BIODIVERSITÀ MASSIMO RINALDI CERONI, ROBERTO RINALDI CERONI BIODIVERSITÀ 37 Il tarassaco Umile ma virtuoso Si utilizzano il fiore, la foglia e la radice per depurare l’organismo ed è attivo soprattutto sul fegato. Pianta molto diffusa ma poco utilizzata, chi impara a conoscere le sue virtù saprà apprezzarla: rinforza la resistenza del corpo alle infezioni, migliora la coagulazione del sangue e ripulisce i condotti linfatici. Massimo Rinaldi Ceroni, Roberto Rinaldi Ceroni non solo ricette Insalata di tarassaco - Il sapore amaro delle foglie è gradevole se queste vengono raccolte prima che la pianta fiorisca e possono essere unite a foglie di lattuga, condite con olio di oliva, sale, succo di limone, aglio e prezzemolo finemente tritati. In forma curativa - Diverse sono le proprietà attribuite al tarassaco (stomachico, depurativo e diuretico), conosciute in erboristeria e proposte nei vari derivati, capsule, tinture, compresse. La medicina popolare raccomanda alle persone con problemi gastrointestinali di mangiare 5 fiori di tarassaco venti minuti prima dei pasti, masticandoli attentamente. Capace di fornire una bella scorta di ferro, calcio, iodio e fosforo, è una buona soluzione per i problemi a denti, ossa e articolazioni: basta mangiare a stomaco vuoto 10 petali freschi di tarassaco. Per di più, lo si può riscontrare come ingrediente in diversi rimedi per curare il sistema nervoso e quello cardiovascolare, contiene infatti grandi quantità di magnesio. Un infuso di radici di tarassaco è usato nella medicina popolare per curare l’acne, la foruncolosi e l’arteriosclerosi. Risolve anche i problemi alla tiroide: basta arricchire il proprio menu con un’insalata a base di tarassaco. I n Italia lo si conosce come soffione, dente di leone o anche piscialetto alludendo alle sue proprietà diuretiche. Linneo, a metà del settecento, lo battezzò Taraxacum officinalis. La prima parola, il genere botanico, deriva dal mondo arabo che già dal X secolo conosceva e utilizzava questa pianta, mentre il nome della specie, officinalis, Linneo gliela attribuisce perché si impiegava nelle farmacie che a quel tempo si chiamavano officine. Umile e rustica pianta erbacea che cresce nei prati e negli incolti, ai bordi delle strade, dei boschi o dei corsi d’acqua dalla pianura fino alla montagna è riconoscibilissima per la bella infiorescenza gialla tipica della famiglia delle Asteracee chiamata capolino. Se si guarda bene però ognuno di quelli che a noi sembrano petali in realtà sono piccoli fiori. Dopo essere stati impollinati dagli insetti ciascuno forma verso l’esterno un piccolo paracadute che agevola col vento la dispersione del seme quando poi si stacca dal capolino. Del tarassaco si utilizzano la radice, le foglie e i fiori. La radice è un fittone che nelle piante di qualche anno, specie su terreni soffici, raggiunge anche i 15/20 centimetri di lunghezza. Si raccoglie quando la pianta è in riposo vegetativo cioè a partire dall’autunno. Si utilizzava in decozione per via orale come tonico nelle attività del fegato. Oggi sul mercato sono presenti tinture, compresse e capsule. Le foglie, dalla caratteristica dentellatura dei margini con lobi molto incisi (da cui il nome comune di dente di leone), si cominciano a utilizzare in primavera fino alla piena fioritura quando diventano molto dure. Si consumano fresche in misticanze o lessate insieme alle comuni bietole e spinaci. Sono ricche di fibra, di sali minerali e di sostanze amare che aiutano i processi digestivi. Con le infiorescenze si fa uno sciroppo dal gusto intenso e leggermente amarognolo. Ci vogliono 200 grammi di capolini raccolti in piena fioritura. Se non si ama il gusto amarognolo allora conviene tagliare tutto il calice prima di metterli insieme a un limone tagliato in 4 spicchi, qualche chiodo di garofano e 1 litro d’acqua a bollire lentamente per un’oretta in una pentola d’acciaio. Dopo averlo raffreddato si filtra, si aggiunge mezzo chilo di zucchero e si lascia bollire sempre lentamente per un’ora circa a seconda della densità voluta. Si imbottiglia sterilizzando in contenitore e una volta aperto per l’uso va tenuto in frigo: c’è molto lavoro ma ne vale la pena. Un’altra ricetta del tarassaco in cucina è l’antipasto di capolini in aceto. Ricetta laboriosa ma di grande gratificazione. Si raccolgono i capolini ancora chiusi poco prima della fioritura. Si sbollentano un attimo in acqua, sale e un po’ di aceto di vino. Si asciugano bene e si dispongono in vasetti appena pressati coperti da olio di semi. Abbiamo detto che il tarassaco è una pianta che cresce un po’ dappertutto e proprio per questo occorre attenzione nel raccoglierlo lontano da fonti di inquinamento come strade, frutteti e campi dove si praticano trattamenti alle colture. Si può anche coltivare facilmente in giardino, nell’orto o addirittura in qualche fioriera un po’ capiente. Massimo Rinaldi Ceroni Dottore Agronomo con specializzazione universitaria in Fitopatologia ed in Erboristeria, Istituto Agrario di Faenza (RA) 40 BIODIVERSITÀ MASSIMO RINALDI CERONI, ROBERTO RINALDI CERONI