LA CRESCITA DEMOGRAFICA
Nell'VIII secolo a.C, alla fine del cosiddetto "Medioevo" ellenico, la Grecia appare come un territorio
disseminato di tante città che, pur parlando la stessa lingua e condividendo la stessa cultura, hanno costumi,
leggi e istituzioni politiche diversi. Questo mondo di piccole patrie, ciascuna gelosa della propria libertà e
indipendenza, è il mondo della polis. Quali furono le ragioni che ne determinarono la nascita? La risposta più
persuasiva viene dalle ricerche archeologiche. Lo scavo sistematico nei luoghi destinati alle sepolture ad
Atene e nel territorio dell'Attica ha rivelato che la popolazione di questa zona, rimasta stabile per secoli,
nell'VIII secolo crebbe improvvisamente in misura considerevole. Fu dunque la crescita demografica a rendere
necessaria la creazione di una struttura più ordinata e complessa della vita sociale della Grecia, e non solo
nell'Attica. L'aumento del numero delle sepolture è infatti riscontrabile anche in altre zone come ad Argo e a
Corinto. Sparta, in quello stesso periodo si estese inoltre verso la Laconia meridionale e la Messenia, sulla
spinta di un incremento demografico simile a quello già evidenziato per altre città.
Infine, un segno chiarissimo di questo fenomeno si riscontra nel movimento di colonizzazione iniziato intorno
al 750 a.C. In questa fase città come Corinto, Megara, Calcide, Eretria e Mileto inviarono gruppi di cittadini
in zone lontane della Sicilia, della Francia meridionale, del mar Nero e della Cirenaica: evidentemente le
terre di cui disponevano non erano più sufficienti a sfamare la popolazione o a consentirle un decoroso livello
di vita.
L’ESPANSIONE COLONIALE
LA "SECONDA COLONIZZAZIONE"
A partire dall'800 a.C. circa, il mondo greco era dunque in una fase di rapida e tumultuosa espansione; le
varie poleis divennero luogo di scontri tra gruppi aristocratici rivali che si contendevano il potere, mentre si
acuivano i contrasti tra le classi sociali, innescati soprattutto dalle disuguaglianze causate dallo sviluppo
della proprietà privata, che aveva quasi ovunque sostituito il possesso collettivo dei terreni. Accadeva spesso
che un agricoltore libero, in seguito a un'annata infelice, fosse costretto a indebitarsi, dando come garanzia del
suo debito la terra; se poi non era in grado di saldare il debito doveva cedere la proprietà, continuando a
lavorare come schiavo. Anche quando, come ad Atene con Solone, la popolazione riusciva a ottenere la cancellazione dei debiti (seisàchtheia, «scuotimento dei pesi») e la ridistribuzione delle terre, la maggior parte
di essa era condannata a un inevitabile sottosviluppo economico, a causa della povertà del suolo e della
sovrappopolazione. Questa situazione diede impulso a un fenomeno imponente di emigrazione: molte città
avviarono, tra il VIII e VI secolo, un processo di colonizzazione, che portò alla fondazione di decine di
nuove poleis in tutto il Mediterraneo, dalle coste della Francia meridionale (Marsiglia) a quelle dell'Africa
(Cirene). Vennero fondate colonie anche sulle coste del mar Nero. Gli insediamenti più importanti sorsero
però in Sicilia e Italia meridionale, una vasta area che per la sua assimilazione alla civiltà greca prese il
nome di "Magna Grecia".
Questa nuova fase di espansione coloniale è stata chiamata dagli storici "seconda colonizzazione" per
distinguerla dalla colonizzazione avvenuta in epoca micenea. Dopo aver occupato inizialmente una sottile
striscia costiera, i coloni dovevano difendersi dalle popolazioni locali e tentare di espandersi verso l'interno
e, anche se questo non era facile, essi riuscirono a mettere radici quasi ovunque. Ma non bisogna pensare che
la colonizzazione si fondasse sull'iniziativa di famiglie isolate, spinte dalla loro personale intraprendenza: la
fondazione di colonie non era, infatti, una caotica emigrazione di individui disperati, ma un ordinato
trasferimento di forme politiche e culturali (che i greci chiamavano apoikía, «trasloco di casa»),
accuratamente programmato a livello cittadino, cui partecipavano le categorie più disparate, dai membri di
un partito politico sconfitto in fuga dalla subordinazione ai vincitori, agli esponenti dell'aristocrazia militare
in cerca di facili guadagni, a coloro che non avevano possibilità di sopravvivere decorosamente in patria.
Essa richiedeva un'accurata organizzazione e implicava un notevole dispendio di risorse economiche per
l'allestimento di una flotta, la costruzione dei nuovi insediamenti, la loro difesa militare e infine per il
costante mantenimento dei contatti tra colonia e madrepatria. Talvolta, quando gli aspiranti erano troppo
numerosi, i cittadini destinati a partire venivano designati addirittura mediante un sorteggio pubblico.
IL RAPPORTO TRA COLONIE E MADREPATRIA
La città di partenza, detta metropolis («città madre»), metteva a disposizione le navi e forniva ogni tipo di
supporto economico e militare. Prima della partenza si consultava l'oracolo di Delfi per ottenere un
beneplacito (divino e politico) alla spedizione. Si nominava infine una persona (ecista, ossia il «fondatore» )
cui era affidato il compito di guidare la spedizione e che assumeva pieni poteri civili e militari.
I coloni, portando nelle nuove terre usanze, costumi e rituali, fondavano in terra straniera una specie di
succursale della loro città d'origine. Tra le due entità politiche, quella vecchia e quella nuova, si
conservavano stretti legami, tanto che era possibile mantenere il doppio diritto di cittadinanza.
Tuttavia, nelle città coloniali, più libere e meno sottoposte al peso delle tradizioni e all'autorità delle famiglie
dominanti, si determinarono equilibri sociali e politici assai diversi da quelli esistenti nella madrepatria. La
distribuzione delle terre in porzioni uguali (fatta al momento della fondazione della colonia) e la possibilità
di espandersi ulteriormente verso i territori più interni determinavano una società tendenzialmente più
egualitaria. I privilegi di ricchezza e prestigio, che di fatto nella madrepatria affidavano il potere ai
proprietari terrieri, avevano evidentemente minor peso nelle terre d'oltremare. Sotto molti aspetti, dunque in
questo periodo il mondo coloniale appare all'avanguardia, come dimostra il fatto che in esso maturò la
necessità di dare vita a un corpo di leggi scritte e che qui si svilupparono le prime manifestazioni di libero
pensiero, in contrapposizione con le tradizioni mitiche da sempre intoccabili. Non fu un caso se i primi
filosofi esercitarono la propria attività proprio nelle colonie d'Oriente e d'Occidente, soprattutto in Magna
Grecia (come Parmenide a Elea in Campania, Pitagora a Crotone in Calabria, Empedocle ad Agrigento in
Sicilia), ma anche in Asia Minore (Talete a Mileto in Turchia).
LA COLONIZZAZIONE NELL'ITALIA MERIDIONALE E IN SICILIA
L'Italia meridionale e la Sicilia, geograficamente più vicine alla Grecia, furono l'obiettivo principale della
colonizzazione verso Occidente. La più antica colonia fu Ischia (in greco Pithecusa, «terra delle scimmie»),
fondata attorno al 770 a.C. In questa località è stato trovato un vaso che porta la più antica testimonianza
della scrittura alfabetica greca, la "coppa di Nestore", segno di una notevole vivacità culturale della regione.
Poi fu fondata Cuma, sulla costa campana e, sempre nella stessa zona, sorsero Napoli, Paestum ed Elea (che
sarebbe diventata la sede di un'importante scuola filosofica). Il cammino dei greci verso il nord fu però bloccato
dai popoli del Lazio e dagli etruschi. Sulle coste della Puglia venne fondata Taranto (l'unica colonia spartana).
In Basilicata e Calabria sorsero Sibari, Crotone, Locri e Reggio. Ma il teatro della nuova espansione coloniale
greca fu soprattutto la Sicilia, la terra in cui i poemi omerici avevano localizzato alcune delle avventure di
Odisseo. In essa i greci dovettero aprirsi la via lottando non solo contro le popolazioni locali (siculi e sicani),
ma soprattutto contro i fenici di Cartagine, che avevano occupato la parte occidentale dell'isola, dove
avevano fondato Palermo e Trapani.
La principale città greca della Sicilia fu Siracusa, fondata nel 733 a.C. da coloni di Corinto, che, dopo aver
scacciato i siculi, conquistarono tutta la fertile pianura ai piedi dell'Etna; questa divenne un importante
granaio, capace di assicurare il benessere di una popolazione numerosa e produrre una sovrabbondanza di
raccolto agricolo che alimentava l'esportazione verso la madrepatria. Verso oriente venne fondata Akragas
(poi Agrigento), per qualche periodo considerata in assoluto la città più ricca di tutta la Grecia. La necessità
di un forte potere politico e militare per fronteggiare i pericoli esterni fece si che ad Akragas si formasse la
più antica tirannide, quella di Falaride.
Più a occidente, Selinunte formava l'avamposto greco contro le città cartaginesi. Messina, Catania,
Taormina, Gela, Imera, Megara Iblea e molti altri notevoli centri abitati completarono una colonizzazione
destinata a incidere profondamente sulla storia di questa regione e che, nel suo complesso, cambiò
completamente il volto del Mediterraneo.
LO SVILUPPO DEI COMMERCI
La colonizzazione produsse un periodo di grande espansione economica, determinata da un intenso sviluppo
degli scambi di merci tra madrepatria, colonie e popolazioni confinanti. Cosi, in questo periodo, andò
formandosi una classe economica che potremmo definire "media": artigiani, che producevano manufatti di
uso comune e di lusso, marinai e armatori, mercanti all'ingrosso (emporoi, «compratori») e al minuto.
Questo vivace mondo commerciale e il benessere che ne derivò contribuirono ad accentuare gli squilibri
economici all'interno delle poleis. I proprietari terrieri, appartenenti all'orgogliosa aristocrazia terriera e
militare, vedevano la loro supremazia minacciata da questi "arricchiti", fondamentalmente estranei al sistema
di valori tradizionali. «Molta gente da nulla si è arricchita, e i nobili sono in miseria -scriveva il poeta
Teognide di Megara - la città è la stessa, ma la gente è cambiata: quelli che prima non conoscevano né diritto
né leggi e si vestivano con pelli di capra sono ora potenti, e s'ingannano l'uno con l'altro e non hanno nessuna
idea del bene e del male».
I TIRANNI
I CONTRASTI POLITICI E L'AVVENTO DELLA TIRANNIDE
Tra il VII e il VI secolo a.C, in molte città greche si affermarono ordinamenti politici di natura timocratica,
in cui i cittadini avevano diritti politici differenziati, a seconda della loro ricchezza e dei beni posseduti,
soprattutto fondiari: questo produsse un periodo di instabilità politica perché, da un lato, le antiche
consorterie aristocratiche (la nobiltà di sangue) non volevano rassegnarsi a dividere il potere, dall'altro, i
commercianti e gli artigiani, che non avendo terre erano emarginati da questo sistema, aspiravano a contare di
più nella vita politica; dall'altro ancora, la parte pili povera della popolazione si sentiva sempre più esclusa ed
emarginata.
Scoppiarono cosi" violente lotte civili che finirono per portare in molte città alla nascita di una nuova forma
di governo, detta "tirannide".
A differenza del re legittimo (basilèus), che otteneva il potere in base alle regole stabilite all'interno della
singola polis, il tiranno era colui che si impadroniva illegalmente del governo. I tiranni tuttavia, spesso astuti
e spregiudicati politici, avevano in genere conseguito una grande popolarità per le loro imprese militari e si
appoggiavano alle classi sociali tradizionalmente escluse dal potere.
L'ETÀ DEI TIRANNI
Quando si affermò la democrazia come principio di governo, la parola "tiranno" assunse il significato di
individuo feroce e spietato che opprime i suoi concittadini per ambizione personale e sete di potere (questo
significato è giunto fino a noi). In origine, però, la tirannide ebbe in Grecia un valore diverso: essa significava
che il potere, all'interno di una polis, si concentrava nelle mani di una singola persona la quale governava
senza tenere conto delle istituzioni legali. La tirannide per altro, al contrario di quanto si può immaginare, fu
una tappa di sviluppo verso la democrazia; infatti, per la necessità di opporsi al ceto aristocratico, il tiranno
finiva per appoggiarsi agli strati più bassi della popolazione, che vedevano in lui un protettore contro gli abusi
degli aristocratici. Per tutelare il suo potere doveva poi circondarsi di un esercito fedele, in genere costituito
da mercenari (soldati – cioè – che prestavano il loro servizio dietro il pagamento di un compenso) e cercare
l'appoggio della popolazione attraverso un programma economico di sussidi e di lavori pubblici. Cosi,
abbattendo in vari luoghi il predominio della classe aristocratica, i tiranni finirono per essere un elemento
dinamico nello sviluppo del sistema politico greco.
Ciononostante (o forse proprio per questo) l'epoca delle tirannidi fu assai turbolenta. Gli aristocratici,
reagirono infatti, organizzandosi in gruppi di etairoi (i «compagni», riuniti nell'eteria), spesso in conflitto tra
loro e in lotta con i tiranni. È esemplare la storia dell'isola di Lesbo, di cui resta il ricordo nelle opere del
poeta Alceo, il quale attorno al 600 a.C. si scontra con l'ex amico Pittaco, che aveva tradito l'eteria per
diventare tiranno. Va peraltro ricordato che Pittaco era considerato dai contemporanei un uomo equilibrato e
onesto, tanto da essere annoverato tra i "sette sapienti", che rappresentavano il modello di saggezza nella
Grecia arcaica. Tra gli altri principali tiranni vanno ricordati Cipselo a Corinto (VIII secolo a.C.) e Policrate a
Samo. In Sicilia le maggiori città, Agrigento e Siracusa, furono a lungo governate da tiranni. Atene sperimentò
questa forma di governo, ma più tardi delle altre città, vale a dire attorno al 550 a.C, quando divenne tiranno
Pisistrato.