muhammar gheddafi e il socialismo nazionale arabo

MUHAMMAR GHEDDAFI
E IL SOCIALISMO NAZIONALE ARABO
di Dagoberto Husayn Bellucci
"Il nostro socialismo è un socialismo islamico, scaturito dalla tradizione del
nostro popolo, dalla sua religione e dai suoi principi. La giustizia predicata dall'Islam
è una giustizia assoluta, inglobante tutti gli aspetti della vita umana, siano essi
giuridici , sociali, internazionali o semplicemente relativi a rapporti dell'uomo con se
stesso."
( Gheddafi - "Il Libro Verde" )
"Noi siamo contro il capitalismo e il comunismo; di conseguenza basta con la
putrida ideologia del capitalismo, basta con il marxismo ingannatore."
( Gheddafi - "Il Libro Verde" )
Documento in Pdf a cura di www.TerraSantaLibera.org
http://www.terrasantalibera.org/DHB_gheddafi_socialismo_nazionale_arabo.htm
MUHAMMAR GHEDDAFI
E IL SOCIALISMO NAZIONALE ARABO
L'analisi relativa al pensiero ed all'azione politica quarantennale
sviluppata in Libia dal Colonnello Muhammar Gheddafi 'reagisce' a differenti 'impulsi'
concernenti un percorso ideologico ed una prassi politica 'conformi' a premesse
rivoluzionarie in ordine con i principii della Tradizione religiosa e politica musulmana
uniti ad una ambivalente 'attitudine' del Leader Maximo della "Grande Jamāhīriyya
Araba di Libia Popolare e Socialista" ieri sostenitore a spada tratta del Panarabismo
social-nazionalista di ispirazione 'nasseriana' successivamente - a partire dalla
seconda metà degli anni Novanta - avvicinatosi sempre più palesemente
all'Occidente con il quale ha cercato di ricucire 'antichi' rancori e nuove 'frizioni'
riuscendo nell'intento di riportare ad un livello sufficientemente accettabile le
relazioni libiche con l'Italia , vecchia potenza colonialista dello "scatolotto di sabbia"
nord-africano (..."la quarta sponda" di mussoliniana memoria...), e fuoriuscire dalla
'black list' del Dipartimento di Stato statunitense e dall'elenco dei paesi 'canaglia' o
'sponsor' del cosiddetto "terrorismo internazionale" dei quali Washington
annualmente 'aggiorna' o 'certifica' le 'intenzioni' (...il criminale incallito 'uso' ad
accusar le sue vittime e 'rivoltar' contro esse presunte, pretese e mai dimostrabili
azioni 'destabilizzanti' la pace di questa o quella regione del pianeta...Washington
ovvero la quintessenza del terrorismo , gli Stati Uniti come centro planetario di tutti i
complotti e gli intrighi politici internazionali contro la pace, la 'White House' quale
'motore immobile' delle vampate terroristico-incendiarie deflagranti le nazioni del
pianeta e puntate contro la libertà e l'indipendenza dei popoli...).
'Scrivere' della figura istrionica, egocentrico-lunatica e spesso difficilmente
'comprensibile' all'occidentale rovesciata e contorta percezione delle masse 'belanti'
della moderna contemporaneità ci 'interessa' al di là della distanza 'abissale' - 'anni
luce' di siderale vuoto cosmico - che separa la Libia 'islamo-social-nazionalista' del
Colonnello di Tripoli dalla forma scolpita perfetta e insindacabile della Repubblica
Islamica dell'Iran al fianco del quale , 'sottolineatura' d'obbligo e necessario 'ricordo'
storico, Gheddafi comunque si pose durante gli otto lunghi anni della Guerra Imposta
da Saddam Hussein (1980-88) 'adempiendo' ad una consegna rivoluzionaria ed
insieme ad una 'congiuntura' geopolitica internazionale favorevole per l'instaurazione
di relazioni amichevoli.
Tripoli non è nè mai potrà essere Teheran ma rimane un esemplare punto di
riferimento per le masse islamiche dell'Africa sahariana settentrionale che - anche
durante le 'turbolenze' ed agitazioni che interesseranno questa regione negli anni
compresi tra la fine degli Ottanta ed i Novanta , con le rivolte popolari in Tunisia e lo
scatenamento della sanguinosa e criminale guerra civile in Algeria seguente il colpo
di stato dei militari filo-occidentali e la messa al bando del F.I.S. , il Fronte Islamico
di Salvezza , vincitore del primo turno delle elezioni legislative del dicembre 1991 (1)
- riconosceranno nella politica ambivalente ( africana e vicino-orientale ) del
colonnello Gheddafi un vettore anti-imperialista ed un riferimento per future possibili
ondate rivoluzionarie miranti l'abbattimento dei regimi filo-occidentali che dalla
Mauritania all'Egitto si sono sottomessi ai diktat della superpotenza a stelle e strisce
accettando inique posizioni di lacchè dell'America e miserevoli compromessi ed
accordi quali quello che porterà nel settembre 1978 l'allora presidente egiziano
Anwar el Sadat a firmare gli accordi di Camp David con il criminale sionista
Menachem Begin. (2)
In questo contesto , e prendendo spunto dalla recente visita italiana del
Colonnello Gheddafi ( che ha suscitato peraltro le ire della "kehillah" capitolina e
'italica' ovvero la reazione demonizzante massmediatica della tramissione televisiva
"Sorgente di Vita" , appuntamento bisettimanale a cura dell' UCEI - Unione delle
Comunità Ebraiche Italia alias quindicinale propaganda sionista 'mascherata' peraltro
malamente da rubrica "religiosa" ), non possiamo quindi esimerci da una ricognizione
analitica relativa all'avvento , quarant'anni or sono, della "rivoluzione verde" libica
portata avanti sull'esempio di quella nasseriana del '52 da un gruppo di militari
denominato "al Dubbat al-Wahdawiyin al-Ahrar" ("Gli Ufficiali Liberi Uniti").
La "rivoluzione" di Gheddafi prenderà le mosse il primo settembre 1969
sorprendendo tutti: gli abitanti della Libia, i britannici stazionanti nel paese, le due
superpotenze che si spartiscono il pianeta (Stati Uniti ed Unione Sovietica). Alle
prime ore dell'alba , attorno alle 6 del mattino, la Radio Nazionale che a quell'ora
solitamente trasmette la voce del muezzin per invitare i fedeli alla preghiera o i
versetti del Sacro Corano è interrotta da marce militari e dalla voce di uno
sconosciuto ufficiale che lancia il suo proclama alla Nazione e al mondo intero: "Nel
Nome di Dio , il Clemente il Misericordioso. O Grande popolo libico! Per compiere la
tua libera volontà , per realizzare le tue preziose aspirazioni, per rispondere ai tuoi
reiterati appelli al cambiamento e alla purificazione , al lavoro e alla iniziativa , e
nello spirito della rivoluzione e dell'assalto, le tue forze armate hanno distrutto il
regime reazionario, retrogrado e decadente..."
La voce che proclama l'avvenuto colpo di stato è quella di un tenente che il
mondo incomincerà a conoscere soltanto qualche mese più tardi: Muhammar
Gheddafi.
E' lui ad annunciare ai suoi connazionali la fine del regime monarchico e la
caduta di re Idriss, in quel momento assente, che ha governato il paese per diciotto
anni. Ed è lo stesso Gheddafi che si rivolge ai suoi concittadini per invitarli alla
rinascita in uno spirito nazionale che dovrà edificarsi nel solco della tradizione
religiosa musulmana e nella scia dell'ideologia socialista panaraba del suo principale
referente: il Gen. Gamal Abd'al Nasser.
"Tendente le mani, aprite i cuori, dimenticate i rancori. Serrate le file contro il
nemico della nazione araba, il nemico dell'Islam, il nemico dell'Uomo, a colui che ha
bruciato i nostri luoghi sacri e calpestato il nostro onore" prosegue il proclama di
Gheddafi e dei suoi Ufficiali Liberi Uniti. Un proclama bellicoso, in sintonia con l'epoca
e con le premesse storiche dal quale nasce l'ideologia - solo successivamente meglio
elaborata e compiutamente descritta nel volume "Il Libro Verde" sorta di 'breviario'
in salsa islamo-social-nazionalista del leader libico o , se vogliamo andare indietro
con la memoria, 'plausibile' seppur inarrivabile rispetto all'originale "Mein Kampf"
hitleriano 'redatto' dal Capo della Jamàhìrijja libica - che ispirerà , almeno fino alla
metà degli anni Novanta l'azione del Colonnello.
Come realisticamente ha sottolineato qualche osservatore le aspirazioni
'trascendenti' la realtà fattuale del leader libico 'cozzeranno' spaventosamente e
rovinosamente con le possibilità , in termini di risorse umane, tecnologiche e militari
con i disegni di grande espansionismo nord-africano e le pretese di influenzare la
scena nord-africana e quella del Vicino Oriente di Gheddafi. Grandi idee, altrettanto
ragionevolmente grandi progetti politico-rivoluzionari ma 'racchiusi' nelle immense
sabbie desertiche libiche e 'inevitabilmente' risultati disattesi per 'carenze' di
base...'capita' anche ai più Grandi di immaginare o pensare al di là delle loro
possibilità...Se Gheddafi fosse stato al potere al Cairo con una massa di sessanta
milioni di individui , gerarchicamente inquadrati e magneticamente 'fascinati' dalle
parole d'ordine nazionali e socialiste , islamiche e rivoluzionarie, avrebbe senz'altro
scatenato una legittima guerra di riconquista dei Luoghi Santi di Al Qods e della
Palestina 'ordinando' in una metallica forma spartana ed in un Grande Imperium
nord-africano le genti del Maghreb...tant'è si dovrà 'contentare' del ruolo di attore
subalterno rispetto ad altre potenze regionali nello scacchiere geopolitico, strategico
e militare del Vicino Oriente 'ripiegando' infine su una politica africana che non
troverà efficace 'sviluppo storico'.
La mattina del 1 luglio 1969 le principali capitali mondiali accolsero con
stupore e con notevole preoccupazione le voci provenienti da Tripoli ed il colpo di
stato militare che aveva abbattuto in una notte la monarchia filo-occidentale di re
Idriss asservita mani e piedi agli interessi delle multinazionali petrolifere e
politicamente dipendente dal sostegno di britannici e americani. A Washington,
Mosca e al Cairo i governi furono presi alla sprovvista: ci si attendevano sviluppi
decisivi nella zona, anche un colpo di stato ma di diversa 'estrazione' politica. La
domanda che in quelle prime ore circolerà tra le principali cancellerie mondiali sarà
soprattutto una: chi è Gheddafi? E soprattuto cosa vuole il nuovo padrone della
Libia?
La risposta non tarderà ad arrivare. La fornirà lo stesso Colonnello
propugnano l'unità della Nazione Araba, chiamando attorno a sè i popoli del mondo
arabo-musulmano, cercando - nel corso degli anni - improbabili , impossibili, unioni
con Egitto, Tunisia, Siria.
"A Tripoli, metropoli libica e antichissima capitale, molti dei circa diecimila
residenti stranieri, tra i quali gli americani della enorme base aerea militare di
Wheelus Field, si svegliano e fanno colazione vagamente consci di quanto è accaduto
nella notte. I cospiratori, guidati dal tenente Abdel Salem Jallud, il più fedele aiutante
di campo di Gheddafi, hanno adottato la stessa tattica di quel maestro dello 'Inquilab'
(colpo di stato militare) , Abdel Karim Kassem, quando rovesciò la monarchia
irachena filo-occidentale della famiglia hashemita a Baghdad nel luglio 1958. Il
giorno precedente il previsto colpo di stato, soldati di tre battaglioni corazzati
ricevono il permesso di effettuare esercitazioni notturne. Invece di fare le manovre,
giovani ufficiali e truppa guidano i loro mezzi fino a Tripoli. Molto prima dell'alba
sorprendono e disarmano la polizia tripolitana e le Forze di difesa della Tripolitania
(TRIDEF) in cui sono presenti militari inglesi. Poi si dirigono alle sedi della radio e
della televisione, edifici poco appariscenti sulla vecchia strada panoramica costruita
dagli italiani, che guarda sul porto. Assicuratisi per radio che gli uomini di Gheddafi
abbiano arrestato il comandante delle CYDEF in Ciranaica e preso la sua base
principale a Gurnada, e che altri manipoli abbiano preso possesso della postazione,
della sede dei telegrafi e della radio a Bengasi, stabiliscono un contatto radio
permanente con la Cirenaica. Verso le 6 e 30 Radio Tripoli si collega con Bengasi per
diffondere il trionfante discorso di Gheddafi. A Wheelus Field, che si estende dalla
costa al deserto a est di Tripoli, il colonnello John Groom , comandante della base,
riceve la notizia da un attendente il quale gli dice a colazione che la BBC parla di una
"specie di rivoluzione" in Libia. In pochi minuti tutto il personale americano è
consegnato nella base e Groom telefona all'ambasciata degli Stati Uniti. Su richiesta
della nuova giunta i voli di addestramento sono sospesi. Un giovane addetto
diplomatico riferisce succintamente a Groom gli eventi della notte con voce
tremante. Intanto quelli del servizio informazioni lavorano a pieno ritmo per tradurre
al colonnello il proclama radiofonico dello sconosciuto. Esso termina con parole che
suonano come una chiamata alle armi, secondo gli ufficiali dei servizi informazioni:
"Così noi cotruiremo la gloria, riporteremo in auge le nostre tradizioni, e
vendicheremo l'onore ferito e il diritto usurpato. O voi che avete visto la guerra santa
di Omar el Mukhtar per la Libia, l'arabismo e l'Islam...". " (3)
Omar el Mukhtar un nome che ritorna dal passato. Da un passato recente ,
contraddistinto dall'occupazione coloniale italiana e dalla normalizzazione manu
militari imposta alle tribù senusse della Libia dal Duce che , sul finire degli anni Venti,
invierà tra le dune del deserto sahariano il Gen. Rodolfo Graziani ed un contingente
militare a domare la rivolta diretta da questo eroe , capo religioso e militare di un
intero popolo.
Lo stesso Graziani avrà nei confronti di el Mukhtar un duplice sentimento di
odio/amore , rispettandolo come avversario al quale darà la caccia per mesi e
contemporaneamente sanzionandone le azioni 'ribellistiche' con una repressione
militare brutale che arriverà a creare inumani campi di concentramento nel deserto
ai confini con l'Egitto.
Scrive Angelo Del Boca : "Quando Omar al Mukhtar assume nel 1923, per
delega di Mohamed Idris, capo della Senussia, la guida della resistenza anti-italiana
in Cirenaica, ha già 63 anni e alle spalle una intera esistenza spesa ad insegnare il
Corano nella moschea di Zawihat al Gsur, un villaggio agricolo tra Barce e Maraua. Il
generale Graziani, che finirà per batterlo, ricorrendo ad ogni mezzo, così lo descrive:
«Di statura media, piuttosto tarchiato, con capelli, barba e baffi bianchi, Omar al
Mukhtar era dotato di intelligenza pronta e vivace; era colto in materia religiosa,
palesava carattere energico ed irruente, disinteressato ed intransigente; infine, era
rimasto molto religioso e povero, sebbene fosse stato uno dei personaggi più
rilevanti della Senussia». Per essere stato delineato dall’avversario che lo porterà al
patibolo, il ritratto è sorprendentemente fedele e positivo, concorda con il ritratto che
altri hanno tracciato di lui. Ma c’è una dote di Omar che Graziani sottace ed è il suo
genio militare, che forse eguaglia o supera quello del guerrigliero somalo Mohammed
ben Abdalla Hassan, più noto come il Mad Mullah. Omar al Mukhtar, infatti, non è
soltanto uno splendido esempio di fede religiosa, di vita semplice ed integerrima. È
anche il costruttore di quella perfetta organizzazione politico-militare che gli italiani
riusciranno a frantumare soltanto alla fine di un decennio di lotte e utilizzando mezzi
assolutamente straordinari. Con appena 2-3 mila uomini, ma in certi periodi anche
soltanto con mille, Omar riesce a tener testa a 20 mila uomini, dotati dei mezzi più
moderni ed efficienti, riforniti con larghezza e protetti dall’aviazione. Quasi sempre
all’offensiva - lo testimoniano i 53 combattimenti e i 210 scontri che si succedono nel
decennio - Omar colpisce, poi si ritira e svanisce nel nulla, creando nell’avversario,
che ricerca invano una battaglia risolutiva, rabbia e un senso di frustrazione. Nella
conduzione della spietata guerra per bande, Omar è favorito dalla natura impervia
dei territori in cui opera e dal sostegno incondizionato delle popolazioni del Gebel
Akhdar che lo riforniscono di uomini, armi, cibo e denaro. Si aggiunga che ad Omar
giungono regolarmente e in abbondanza aiuti di ogni genere dal vicino e compiacente
Egitto, dove hanno trovato rifugio e protezione l’emiro Mohamed Idris ed altri capi
della resistenza all’Italia. Quando, all’inizio del 1930, il regime fascista affida al
generale Graziani, che già ha sottomesso la Tripolitania e il Fezzan, il compito di
liquidare la resistenza in Cirenaica, il generale sa perfettamente che non riuscirà a
sconfiggere Omar al Mukhtar adottando soltanto gli strumenti militari reperibili in
colonia. Per vincere Omar è necessario fargli il vuoto intorno, prosciugare le sue
casse, tagliare le sue linee di rifornimento con l’Egitto. D’intesa con il governatore
generale della Libia, maresciallo Badoglio, e con il ministro delle colonie, Emilio De
Bono, il generale Graziani organizza una serie di operazioni tese al soffocamento
della ribellione. Con la chiusura delle 49 zavie della confraternita religiosa senussita
e la confisca dei suoi ingenti beni (centinaia di case e 70 mila ettari della miglior
terra), Graziani toglie a Omar uno dei sostegni economici più rilevanti. Con la mossa
successiva, quella di trasferire parte delle popolazioni del Gebel Akhdar verso la
costa, Graziani confida di poter bloccare il continuo reclutamento di guerriglieri.
Presto si accorge che quest’ultima operazione non fornisce i risultati sperati. Allora
ricorre ad un estremo rimedio: quello di trasferire l’intera popolazione delle regioni
montane e della Marmarica lontano dalla zona delle operazioni, per togliere alla
ribellione ogni residuo sostegno. Il trasferimento, che si compie con indicibili
sofferenze fra il luglio e il dicembre del 1930, riguarda oltre 100 mila libici, che
vengono confinati in tredici campi di concentramento nel sud bengasino e nella
Sirtica, regioni notoriamente fra le meno ospitali, dove i reclusi saranno falcidiati dal
tifo petecchiale, dalla dissenteria bacillare, dalla fame e dalla quotidiana razione di
botte. A guerra finita, su 100 mila confinati, 40 mila non torneranno più alle loro
case. Per tagliare infine i rifornimenti dall’Egitto, Graziani fa costruire una barriera di
filo spinato, larga alcuni metri e lunga 270 chilometri, dal porto di Bardia all’oasi di
Giarabub. Nell’estate del 1931, mentre viene sigillata ermeticamente la frontiera con
l’Egitto, Graziani è ormai convinto che Omar finirà per cadere nella trappola. E in
effetti il capo della guerriglia si trova a mal partito. Gli sono rimasti soltanto 700
uomini, poche munizioni e pochissimi viveri. Con i suoi audaci cavalieri riesce a
mettere a segno ancora qualche colpo, ma l’11 settembre, avvistato dall’aviazione,
viene circondato da forze soverchianti nella piana di Got-Illfù. Omar cerca ancora di
portare in salvo il suo squadrone ordinandone il frazionamento. E infatti gran parte
dei suoi uomini si salva. Ma lui viene colpito da una fucilata al braccio e subito gli
uccidono il cavallo. Per Omar al Mukhtar è finita. Tradotto a Bengasi con il
cacciatorpediniere “Orsini”, il 15 settembre lo processano nel salone del Palazzo
Littorio. Il processo è soltanto una tragica farsa destinata a rendere legale un
assassinio. Mussolini ha già deciso per la pena capitale. Alla lettura della sentenza,
che lo condanna all’impiccagione, Omar al Mukhtar non si scompone, dice: «Da Dio
siamo venuti e a Dio dobbiamo tornare». L’indomani, carico di catene, il settantenne
Omar sale sul patibolo." (4)
Straordinariamente l'Italietta democratica ed antifascista , nata dalla
'resistenza', che per anni si è sforzata in tutte le 'salse' ed in ogni occasione di
denigrare, schernire, ironizzare o demonizzare a seconda delle opportunità e
necessità del sistema eretto dai vincitori 'partizan' e soprattutto dai loro padroni , gli
Stati Uniti d'America, si è dimenticata completamente di ricordare la figura di
quest'eroe nazionale libico che combattè validamente e furiosamente i soldati di
Mussolini.
Una 'dimenticanza' tanto più "sospetta" se si considera che esiste anche un
bellissimo ed avvincente film - intitolato "Il Leone del deserto" (5), magistralmente
interpretato da Anthony Quinn fenomenale nella parte di al Mukhtar - finanziato dal
leader libico Gheddafi nel 1979 con oltre 50 miliardi di vecchie lire e diffuso e
proiettato in tutto il mondo tranne in Italia in quanto , alla faccia delle 'sbandierate'
"libertà di stampa, opinione ecc ecc" , considerato "lesivo dell'onore dell'esercito
italiano".
Noi , che visionammo un quindicennio or sono la videocassetta e del quale ne
conserviamo copia , riteniamo insidacabilmente un ottimo film quello realizzato in
onore dell'eroe nazionale della Libia che, fin dagli anni Cinquanta, una volta ottenuta
l'indipendenza lo celebrerà dedicandogli ed erigendo monumenti in suo onore ed
intestandogli strade e piazze in ogni città e villaggio del paese. Re Idriss prima e
Gheddafi successivamente renderanno omaggio alla resistenza eroica e gloriosa di
questo combattente dell'Islam e sarà lo stesso Colonnello a creare un mausoleo per
Omar el Mukhtar a Bengasi.
La Libia di Gheddafi ricorderà immediatamente la figura di el Mukhtar fin
dall'avvento della Rivoluzione che , a partire dal 1.o settembre 1969, porterà l'ex
colonia italiana ad inserirsi di prepotenza nel "great game" geopolitico, strategico e
militare degli avvenimenti storici mediterranei, africani e vicino-orientali.
Un'epoca nuova nasceva la mattina di quel lontano settembre 69 celebrata
annualmente dal regime libico come l'alba della resurrezione per un intero popolo
'ordinato' militarmente e ideologicamente da una weelthanshauung = visione del
mondo direttamente ispirata dalla religione dei padri, l'Islam, che - come sottolineerà
sovente in molti discorsi e conferenze il leader maximo alle masse libiche, "nelle
nostre menti deve essere sempre presente la verità secondo la quale (...) è la
religione che procurò ai nostri antenati la gloria dei loro tempi. Ancora al giorno
presente le stelle vengono chiamate coi nomi arabi che gli astrologhi arabi
medioevali diedero ad esse. Ciononostante , alcuni ridono di questo fatto e
disprezzano tutto quanto è arabo e musulmano" (6).
Scrive Claudio Mutti: "Tutta l'azione di Gheddafi ha il carattere di un gihàd, di
una lotta intesa a "far rivivere il nostro retaggio" , a riproporre cioè i valori della
tradizione islamica. E' gihàd la rivoluzione culturale, dove alla lotta contro "le
ideologie importate, le idee capitalistiche ed ebraico-comuniste" (*) , corrisponde la
"rivoluzione all'interno di noi stessi, affinchè possiamo incamminarci sulla giusta Via"
(**); così come in un hadith del Profeta , alla piccola guerra santa, combattuta
contro il mondo esterno, corrisponde la grande guerra santa, che è la lotta dell'uomo
contro i nemici che egli porta in se stesso. E non è un caso che di "rivoluzione
culturale" Gheddafi abbia parlato , per la prima volta, nel discorso pronunciato in
qualità d'Imam alla moschea di Tripoli il 19 dicembre 1971. Pronunciando tale
discorso , Gheddafi ha ravvivato una tradizione - dimenticata da diversi secoli secondo cui il Califfo, capo contemporaneamente spirituale e temporale, guidava la
preghiera dei fedeli e pronunciava un discorso alla moschea. E' gihàd l'opera che la
Libia rivoluzionaria svolge allo scopo di consolidare l'unità della Nazione Islamica,
una vera e propria "razza dello spirito" - umma - i cui termini trascendono i confini
del mondo arabo. E' gihàd la lotta per l'unità araba, che ha cozzato finora contro le
resistenze piccolo-nazionalistiche dei paesi limitrofi, coi quali Gheddafi aveva
proposto l'unificazione politica. E' gihàd la lotta per l'instaurazione del socialismo
islamico, un socialismo "scaturito dalla tradizione del nostro popolo, dalla sua
religione e dai suoi principi" (***). E' gihàd la restaurazione della shariyah, la legge
religiosa elaborata in passata dagli ulamà ez-zàhir. E' gihàd infine la lotta contro
l'imperialismo sionista e russoamericano e il relativo appoggio ai popoli e ai
movimenti che si battono contro questa oppressione." (7)
Gli anni Settanta ed Ottanta vedranno dunque il Colonnello Gheddafi
impegnato su più fronti nel sostenere le l'unità del mondo arabo, le resistenze
nazionali in Palestina ed in Libano con larghe intese al fianco di Yasser Arafat e
dell'OLP prima e in direzione dei movimenti islamici successivamente. In particolare
Gheddafi tenterà di promuovere l'idea nasseriana di un socialismo nazionale arabo
destinato , nelle intenzioni del suo ideatore, a 'fascinare' in una comunità di popoli i
diversi nazionalismi eredità dell'epoca colonialista in una Grande Nazione Araba che ,
il leader libico, sogna di vedere forte, armata e indipendente tanto dall'imperialismo
statunitense quanto da quello di matrice marxista e di proiezione sovietica. L'Urss
fornirà relativi aiuti alla Libia di Gheddafi soprattutto per i suoi interessi
espansionistici nel Mediterraneo miranti a contrastare le strategie di Washington in
questa regione geopolitica considerata vitale dal Cremlino durante gli anni della
Guerra Fredda.
"Un idea soprattutto ossessiona Gheddafi: l'unificazione di tutti i popoli di
lingua araba. Soltanto nella totale unità araba, egli dice, può esservi una vera forza ,
e la fede islamica è necessaria a creare tale unità. Quasi tutto ciò che Gheddafi ha
detto , scritto o fatto sin dai giorni della scuola a Sebha si spiega in rapporto a
questo sogno. Per conseguirlo lo stato di Israele, che Gheddafi considera come
l'ultimo e più odioso trapianto coloniale dell'Occidente nel corpo politico arabo,
dev'essere eliminato e i quattro milioni di palestinesi devono tornare nella loro patria
d'origine, nella storica Palestina. Qualsiasi contributo a quelle cause è onesto e
giusto. Qualsiasi opposizione a esse dev'essere sventata con l'astuzia o sradicata.
L'assassinio al Cairo del presidente Sadat il 6 ottobre 1981, quando Stati Uniti e
Israele contavano ancora su Sadat per rendere efficace il processo di pace di Camp
David, fu perciò visto da Gheddafi come una sua grande vittoria personale, sebbene
egli non avesse preso direttamente parte all'azione. Durante le primissime settimane
di consolidamento al potere, Gheddafi aveva già cominciato a progettare ciò che
riteneva avrebbe portato a una futura unità araba. Il progetto doveva essere
elaborato insieme con il suo idolo e mentore, Nasser. Eventualmente vi sarebbe stato
incluso anche il presidente del Sudan, Jaafar al-Nimeiri, altro giovane ufficiale che
aveva conquistato il potere dell'enorme paese appena tre mesi prima di Gheddafi. I
tre leader professavano di credere agli stessi principi di "socialismo islamico" come
trampolino per il raggiungimento dell'unità araba. Il 27 dicembre 1969 , in una
Tripoli che aveva appena assimilato la realtà della propria rivoluzione, fu facile ai tre
firmare il patto di unità. Ai numerosi mezzi d'informazione del mondo arabo e agli
scettici osservatori in Israele e in Occidente essi dichiararono che lo scopo del patto
era "una stretta alleanza rivoluzionaria il cui obiettivo è sventare gli intrighi
imperialisti e sionisti". Al crepuscolo della presidenza di Nasser nel 1970 , quando il
movimento di guerriglia palestinese si rafforzò e sfidò re Hussein per avere la
supremazia in Giordania, sembravano non esserci divergenze tra Egitto, Libia e
Sudan. (...) Successivamente , a una riunione con Nasser e Haykal, Gheddafi spiegò
che aveva deciso d'inviare aiuti all'IRA per combattere il colonialismo britannico. (...)
Durante una discussione sulle superpotenze l'argomento cadde su Henry Kissinger,
consigliere per la sicurezza nazionale USA, e su Alexei Kossighin, il premier sovietico.
Gheddafi affermò che non trovava differenza tra i due: entrambi sono nemici. "Ma
Muammar, non possiamo mettere Unione Sovietica e Stati Uniti sullo stesso piano"
ribattè Nasser. "L'Unione Sovietica può essere , come dici, uno stato ateo, ma è con
noi. E gli Stati Uniti, benchè cristiani, sono contro di noi.". Quando Haykal tentò di
convincere Gheddafi che il marxismo era una parte vitale del pensiero politico
contemporaneo, questi rifiutò di accettarlo. Solo l'Islam, disse, era valido come
teologia sociale completa, un sistema per tutte le stagioni." (8)
Spregiudicato, spesso arrogante al limite della irresponsabilità ed
inconsapevolezza e talvolta pure del ridicolo, il Colonnello Muhammar Gheddafi ha
rappresentanto per almeno un quarto di secolo l'ultimo baluardo del panarabismo in
un mondo in fase di profonda trasformazione che, dalla guerra fredda tra le
superpotenze all'interno della quale poteva ancora inserirsi giocando sull'azzardo
politico, finanziando organizzazioni rivoluzionarie islamiche e socialiste arabe,
arrivando a sostenere l'IRA nord-irlandese contro l'odiata perfida Albione. Un politico
di 'razza' che, senza remore e con calcolata ma efficace 'azione' di disturbo e
interposizione alle logiche imperialistiche statunitensi e sioniste, riuscirà a
'traghettare' nel mare in tempesta della fine della Guerra Fredda - con l'avvio di
politiche espansionistiche e delle guerre asimmetriche 'esportate' in nome della
'democrazia' e del libero mercato dall'amministrazione statunitense dal Sudan
all'Iraq, dall'Afghanistan alla Somalia, dalla Serbia fino ai confini con la federazione
russa ed il sostegno alle diverse 'rivoluzioni arancio-colorate' di Georgia e Ucraina la sua Jamāhīriyya fino al terzo millennio (9)
Indiscutibilmente Gheddafi, dispiaccia o meno alle 'comari' filo-sioniste di ogni
latitudine, rappresenta una figura storica di prim'ordine nel panorama storico,
politico, ideologico e militare del mondo arabo e islamico. Al di là dei 'tanti' , pure
'troppi' , denigratori di ogni 'colore' e di qualsivoglia 'razza' noi sosteniamo che l'unità
del mondo arabo ed islamico sia premessa sostanziale per un effettivo risveglio ed
una rinascita potente della Nazione dell'Islam la quale , parafrasando le parole del
compianto Imam Khomeini, potrà spazzar via l'entità criminale sionista se solo "tutti i
musulmani della terra versassero un bicchier d'acqua" contro quest'emporio
terroristico creato dalle potenze imperialiste e dall'odio atavico dell'Internazionale
Ebraica all'indomani della guerra d'aggressione giudaica contro l'Europa dell'Ordine
Nuovo alias Seconda Guerra Mondiale.
"L'Islam , come sistema di pensiero ed organizzazione sociale, riflette le
condizioni storiche nelle quali si afferma. Si è dispiegato nel tempo e nello spazio e
per questo si è presentato come continuazione e culmine delle altre religioni
monoteiste. Il suo nucleo originario arabo si è esteso entro breve tempo fino a
comprendere un vasto impero dalla Cina alla Spagna. Diventanto cosmopolita , la
sopravvivenza dell'Islam venne a dipendere dalle specifiche fortune ed istituzioni dei
suoi innumerevoli seguaci. La storia e l'Islam si intrecciano quindi in un viaggio
segnato dall'espansione, da conquiste o da una graduale regressione. (...) La fase
che precede la comparsa del radicalismo islamico fu dominata dalle lotte per
l'indipendenza guidate e dirette da èlite occidentalizzate., Gli obiettivi principali
furono innanzitutto nazionalistici, volti ad ottenere una democrazia parlamentare e
l'adozione di codici civili e penali di stampo europeo. Dopo il 1920 e il crollo finale
dell'Impero Ottomano, il riformismo islamico si affermò come movimento "per" la
democrazia parlamentare vista come soluzione radicale di tutti i problemi. (...) Le
interpretazioni moderniste della Shari'à avanzate inizialmente dai riformisti islamici,
vennero accolte dalle nuove istituzioni statali nate dai processi di parziale o totale
indipendenza. In questa nuova fase l'Islam non appariva più come un sistema
politico, economico o filosofico; cessò di essere la fonte del diritto degli Stati. La
religione fu considerata un sistema di credenza, rappresentato da certi riti, come le
preghiere del venerdì, il pellegrinaggio alla Mecca, il digiuno e l'elemosina. L'Islam
divenne così un patrimonio culturale da preservare. (...) I regimi liberali non
riuscirono ad affrontare i problemi politici, economici, culturali e militari delle società
islamiche. La formula democratica risultò così ben presto screditata nella sua
funzione di veicolo dello sviluppo nazionale. Di fronte ad una prolungata crisi
economica o ad una schiacciante sconfitta militare il liberalismo parlamentare
cominciò a sgretolarsi. (...) Nel 1950 era ormai divenuto chiaro a tutti nel mondo
islamico che il tradizionale patriottismo del Salafismo e la democrazia parlamentare
multipartitica dovessero essere soppiantati dal socialismo e da un nuovo tipo di
nazionalismo militante. I partiti comunisti operanti in un certo numero di paesi
centro-islamici, particolarmente in Indonesia, Iran, Iraq, Siria, Egitto e Sudan
mostravano di essere attivamente presenti tra le file del neonato movimento
sindacale , nei comitati studenteschi e nelle manifestazioni politiche. Anche le
organizzazioni nazionaliste, come il partito arabo Ba'ath in Siria, cominciarono a
porre l'accento su obiettivi di tipo socialista nei loro programmi. (...) La maggioranza
dei paesi islamici era ancora in lotta per ottenere la piena indipendenza , comporre le
dispute sulle frontiere o raccogliere la sfida del neocolonialismo. (...) In due decenni
(1950-70) tutti i paesi islamici, e tutto il Terzo Mondo, subirono cambiamenti senza
precedenti nelle loro strutture economiche, istituzioni politiche e sistemi culturali.
Questi mutamenti furono direttamente collegati alla crescente importanza dello stato
quale centro propulsore di rinnovamento e di trasformazione. (...) Fino al 1970 il
radicalismo islamico era più una corrente intellettuale che un movimento politico.
Alcuni suoi principi teorici, come l'assoluta sovranità di Dio e le caratteristiche del
Jihad (il combattimento sulla via di Dio) erano stati presentati nell'India britannica
come reazione alle ideologie secolari e nazionaliste. Si ritiene in genere che risalga
ad un certo numero di scritti di al Mawdudi , pubblicati nel periodo tra le due guerre
, il nuovo pensiero islamico e del radicalismo. In Egitto il radicalismo islamico viene
elaborato come dottrina compiuta dopo lo scioglimento dei Fratelli Musulmani e la
realizzazione del programma politico di Nasser. Ad uno dei Fratelli Musulmani, Sayyid
Qutb (1906/1966), ne è stata giustamente attribuita la paternità. Per quasi due
decenni il pensiero di Qutb circolò solo nell'Egitto nasseriano o nella Siria del partito
Ba'ath, mentre in Iraq , Muhammad Baquir al-Sadr (morto nel 1980) sviluppava la
sua personale versione del radicalismo sciita. Il radicalismo islamico nacque dalle
particolari condizioni di certi paesi arabi. (...) In Libia il nuovo regime militare abolì la
monarchia nel 1969. (...) Il leader della rivoluzione libica, il colonnello Mu'ammar
Gheddafi, diede il via ad un ampio programma di trasformazione socio-economica ed
introdusse una nuova ideologia , la teoria della Terza Internazionale. Il suo sistema
politico, basato sui comitati popolari e sulla democrazia diretta, ha virtualmente
nazionalizzato tutte le istituzioni religiose facendo divenire l'Islam la fonte ultima di
legittimazione del potere." (10)
Ad ogni popolo una sua 'via' , ad ogni comunità etnica un suo sistema
ideologico e politico di 'sviluppo' e di evoluzione, ad ogni nazione una propria identità
culturale che adempia e sia funzionale al raggiungimento degli obiettivi di
indipendenza politica, nazionale, sociale, economica.
Nel mondo arabo e islamico, nella Nazione Islamica, tutti questi obiettivi si
fondono inevitabilmente in un insieme di 'rappresentazioni' che - per quanto difformi
o lontane dall'originaria Teofania mohammadica - ad essa devono guardare e con
essa devono fare i 'conti'.
Al di là della Libia di Gheddafi occorre ribadire l'alterità , la radicale dicotomia,
l'opposizione netta e categorica tra il mondo dell'Islam e le politiche imperialistiche,
capitalistiche e di sfruttamento del mondo moderno giudaizzato e giudaizzante del
quale sono i principali affermatori ed i motori 'immobili' gli Stati Uniti d'America , la
Gran Bretagna e l'entità criminale sionista occupante la Terrasanta palestinese alias
"stato d'Israele".
DAGOBERTO HUSAYN BELLUCCI
DIRETTORE RESPONSABILE AGENZIA DI STAMPA "ISLAM ITALIA"
Note -
1 - Il 'golpe' militare algerino del gennaio 1992 rappresenta la più evidente
prova di 'crisi della democrazia' mai verificatasi in uno Stato moderno ed in epoca a
noi vicina. A seguito della profonda crisi economica che segnò gli anni Ottanta ed
investì tutti i paesi dell'Africa sahariana e parallelamente alla crisi mondiale
successiva al crollo dei regimi del socialismo 'scientifico' dell'Europa Orientale - con la
conseguente fine della cosiddetta Guerra Fredda internazionale tra le due
superpotenze (USA-URSS) - , i quali determinarono la proclamazione 'bushista' su
una presunta entrata nel cosiddetto 'One World' = Governo Mondiale sotto l'egida
monopolista statunitense , l'Algeria venne sconvolta da radicali cambiamenti al
proprio interno analogamente a quanto successe nella vicina ex Yugoslavia. Erede
della lunga guerra di liberazione anti-colonialista e anti-francese degli anni Cinquanta
che portò all'indipendenza del 1962 il sistema politico algerino non riuscì a resistere
all'onda lunga post-afghana che - anche a seguito della prima guerra mondialista del
petrolio lanciata dalla superpotenza a stelle e strisce contro l'Iraq di Saddam Hussein
che sollevò il risentimento e la rabbia delle masse musulmane dal Maghreb ai confini
della Cina - vedrà rientrare in patria , dopo un decennio di addestramento e
combattimenti nelle aspre montagne del paese centro-asiatico migliaia di
'muhjiaheddin' , arruolatisi per il Jihad = sforzo sulla strada di Dio anti-sovietico nelle
file della Resistenza Nazionale dell'Afghanistan. Molti di questi uomini rientrati in
patria trovarono sconcertato la situazione di sfacelo economico, degrado sociale e
morale che aveva nel frattempo contraddistinto lo sviluppo industriale 'sgangherato'
del proprio paese all'interno del quale erano iniziate rivolte e dissensi profondi che
avevano lacerato il tessuto unitario che legava la classe politica dirigente alla
popolazione civile. Sfruttando la rabbia ed il risentimento delle masse popolari
cominciarono a guadagnar terreno in Algeria i movimenti di estrazione islamista
radicale sunnita. Il F.I.S. (Fronte Islamico di Salvezza) riuscirà ad ottenere , nel
primo turno delle elezioni legislative algerine del dicembre 1991, un clamoroso
successo che avrebbe aperto la strada ad una possibile virata verso l'Islam del paese
con i 'fantasmi' - evocati assiduamente e quali spauracchi sempre 'utili' per la causa
occidentale dal regime militare algerino e 'massmedialmente' diffusi in Occidente dai
governi dell'Unione Europea e degli Stati Uniti - della possibile instaurazione , sulle
coste del Mediterraneo e di fronte all'Europa, di una "repubblica islamica"
sull'esempio iraniano. Uno scenario da brivido per l'Imperialismo internazionale e per
le centrali di disinformazione atlantico-sioniste dei quattro angoli del pianeta nonchè
per gli ex colonialisti francesi ed i loro colleghi europei. Washington ed i suoi
'dominion's' europei ( Francia in primis ) daranno il disco verde ai militari di Algeri
per imporre nel gennaio 1992 un colpo di Stato , abolendo il secondo turno elettorale
delle legislative, instaurando leggi d'emergenza , assediando l'intera popolazione
algerina in uno Stato di polizia dittatoriale ed onnicomprensivo e mettendo al bando
tutti i partiti d'ispirazione religiosa a cominciare dal F.I.S. La successiva sanguinosa
guerra civile , durata sette anni, sarà segnata dall'energica reazione dell'esercito ,
dall'instaurazione di un regime che si pretende "rappresentante degli interessi
popolari" ma che rappresenta nient'altro che gli interessi della plutocrazia mondiale e
retto da Muhammad Boudiaf e da uno stillicidio di vittime con la frammentazione
della galassia fondamentalista islamica in due organizzazioni l'AIS (Esercito Islamico
di Salvezza) creato dai militanti del vecchio F.I.S. non sottoposti al regime carcerario
(come si ricorderà i principali leader , Abassi Madani e il suo vice Alì Belhadi furono
immediatamente arrestati e le sedi del partito sigillate e 'blindate' fin dalle prime ore
del golpe militare) e il GIA (Gruppo Islamico Armato) organizzazione 'palesatasi'
come "ultra-fondamentalista" ed eterodiretta da servizi d'intelligence stranieri fra i
quali un ruolo non irrilevante sarà svolto dal Mossad israeliano come dimostreranno
numerosi dossier e documentazioni fornite dai militanti del F.I.S. in esilio a Londra e
in altre capitali europee. Alla firma del cosiddetto 'armistizio' tra Stato e 'ribelli' il
numero di vittime della guerra civile sarà di oltre 160mila compresi numerosi
stranieri fra i quali i marinai della nave italiana "Lucina" sgozzati in una notte del
1994 da 'soggetti' "incappucciati" (...praticamente chiunque avesse intenzione di
soffiare sui bracieri già abbondantemente ardenti dell'estremismo religioso e della
reazione militare...). Sul ruolo pro-occidentale del regime di Algeri non crediamo vi
possano essere dubbi considerando che, dopo l'elezione a presidente di Abdelaziz
Bouteflika nell'aprile 1999, l'Algeria resterà tra i principali partner
dell'amministrazione statunitense avallando la cosiddetta "guerra al terrorismo
internazionale" della marionetta del Sionismo George W. Bush all'indomani
dell'attacco 'terroristico' dell'11 settembre 2001. La stessa organizzazione "Amnesty
International", consorteria giudaico-massonica 'delegata' dal Sistema a 'gendarme'
giuridico su presunti abusi nell'applicazione della giustizia, unitamente ad altre
organizzazioni non governative operanti nel paese hanno criticato aspramente il
regime di Algeri per il perpetuarsi delle torture nei confronti dei detenuti. La Guerra
civile algerina , sebbene passata sotto silenzio sui media internazionali, continua a
mietere vittime...una lunga scia di sangue.
2 - Oltre al riconoscimento e all'apertura di relazioni diplomatiche con l'entità
criminale sionista si imputa a Sadat l'indiscriminata caccia all'uomo lanciata a partire
dall'inizio del 1979 contro i militanti dell'organizzazione islamica dei Fratelli
Musulmani. Nel settembre 1981 Sadat allargherà la repressione anche contro
numerose organizzazioni di sinistra, contro il movimento studentesco e perfino
contro alcune organizzazioni della minoranza cristiano-coopta ordinando 1600
arresti. Crisi economica, repressione dei dissidenti, instaurazione di un regime
dispotico, corruzione contrassegnarono da allora la politica di Sadat che nell'ottobre
1981 verrà assassinato durante una parata militare al Cairo da Khaleed al Istambul
membro di un commando militare del gruppo "al Jihàd" formato da ex militanti dei
Fratelli Musulmani. A succedergli al potere sarà l'attuale presidente Hosni Mubàrak ,
in odor di massoneria e fautore di una politica di puro 'presenzialismo' per quanto
riguarda le vicende del Vicino Oriente, alleato oggettivo dell'entità criminale sionista,
sostenuto e foraggiato finanziariamente da Washington e nemico di qualunque
radicalismo d'ispirazione religiosa che reprimerà duramente sia all'interno sia
all'estero sostenendo la "resistenza" del Darfour contro il governo musulmano di
Khartoum nel vicino Sudan.
Per una biografia di Anwar el Sadat si consulti di Gilles Kepel, Le Prophète et
Pharaon, Parigi, Ed. du Seuil, 1984 (tr. it. Il Profeta e [sic!] il Faraone, Roma,
Laterza, 2005).
3 - John K. Cooley - "Muammar Gheddafi e la rivoluzione libica" - ediz.
"Corno" - Milano 1983;
4 - Angelo Del Boca - articolo "Omar el Mukhtar credente e stratega - Padre
della patria per i libici, pendaglio da forca per il fascismo, sconosciuto per l'Italia di
oggi" da "Nigrizia" - 01/04/1988;
5 - Il film in questione reca l'originale titolo inglese di "Lion of the Desert"
(1981) , diretto da Mustafa Akkad e con un cast eccezionale di attori tra i quali, oltre
al già citato Anthony Quinn nella parte di al Mukhtar figurano: Oliver Reed (Gen.
Graziani) , Irene Papas, Raf Vallone (il col. italiano Diodiece), Rod Steiger
(Mussolini), Gastone Moschin (nel ruolo del maggiore Tomelli).
6 - Muhammar Gheddafi - "Il Libro Verde" (*) - discorso di Gheddafi del 16 Aprile 1973 ;
(**) - discorso di Gheddafi alla moschea di Tripoli del 19 dicembre 1971;
(***) - discorso di Gheddafi a Sabrata, Aprile 1972;
7 - Claudio Mutti - dalla premessa a "Gheddafi templare di Allah - La
Rivoluzione Libica nei discorsi di Mo'ammar El-Gheddafi" - edizioni di "Ar" - Padova
1975 (pubblicazione curata dall'Associazione Italia-Libia in occasione del VI
anniversario della rivoluzione libica);
8 - John K. Cooley - op. cit. ;
9 - per una analisi dettagliata sul ruolo e la funzione geopolitica attuale della
Libia rimandiamo agli articoli di Claudio Mutti "La Libia e il Mediterraneo" , "Gheddafi
dal panarabismo al panafricanismo" e "La Libia, parte della nazione araba e del
mondo islamico" apparsi sul sito ufficiale del trimestrale "Eurasia - Rivista di Studi
Geopolitici" in data 11 Giugno 2009.
10 - Youssef M. Choueiri - "Il fondamentalismo islamico" - ediz. "Il Mulino" Bologna 1993;
Documento in Pdf a cura di www.TerraSantaLibera.org
http://www.terrasantalibera.org/DHB_gheddafi_socialismo_nazionale_arabo.htm