La sindrome linfoproliferativa autoimmune: basi molecolari e fenotipo clinico della malattia Fabio Cardinale* Maria S. Loffredo* ** Iolanda Chinellato* Riccardina Tesse* Fernanda Cristofori* Francesca Di Domenico* Felicia Mastrototaro* Annarita Cappiello* Lucio Armenio* Clinica Pediatrica “S. Maggiore”, Dipartimento di Biomedicina dell’Età Evolutiva, A.O. Policlinico, Università di Bari; ** INSERM Unité 768, Hôpital Necker “Enfantes-Malades”, Parigi * [email protected] Introduzione Descritta per la prima volta all’incirca 40 anni or sono da Canale e Smith 1, da cui la denominazione anche di Canale-Smith Syndrome, la sindrome linfoproliferativa autoimmune (ALPS) rappresenta la prima malattia descritta nell’uomo eziologicamente correlata ad un difetto primitivo dell’apoptosi linfocitaria. Il termine apoptosi (dal greco απoπτώσις, ovvero απo- per allontanamento e -πτώσις per caduta), in riferimento alla caduta programmata delle foglie durante l’autunno, indica il processo di eliminazione selettiva delle cellule anormali e/o delle cellule divenute inutili durante l’embriogenesi e svolge, dunque, il ruolo essenziale di garante del mantenimento dell’omeostasi cellulare e dei meccanismi della tolleranza immunologica. Patogenesi L’apoptosi può essere indotta attraverso differenti stimoli, quali esposizione a radiazioni ionizzanti, composti chimici o farmaci, allontanamento di fattori di crescita (cytokines withdrawal) o attivazione di recettori altamente specializzati 2, denominati recettori di morte o, in lingua anglosassone, death receptors. I death receptors costituiscono un sottogruppo della superfamiglia dei recettori del TNF (Tumor Necrosis Factor). Questi recettori partecipano a differenti tappe di controllo dello sviluppo e della regolazione del sistema immunitario e la loro attivazione conduce ad alcuni processi cellulari che si realizzano nel contesto della proliferazione, della sopravvivenza e della differenziazione cellulare, oltre che dell’apoptosi. Tra i 26 membri che compongono questa superfamiglia, soltanto otto di essi contengono un dominio intracitoplasmatico, denominato Death Domain (DD), che assicura l’interazione con proteine intracellulari indispensabili per l’attivazione della via del segnale che conduce all’apoptosi. Nell’ambito del sottogruppo dei death receptors, il recettore FAS riveste un ruolo essenziale nell’eziopatogenesi dell’ALPS. Brevemente, in seguito all’interazione del recettore di membrana FAS con il suo ligando, denominato FAS-ligando (Fig. 1), si realizzano delle modificazioni strutturali a carico del DD di FAS che consentono l’associazione di quest’ultimo con il DD di altri recettori viciniori, la successiva trimerizzazione di FAS a livello della membrana cellulare e la sua internalizzazione attraverso un meccanismo di endocitosi. Quest’ultima fase rappresenta uno step critico 3 per la successiva formazione ottimale di un complesso intracellulare multimolecolare denominato Death InduRivista di Immunologia e Allergologia Pediatrica • 02/2008 • 23-31 23 FIG. 1. Signaling pathway dell’apoptosi attivato dal recettore FAS (da Lee et al., 2006 3, mod.). cing Signaling Complex (DISC) 4. Questo complesso è formato da una molecola adattatrice, FADD (Fas-Associating protein with Death Domain o MORT-1), capace di interagire attraverso la sua porzione C-terminale con il DD di FAS. FADD contiene un secondo dominio d’interazione proteico, denominato Death Effector Domain (DED) 5, che consente il reclutamento delle molecole procaspasi-8, procaspasi-10 e FLIP 6. Le procaspasi-8 e -10 sono delle cisteinproteasi appartenenti alla famiglia delle caspasi, generalmente presenti nel citoplasma sotto forma di proenzimi, i quali, attraverso sequenziali clivaggi proteolitici, possono autoattivarsi nel contesto del DISC 7 e indurre l’apoptosi. La molecola FLIP svolge un ruolo regolatore; esso, infatti, stabilizza il DISC e può anche inibire l’attivazione delle procaspasi 8 9. Classificazione I meccanismi molecolari sottostanti l’ALPS sono stati per la prima volta messi in luce nel 1995, epoca in cui Rieux-Laucat e Fischer 10 11 hanno dimostrato la presenza di mutazioni a carico del gene FAS in pazienti con deficit dell’apoptosi. Successivamente è stato dimo- 24 strato il ruolo eziopatogenetico anche di altri geni coinvolti nella via del segnale dell’apoptosi, quali FAS-ligando e le caspasi-8 e -10. Attualmente, pertanto, sulla base del difetto molecolare e della presenza o meno di un deficit dell’apoptosi linfocitaria mediata dal recettore FAS, l’ALPS viene classificata in cinque sottogruppi (Fig. 2) 12: • ALPS di tipo O conseguente a mutazioni omozigoti del gene FAS associate ad un deficit dell’apoptosi generalmente di grado severo; • ALPS di tipo Ia conseguente a mutazioni eterozigoti del gene FAS associate ad un deficit dell’apoptosi di grado moderato; • ALPS di tipo Ib conseguente a mutazioni del gene FAS-ligando in assenza di un deficit di apoptosi; • ALPS di tipo II caratterizzata da mutazioni a carico di altri geni coinvolti nel signaling pathway mediato da FAS, quali FADD, caspasi-8 e -10, associate ad un deficit dell’apoptosi generalmente di grado lieve-moderato; • ALPS di tipo III, in cui i pazienti presentano una sequenza wild-type dei geni con ruolo noto nell’ALPS ed un test dell’apoptosi nella norma. La sindrome linfoproliferativa autoimmune: basi molecolari e fenotipo clinico della malattia FIG. 2. Difetti molecolari associati ai singoli sottogruppi dell’ALPS. Più recentemente è stato identificato un nuovo sottogruppo, denominato ALPS di tipo Im 13, in quanto caratterizzato da una condizione di mosaicismo dell’espressione del gene FAS, derivante dalla coesistenza nello stesso paziente di alcune popolazioni di cellule ematopoietiche portatrici di un gene FAS mutato e di altri tipi cellulari e/o tessuti in cui il gene FAS risulta essere wild-type. L’espressività clinica dei difetti molecolari alla base di ciascun sottogruppo sarà discussa oltre. Epidemiologia L’ALPS rappresenta una condizione rara, osservata in individui di entrambi i sessi e razze diverse, sulla cui incidenza ancora oggi non esistono stime definitive. Infatti, soltanto negli ultimi anni si è giunti ad una accurata definizione delle basi molecolari e del fenotipo clinico di quest’affezione, da cui la difficile stima della reale frequenza nella popolazione generale. Molti casi descritti in passato 1 14-17 di sindrome linfoproliferativa idiopatica, spesso associata a fenomeni di autoimmunità, sono stati successivamente diagnosticati come ALPS in virtù del riscontro di mutazioni a carico del recettore FAS. Inoltre, gli stessi difetti molecolari ad oggi riconosciuti responsabili dell’ALPS presentano una penetranza clinica estremamente variabile e, pertanto, lo spettro delle manifestazioni cliniche, immunologiche ed ematologiche presenti negli individui affetti può passare da un quadro clinico quasi silente ad uno assai severo con esordio nelle prime epoche di vita. Fenotipo clinico La triade clinica patognomonica dell’ALPS è costituita dalla coesistenza di: a)sindrome linfoproliferativa; b)citopenia autoimmune; c)aumentata suscettibilità a neoplasie maligne. La sindrome linfoproliferativa autoimmune: basi molecolari e fenotipo clinico della malattia 25 a) La sindrome linfoproliferativa rappresenta la manifestazione clinica più importante nei pazienti affetti da ALPS (Fig. 3) ed esordisce generalmente già nei primi 5 anni di vita. In alcuni casi di maggiore severità essa può addirittura essere presente già alla nascita, indicando uno sviluppo della malattia in epoca prenatale. Tale sindrome si caratterizza principalmente per la presenza di una splenomegalia di proporzioni variabili da un paziente all’altro, da massiva (talora fino alla regione pelvica, con distensione della parete addominale) a moderata e con andamento tipicamente fluttuante nel singolo individuo affetto; in genere essa persiste indefinitamente nei pazienti non sottoposti a splenectomia, intervento questo a cui vengono sottoposti quasi tutti i pazienti nel corso degli anni a causa delle frequenti complicanze secondarie (ipersplenismo, elevato rischio di rottura traumatica della milza, ecc.) 18. In alcuni casi è possibile osservare anche un’epatomegalia di grado lieve-moderato, generalmente non associata ad alterazioni degli indici di funzionalità epatica. Le linfoadenopatie sono tipicamente multifocali (laterocervicali, ascellari, epitrocleari, preauricolari, sottomandibolari, epitrocleari, inguinali e, più raramente, anche mediastinici e retroperitoneali) e presentano dimensioni variabili nel tempo; esse, infatti, possono andare incontro ad involuzione spontanea, divenendo pressoché impalpabili nel corso dell’adolescenza e dell’età adulta, oppure possono in breve tempo divenire talmente voluminose da modificare il profilo anatomico del paziente (Fig. 3) 18. b) L’autoimmunità è, per definizione, universale nell’ALPS e la sua reale incidenza è probabilmente sottostimata, in virtù della impossibilità di ricercare nei pazienti affetti tutti gli autoanticorpi potenzialmente implicati nella patogenesi della malattia, oltre che per la estrema variabilità di esordio del quadro clinico, spesso silente durante tutta l’infanzia e l’adolescenza dell’individuo affetto. Complessivamente, le manifestazioni autoimmuni (Fig. 4) sono state riscontrate nel 70% dei casi diagnosticati di ALPS, con più frequente interessamento della linea eritropoietica. L’anemia emolitica autoimmune Coombs-positiva rappresenta, infatti, il quadro clinico di più frequente riscontro, seguita dalla trombocitopenia immuno-mediata, con valori di piastrine talvolta inferiori a 10.000/μl, e dalla neutrope- 26 FIG. 3. Segni clinici dell’ALPS. La splenomegalia (A) e le linfoadenopatie (B) sono facilmente rilevabili. nia autoimmune. In numerosi pazienti è stata, tra l’altro, evidenziata la presenza di anticorpi anti-cardiolipina e anti-neutrofili, senza, tuttavia, alcuna correlazione con il rischio di sviluppare complicanze trombotiche o infettive 19. Nel 1997 è stato descritto per la prima volta da Sneller et al. 20 un caso severo di poliradicolonevrite (sindrome di Guillain-Barré); manifestazioni meno frequenti sono anche la glomerulonefrite, l’uveite, l’artrite, l’epatite, il diabete e i rash cutanei di tipo orticarioide. c) L’elevato rischio di sviluppare nel corso degli anni neoplasie maligne rappresenta la principale causa di morte nell’ALPS. In particolare, uno studio condotto c/o il National Institutes of Health (NIH) statunitense su una popolazione di 100 individui, appartenenti a 26 famiglie, tutti portatori di mutazioni a carico del gene FAS, avrebbe dimostrato in questi soggetti la presenza di un rischio significativamente maggiore di sviluppare linfomi rispetto alla popolazione generale; più precisamente, in presenza di mutazioni localizzate nel DD del recettore FAS, ovvero della regione critica per l’attivazione della cascata apoptotica, il paziente avrebbe un rischio 14 volte superiore di sviluppare un linfoma non-Hodgkin e 51 volte superiore di andare incontro ad un linfoma di Hodgkin. L’età media di sopravvivenza in questi individui è stata di 28 La sindrome linfoproliferativa autoimmune: basi molecolari e fenotipo clinico della malattia FIG. 4. Frequenza delle manifestazioni autoimmuni (da Worth et al., 2006 12, mod.). anni 21. Il rischio di complicanze neoplastiche aumenterebbe con l’avanzare dell’età del soggetto, come dimostrato dal caso di un paziente che nel corso della propria vita ha sperimentato due differenti linfomi 21. Sotto il profilo terapeutico, il trattamento e la risposta alla terapia nei linfomi associati all’ALPS risulta essere sovrapponibile a quello dei pazienti non affetti da ALPS 21. È di un certo interesse il riscontro in alcuni pazienti in età pediatrica e adulta affetti da leucemie o linfomi a cellule T di mutazioni somatiche a carico del gene FAS e della caspasi-10, sottolineando il probabile ruolo di questi ultimi come geni oncosoppressori 22. Caratteristiche immunologiche e di laboratorio Le principali caratteristiche immunologiche e di laboratorio dei pazienti affetti da ALPS sono schematicamente riportate nella Tabella I. In questo paragrafo ci soffermeremo soltanto su alcuni aspetti universalmente ritenuti fondamentali per la diagnosi di ALPS, ovvero l’incremento percentuale delle Double Negative T cells (DNTCs) nel sangue periferico, l’elevazione nel siero dei livelli di FAS-ligando solubile (sFAS-ligando) e interleuchina-10 (IL-10) e, infine, la presenza di un deficit dell’apoptosi linfocitaria. La presenza di una popolazione policlonale di linfociti T CD4- CD8- TCRαβ+, denominata DNTCs, rappresenta una caratteristica fenotipica piuttosto costante nell’ALPS. Nei soggetti affetti la percentuale di DNTCs può variare comunque dall’1 fino al 60% della popolazione totale di linfociti T-αβ, contrariamente ai soggetti normali, nei quali si rinvengono generalmente valori inferiori al 2%. Nel 2001, in particolare, Blessing et al. 23 hanno meglio definito il fenotipo di questa sottopopolazione linfocitaria periferica. Si tratta di linfociti T, i quali esprimono il CD3, i marcatori di attivazione CD69 e HLA-DR, e il CD45RA; al contrario, essi non esprimono tanto il CD4 e il CD8, quanto il marcatore CD45 RO. Il ruolo preciso delle DNTCs non è ancor oggi chiaro e, in particolare, nessuna correlazione è stata riscontrata tra livello di DNTCs nel sangue circolante e severità della sindrome. I pazienti affetti da ALPS presentano, inoltre, una tipica polarizzazione di tipo T-helper-2 (Th2) del profilo citochinico linfocitario 24. Essi, infatti, presentano in genere un alterato rilascio in vitro delle citochine di tipo Th1 (es. IL-2, IL-12 e INF-γ) e aumentati livelli di citochine di tipo Th2 (es, IL-4, IL-5, IL-10) 24. In particolare, in studi più recenti, sono stati riportati livelli molto elevati di IL-10 nel siero e nei tessuti linfoidi degli individui affetti. A conferma di ciò sono stati riscontrati elevati livelli anche di RNA messaggero (mRNA) dell’IL-10 nei tessuti, nelle cellule mononucleate del sangue periferico (PBMCs) e, in maniera più marcata, nelle DNTCs, in correlazione con la severità della malattia 25. Sembra probabile, dunque, che la sovraespressione di questa citochina svolga un ruolo importante nel promuovere l’espressione clinica dell’ALPS negli individui con deficit dell’apoptosi linfocitaria 24 25. La sindrome linfoproliferativa autoimmune: basi molecolari e fenotipo clinico della malattia 27 Tab. I. Caratteristiche immunologiche e di laboratorio tipiche dell’ALPS; in grassetto gli elementi ritenuti di maggior rilievo per la diagnosi. Caratteristiche immunologiche e di laboratorio dell’ALPS Linfociti Relativa o assoluta linfocitosi con coinvolgimento dei linfociti T e B Elevati livelli di linfociti T TCR αβ+CD4-CD8- (DNTCs > 2%) Elevati livelli di cellule HLA DR- e CD57+ Deficit dell’apoptosi al test in vitro su colture di linfociti attivati Granulociti Neutropenia Eosinofilia Immunoglobuline Elevati livelli di IgG, IgA e/o IgM Autoimmunità Autoanticorpi anti-eritrociti, anti-piastrine, anti-neutrofili, ecc. Fattori solubili nel siero Elevati livelli di IL-10 nel siero Elevati livelli di sFas-L nel siero (> 2 ng/mL) Lo studio funzionale dei linfociti viene eseguito attraverso il test dell’apoptosi. Quest’ultimo viene effettuato su popolazioni di cellule mononucleate del sangue periferico (ottenute previa separazione mediante Ficoll) stimolate inizialmente con fitoemoagglutinina (PHA) e poi mantenute in coltura, per complessivi 9 giorni, con l’aggiunta di IL2. Le cellule T attivate vengono infine incubate con un anticorpo monoclonale anti-FAS (APO-1), così da rilevare in citofluorimetria la percentuale di linfociti che vanno incontro ad apoptosi. Iter diagnostico In sintesi, in presenza di un paziente con quadro clinico suggestivo di ALPS, sarà necessario valutare: 1. il valore percentuale delle DNTCs nel sangue periferico; 2. i livelli di sFAS-ligando nel siero; 3. la presenza di un deficit dell’apoptosi linfocitaria. Può essere utile, eventualmente, anche determinare i livelli di IL-10 nel siero. In presenza di valori patologici, la diagnosi di conferma deriverà dall’eventuale riscontro, con l’analisi molecolare, di mutazioni a carico di FAS o degli altri geni coinvolti nella cascata apoptotica. Descrizione dei singoli sottotipi di ALPS In questo paragrafo cercheremo di illustrare 28 schematicamente le caratteristiche di ciascuna forma di ALPS attraverso, laddove possibile, la descrizione di alcuni casi clinici. ALPS di tipo 0 Questa categoria raggruppa i pazienti portatori di mutazioni omozigoti nulle del gene codificante per la proteina FAS, ovvero di mutazioni responsabili di un’assenza completa di espressione del recettore alla superficie dei linfociti T attivati e di una resistenza completa all’apoptosi indotta da FAS. I pazienti affetti presentano un fenotipo clinico estremamente severo, con esordio in epoca prenatale. Per tale ragione essi, in genere, sopravvivono soltanto se sottoposti a trapianto di midollo osseo. Il primo caso di ALPS 0 è stato descritto nel 1995 da Rieux-Laucat et al. 11. Il paziente, nato da una coppia di genitori consanguinei, presentava già nella seconda settimana di vita una sindrome linfoproliferativa severa con epatosplenomegalia massiva (Fig. 5) associata a disordini autoimmuni, ovvero anemia emolitica, neutropenia e trombocitopenia. Una percentuale superiore al 70% dei linfociti periferici presentava nel piccolo paziente un fenotipo CD4-CD8- TCRαβ+ e lo studio funzionale dell’apoptosi (Fig. 6) dimostrava la presenza di un difetto funzionale e di espressione della proteina FAS di grado severo. L’analisi molecolare confermava infine la diagnosi di ALPS di tipo 0 grazie alla dimostrazione della presenza di una mutazione omozigote rappresentata da un’ampia delezione di 290 paia di basi nella regione codificante per il DD di FAS. Entrambi i genitori risultavano portatori della La sindrome linfoproliferativa autoimmune: basi molecolari e fenotipo clinico della malattia medesima mutazione in eterozigosi. Successivamente il paziente veniva sottoposto a trapianto di midollo osseo, a causa della scarsa risposta al trattamento con corticosteroidi. ALPS di tipo I ALPS Ia. Nell’ambito delle forme di ALPS con difetto molecolare noto l’ALPS Ia rappresenta senza dubbio la forma più frequente. Ad oggi sono circa un centinaio i casi di pazienti risultati portatori di mutazioni eterozigoti del gene FAS 21 23 26. Queste mutazioni determinano un’alterazione funzionale di FAS, da cui deriva un deficit moderato di espressione del recettore sulla membrana cellulare, associato ad un deficit di apoptosi di grado generalmente da lieve a moderato. Tali mutazioni possono essere rinvenute su tutta la lunghezza della sequenza codificante di FAS, sebbene esse si localizzino con maggiore frequenza (60%) nell’esone 8 e nell’esone 9, il quale codifica per il death domain del recettore 3 27 29. ALPS Ib. Fino ad oggi sono stati descritti in letteratura soltanto 3 casi di questa forma. In uno di essi il quadro clinico di esordio è stato quello di una sindrome linfoproliferativa cronica associata a manifestazioni di LES; l’analisi di mutazione per il gene FAS è risultata normale, mentre è stata riscontrata una delezione eterozigote di 84 paia di basi del gene codificante per FAS-ligando 30. In questa forma, ovviamente, lo studio dell’apoptosi linfocitaria mediata da FAS risulta normale, in virtù dell’esclusivo coinvolgimento del FAS-ligando e non del suo recettore FAS. ALPS di tipo II In questo sottogruppo rientrano alcuni pazienti, i quali, pur in presenza di una sequenza wild-type sia del recettore FAS che del suo ligando, mostrano un deficit dell’apoptosi linfocitaria. Il difetto molecolare sottostante l’ALPS II interessa, infatti, geni codificanti per proteine che agiscono a valle della via del segnale attivata da FAS. Nel 1999 Wang et al. 31 hanno per la prima volta dimostrato in due pazienti affetti da ALPS la presenza di una forma mutata del gene codificante per la caspasi-10, la quale svolge un ruolo fondamentale per la formazione del complesso multi-molecolare (DISC), che si genera a valle del recettore FAS, e, dunque, per la trasmissione del segnale apoptotico. Tuttavia altre molecole che partecipano alla via del FIG. 5. TAC addome in paziente affetto da ALPS 0. segnale dell’apoptosi (es. DAXX o Death Domain Associated protein) potrebbero essere responsabili del fenotipo II. ALPS III I pazienti raggruppati in questo sottotipo, presentano un fenotipo clinico piuttosto sfumato (es. manifestazioni autoimmuni isolate) e spesso ad esordio tardivo; l’analisi di mutazione risulta normale per i geni con ruolo noto nella genesi delle varie forme di ALPS e il test dell’apoptosi linfocitaria indotta da FAS è sovrapponibile a quello ottenuto in un soggetto sano. È alquanto plausibile, dunque, ipotizzare il ruolo di geni coinvolti in un pathway dell’apoptosi linfocitaria attivato da death receptors differenti da FAS. FIG. 6. Studio funzionale dell’apoptosi in paziente ALPS 0 e in individuo di controllo. La sindrome linfoproliferativa autoimmune: basi molecolari e fenotipo clinico della malattia 29 Trattamento ed evoluzione clinica Nella maggior parte dei casi di grado lieve-moderato, le manifestazioni cliniche non giustificano un trattamento a lungo termine. Nei casi di maggiore severità, la natura dei sintomi deve guidare nella scelta dell’atteggiamento terapeutico più appropriato. La terapia con glucocorticoidi, farmaci citotossici, quali metotrexate, 6-mercaptopurina o citosina arabinoside, e con le immunoglobuline per via endovenosa consente generalmente di ottenere un transitorio miglioramento clinico della sindrome linfoproliferativa e delle manifestazioni autoimmuni. Nel 2002 è stato pubblicato uno studio condotto su 2 pazienti affetti da ALPS di tipo Ia e 5 affetti da ALPS di tipo III, tutti di nazionalità belga 32. Gli autori hanno dimostrato che in seguito al trattamento con Fansidar, un’associazione di due farmaci classificati come anti-folati, rappresentati più precisamente da sulfadossina e pirimetamina, generalmente utilizzati nella terapia della malaria, 6 pazienti su 7 hanno riportato una reversione del deficit dell’apoptosi linfocitaria precedentemente osservato e un significativo miglioramento clinico con progressiva regressione delle linfoadenopatie e normalizzazione della conta leucocitaria (riduzione dei linfociti del sangue periferico e modesto incremento dei neutrofili); inoltre l’interruzione del trattamento in 2 pazienti non ha comportato una ripresa dei sintomi. Il Fansidar sembrerebbe capace di indurre l’apoptosi nei linfociti attivati attraverso l’attivazione del pathway mitocondriale dell’apoptosi 32 33. Tuttavia studi a lungo termine sono necessari per ben definire l’efficacia di questo farmaco. La splenectomia rappresenta la scelta terapeutica di elezione in caso di ipersplenismo. Infine in casi gravi e refrattari ad ogni trattamento farmacologico, si può ricorrere al trapianto di midollo osseo allogenico, il quale ha consentito in alcuni pazienti di ottenere una correzione del deficit funzionale di FAS e la scomparsa delle manifestazioni cliniche e biologiche tipiche di questa patologia 34 35. Il follow-up a lungo termine eseguito in pazienti affetti da ALPS ha consentito di dimostrare che, nei casi di severità lieve-moderata, la sindrome linfoproliferativa tende a regredire nel corso del tempo fino a scomparire completamente in età adulta 36. Inoltre, è interessante notare come sia stata riportata in alcuni pazienti una diminuzione paradossale 30 delle dimensioni dei linfonodi in corso di episodi infettivi intercorrenti, probabilmente a seguito della attivazione di altre vie dell’apoptosi, attraverso le quali le cellule in attiva proliferazione sarebbero eliminate 1. L’ipergammaglobulinemia e il tasso di linfociti T DN tendono a rimanere stabili nel corso del tempo. Le manifestazioni autoimmuni, infine, sono generalmente ben controllate con il trattamento terapeutico su riportato. Bibliografia Canale VC, Smith CH. Chronic lymphadenopathy simulating malignant lymphoma. J Pediatr 1967;70:891-9. 2 Jacobson MD, Weil M, Raff MC. Programmed cell death in animal development. Cell 1997;88:347-54. 3 Lee KH, Feig C, Tchikov V, Schickel R, Hallas C, Schütze S, et al. The role of receptor internalization in CD95 signaling. EMBO J 2006;25:1009-23. 4 Peter ME, Krammer PH. The CD95 (APO-1/ Fas) DISC and beyond. Cell Death Differ 2003;10:26-35. 5 Chinnaiyan AM, O’Rourke K, Tewari M, Dixit VM. FADD, a novel death domain-containing protein, interacts with the death domains of Fas and initiates apoptosis. Cell 1995;81:505-12. 6 Fernandez-Alnemri T, Armstrong RC, Krebs J, Srinivasula SM, Wang L, Bullrich F, et al. 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