Il Tempietto Tonfano di Marina di Pietrasanta, 8 settembre ’43 Anche i tedeschi si uniscono agli italiani nella generale esultanza alla notizia della firma dell’armistizio. Danilo Veneruso Tonfano di Marina di Pietrasanta Per comprendere l’importanza e il significato storico di quanto avvenne in quella località nel tardo pomeriggio di una giornata di estate calante del 1943 occorre tener presente che la zona, in quel periodo, più che di bagnanti o di villeggianti, brulicava, oltre che di popolazione locale, di militari e di burocrati italiani appartenenti, in generale, alla Regia Marina la quale dall’inizio dell’anno aveva trasferito a Viareggio dalla Spezia, soggetta a duri e continui bombardamenti, gli uffici che facevano capo al Compartimento Alto Tirreno, nonché dei loro familiari che, salvo non frequenti eccezioni, erano di estrazione piccolo-borghese. A questi si aggiungevano gruppi di militari tedeschi, appartenenti tanto alla Kiegsmarine, vale a dire alla Marina militare tedesca, quanto alla Wehrmacht, l’esercito regolare del Terzo Reich. I militari tedeschi, che stazionavano poco numerosi in Versilia fin dall’entrata in guerra dell’Italia nel giugno del 1940, erano gradualmente e sensibilmente aumentati dal mese di 45 luglio 1943 sia per contribuire alla difesa del litorale, che si pensava direttamente minacciato da un eventuale sbarco di forze armate avversarie dopo il vittorioso sbarco in Sicilia delle truppe anglo-americane, sia per controllare la situazione politica dopo la caduta del fascismo avvenuta il 25 luglio. Dai primi giorni di guerra fino alla fine di ottobre 1942, a parte i pochi che avevano le idee politicomilitari più chiare, i giudizi e le posizioni politiche erano generalmente in funzione dell’andamento di una guerra che, seppure avesse provocato molte delusioni ai molti che avevano creduto ad una guerra-lampo vittoriosa per le Potenze dell’Asse, in definitiva aveva coinvolto soltanto marginalmente le popolazioni e non aveva ancora del tutto intaccato le speranze di vittoria di tedeschi, italiani e giapponesi. Tuttavia era anche chiaro che, nella migliore delle ipotesi, a parte tutte le riserve che si potevano nutrire per le possibilità di vittoria dello schieramento costituito da Germania, Italia e Giappone in deficit di uomini, di mezzi, di materie prime e di potenziale economico, dopo oltre tre anni di guerra nulla era stato ancora deciso anche se le forze armate tedesche, italiane e giapponesi erano giunte nel Canale di Suez, nel bacino del Volga, nel Caucaso e stavano tentando di circondare l’Australia per menare poi il colpo di grande importanza strategica del dominio dell’intero Oceano Pacifico. Ultimo trimestre del ‘43 Fu in questo stato di cose che, nell’ultimo trimestre nel 1942, 46 Il Tempietto avvenne quel ribaltamento che, nel giro di pochi mesi, diminuì drasticamente le speranze di vittoria di coloro che avevano voluto il conflitto. Nell’ultima decade di ottobre cominciò ad Alamein, il punto più avanzato dell’Africa raggiunto dalle truppe dell’Asse, una grande battaglia in cui le forze riunite di mezzo Impero britannico, al comando di Alexander e di Montgomery, sommersero la pur accanita resistenza opposta dalle truppe italo-tedesche guidate dal generale Rommel, in grave deficit di mezzi e soprattutto di appoggio navale. Non era ancora del tutto spenta l’eco dei cannoni di El Alamein che truppe alleate, soprattutto statunitensi e francesi, sbarcarono nella parte occidentale dell’Africa settentrionale costringendo le truppe italo-tedesche ad abbandonare il fretta tutta l’Africa settentrionale e a rifugiarsi in Tunisia dove il loro destino apparve in breve segnato. In pochi giorni tutto il fronte mediterraneo era crollato, aprendo agli occidentali, vale a dire a inglesi, americani e francesi di De Gaulle, tutta la sponda settentrionale del; Mediterraneo, da Perpignano alla Jugoslavia. Il fronte che nel novembre manteneva una sua stabilità era il fronte orientale, dove però al tentativo tedesco di forzare la porta di Stalingrado per sboccare in Asia e nel Caucaso si oppose una irriducibile resistenza da parte dei sovietici. Su questa relativa stabilità cominciarono a ricamarsi le più diverse ipotesi, tra le quali emergeva insistente quella di un reciproco congelamento, insieme politico-militare, dei due schieramenti, sovietico e quello tedesco: tuttavia anche questa zona di guerra, a partire dal 19 novembre, fu coinvolta dal ribaltamento. Con l’operazione denominata “Urano” gli invasori, che con gravissime perdite e ostacoli di ogni genere stavano cercando di avanzare in città metro per metro, furono a loro volta accerchiati, mentre crollarono ai loro fianchi le truppe di sostegno romene, ungheresi, finlandesi e soprattutto italiane, queste ultime annientate con perdite stimate a più di centomila unità. Se già le notizie militari che provenivano dai vari fronti non lasciavano speranze, ancora più decisive erano quelle che stavano provenendo della direzione politica generale. Proprio nei giorni in cui la VI armata tedesca stava agonizzando a Stalingrado furono gli anglo-americani a gettare le prime carte nella decisiva partita che stavano giocando con i sovietici per una solidarietà non soltanto militare ma anche politica. Nel convegno tenuto nel gennaio 1943 a Casablanca tra il presidente degli Stati Uniti Roosevelt e il premier britannico Churchill in previsione della vittoria militare che stava profilandosi, venne deciso di comunicare a tutto il mondo che i due Stati occidentali della coalizione antifascista mai avrebbero accettato di trattare armistizio o pace con i loro avversari ai quali sarebbe stata riservata l’unica sorte della “resa incondizionata”, con la precisa intenzione di raccogliere la reazione positiva dell’altra grande alleata, Il Tempietto l’Unione Sovietica. La risposta tanto desiderata fu attesa con impazienza per ben cinque mesi, ma infine il suo contenuto fu pienamente soddisfacente, Il 24 maggio il governo sovietico comunicò, quasi en passant ma in modo egualmente significativo, che il governo sovietico aveva sciolto la “Terza Internazionale”, da tutti conosciuta come Comintern, l’istituzione che, per statuto, aveva il compito di diffondere e di promuovere il comunismo in tutto il mondo. Questa comunicazione indicava che il partner orientale della guerra contro il fascismo aveva accettato l’impostazione occidentale della condotta politico-militare del conflitto imperniata sui principi democratici scolpiti sulla Carta Atlantica diffusa il 1° gennaio 1942 e sottoscritta da quasi tutti gli Stati del pianeta, salvo i tre Paesi aderenti al Patto Tripartito e i loro satelliti europei. Sconfitta di Hitler Un mese e mezzo più tardi avvennero due episodi che dissiparono i dubbi che potevano ancora rimanere sulla portata integrale della sconfitta di Hitler e di Mussolini. Nel fronte orientale, scarsamente attivo dopo la resa dell’armata germanica intrappolata a Stalingrado, il 5 luglio 1943 i tedeschi sferrarono quella che doveva essere l’ultima loro grande offensiva nel saliente di Kursk con 50 divisioni, di cui 19 corazzate o motorizzate, 2700 fra carri armati di nuova impostazione Tiger e Panther e cannoni semoventi e cieca 200 aerei. Se la battaglia fosse riuscita, insieme 47 con le chances militari, avrebbe preso nuovo vigore l’ipotesi, che aveva cominciato a circolare soprattutto per opera di Mussolini subito dopo il relativo congelamento del fronte orientale nel febbraio, vale a dire una sorta di armistizio permanente tra tedeschi e sovietici lungo la linea che, partendo da Leningrado, avrebbe seguito i confini occidentali della Bielorussia e dell’Ucraina per sfociare infine nel Mar Nero. Invece, già dopo una settimana di aspri combattimenti, era già chiaro che l’offensiva tedesca era completamente fallita. I termini di questo fallimento stavano ormai precisandosi in tutta la loro decisiva importanza: non solo i tedeschi avevano perduto la speranza di portare avanti, sia pure con obiettivi più ridotti, la terza di quelle campagne estive che tanti successi avevano portato alle loro armate, ma si profilava addirittura la possibilità che i sovietici potessero sconfiggere da soli gli avversari senza l’apporto degli angloamericani. Completa disfatta Due giorni prima, nella notte tra il 9 e il 10 luglio 1943, lo sbarco degli anglo-americani in Sicilia, accolto tra gli applausi della popolazione locale, smentiva anche l’ultima illusione, quella nutrita da Giovanni Gentile nel suo discorso pronunciato al Campidoglio il 24 giugno: la resistenza casa per casa, metro per metro della popolazione locale contro gli invasori del sacro suolo della patria. A questo punto la situazione si presentava in tutta la sua trasparenza: i tedeschi nel 48 Il Tempietto fronte continentale e gli italiani nel fronte marittimo non avevano più frecce da tirare dal loro arco. Le molteplici ed efficaci iniziative militari degli avversari e, soprattutto, la raggiunta concordia di massima nella condotta politica del conflitto da parte dello schieramento antifascista non lasciavano a Hitler e a Mussolini alcuna possibilità di sfuggire alla completa disfatta che li attendeva. Tuttavia una differenza di fondo distingueva tra Berlino e Roma. Mentre in Germania il potere del Führer non lasciava trapelare segni di cedimento in quanto non esisteva alcuna forza istituzionalmente alternativa per la sospensione a tempo indeterminato della Costituzione di Weimar nel 1923, in Italia, dove questa sospensione non era avvenuta, questa forza esisteva, ed era la monarchia. Questa, oltre a non essere assorbita dal regime fascista, era appoggiata da sempre più estese correnti della stessa classe dirigente le quali non avevano visto di buon occhio né l’accostamento del fascismo italiano al nazionalsocialismo germanico né, tanto meno, la guerra e, soprattutto, dalla Chiesa che, oltre ad avere un forte ascendente sulla popolazione, non aveva mai nascosto fin dall’inizio una così marcata freddezza verso il conflitto da confinare con l’ostilità aperta. In queste condizione di cose, il cosiddetto colpo di Stato del 25 luglio 1943 non solo non poteva limitarsi alla defenestrazione di Mussolini, ma doveva logicamente preparare quell’altro colpo di Stato, ancora più decisivo, del passaggio, addirittura legale, del Paese allo schieramento antifascista che, del resto, contava ormai sull’appoggio della più gran parte della popolazione italiana, indignata per una guerra combattuta contro i suoi più elementari interessi e sentimenti. Si spiega perciò che, quando, nel tardo pomeriggio dell’8 settembre 1943, si diffuse in tutta Italia la notizia dell’armistizio con gli anglo-americani, si manifestasse una esultanza simile a quella che si era manifestata quarantacinque giorni prima alla notizia della defenestrazione di Mussolini. L’importanza di questa manifestazione era accresciuta dalla partecipazione comune di popolazione civile e di militari. Questi, con il loro contegno certamente irrituale, indicavano l’abisso di impopolarità e di distacco esistente e operante contro il fascismo non soltanto nell’opinione pubblica ma anche in larghi strati della classe dirigente. Si intravedeva inoltre la possibilità concreta di formare un blocco di forze capace di condurre il Paese alla pace. Tonfano di Marina di Pietrasanta Il fatto che, in alcuni luoghi, come al Tonfano di Marina di Pietrasanta, l’esultanza fosse condivisa da soldati e marinai tedeschi faceva con ogni evidenza trapelare una serie di motivazioni. Esse, se da una parte indicavano il rifiuto di una guerra da tanti di loro subita più che voluta e comunque irrimediabilmente perduta nello stesso tempo manifestavano la speranza che l’esempio italiano fosse Il Tempietto seguito nella stessa Germania che stava combattendo una guerra suicida che non aveva più significato alcuno dopo le eloquenti precisazioni degli avversari ormai irresistibili. Una tale partecipazione suonava tanto più significativa ed eroica in quanto, non potendo contare su un immediato ribaltamento del quadro politico berlinese, si trovò inevitabilmente esposta, tanto nel caso del Tonfano di Marina di Pietrasanta quanto in casi consimili, alla più inesorabile della repressione. 49