito "biologico" per farne una legge universale. Cosa ne dici? Mi pare un'applicazione legittima. L'universo attuale non è l'evoluzione (più complesso, più articolato) rispetto al concentrato esistente prima del Big Bang? La religione non si è evoluta da forme primitive - come il feticismo - fino alle forme raffinate del monoteismo? Lo stesso linguaggio non è l'evoluzione dei suoni non articolati dell'uomo primitivo? La società attuale non rappresenta una evoluzione (più articolata, con una maggiore definizione di ruoli) rispetto alla tribù primitiva? E' questa sostanzialmente l'ottica dell'inglese Herbert Spencer (un ingegnere prestato alla filosofia): per lui l'evoluzione è cosmica e l'evoluzione è un passaggio dall'indistinto al distinto, dall'omogeneo all'eterogeneo, dall’indefinito al definito. A proposito del sistema solare Spencer parla dell'evoluzione dalla "nebulosa" originaria (questa - lo sai - era la teoria di Kant-Laplace). Che dal Big Bang in poi l'Universo si sia articolato, si sia distinto, è un fatto. Che questo fatto si possa definire "evoluzione" nel senso darwiniano è, probabilmente una forzatura. Spencer, tra l'altro, pur parlando di evoluzione alternata a dissoluzione, ha una concezione ottimistica del processo evolutivo (processo che lui ritene "necessario"). Ed anche questo pare una fuga nella metafisica. Interessante, invece, l'idea di Spencer secondo cui in ogni singolo uomo ci sarebbe un patrimonio (in termini di conoscenze e di sentimenti) che sono a priori per l'individuo stesso, ma a posteriori per la specie: si tratterebbe di un patrimonio accumulato dalle generazioni precedenti e trasmesso in eredità. Cosa ne dici? Mi pare un'altra forzatura: si eredita qualcosa di genetico, non delle conoscenze! La tua osservazione e' pertinente: indubbiamente le conoscenze dei genitori non vengono trasmesse dai genitori. Ma neanche Spencer afferma questo. Per lui quelle che vengono chiamate "forme a priori" sono a priori solo per l'individuo, non per la specie che le ha acquisite nei milioni di anni della sua evoluzione, cioè del suo "adattamento" all'ambiente esterno. Un’ipotesi valida? D. R. Hoffstadter e da D. C. Dennett, in "L'io della mente" (Ed. Adelphi, pag. 372) riportano questo esempio: "Un vitello di un'ora non solo è in grado di vedere e di camminare, ma istintivamente si allontana dagli uomini. Questo comportamento proviene da fonti antiche, cioè da quelle 'protomucche' che possedevano i geni per questo tipo di comportamento e perciò sopravvivevano più numerose. Questo comportamento, insieme con milioni di altri adattamenti ben riusciti, è stato 'compresso' nelle strutture neuroniche codificate nei geni bovini, ed ora e' una caratteristica già pronta in dotazione a ogni vitello che esce dalla catena di montaggio". Sulla stessa lunghezza d'onda di Spencer (anche se con dei distinguo significativi) è il positivista italiano Roberto Ardigò (un prete "spretato"). Egli concepisce l'evoluzione (un'evoluzione che anche lui estende a tutto l'universo) come un passaggio dall'"indistinto" al "distinto". Distinto e indistinto sono concetti "relativi": ogni distinto è indistinto rispetto al distinto successivo. Questo processo (il passaggio dall'indistinto al distinto) non solo è necessario, ma è pure senza fine, per cui il distinto non esaurisce mai l'indistinto il quale rimane oltre il distinto stesso. Si tratta - quello di Ardigò - di un processo che riguarda tutto: dal sistema solare al pensiero umano. Cosa ne dici? Ardigò (ha fatto anche il prete!) non si rende conto che il pensiero umano non è assimilabile alla materia per cui la sua concezione dell'evoluzione può valere solo per la materia, non per il pensiero che è spirito: come può lo spirito derivare dalla materia? Una reazione legittima. Altri - già nell'Ottocento - hanno reagito come te. Prova a vagliare, comunque, una possibile obiezione: il pensiero, nella misura in cui è legato all'evoluzione del cervello, non può essere visto come il prodotto più elevato dell'evoluzione dell'universo? Il positivismo evoluzionistico (così si chiama per distinguerlo da quello "sociale" di Comte) ha una concezione meccanica del mondo (tutti i fenomeni sono spiegati con materia, forza e leggi). Questo non significa che il positivismo evoluzionistico sia tout court "materialistico": il fatto che le forme superiori (dalla vita biologica a quella psichica a quella sociale) dipendono dalle leggi delle forme inferiori non implica che le forme superiori si riducano a quelle inferiori. In particolare la dipendenza di cui prima non implica che la coscienza si riduca al cervello. Lo stesso Spencer, riferendosi alla coscienza, parla di sostanza spirituale, anche se confessa che tale sostanza è inconoscibile (come del resto sono inconoscibili la materia e la forza). Questa distinzione non viene, comunque, fatta da tutti. Haeckel, il teorico del principio secondo cui "l'ontogenesi ripete la filogenesi" (cioè lo sviluppo dell'embrione umano non è che una rapida ricapitolazione dell'evoluzione della stirpe a cui appartiene l'uomo), ad esempio, approda al "materialismo" identificando lo spirito con la materia: lo spirito non è che l'espressione più elevata della evoluzione della materia (dell'organizzazione degli atomi). Così l'italiano Cesare Lombroso, celebre per la sua antropologia criminale: per lui il criminale è tale perché determinato dalla sua costituzione organica (il criminale, addirittura, ha degli aspetti somatici che sono tipici del criminale). Vi è, poi, chi dà una interpretazione "spiritualistica" dell'evoluzione. Vedi Wundt, il fondatore del primo "Istituto di spicologia sperimentale” che riprende il parallelismo psicofisico di spinoziana memoria: i fenomeni psichici non dipendono da quelli fisici, anche se vi è una corrispondenza con questi ultimi.