Genitori e figli: il `parenting` nei pazienti oncologici. Osservatorio

Osservatorio
Vol. 99, N. 1, Gennaio 2008
Pagg. 19-26
Genitori e figli: il ‘parenting’ nei pazienti oncologici.
Un aspetto ancora poco considerato
nella gestione delle malattie neoplastiche
Gabriella De Benedetta1,2, Giuseppe Ruggiero2, Antonio Pinto1
Riassunto. Nei paesi occidentali, oltre un quarto dei pazienti oncologici ha figli di minore età al momento della diagnosi. A fronte di una sempre maggior attenzione agli aspetti psicologici delle neoplasie, l’impatto della malattia oncologica del genitore sul ‘funzionamento’ psicosociale dei figli minorenni e su come gli aspetti legati alla genitorialità (parenting) possano influire sulle modalità di coping globale alla neoplasia da parte dei
genitori ammalati, sono relativamente poco esplorati. I pazienti oncologici tendono a non
informare i loro figli, bambini o adolescenti, circa la malattia da cui sono affetti. Tale atteggiamento ‘protettivo’ può alimentare un crescente disagio psicologico nei figli, spesso
con conseguenze a lungo termine, e modificare in senso negativo le capacità gestionali della intera famiglia rispetto alla malattia. D’altra parte, le preoccupazioni legate alla genitorialità possono incidere negativamente sulla qualità di vita dei pazienti/genitori, influenzandone, a volte, anche le scelte terapeutiche. Al fine di affrontare tali problematiche è necessario, da parte del team oncologico, fornire il sostegno necessario ai genitori
per favorire e migliorare la loro capacità di comunicazione; ed ai figli minori per intercettare e gestire il disagio e lo stress collegati allo stato di salute dei propri genitori.
Parole chiave. Comunicazione di cattive notizie, disagio psicologico, figli, genitori e
malattie neoplastiche, parenting, supporto psico-sociale in oncologia, qualità della vita, tumori.
Summary. Parents, children and parenting in cancer patients: a still poorly addressed
issue in the global management of neoplastic diseases.
More than 25% of cancer patients in western countries have less than 18 years old children. While increasing attention has been given to various psychosocial issues related to
neoplastic disease, the impact of parental cancer on psychosocial ‘functioning’ of children
and adolescents are still poorly explored. Similarly, the role of parenting concerns on quality of life, compliance to the disease and treatments and therapeutic choices are not sufficiently addressed. Usually, cancer patients are reluctant to openly inform their children
about their disease. Such “protective” attitude may cause anxiety and psichological distress in children and affect the coping capability of the whole family. Lack of communication may increase the sense of sadness, grief and despair, experienced by children
whose parents are ill and induce long-term psychological consequences. Parenthood, on
the other side, carries additional concerns to cancer patients which may render disease
management more challenging and painful. The oncology team must favour, through appropriate support programs, communication between patients and their children to ensure a better psychological outcome from a stressful situation deeply affecting quality of
life of patients and their families.
Key words. Cancer and psycho-social support, communication in medicine, counselling,
parenting; parents, sons and neoplastic disease; psychological distress, quality of life.
1Unità Operativa Complessa di Ematologia Oncologica e Trapianto di Cellule Staminali, Istituto Nazionale Tumori,
Fondazione G. Pascale, IRCCS, Napoli; 2Istituto di Medicina e Psicologia Sistemica (IMePS), Napoli.
Pervenuto il 9 maggio 2007.
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Recenti Progressi in Medicina, 99, 1, 2008
Introduzione
la durata dell’iter diagnostico-terapeutico, allo
scarso adattamento del genitore alla malattia, alla carenza di informazioni ricevute 10,11. Il disagio
è particolarmente accentuato nel caso in cui non ci
sia una buona comunicazione all’interno della famiglia.
Le reazioni dei figli sono quindi diverse e correlate ai gruppi di età6,7(tabella 1).
La malattia oncologica è accompagnata, oltre
che da un disagio di tipo fisico, correlato alla neoplasia e ai trattamenti, da uno stato di sofferenza
globale, di tipo spirituale e psicologico, che coinvolge, oltre al paziente, anche il nucleo familiare e
quello delle relazioni amicali e sociali più strette1.
Non a caso, negli ultimi
anni, l’approccio al malaI BAMBINI
to oncologico ha incluso
IN ETÀ PRE-SCOLARE
una sempre crescente atStudi recenti hanno stimato che, in Europa e
tenzione agli aspetti psinord-America, oltre il 25% dei soggetti affetQuando la comunicacologici e sociofamiliari
ti da neoplasia ha uno o più figli di età inferiore a 18 anni5. La percentuale di ammalati
zione non è chiara, i
della malattia1,2, allo scocon figli minorenni è di molto superiore nelpo di favorire «il raggiunbambini, soprattutto i
le popolazioni del sud del pianeta e, anche in
gimento della migliore
più piccoli, possono sviambito europeo, tra le società tendenzialqualità di vita possibile
luppare sentimenti di somente più giovani come quelle delle regioni
per i pazienti e le loro falitudine e di perdita, idee
meridionali d’Italia, il numero di pazienti onmiglie»3.
di colpa e, quindi, rifiuto
cologici che, al momento della diagnosi, ha
Pur a fronte del cresilenzioso del genitore
figli di minore età è in costante incremento.
scente interesse sugli
malato12. Essi reagiscono
Tale fenomeno è ancora più rilevante per
ai cambiamenti che avaspetti psicosociali del
quelle neoplasie, come ad esempio il linfovengono in casa; l’assencancro, gli studi e le rima di Hodgkin, che mostrano un tipico picza del genitore durante i
cerche sulle modalità atco di incidenza tra i giovani adulti.
ricoveri ed il suo malestraverso le quali il ‘funsere fisico ed emotivo
zionamento’ psicosociale
creano un distacco dai fidei figli minorenni è mogli più piccoli. Tale distacco è accentuato dal tendificato dall’insorgenza di una malattia oncologitativo del genitore di negare e nascondere il suo
ca nei genitori e su come gli aspetti legati alla gemalessere. Questa distanza, se non opportunanitorialità (parenting) possano influire sulle scelmente motivata, può indurre nei figli un sentite terapeutiche dei genitori, sulla compliance ai
mento di colpa, quasi fossero responsabili di queltrattamenti e, in generale, sulle modalità di colo che percepiscono come un allontanamento emoping alla neoplasia, sono stati relativamente litivo del genitore.
mitati4. È, quindi, importante che i medici siano
preparati ad affrontare le problematiche derivanti dalle interazioni tra i genitori ammalati ed i loro figli minori, al fine di incidere positivamente
Tabella 1. Sintomi di disagio emotivo più frequentesulla qualità di vita dei pazienti e prevenire o almente osservati nei figli dei pazienti oncologici.
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leviare il disagio psicologico nei minori . Ciò è necessario in tutte la fasi della malattia: diagnosi,
Bambini in età pre-scolare
terapia, follow-up, incluse le fasi di terminalità e
• Senso solitudine e di perdita
morte9.
• Senso di angoscia inespressa
Tale supporto è necessario anche nelle forme di
• Idee di colpa
neoplasia potenzialmente guaribili. In questo caso,
• Rifiuto silenzioso del genitore malato
a fronte della guarigione del genitore potrebbero,
per contro, verificarsi nei figli – a medio-lungo termine – disagi psicologici più o meno latenti, che li
Bambini in età scolare
accompagneranno negli anni futuri 6,10.
Il disagio psicologico
nei figli dei pazienti oncologici:
sintomi e modalità di espressione
I figli dei pazienti affetti da neoplasia possono
sviluppare, durante e dopo l’iter diagnostico-terapeutico del genitore, sintomi di disagio che variano da disturbi del comportamento a disturbi della
condotta alimentare e a difficoltà scolastiche e relazionali4,6,7,10. Ovviamente, sia l’età del bambino
sia la configurazione familiare influenzano le modalità di espressione del disagio, ossia i sintomi
prodotti. L’entità dei disturbi è inoltre correlata al-
•
•
•
•
•
•
Disturbi del ritmo sonno-veglia
Disturbi della condotta alimentare
Problemi scolastici (svogliatezza, calo del rendimento)
Problemi di interazione con i ‘pari’ e con gli insegnanti
Disturbi di tipo ansioso
Atteggiamenti auto ed etero aggressivi
Adolescenti
• Difficoltà in ambito scolastico
• Disturbi del comportamento (ambivalenza e conflittualità)
• Identificazione/conflitto col genitore malato
• Senso di colpa
• Perdita di sicurezza e di autostima
G. De Benedetta, G. Ruggiero, A. Pinto: Genitori e figli: il ‘parenting’ nei pazienti oncologici
I BAMBINI IN ETÀ SCOLARE
Circa un terzo di essi sviluppa disturbi di tipo emotivo e comportamentale generati dalla
malattia del genitore; in particolare: problemi scolastici, disturbi del ritmo sonno-veglia, disturbi
della condotta alimentare, problemi relazionali, disturbi ansiosi, atteggiamenti auto ed etero aggressivi6,7,11. Non sempre vivere qualcosa significa anche comprenderla: per cui la coppia genitoriale, già
minata dai problemi legati alla malattia, può non
cogliere il disagio del figlio, fino a che esso non sfocerà in chiaro sintomo psicopatologico.
GLI ADOLESCENTI
L’adolescenza è un momento critico della crescita,
una fase di cambiamenti sul piano fisico e su quello
psicologico e relazionale. Tali cambiamenti si ripercuotono nel contesto familiare. L’adolescente ha due
esigenze tra loro contrastanti: da un lato, sente il bisogno di essere protetto dalla famiglia e vorrebbe restare bambino; dall’altro, vorrebbe differenziarsi e
acquisire autonomia. Il conflitto è parte integrante di
questo periodo: l’adolescente tende, contemporaneamente, all’identificazione con i genitori e a differenziarsi da loro. Se uno dei due genitori si ammala, c’è
il rischio che uno o entrambi questi meccanismi vengano alterati. Identificarsi con un genitore malato
può comportare una perdita di sicurezza e di autostima, così come entrare in conflitto con un genitore malato può comportare un senso di colpa difficilmente gestibile. I sintomi più frequenti sono problemi e difficoltà in ambito scolastico, disturbi del
comportamento, ambivalenza e conflittualità6.
I figli: il silenzio e la comunicazione
Di solito viene deciso di non informare esaurientemente i figli circa la malattia da cui è affetto uno dei genitori13. Ciò è, in genere, dovuto alle
seguenti ragioni.
u Uno dei primi pensieri del genitore cui viene diagnosticata una malattia potenzialmente mortale è
proteggere i propri figli da una realtà che appare
emotivamente ingestibile e troppo angosciante13,14.
u Avere una comunicazione aperta e sincera con
i figli in merito alla malattia significa essere costretti a riflettere su interrogativi che si preferirebbe tenere nascosti e lontani da sé.
u La scelta di non informare i figli nasce anche
dal bisogno di proteggere se stessi da domande
difficili alle quali si teme di non saper rispondere.
u Il genitore si sente inadatto al compito: percepisce la difficoltà del “come” e del “quanto” dire ai
figli rispetto ad una realtà – la malattia neoplastica e le terapie – nella quale egli stesso è stato
proiettato all’improvviso e che ha difficoltà a comprendere pienamente.
Molto, troppo frequentemente, i bambini vengono completamente esclusi dalle “cose dei grandi”; in un primo momento, quando si approfondiscono le indagini cliniche per un sospetto di ma-
21
lattia, gli adulti non parlano con i figli per non spaventarli. Spesso non si parla neanche fra adulti,
quasi che, a parlarne, i sospetti già diventino
realtà. Ogni individuo inizia il suo personale iter di
adattamento con il rifiuto per ciò che teme possa
accadere e, allo stesso tempo, immagina e fantastica su come cambierà la sua vita e, soprattutto,
su quanto durerà. Al momento della diagnosi, la
reazione di rifiuto può accentuarsi o diminuire.
Elisabeth Kubler-Ross ha individuato cinque fasi che il paziente attraversa durante
il percorso di malattia15. La prima reazione è
di negazione. Il rifiuto svolge funzione di protezione mentre il malato riprende coraggio e mobilita altre risorse. La seconda fase è caratterizzata da un sentimento di collera e ribellione. Il
momento del patteggiamento costituisce la terza fase. I patti sono per lo più stipulati con Dio,
si contratta sul momento della morte e spesso si
spera in una proroga per “buona condotta”. Al
momento del compromesso segue quello della
depressione e poi quello dell’accettazione.
Ogni fase di tale percorso impegna il malato in
un lavoro emotivo molto coinvolgente che soltanto
in un secondo momento può essere esteso alle persone care, pur sempre presenti nei suoi pensieri.
I figli sono, per il genitore che si ammala, la più
grande preoccupazione: prevale l’ansia di non poter
più prendersene cura, la paura di lasciarli soli, il dispiacere di non poter vederli crescere e condividere
con loro le tappe della vita13,14,16. I figli vanno protetti e aiutati. È in relazione al bisogno di protezione che i genitori tentano di nasconder loro i momenti di difficoltà familiare. Questo accade, contro
ogni logica, anche in caso di malattia grave. Contro
ogni logica, perché una malattia grave è evento impossibile a tenere nascosto. Quindi il tentativo di
“fare come se niente fosse” ed il rifiuto della comunicazione creano una situazione paradossale: in cui
tutti sanno, ma nessuno può parlare. Il disagio emotivo ne risulta drammaticamente accentuato11.
Una comunicazione aperta e sincera da parte
dei genitori consentirebbe, invece, ai figli di esprimere in maniera altrettanto aperta e sincera i vissuti e le emozioni in relazione ad un evento così
traumatico10,11 (box 1). Le emozioni espresse possono trovare un buon contenimento all’interno della famiglia se i genitori sono adeguatamente preparati e/o se possono contare sul supporto di un
tecnico professionista.
Box 1
«Si dicono cose diverse a persone diverse, a seconda
dei valori della situazione e a seconda di ciò che l’altra persona richiede. Queste risposte a domande possono non essere vere o corrette in base al senso logico, ma dal punto di vista del sentimento possono essere perfettamente giuste.»
Hillman, 1985
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Recenti Progressi in Medicina, 99, 1, 2008
Occorre convincerli ad interpretare correttamente la seconda parte dell’affermazione: “i figli
vanno protetti e aiutati”, individuando le modalità
più appropriate per supportare i ragazzi a comprendere ed elaborare un’esperienza tanto destrutturante. Il primo intervento è dissiduadere
dalla scelta del silenzio, che è intento protettivo erroneo e dannoso, in quando innesco potenziale di
fantasie catastrofiche, a volte più angosciose della
realtà. È indispensabile parlare e confrontarsi. Non è un caso se la struttura familiare ottimale ai fini dell’adattamento alla malattia oncologica
è stata identificata come quella dotata di alcune
caratteristiche sintetizzabili in coesione ed intimità: confini ben definiti, espressione aperta
delle emozioni, assenza di conflitti familiari.
I pazienti: l’impatto della genitorialità
sul coping alla malattia neoplastica
e le scelte terapeutiche
Aiutare il paziente ad affrontare la malattia significa, anche, alleggerirlo di tante, piccole e grandi,
preoccupazioni di cui i figli sono spesso i vettori più
frequenti. Tali preoccupazioni, incidendo profondamente sulla sfera emotiva, possono influenzare le
scelte terapeutiche del genitore oltre i limiti della ragionevolezza. Da uno studio su 296 pazienti con vari tipi di neoplasia è emerso che la propensione ad
accettare un trattamento particolarmente aggressivo, e quindi molto tossico, era significativamente ed
indipendentemente correlata alla presenza a casa di
figli conviventi17. In particolare, è emerso che i pazienti senza figli accettano una terapia molto tossica solo se questa è in grado di fornire almeno il 50%
di probabilità per un ulteriore anno di vita, mentre
quelli con figli sono disponibili ad accettare lo stesso trattamento anche se questo offre il 50% di probabilità di allungare la sopravvivenza di soli sei mesi. (Il ruolo della presenza o meno di un coniuge o un
convivente adulto sano era, invece, statisticamente
ininfluente su tale scelta).
I dati di questo studio indicano che la presenza
di figli conviventi spinge i genitori all’accettazione
di trattamenti molto tossici anche quando i possibili beneficî sono molto al di sotto di quanto sia
considerato clinicamente ragionevole17.
È
L’impatto della genitorialità può essere quindi così drammatico da spingere di fatto il paziente a sacrificare la qualità della vita residua.
È
In tale ottica, il medico di riferimento dovrebbe
essere molto cauto nel proporre – in assenza di un
beneficio clinicamente ragionevole anche in termini di qualità di vita – ulteriori trattamenti ad alta
tossicità a pazienti che hanno mostrato, nel loro
iter clinico, particolari preoccupazioni nei confronti dei figli.
Sarebbe utile aiutare questi malati ad intraprendere una comunicazione franca con i figli per
facilitare l’accettazione del concetto che, in alcune
situazioni, non peggiorare la qualità dei giorni da
trascorrere con le persone più care può essere un
obiettivo molto importante.
Strategie di intervento: la comunicazione
Sulla base dei dati e delle esperienze disponibili, appare quindi indispensabile, da parte del team
oncologico e dei curanti, fornire ai genitori tutto il
supporto necessario per potenziare, al momento
della diagnosi e durante l’intero iter terapeutico, le
capacità di comunicazione verso i figli a proposito
della malattia10,18. Ciò può essere fatto attraverso
passaggi sequenziali (riassunti nella tabella 2 e
commentati nei paragrafi seguenti).
Tabella 2. Strategie per facilitare la comunicazione tra
i genitori affetti da neoplasia ed i loro figli.
• I genitori sono quelli che conoscono meglio i loro figli e possono ricordare le loro reazioni ad altre situazioni di stress. Il colloquio aperto con la coppia
genitoriale facilita nei figli il riconoscimento dei sintomi di disagio emotivo e li rassicura sulle potenzialità di superare momenti di difficoltà.
• I bambini avvertono che le profonde modificazioni
della routine familiare conseguenti alla malattia ed
alle terapie sono correlate a qualcosa di ‘grave e triste’ (anche se la causa di tali cambiamenti non viene loro comunicata).
• I bambini capiscono molto di più di quanto gli adulti siano disposti a riconoscere. Questa consapevolezza aiuterà i genitori nella decisione di comunicare
più apertamente con i figli circa la malattia.
• Una strategia ‘del silenzio’ provoca nei bambini
stress emotivo più grave e apre la strada allo sviluppo di fantasie cupe e ‘catastrofiche’ (anche in caso di prognosi favorevole per il genitore).
• Incoraggiare la comunicazione diretta con i figli. Il
modo peggiore di ricevere cattive notizie è di venirne a conoscenza in modo indiretto (es. ascoltando
per caso quello che i genitori si dicono ‘in segreto’).
• Chiamare la malattia e le terapie con il loro nome
reale (linfoma, chemioterapia, radioterapia) facilita
la comunicazione. L’uso di eufemismi potrebbe essere controproducente se e quando i bambini apprendessero da altri la terminologia appropriata.
• In caso di una domanda diretta da parte dei bambini, è consigliabile esplorarne il significato emotivo
prima di rispondere.
• Dopo una prima fase di comunicazione è bene continuare ad informare i figli circa lo stato delle cose, rispettando, tuttavia, l’eventuale desiderio di alcuni
bambini di ‘non volerne parlare…’
• Facilitare l’espressione delle emozioni dei figli circa
la situazione che stanno affrontando.
G. De Benedetta, G. Ruggiero, A. Pinto: Genitori e figli: il ‘parenting’ nei pazienti oncologici
AIUTARE I GENITORI
A DECIDERE DI COMUNICARE APERTAMENTE CON I FIGLI
23
AIUTARE I GENITORI A TROVARE
LE PIÙ OPPORTUNE MODALITÀ DI COMUNICAZIONE
Un colloquio preliminare con la coppia geUna volta presa la decisione di parlare ai figli
nitoriale può facilitare il riconoscimento dei sindella propria malattia, il genitore potrebbe avere
tomi di disagio emotivo nei figli e rassicurare il gedifficoltà a trovare la formula migliore per la conitore circa la loro capacità di superare momenti
municazione. In uno studio effettuato su un grupdifficili. È utile aiutare i genitori a prendere atto
po di bambini i cui genitori si erano da tempo amche i bambini comprendono molto di più di quanto
malati di neoplasia, è stato dimostrato che i ligli adulti siano disposti a riconoscere. Questa convelli di ansia sperimentati dai figli appaiono
sapevolezza faciliterà la decisione di comunicare
correlati 1) alla impossibilità di questi ultimi di
più apertamente con i figli a proposito della maaver potuto parlare con i genitori della malattia,
lattia.
2) alla riduzione, conseguente alle modificazioni
È importante riconoscere che i bambini avverlogistiche provocate dalla malattia, degli ‘spazi’
tono, sempre e comunque, che le inevitabili e
dedicati al gioco e al rapporto con i pari (amici e
profonde modificazioni della routine familiare,
compagni di scuola), 3) alle continue preoccupadovute alla malattia ed alle terapie del genitore,
zioni derivanti dallo stato di salute del genitore
sono legate a qualcosa di grave e triste anche se
ammalato, compresi gli effetti collaterali delle tela causa di tali cambiamenti non viene loro corapie19.
Un ulteriore studio ha dimostrato che i bambimunicata. Analogamente, i bambini notano le
ni verso i quali sono state adottate strategie di comodificazioni fisiche (stanchezza, perdita dei camunicazione “aperte” – sincere e senza eufemismi
pelli, dimagrimento, etc.) ed emotive (ribellione,
– mostrano livelli di ansia e di stress inferiori ritristezza, sofferenza) del genitore che affronta la
spetto ai loro coetanei che non sono stati adeguamalattia neoplastica, sia nei periodi trascorsi a
tamente informati circa la malattia o le terapie di
casa durante gli intervalli della terapia sia nei
un genitore7.
giorni di degenza, quanNon è necessario dire
do vanno a visitarlo in
tutto e subito, ma piuttoospedale. Le trasformasto è opportuno adeguare
zioni nei rapporti famiCompatibilmente con l’età ed il profilo psiil livello di comunicazione
liari (tra i genitori, i fraco-sociale dei bambini, appare opportuno
alle necessità espresse dal
telli, i parenti, gli amici e
fornire loro una informazione aperta, ma
bambino, modulando
i conoscenti) legate allo
adeguata al “se” e al “quanto” essi vogliano
conoscere.
l’informazione anche
stato di malattia dei getemporalmente e, sonitori, vengono altresì
prattutto, lasciando gli
avvertite profondamente
spazi necessari alla comudai bambini.
nicazione emozionale. I bambini potrebbero non
In assenza di ogni spiegazione, tali cambiadesiderare di sapere o capire nel momento scelto
menti possono essere vissuti in maniera traudai genitori. Riconoscere tali spazi e momenti è
matica e attribuiti alle cause più diverse. I bamfondamentale.
bini, a volte, possono credere di essere essi stesD’altra parte, se uno sforzo deve essere fatto
si la causa di tali cambiamenti nell’ambiente
affinché i bambini mantengano le loro abitudini
familiare. Ciò alimenta un senso di colpa, che a
(la scuola, il gioco, il rapporto con i pari) durante
volte si esplicita, allorché deve esser loro spieil decorso della malattia dei genitori, è evidente
gato che il genitore ha una malattia grave, con
che tale compito sarà facilitato nell’ambito di una
domande del tipo: «…è colpa mia se papà si è
ammalato?».
situazione di comunicazione “aperta”, in cui
essi percepiscono che le loro domande sono ben
accette e che ad esse verrà data una risposta adeguata alle esigenze del momento. Chiamare la
malattia e le terapie con il loro vero nome (linfoma, cancro del seno, chemioterapia, radioterapia)
Per incoraggiare la comunicazione diretta con
facilita la comunicazione. L’uso di eufemismi poi figli può anche essere utile considerare, astrebbe essere controproducente qualora i bambisieme ai genitori, che il modo peggiore di riceni venissero poi ad apprendere da altri (parenti,
vere cattive notizie, per un bambino o anche
coetanei, operatori sanitari, infermieri) le denoun giovane adolescente, è venirne a conoscenminazioni appropriate. Chiarire con una breve
za per caso, ad esempio ascoltando quello che
spiegazione (anche con l’ausilio di immagini, di fii genitori si confidano in segreto o, peggio, ingure) cosa è un tumore, ricordare che ne esistono
tercettando conversazioni tra terzi (parenti,
diversi tipi, ognuno affrontabile con una “sua”
amici, personale sanitario). È importante
medicina, far capire le terapie che il genitore
quindi che i bambini ricevano la prima comuadotta, aiuterà, negli ascoltatori, la percezione
nicazione sulla malattia proprio dal loro geniche le malattie oncologiche non sono tutte uguatore ammalato.
li, che molte possono essere curate e che alcune
guariscono.
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Recenti Progressi in Medicina, 99, 1, 2008
Se ad un bambino in età scolare o pre-adolescenziale si dice genericamente che il genitore
ha “un tumore” o “il cancro”, esiste il rischio che,
attraverso il dialogo con parenti e conoscenti oppure attraverso i media, egli possa convincersi,
elaborando informazioni erroneamente percepite
e/o da altri inappropriatamente fornite, che il
suo papà o la sua mamma siano destinati comunque alla morte e che in queste malattie “le
cose vanno sempre male”. Analogamente, raccontare che «i capelli cadono perché le medicine
stanno funzionando ma poi ricresceranno» e, invece di negarlo, dire che «…avrai visto che papà
in questi giorni si stanca facilmente e ha difficoltà a camminare, questo succede perché….»,
aiuta il bambino a non elaborare spiegazioni alternative che spesso aggravano il suo grado di
apprensione.
Tabella 3. I bambini in età scolare: le domande più
frequenti.
• Che cosa è la malattia che ha papà/mamma?
• Perché nessuno mi dice niente?
• Perché il mio papà (la mia mamma) si è ammalato(a)?
• È colpa mia se papà/mamma si è ammalato(a)?
• Verrà anche a me la stessa malattia?
• Che cosa sono le medicine che papà/mamma sta
prendendo e che la fanno stare male?
• Perché cadono i capelli? Perché è sempre stanco(a)?
Il messaggio da trasmettere è che si è
pronti a parlare della malattia ogni volta che
i figli ne manifestino il bisogno e che essi non
debbono sentirsi soli nel confronto con le loro preoccupazioni12.
• Che dico ai miei amici quando mi chiedono della malattia di papà/mammà e io non ho voglia di parlarne?
• Papà/mamma morirà per questa malattia?
AIUTARE I GENITORI A TROVARE
IL MOMENTO GIUSTO PER PARLARE AI LORO FIGLI
Premesso che, come prima ricordato, è importante percepire ‘se’ e ‘quando’ i figli vogliano sapere, alcune esperienze sul campo suggeriscono che
anche il setting in cui si svolge la comunicazione
può essere importante.
Per i bambini più piccoli e quelli in età scolare,
una opportunità per avviare la comunicazione potrebbe essere fornita da alcune esigenze di cambiamento nella routine familiare. Ad esempio:
«…oggi non potrò accompagnarti a scuola perché…», «hai visto che ieri sono andata in ospedale:
è perché ho fatto delle analisi che…», «…per un po’
non andrò in ufficio perché…».
“Minimizzare” il contatto diretto faccia a faccia facilita la comunicazione perché permette di
modulare ed assorbire meglio l’impatto emozionale della discussione. In questi casi, alcune attività consuete (uno spostamento in auto, la preparazione della tavola per il pranzo o quella di un
gradevole cibo ai fornelli) possono fornire opportunità “familiari” per iniziare il dialogo ed agevolare lo scambio.
Nel caso di adolescenti, bisogna rispettare il
loro livello di maturità e, allo stesso tempo, riconoscere il loro bisogno di protezione.
AIUTARE I GENITORI A RISPONDERE
A DOMANDE DIFFICILI
A volte i bambini e gli adolescenti possono porre, inaspettatamente, domande a cui è difficile rispondere o voler rispondere: «guarirai?...si muore
di questa malattia?...le medicine stanno funzionando?» (tabella 3).
Le domande “difficili” costituiscono una delle
maggiori preoccupazioni per genitori ammalati. E
invece, è bene incoraggiare i figli, specie quelli più
piccoli, a porre domande, qualora ne avvertano la
necessità, in modo da evitare che si sentano soli di
fronte alle loro ansie.
In caso di una domanda diretta da parte dei
bambini è importante, prima di rispondere, cercare di esplorarne il significato emotivo per cogliere la motivazione più vera che ha ispirato
quella domanda in quel particolare momento. Ciò
aiuterà a rispondere in maniera emotiva, oltre
che al quesito in sé, anche, e principalmente, alle
preoccupazioni o al disagio inespresso che lo sottendono (box 2).
Di fronte ad una domanda specifica: «guarirai?»
un atteggiamento onesto di rassicurazione: «io e i
dottori stiamo facendo tutto il possibile per curare
la malattia e speriamo di riuscirci…» può essere
molto utile. Analogamente, a domande ancora più
scottanti: «…morirai?», esprimere la speranza nel
buon esito delle cure è certamente importante: «io
spero di no…le cure stanno funzionando…e noi e i
dottori ce la mettiamo tutta».
Box 2
«Quando un bambino domanda una spiegazione, gli si
può rispondere con il pensiero o con il sentimento; a
volte un racconto che risponda all’ansia del bambino
può essere più ‘vero’ di una spiegazione intellettuale
delle cause».
Hillman, 1985
G. De Benedetta, G. Ruggiero, A. Pinto: Genitori e figli: il ‘parenting’ nei pazienti oncologici
Nel caso di genitori in fase terminale, è utile
ricordare che i bambini non sono immuni dal senso della morte9,19 (box 3). Pure i più piccini, tra essi, percepiscono il cambiamento dell’atmosfera familiare. Un errore che viene spesso compiuto dagli adulti è invece quello di allontanare il
bambino da casa (affidandolo, ad esempio, ad un
parente) per proteggerlo dall’evento. Quando il
bambino torna a casa, il genitore non c’è più; il rito della separazione è stato compiuto senza che
egli abbia potuto prendervi parte9,19,20. Non esiste
una modalità indolore per separarsi da chi si
ama; tuttavia è necessario che i figli possano
congedarsi dal genitore. In relazione alla loro
età ed alla loro peculiarità, bisognerà trovare la
formula più adatta che preveda una celebrazione
dell’addio, la possibilità e la libertà di esprimere
le emozioni9,21.
Box 3
«Di solito si crede che i bambini non pensino ad argomenti come la morte. Ma dalle domande che fanno, mi
rendo conto che riflettono spesso su questioni importanti, in particolare su ciò che accade dopo questa vita.»
Dalai Lama
Conclusioni.
I figli dei pazienti oncologici:
da preoccupazione a risorsa
A fronte della sofferenza globale del paziente
oncologico deve esservi una assistenza globale che
induca i curanti a non trascurare alcun aspetto
della persona malata1-3. Le relazioni familiari e,
prima fra tutte, quella con i figli di minore età, rivestono un ruolo fondamentale in tale processo ed
influenzano in maniera profonda la qualità di vita,
lo stile di coping, la compliance ai trattamenti e le
scelte che una persona affronta durante il decorso
della malattia2,4.
Se la comunicazione con i figli è aperta e sincera, il malato, e con lui tutto il nucleo familiare, ne
trarrà notevoli beneficî in termini di qualità di vita. Un genitore può comunicare su temi importanti e coinvolgenti come la propria malattia solo se
riesce a vedere nei figli non solamente gli aspetti
di fragilità, ma anche la forza e le risorse che essi
possiedono. Riconoscere ai propri figli la capacità
di affrontare una situazione difficile diminuirà la
preoccupazione di un padre o di una madre e, contemporaneamente, rafforzerà le risorse del figlio.
In questa situazione sarà meno probabile che il figlio sviluppi una sofferenza psicopatologica, in
quanto il suo disagio avrà possibilità di espressione e contenimento6. Questo costituirà un vantaggio sia per il figlio sia per il genitore. Inoltre, il non
dover fingere è un risparmio di energie, un peso in
meno che contribuisce a vivere un situazione tanto difficile con maggiore serenità.
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Quanto più un genitore può rapportarsi serenamente con i figli, tanto più potrà ricevere da loro affetto e sostegno. Infine, non è da sottovalutare l’allegria e la vitalità che i bambini sanno portare, sempre e comunque, nella vita degli adulti
(box 4).
Box 4
«Le emozioni circolano libere all’interno della famiglia
e vanno dall’uno all’altro a volte trasformandosi per
strada in qualcosa di diverso. Possiamo fare finta che
non esistano e lasciare che compiano i loro misfatti
nelle tenebre, oppure possiamo dargli voce e visibilità
e lasciare che riempiano i vuoti dell’esistenza con il loro potere di avvicinarci a chi amiamo.»
Hillman, 1985
Il potenziamento ed il sostegno della relazione
genitori-figli rappresenta un aspetto importante
nella gestione globale delle malattie neoplastiche.
Attraverso una adeguata attenzione a tale aspetto, sarà possibile prevenire o contenere il disagio
emotivo che accompagna il paziente oncologico e la
sua famiglia durante l’iter della malattia.
Compito del team oncologico sarà quindi di aiutare il genitore a percepire i figli non come una ulteriore preoccupazione nell’ambito della malattia
oncologica, ma come una vera e propria ‘risorsa’ capace di migliorare la compliance alla malattia e la
qualità di vita.
Lavoro svolto con il contributo del Ministero della Salute,
Ricerca Finalizzata (FSN 2005).
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Indirizzo per la corrispondenza:
Dott. Gabriella De Benedetta
Istituto Nazionale Tumori
Fondazione Pascale
Unità Operativa Complessa di Ematologia Oncologica
Via Mariano Semmola
80131 Napoli
E-mail: [email protected]
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