Treuenbrietzen 23 Aprile 1945 Treuenbrietzen 23 aprile 1945 Memoria di una Strage La tragedia degli Internati Militari Italiani in Germania Patrizia Donà Treviso 2012 Treuenbrietzen 23 Aprile 1945 La tragedia degli Internati Militari Italiani in Germania copyright © 2012 Patrizia Donà 1° edizione 2012 Editrice Storica Treviso Grafica e impaginazione di Stefano Gambarotto L'editore ha effettuato ogni possibile ricerca nel tentativo di individuare eventuali soggetti titolari di copyright relativi alle immagini che illustrano il presente volume ed è a disposizione degli aventi diritto. Editrice Storica è un marchio di proprietà di ISTRIT Istituto per la Storia del Risorgimento Italiano - Comitato di Treviso Via Sant'Ambrogio di Fiera, 60 31100 - TREVISO [email protected] [email protected] ISBN 978-88-96674-11-6 Internati Militari Italiani in una foto tedesca. Bundesarchiv. Italienische Militär-Internierten Gli schiavi di Hitler «Il governo italiano, riconosciuta l'impossibilità di continuare l'impari lotta contro la soverchiante potenza avversaria, nell'intento di risparmiare ulteriori e più gravi sciagure alla Nazione ha chiesto un armistizio al generale Eisenhower, comandante in capo delle forze alleate anglo-americane. La richiesta è stata accolta. Conseguentemente, ogni atto di ostilità contro le forze anglo-americane deve cessare da parte delle forze italiane in ogni luogo. Esse però reagiranno ad eventuali attacchi da qualsiasi altra provenienza ». Sono le 19.42 di mercoledì 8 settembre 1943, quando dai microfoni dell’EIAR, la voce del maresciallo Pietro Badoglio, diffonde nelle case e nelle piazze l’annuncio dell’Armistizio. Molti equivocano il significato di quelle parole, abbandonandosi all’illusione che la guerra sia finita. Il re e i suoi familiari hanno lasciato Roma per raggiungere gli angloamericani. Il vuoto sembra travolgere tutto. Prive di ordini chiari, le forze armate collassano. Il Paese è allo sbando. I soli che non si fanno cogliere di sorpresa sono i tedeschi che da tempo hanno fiutato nell’aria il cambio del vento. Fin dal maggio del 1943 infatti, Hitler e i suoi comandi hanno allo studio una serie di iniziative, che poi si concretizzano nell’Operazione Achse, destinata a scattare in caso di caduta del fascismo e di uscita dell’Italia dalla guerra. Il piano prevede la rapida occupazione militare della penisola e la neutralizzazione di tutte le forze italiane operanti sullo scacchiere mediterraneo. Scrive Gehrard Schreiber: Dal diario di guerra del Comando Supremo della Wehrmacht risulta che già il 28 luglio 1943 – nell’ambito della preparazione delle contromisure tedesche per l’eventualità dell’uscita dalla guerra dell’Italia – era previsto il disarmo e l’internamento degli appartenenti alle Forze Armate italiane e alla Milizia fascista.1 Ancora l’8 settembre 1943 si può leggere in un ordine del Comando Supremo della Wehrmacht riguardante il contegno da assumere nei confronti degli italiani nel quadro del «disposto dissolvimento» delle Forze Armate del Paese: i «militari italiani saranno internati, sino a quando non si deciderà il 1 Kriegstagebuch des Oberkommandos der Wehrmacht (Wehrmachtführungsstab), Band III: 1. Januar 1943 – 31 Dezember 1943. Zusammengestellt und erlautert von Walther Hubatsch, Zweiter halbband, Bernard und Graefe Verlag fur Wehrwesen, Frankfurt am Main 1963, p.850. 7 loro rilascio.2 Però il giorno dopo lo stesso Comando Supremo emanò una direttiva, sul trattamento dei soldati italiani che si trovavano nelle zone controllate dai tedeschi, che stabiliva: i «soldati italiani che non siano disposti a continuare la lotta al fianco dei tedeschi devono essere disarmati e considerati quali prigionieri di guerra».3 Ciò significava che il Comando Supremo della Wehrmacht cambiò il 9 settembre la terminologia, fino allora ufficiale; e di conseguenza, nelle sue «direttive di massima per il trattamento degli appartenenti alle forze armate e alla milizia» del 15 settembe, questo Comando ordinò in modo vincolante che tutti gli italiani disarmati e non disposti a continuare la lotta al fianco dei tedeschi venissero considerati «prigionieri di guerra».4 Ma soltanto cinque giorni dopo vi fu un cambiamento perché Hitler dispose che i «prigionieri di guerra italiani» dovevano essere denominati «internati militari italiani». Le direttive di massima del 15 settembre andavano corrette in tal senso.5 Nel testo originale si può leggere: «Per ordine del Führer e con effetto immediato, i prigionieri di guerra italiani non devono essere più indicati come tali, bensì con il termine di ‘internati militari italiani’. Nell’ordine di riferimento le parole ‘prigionieri di guerra’ devono pertanto essere sostituite con la suddetta nuova denominazione.» In seguito fu incaricato l’Ambasciatore Rahn «di avvisare con la dovuta forma il Duce che, per ordine del Führer, i prigionieri di guerra italiani non sarebbero stati più denominati prigionieri, bensì internati militari».6 Il termine scelto da Hitler si riferiva ad una categoria di militari, riconosciuta dal diritto internazionale ma non considerate dalla Convenzione di Ginevra sul trattamento dei prigionieri di guerra (27 luglio 1929). I membri di questa categoria, in determinate circostanze, venivano trattati secondo direttive particolari. Questo non poteva però essere valido per gli italiani catturati dai tedeschi, dato il fatto che tali direttive erano previste soltanto per i casi di internamento di militari di uno stato combattente in un paese neutrale: e la Germania di Hitler non era certo un paese neutrale.7 Stabilire con certezza Internati Militari Italiani prigionieri nel campo di Sandbostel. Archivio Vittorio Vialli 2 Archivio dell’Istituto di Storia contemporanea di Monaco, MA 240, 55518735-737: OKW/WFSt/Qu Nr. 662242/43 g.kdos. Chefs., F.H.Qu., den 8.9.1943. 3 Archivio Federale – Archivio Militare di Friburgo, RW 4/v. 902: OKW/WFSt/Qu 2 (S) Nr. 005117/43 g.kdos., 9.9.2943. 4 Archivio Federale – Archivio Militare di Friburgo, RW 4/v. 508 a: Oberkommando der Wehrmacht WFSt/Qu 2 (S) Nr. 005282/43 g.kdos., F.H.Qu., den 15.9.1943. 5 Archivio Federale – Archivio Militare di Friburgo, RW 4/v. 508 a: Oberkommando der Wehrmacht Nr. 005282/43 g.kdos/WFSt/Qu 2 (S) II. Ang., F.H.Qu., den 20.9.1943. 6 Archivio Politico del Ministero degli Esteri di Berlino, Büro Staatssekretar, Akten betr. Italien, vol. 17: 1.10.1943, Sonderzug, Nr. 1564, BRAM 420/R/43. 7 Cfr. Roberto Socini Leyendecker, Aspetti giuridici dell’internamento, in: I militari italiani internati dai tedeschi dopo l’8 settembre 1943, a cura di Nicola Della Santa, Giunti Marzocco, Firenze, 1986, pp.130-135. 8 Nel campo di prigionia tedesco di Fallingbostel il giorno dopo la liberazione. Archivio Vittorio Vialli Prigionieri all'interno dello Stammlager IVB . quali siano stati i motivi del provvedimento di Hitler del 20 settembre non è possibile. E’ invece indubbio quali siano state le conseguenze derivanti da tale denominazione: gli internati militari italiani non erano tutelati dagli accordi internazionali sui prigionieri di guerra. Infatti durante una discussione tra rappresentanti del comitato della croce Rossa Internazionale e del Ministero degli Affari esteri (19./20.11.43) sullo «statuto» degli italiani catturati il Prof. Burckardt insiste sulla questione se «gli italiani venivano davvero – dal punto di vista giuridico – trattati come prigionieri di guerra». La risposta tedesca fu chiara: «gli italiani non erano considerati prigionieri di guerra».8 Ed ancora in luglio 1944, quando, durante un colloquio al ministero degli esteri l’ing. Spaniol, come rappresentante del Servizio Assistenza Internati, si lamentò presso il Dr. Hendler «dell’obbligo di lavoro dei sottufficiali», quest’ultimo constatò «che gli Internati Militari sottufficiali devono lavorare e che esiste in proposito un ordine speciale; la Convenzione di Ginevra – art.27 – non è applicabile perché gli Internati Militari non sono prigionieri».9 L’articolo 27 della convenzione di Ginevra stabilisce: «I belligeranti potranno impiegare come lavoratori prigionieri validi, a seconda del grado e delle attitudini, ad eccezione degli ufficiali. I sottufficiali potranno essere costretti al lavoro di sorveglianza, a meno che siano loro stessi a domandare d’essere adibiti a lavori remunerativi».10 Se si verificarono casi in cui i suddetti accordi furono applicati, ciò accadde senza che lo si potesse in qualche modo esigere. Tutto sommato risultò dallo status degli internati militari non meglio definito una profonda incertezza giuridica. Pertanto, in ultima analisi, gli internati militari restarono alla mercé dell’arbitrio dei tedeschi, essi dipesero totalmente dalla benevolenza tedesca. L’ente di assistenza della cosiddetta Repubblica Sociale Italiana, in funzione dall’inizio del 1944, non era in grado di ottenere niente contro la volontà del Comando Supremo della Wehrmacht. E di conseguenza sarebbe più esatto non parlare degli internati militari italiani ma parlare degli schiavi militari italiani. Infatti il trattamento dei militari italiani deportati nei campi tedeschi comporta che l’occuparsi della loro sorte si risolve inevitabilmente in una documentazione della mancanza di umanità, del disprezzo per i propri simili, delle umiliazioni, portate a sempre nuovi eccessi da una sadica fantasia, delle vessazioni fisiche e 8 Archivio Politico del Ministero degli esteri di Berlino, R 41031, Volkerrecht, Kriegsrecht, vol.1: Aufzeichnung über die Beprechung mit den Delegierten des IRK Dr. Marti und Dr. Bachmann unter Leitung von VLR Dr. Roediger und in Anwesenheit von Gen. Hauptfuhrer Hartmann, Staatsanwalt Bertram, ass. scholl und dem Unterzeichneten, Berlin, 20. November 1943. 9 Archivio privato G. Schreiber: Ambasciata d’Italia, servizio assistenza Internati, gabinetto, diario, 6.7.44. 10 Lino Monchieri, La Convenzione di Ginevra e la realtà dei lager, Edizione della Sezione A.N.E.I., Brescia 1992, p.24. 11 psichiche, nonché dello sfruttamento spietato. Caratterizzare la vita in prigionia di questi deportati militari significa parlare dei maltrattamenti inflitti loro dai guardiani e sorveglianti; raccontare di luoghi dove si volevano distruggere gli uomini con le privazione del cibo, l’isolamento, le punizioni corporali, la mancanza di assistenza sanitaria ed il vedersi rifiutata quella spirituale; narrare dell’odio dimostrato nei loro confronti dalla maggior parte della popolazione tedesca, sempre nella misura in cui avevano contatti con questa; illustrare le conseguenze avute dalle malattie e dalla debilitazione fisica e psichica; e offrire una testimonianza degli innumerevoli decessi avvenuti per cause naturali, anche se certo non normali, nonché di quelli provocati violentemente.11 Nell’insieme questo gruppo particolare di schiavi militari, deportati e non tutelati dalla convenzione di Ginevra, visse – a prescindere da certe eccezioni e diversità – il periodo dell’internamento letteralmente come un inferno. 810.000 uomini finiscono nelle mani dei nazisti. I tedeschi li considerano dapprima disertori o franchi tiratori. Catturati nelle circostanze più diverse, i nostri soldati divengono dunque IMI: Italienische MilitärInternierten. Una forza lavoro sottratta alle garanzie della Convenzione di Ginevra, che i nazisti sono liberi di sfruttare come meglio credono. Solo il 10% di loro, accetta di continuare la guerra al fianco della Germania. I numeri parlano chiaro: in 94.000 scelgono di entrare nelle forze della Repubblica Sociale di Mussolini o di prestare servizio nelle le SS italiane, sia come combattenti (14.000) che come ausiliari (80.000). Dei restanti 716.000 uomini, altri 43.000 decidono - durante l'internamento - di battersi con la RSI. Ad essi se ne aggiungeranno altri 60.000 che sceglieranno di svolgere servizio come ausiliari.12 Per i restanti 600.000, che mantengono 11 cfr. per la documentazione e per i dettagli Gerhard Schreiber, I militari italiani internati nei campi di concentramento del terzo Reich 1943-1945. Traditi – Disprezzati – Dimenticati. Ufficio storico dell’esercito SME, Roma 1997, passim 12 Claudio Sommaruga, 1943/45 «Schiavi di Hitler» Gli italiani in cifre, in: Rassegna ANRP n. 1/2 - gennaio/febbraio 2001. In merito al numero degli IMI Gehrard Schreiber scrive: «In pochi giorni i tedeschi disarmarono e catturarono 1.007.000 militari italiani, su un totale approssimativo di circa 2.000.000 effettivamente sotto le armi. Di questi, 196.000 scamparono alla deportazione dandosi alla fuga o grazie agli accordi presi al momento della capitolazione di Roma. Dei rimanenti 810.000 circa (di cui 58.000 catturati in Francia, 321.000 in Italia e 430.000 nei Balcani), oltre 13.000 persero la vita durante il brutale trasporto dalle isole greche alla terraferma. Altri 94.000, tra cui la quasi totalità delle Camicie Nere della MVSN, decisero immediatamente di accettare l’offerta di passare con i tedeschi. Al netto delle vittime, dei fuggiaschi e degli aderenti 12 Manifesto per l'arruolamento nelle SS italiane. Oltre 600.000 prigionieri del Regio Esercito rifiutarono di collaborare con la Repubblica Sociale di Mussolini. fede al giuramento prestato al re, si spalancano i cancelli degli Arbeitlager, dove verranno sottoposti a lavori pesanti, in condizioni di vita estreme e senza alcuna tutela. E’ stato lo stesso Hitler ad intervenire personalmente perché la loro condizione venga modificata da quella di prigionieri di guerra in quella di internati. Il dittatore nazista vuole avere le mani libere. A nulla vale il fatto che Mussolini - una volta liberato dalla sua detenzione sul Gran Sasso - dia vita alla Repubblica Sociale. La proclamazione di un nuovo stato fascista nei territori dell’Italia settentrionale occupata dalla Wehrmacht, non porta alcun miglioramento alle condizioni di vita dei nostri prigionieri. Come ricorda Renzo De Felice, dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, i tedeschi non si fidano più di noi. Chiamano i soldati italiani internati Badoglio-Truppen.13 Per loro siamo tutti voltagabbana e dobbiamo essere messi in condizione di non nuocere, perché secondo una frase attribuita al Feldmaresciallo Wilhelm Keitel, «L'unico esercito italiano che non ci potrà tradire è un esercito che non esiste».14 Le condizioni di detenzione sono crudeli. Malattie e denutrizione uccidono migliaia di nostri soldati che spesso vengono assassinati anche per futili motivi.15 Non mancarono nemmeno i casi di omicidi di massa, come quello accaduto a Treuenbrietzen, di cui è oggetto il presente lavoro. Fra gli episodi più raccapriccianti che accadono in quei momenti terribili vi è la cosiddetta Marcia dei Generali. Sotto la pressione dell’avanzata russa, i comandi tedeschi decidono di evacuare il campo di prigionia per ufficiali Offizierslager 64/Z della prima ora, nei campi di concentramento del Terzo Reich vennero dunque deportati circa 710.000 militari italiani con lo status di IMI e 20.000 con quello di prigionieri di guerra. Entro la primavera del 1944, altri 103.000 si dichiararono disponibili a prestare servizio per la Germania o la RSI, come combattenti o come ausiliari lavoratori. In totale, quindi, tra i 600.000 e i 650.000 militari rifiutarono di continuare la guerra al fianco dei tedeschi» 13 Renzo De Felice, Mussolini, Torino, Einaudi, 1996-1998. Volume IV, Mussolini, l’alleato, tomo II, p. 443. 14 Ermanno Amicucci, I 600 giorni di Mussolini : (dal Gran Sasso a Dongo), Roma : Faro, 1949, p. 69. 15 Il 28 agosto 1944 a Sandbostel, fu assassinato il tenente Vincenzo Romeo, reo di avere appoggiato un asciugamano sul filo spinato di preavviso, posto a sei metri dal reticolato del campo. Mentre con in mano una bacinella appena riempita d’acqua, stava per riprendere l’asciugamano, venne colpito da una delle guardie. Cfr. Giovanni Guareschi, Diario Clandestino, Milano, Rizzoli, 1949, pp. 106-108. Tre istantanee che ritraggono lo Straflager VI C Oberlagen dove furono detenuti migliaia IMI. 15 di Schokken in Polonia. E’ il 25 gennaio 1945 alla colonna dei prigionieri italiani viene ordinato di raggiungere Luckenwalde. Gli ordini impartiti alle SS di guardia sono perentori: nessuno di loro deve cadere vivo nelle mani dei sovietici. Dopo giorni di marcia estenuante l’Armata Rossa è ormai addosso alla colonna. A Shelkow (oggi Kusnica Zelichowo) sotto gli occhi di numerosi testimoni, i tedeschi assassinano brutalmente tutti coloro che non sono più in grado di camminare. Vengono uccisi i generali Carlo Spatocco, Emanuele Balbo Bertone, Alessandro Vaccaneo, Giuseppe Andreoli, Ugo Ferrero e Alberto Trionfi. Quest’ultimo, descrivendo le condizioni di prigionia cui era sottoposto con i colleghi, aveva scritto nei suoi diari: «I generali fanno una ben triste impressione [...] Portano divise lacere, anche di altri eserciti [...] e le razioni di cibo e di carbone loro assegnate sono assolutamente insufficienti [...] Ho visto generali seduti attorno a delle stufette [...] arrostirsi delle patate per calmare la fame [...] persistono nella loro linea di condotta «badogliana» rifiutando ogni collaborazione con l'attuale governo italiano».16 Con la derubricazione del loro status da quello di prigionieri di guerra in quello di internati militari le cose per i nostri soldati peggioreranno ulteriormente. Racconta il colonnello Augusto Costantini: La nostra vita al campo si fa più dura. Tre volte al giorno viene fatto l’appello regolare: alle 6, alle 12, alle 18. Tutti dobbiamo uscire fuori in tempo brevissimo; gli ultimi ad arrivare vengono puniti. E noi corriamo fuori come siamo, anche senza vestiti, per evitare la punizione. Ci inquadriamo per cinque ed aspettiamo la conta. Ore ed ore in piedi, senza muoverci, senza cedere alla fame, allo sfinimento. Quando qualcuno si muove o fa qualcosa di sospetto, il soldato lo colpisce con il suo terribile bastone. E’ un tubo di gomma che riveste una molla di acciaio, quindi flessibile e con doppia forza. Il colpo rompe le ossa ma non lascia segno esteriormente perché la gomma attutisce la rottura dei capillari sottocutanei; solo il giorno successivo esce l’ematoma, quindi non si può mai dimostrare che il colpo del giorno prima sia stato causa delle fratture o dei lividi. «Sei caduto!» E’ questa la risposta quando chiediamo di essere visitati da un medico. Presto comprendiamo l’inutilità delle nostre richieste e ne facciamo a meno. Quando i tedeschi vogliono divertirsi spalancano violentemente le porte delle nostre baracche alle tre di notte. «Tutti fuori!» gridano. E noi corriamo fuori come ci troviamo per non essere puniti. 16 Luca Frigerio, Noi nei lager. Testimonianze di militari italiani internati nei campi nazisti, (1943-1945), Milano, Paoline, 2008. 16 In quelle occasioni ci viene negato il riposo notturno, l’unico momento in cui possiamo restare soli con noi stessi e con i nostri pensieri. Per ore restiamo in piedi, senza muovere un muscolo, con la fatica del giorno prima sulle spalle ed il pensiero di quella del giorno successivo. […] Alle umiliazioni, alle botte, alla fame, si unisce un freddo intenso da cui non possiamo difenderci; non abbiamo vestiti adatti, non abbiamo coperte, non possiamo accendere fuochi. Gli appelli sono la tortura più insopportabile: ore ed ore fuori quando il termometro segna dieci gradi sotto zero e la neve arriva alle ginocchia, di notte e di giorno a torso nudo; senza scarpe; fino a che i nostri aguzzini si stancano del divertimento, facendoci rientrare in baracca. Si diffonde il raffreddore che, presto, per mancanza di cure adeguate, si trasforma in polmonite. I più deboli non ce la fanno, si ammalano. Nelle baracche di notte è un continuo tossire, c’è chi sputa sangue, la tubercolosi lo ucciderà presto. Si mangia una volta al giorno, alle diciotto. Il cibo viene messo fuori dalla baracca, ma deve essere consumato dentro; uno di noi lo preleva; poi lo dividiamo in parti uguali; agli ammalati diamo una porzione maggiore, ma sempre insufficiente. Il cibo che viene dato è comunque non sufficiente a nutrire uomini come noi, nel pieno vigore degli anni e sottoposti a fatica continua. In due mesi io ho già perso venti chili, come me, i miei compagni. Tutti siamo deperiti. […] Abbiamo fame; io ricordo quella fame, una fame sorda, sempre presente, ossessiva, profonda come la disperazione del nostro cuore. I morsi della fame con il passare del tempo si fanno insopportabili; talvolta crediamo di impazzire. […] Tenere pulita la nostra persona non è consentito; ci possiamo lavare in modo approssimativo, non possiamo lavare i nostri indumenti, non abbiamo indumenti di ricambio. Anche questo è un modo per annullare l’individuo. Da settembre ai primi di dicembre non abbiamo mai fatto una doccia…17 Sul trattamento bestiale che i nazisti riservarono agli italiani pesò senza dubbio anche la strisciante componente razzista che permeava l'ideologia hitleriana, come emerge dalla lettura dei diari di Joseph Goebbels.18 Inoltre, nonostante gli stretti rapporti personali che legavano Hitler a Mussolini, il dittatore tedesco, era ben consapevole del fatto che avere nelle sue mani centinaia di migliaia di nostri prigionieri, gli consentiva in qualsiasi momento di esercitare forti pressioni sull’«alleato» d’oltralpe. Con gli uomini che decisero di continuare a combattere al fianco dei nazisti, vennero costituite quattro divisioni: Monterosa (Alpini), Littorio (Granatieri), San Marco (Fanteria di Marina) e Italia (Bersaglieri). Nell’estate 17 Giovannella Caruba, Serenella Perotti, Rosa Silvestre [a cura di], Millenovecento. Un uomo, Dosson di Casier, Matteo, 2003, pp. 45-49. 18 De Felice, Mussolini, l’alleato, op. cit., tomo II, p. 441. 17 del 1944 poi, dopo un nuovo incontro tra Hitler e Mussolini la condizione degli italiani detenuti in Germania, mutò ancora. Dallo status di IMI essi passarono a quello di Lavoratori Civili, ma le loro condizioni di vita non migliorarono. Il numero di quanti persero la vita durante la deportazione non è mai stato stabilito ufficialmente. Le cifre oscillano fra i 37.000 e i 50.000 morti. Da 5.000 a 7.000 nostri soldati sarebbero morti sul fronte orientale mentre 2.700 di loro sarebbero stati uccisi durante le incursioni aeree compiute dagli alleati. Circa 10.000 sarebbero quindi deceduti per la durezza e la pericolosità delle condizioni nelle quali erano obbligati a lavorare. Altri 23.000 sarebbero invece stati uccisi da malattie e fame, soprattutto nelle ultime fasi del conflitto. Circa 4.600 infine, sarebbero stati oggetto di esecuzioni capitali all’interno dei campi. Non vanno poi dimenticati tutti i nostri prigionieri deceduti durante i trasporti via mare che dovevano condurli in Germania dai diversi teatri bellici presso i quali erano stati catturati. Il 23 settembre, davanti all’isola di Rodi, nell’affondamento della Gaetano Donizetti morirono 1.796 uomini. Quattro giorni più tardi, il 27 settembre, a largo di Cefalonia, colò a picco la Ardena, trascinando con sé in fondo al mare altri 779 soldati. La nave tedesca saltò su una mina sganciata da un aereo inglese. L’11 ottobre poi, a Corfù, fu la volta della motonave Mario Rosselli che scomparve tra i flutti con 1.302 prigionieri. Il mese successivo, il 13 ottobre 1943, il piroscafo Maria Amalia (ex nave francese Marguerite), in rotta da Argostoli alla Grecia continentale, venne silurato dal sommergibile inglese Trooper. Morirono 550 soldati italiani. Una settimana più tardi, il 20 ottobre, fu la nave francese Sinfra, diretta da Creta verso il Pireo, ad affondare con 2.098 nostri prigionieri a bordo. L’affondamento della nave tedesca Petrella poi, avvenuto l’8 febbraio 1944, nelle acque di Creta, costo la vita ad altri 2.670 morti. La tragedia di maggiori dimensioni si verificò però il 12 febbraio 1944, con il naufragio del piroscafo norvegese Oria. La nave, che era stata requisita dai tedeschi, aveva a bordo 4.026 prigionieri italiani che si erano rifiutati di aderire alla Repubblica Sociale. La Oria che stazzava 20.000 tonnellate salpò da Rodi alla volta del Pireo alle 17.40 dell’11 febbraio 1944. Il giorno dopo, il piroscafo fu colto da una tempesta e, dopo essersi incagliato nei fondali dinanzi l'isola di Patroklou, colò a picco presso Capo Sounion a sole 25 miglia dalla sua meta. Nessuno si salvò. Il piroscafo «Oria» che naufragò con 4.026 prigionieri italiani a bordo. 18 Campo di prigionia di Sanbostel. Si pesano le patate. Archivio Vittorio Vialli. L'ingresso dello Stammlager IVB di Zeithain in Sassonia. Vi furono detenuti moltissimi Internati Militari Italiani .