sesto empirico e la storia della filosofia - lettere.uniroma1.it

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Prof. Emidio Spinelli, Storia della filosofia antica, Sapienza – Università di Roma, a. a. 2015-2016
Roma, 20 Maggio 2016, Aula II - Villa Mirafiori
Massimo Catapano
SESTO EMPIRICO E LA STORIA DELLA FILOSOFIA
HANDOUT
Scetticismo e dogmatismo
T1. Diog. Laert. IX 74: Gli Scettici, infatti, sovvertivano (ἀνατρέπειν) continuamente tutti i dogmi delle
scuole [filosofiche] (τὰ τῶν αἱρέσεων δόγµατα πάντα), ma essi stessi non esprimevano mai un’opinione
dogmatica; e, nulla determinando, esponevano e spiegavano i dogmi degli altri (trad. M. Catapano).
T2. PH I 13 (cfr. 16, 193, 197, 198, 200, 202, 208, 210, 219, 223; II 9): Diciamo invece che [lo Scettico] non
dogmatizza nel senso in cui, come affermano alcuni, dogma è l’assenso (συγκατάθεσις) a qualcuna delle
cose oscure (τὰ ἄδηλα) oggetto d’indagine nell’ambito delle scienze (τῶν κατὰ τὰς ἐπιστήµας ζητουµένων) –
il Pirroniano, infatti, non dà l’assenso ad alcuna fra le cose oscure (trad. E. Spinelli).
T3. Diog. Laert. IX 103 (cfr. PH I 22-24; II 97; M VIII 144): [Noi Scettici] riconosciamo (διαγινώσκοµεν)
che è giorno, che siamo vivi e molte altre delle cose evidenti (τὰ φαινόµενα) della vita ordinaria (βίος) (trad.
M. Catapano).
T4. PH I 5-6: Della filosofia scettica vi è un discorso che si definisce generale (καθόλου λόγος), e un altro
che si definisce particolare (εἰδικός). Il discorso generale è quello in cui esponiamo la caratteristica distintiva
(χαρακτήρ) dello scetticismo, dicendo quali sono il suo concetto (ἔννοια), i suoi principi (ἀρχαί), i suoi
argomenti (λόγοι), il suo criterio (κριτήριον), il suo fine (τέλος) e i tropi della sospensione del giudizio
(τρόποι τῆς ἐποχῆς), come adottiamo le formule scettiche (σκεπτικαὶ ἀποφάσεις), e qual è la differenza tra lo
scetticismo e le filosofie a esso affini (παρακείµεναι φιλοσοφίαι). Il discorso particolare è quello in cui ci
opponiamo (ἀντιλέγειν) a ciascuna parte della cosiddetta filosofia (trad. M. Catapano, corsivo mio).
T5. PH I 1-4: Per coloro che indagano una qualche questione (τοῖς ζητοῦσί τι πρᾶγµα) è verosimile vi sia
come conseguenza o la scoperta (εὕρεσις) o la negazione della scoperta e l’ammissione di incomprensibilità
(ἀκαταληψία) oppure la perseveranza nell’indagine (ἐπιµονὴ ζητήσεως). Per questo motivo, probabilmente,
anche presso coloro che indagano in ambito filosofico alcuni affermarono di aver trovato il vero (τὸ ἀληθές)
altri dichiararono non esser possibile comprenderlo (καταληφθῆναι), altri lo cercano ancora (ἔτι ζητοῦσιν). E
sembrano averlo trovato coloro che sono detti propriamente dogmatici, come ad esempio Aristotele ed
Epicuro e gli Stoici e alcuni altri; intorno alle cose incomprensibili (ἀκατάληπτα) si pronunciarono invece
Clitomaco e Carneade e altri Accademici, mentre gli Scettici proseguono la loro indagine (ζητοῦσι δὲ οἱ
σκεπτικοί). A ragione, dunque, le fondamentali filosofie (αἱ ἀνωτάτω φιλοσοφίαι) sembrano essere tre:
dogmatica, accademica, scettica (trad. E. Spinelli).
Dogmatismo negativo
T6. PH I 226: I seguaci della nuova Accademia (νέα Ἀκαδήµεια), se affermano che tutte le cose sono
incomprensibili (ἀκατάληπτα εἶναι πάντα), differiscono probabilmente dagli Scettici anche per questo,
perché affermano che tutte le cose sono incomprensibili; mentre essi affermano ciò recisamente
(διαβεβαιοῦνται), lo Scettico si aspetta che qualcosa possa essere comprensibile (καταληφθῆναι) […] (trad.
M. Catapano, corsivo mio).
T7. Cic. Ac. II 28: [Carneade] diceva infatti che una tale ammissione [nulla può essere conosciuto] è tanto
lungi dall’essere coerente che anzi è sommamente contraddittoria; perché chi nega ci sia alcuna cosa che
venga realmente conosciuta non può fare alcuna eccezione a tale principio (trad. M. Del Re, leggermente
modificata).
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T8. Cic. Ac. I 44-45 (cfr. Ac. II 14, 32, 72-76; Plutarch. Adv. Col. 1121F-1122A): Arcesilao, come abbiamo
sentito dire, impegnò ogni sua battaglia con Zenone non per ostinatezza o per brama di vincere, ma, per quel
che mi sembra, a motivo dell’oscurità di quelle cose (rerum obscuritas) che avevano condotto (1) Socrate a
confessare la propria ignoranza (confessio ignorationis; cfr. Ap. 21b4-5; Tht. 150c2-8; Smp. 177e7-8; Thg.
128b1-4; Chrm. 165b5-c1; Men. 71b1-4, 80c8-d1) e, già prima di Socrate, Democrito, Anassagora,
Empedocle, e quasi tutti gli antichi. (2) Questi dissero che nulla si può conoscere, nulla si può percepire,
nulla si può sapere, che i sensi sono di capacità ristretta, le menti sono deboli, il corso della vita breve, – che,
come sentenziava Democrito, la verità è sommersa in un profondo abisso, che ogni cosa è dominata dalle
opinioni e dalle consuetudini –; e insomma sostennero che per la verità non rimane alcun posto, e quindi
tutto è avvolto nelle tenebre. Pertanto (itaque) Arcesilao dichiarava (3) che non vi è nulla che si possa sapere,
neppure quello che Socrate si era serbato, il sapere di non sapere: a tal punto tutte le cose gli sembravano
nascoste nel buio; e così risolutamente pensava che non vi sia nulla che si possa scorgere o intendere (trad.
M. Del Re).
T9. Diog. Laert. IX 71-74 (cfr. Gal., Hipp. Off. Med., XVIIIB 658 K.: αὐτοὶ οὖν οἱ τοῦ Πύῤῥωνος εἰς
παλαιοτάτους ἄνδρας ἀνάγουσι τὴν ἑαυτῶν προαίρεσιν): Come iniziatore di questa scuola [pirroniana] è
stato assunto da alcuni Omero (Ταύτης δὲ τῆς αἱρέσεως ἔνιοί φασιν Ὅµηρον κατάρξαι), perché egli, più di
qualsiasi altro, con straordinaria varietà si esprime sulle medesime cose in diversi luoghi e non giunge mai a
definizioni o a giudizi dogmatici. […] Inoltre, anche Senofane e Zenone di Elea e Democrito, secondo i
Pirroniani, sono scettici. Senofane, per esempio, afferma: «E nessun uomo conosce l’evidente verità (τὸ
σαφές) e nessun uomo la conoscerà mai» (DK 21 B 34). E Zenone nega il movimento quando afferma: «Ciò
che si muove, non si muove né nel luogo in cui è né nel luogo in cui non è» (DK 29 B 4). E Democrito
elimina le qualità, là dove afferma: «Per convenzione esiste il freddo; per convenzione il caldo, ma in verità
esistono gli atomi e il vuoto» (νόµῳ θερµόν, νόµῳ ψυχρόν, ἐτεῇ δὲ ἄτοµα καὶ κενόν) (DK 68 B 117). E
ancora: «In verità nulla sappiamo, ché la verità è nell’abisso» (ἐτεῇ δὲ οὐδὲν ἴδµεν˙ ἐν βυθῷ γὰρ ἡ ἀλήθεια)
(DK 68 B 125). E Platone lascia la verità agli dèi e ai figli degli dèi e ricerca solo la verisimiglianza (τὸν δ’
εἰκότα λόγον ζητεῖν; cfr. Tim. 29d2, 40d, 48d2, 55a5, 56a1) (trad. M. Gigante, leggermente modificata).
T10. PH I 232-233: Arcesilao, invece, che dicevamo scolarca e fondatore dell’Accademia di mezzo, mi
sembra (µοι δοκεῖ) che senz’altro partecipi (κοινωνεῖν) ai ragionamenti dei Pirroniani, tanto da essere press’a
poco unico il suo indirizzo (ἀγωγή) e il nostro. E, infatti, non si trova che Arcesilao dichiari né la realtà
(ὕπαρξις) né la non realtà (ἀνυπαρξία) di una cosa; né preferisce una cosa all’altra in base alla credibilità o
alla mancanza di credibilità (κατὰ πίστιν ἢ ἀπιστίαν), ma sospende il giudizio su tutto (ἀλλὰ περὶ πάντων
ἐπέχει). E afferma che il fine (τέλος) è la sospensione del giudizio, con cui, noi dicevamo, subentra
l’imperturbabilità (ἀταραξία) e, inoltre, afferma che le sospensioni del giudizio particolari sono beni, mentre
sono mali gli assensi (συγκαταθέσεις) particolari. Tuttavia, qualcuno potrebbe dire che noi diciamo queste
cose in accordo con ciò che ci appare (κατὰ τὸ φαινόµενον ἡµῖν) e non recisamente (διαβεβαιωτικῶς),
[Arcesilao], invece, come se si riferisse alla natura delle cose (ὡς πρὸς τὴν φύσιν); così che egli afferma che
la sospensione del giudizio è un bene, l’assenso è un male (trad. M. Catapano).
Dogmatismo positivo
Eraclito
T11. PH I 210: Eraclito fa asserzioni dogmatiche su molte cose non evidenti (περὶ πολλῶν ἀδήλων), noi
[Scettici] invece no, come si è già detto. […] Mentre gli Scettici affermano che della stessa cosa appaiono
caratteristiche contrarie (τὰ ἐναντία), gli Eraclitei da ciò giungono alla tesi secondo cui le caratteristiche
contrarie sono realmente nella stessa cosa. Contro costoro noi diciamo che la tesi secondo cui della stessa
cosa appaiono caratteristiche contrarie non è un dogma (δόγµα) degli Scettici ma un fatto (πρᾶγµα) che cade
sotto i sensi non solo degli Scettici, ma anche degli altri filosofi e di tutti gli esseri umani (trad. M.
Catapano).
T12. Hippol. ref. IX 10 p. 243 = DK 22 B 57 = 43 M: Maestro dei più è Esiodo: credono infatti che questi
conoscesse moltissime cose, lui che non sapeva neppure cosa fossero il giorno e la notte; sono infatti
un’unica cosa (ἔστι γὰρ ἕν).
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T13. Hippol. ref. IX 9 = DK 22 B 50 = 26 M: Ascoltando non me, ma il λόγος, è saggio convenire che tutto è
uno (ἓν πάντα εἶναι).
T14. Hippol. ref. IX 10 p. 243 = DK 22 B 60 = 33 M: Una e la stessa è la via all’in su e la via all’in giù.
T15. Hippol. ref. IX 10 p. 243 = DK 22 B 67 = 77 M: Il dio è giorno notte, inverno estate, guerra pace,
sazietà fame.
T16. Hippol. ref. IX 10 p. 243 = DK 22 B 61 = 35 M: Il mare è l’acqua più pura e più impura: per i pesci
essa è potabile (πότιµον) e conserva loro la vita, per gli uomini essa è imbevibile e esiziale (trad. G.
Giannantoni).
T17. PH I 55: L’acqua marina è nauseante e velenosa per gli esseri umani che la bevono, mentre è
piacevolissima e potabile (πότιµον) per i pesci (trad. M. Catapano).
Democrito
T18. PH I 213-214: Ma dicono che anche la filosofia democritea abbia una comunanza (κοινωνία) con lo
scetticismo, poiché sembra servirsi del nostro stesso argomento (ὕλη). In effetti, partendo dal fatto che il
miele ad alcuni appare dolce, ad altri amaro, dicono che Democrito concluda (ἐπιλογίζεσθαι) che non esiste
per se stesso né il dolce né l’amaro, e per questa ragione pronuncia l’espressione “non più” (“οὐ µᾶλλον”).
Tuttavia, Scettici e Democritei usano questa espressione in maniera differente. Questi, infatti, la impiegano
nel senso che nessuno dei due fenomeni sia reale, noi, invece, nel senso che ignoriamo (ἀγνοεῖν) se l’uno o
l’altro sia reale oppure nessuno dei due. Così che anche in questo noi differiamo. Ma la distinzione più
evidente appare quando Democrito dice: “In verità, solo atomi e vuoto” (“ἐτεῇ δὲ ἄτοµα καὶ κενόν”). Dice
“ἐτεῇ” volendo dire “ἀληθείᾳ”. Credo sia superfluo dire che egli differisca da noi quando afferma che in
verità sussistono gli atomi e il vuoto, anche se prende le mosse dalla disuguaglianza (ἀνωµαλία) dei
fenomeni (trad. M. Catapano).
T19. PH II 63 = DK 68 A 134: In effetti, dal fatto che il miele appaia agli uni amaro, agli altri dolce,
Democrito affermava che esso non è né dolce, né amaro, ed Eraclito che è l’uno e l’altro (trad. M. Catapano).
T20. M VII 135 = DK 68 B 9: Democrito a volte elimina le cose che appaiono ai sensi (ἀναιρεῖ τὰ φαινόµενα
ταῖς αἰσθήσεσι) e asserisce che nessuna di queste appare secondo verità (ἀλήθεια) ma solo secondo opinione
(δόξα), e che il vero nelle cose risulta essere l’esistenza degli atomi e del vuoto (trad. M. Catapano).
BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
R. J. Hankinson, The Sceptics, London/New York 1998, Routledge.
A. M. Ioppolo, La testimonianza di Sesto Empirico sull’Accademia scettica, Napoli 2009,
Bibliopolis.
K. Janáček, Αἱ παρακείµεναι (sc. τῇ σκέψει) φιλοσοφίαι. Bemerkungen zu Sextus Empiricus, PH I
210-241, in Id., Studien zu Sextus Empiricus, Diogenes Laertius und zur pyrrhonischen Skepsis,
Berlin/New York 2008, Walter de Gruyter, pp. 225-231.
E. Spinelli, Questioni scettiche, Roma 2005, Lithos,
(http://scholarlysource.daphnet.org/index.php/DDL/issue/view/18).
E. Spinelli, Sextus Empiricus, the Neighbouring Philosophies and the Sceptical Tradition (again on
Pyr. I 220-225), in J. Sihvola (ed.), Ancient Scepticism and the Sceptical Tradition, «Acta
Philosophica Fennica» 66, Helsinki 2000, pp. 35-62.
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