L'influenza dell'ossigeno in vinificazione e la tecnica della microossigenazione Drius Denis Esame di Stato a.s 2013/2014 ISIS "Paolino d'Aquileia" Cividale del Friuli L'influenza dell'ossigeno in vinificazione e la tecnica della microssigenazione Drius Denis Cl.6°sez.E Corso sperimentale viticoltura ed enologia Discipline coinvolte: Enologia, Chimica, Microbiologia 1 L'influenza dell'ossigeno in vinificazione e la tecnica della microossigenazione Drius Denis Indice: INTRODUZIONE ______________________________________________________________ 3 1.0 OSSIGENO: GENERALITÀ __________________________________________________ 3 1.1 FATTORI E COMPOSTI CHE INFLUISCONO SULLA CAPACITÀ DI CONSUMO E DI SOLUBILIZZAZIONE DELL'OSSIGENO NEL VINO ________________________________________________________ 3 1.1.1 Influenza della composizione di un mosto o di un vino sul consumo di ossigeno. _____ 4 1.1.1 Influenza della composizione di un mosto o di un vino sul consumo di ossigeno ______ 4 1.1.2 Fattori che influenzano la solubilizzazione e il consumo di ossigeno nel vino ________ 5 1.1.3 Utilizzo di gas inerti per limitare l'arricchimento del mosto o del vino in ossigeno_____ 5 2.0 LE VIE DI CONSUMO DELL'OSSIGENO ______________________________________ 6 2.1 Via enzimatica di consumo dell'ossigeno ________________________________________ 6 2.2 Via microbiologica di consumo dell'ossigeno _____________________________________ 7 2.3 Via chimica di consumo dell'ossigeno ___________________________________________ 9 3.0 GESTIONE DELL'OSSIGENO: GENERALITÀ ________________________________ 10 4.0 LA TECNICA DELLA MICRO-OSSIGENAZIONE: GENERALITÀ_______________ 11 4.1 MACRO O MICRO -OSSIGENAZIONE ___________________________________________ 11 4.2 APPLICAZIONI DELLA MICROOSSIGENAZIONE ___________________________________ 12 4.2.1 Micro-ossigenazione in dose singola in fermentazione _________________________ 12 4.2.2 Microossigenazione per la stabilizzazione del colore dei vini rossi e la maturazione dei tannini____________________________________________________________________ 13 4.2.3Fase di estrazione: gestione dell'ossigenazione durante la macerazione dei vini rossi _________________________________________________________________________ 13 4.2.3.1 Generalità sulla macerazione __________________________________________ 14 4.2.3.2 Macroossigenazione in fase di estrazione ________________________________ 14 4.2.3.3 Macroossigenazione pre-fermentazione malolattica ________________________ 15 4.2.3.4 Microossigenazione post-fermentazione malolattica________________________ 16 4.2.4 Applicazione secondarie della microossigenazione __________________________ 17 4.2.4.1 Microossigenazione e correzione difetti di "vegetale"_______________________ 17 4.2.4.2 Microossigenazione e correzione degli stati di riduzione ____________________ 18 4.2.4.3 Microossigenazione nei vini bianchi ____________________________________ 19 4.2.4.4 Microossigenazione: affinamento "sur lies" ______________________________ 20 4.2.4.5 Microossigenazione e uso di legno alternativo alle barriques _________________ 21 4.3 I MICROOSSIGENATORI _____________________________________________________ 22 4.4 IL DOSAGGIO DELL'OSSIGENO ________________________________________________ 23 4.5 PARAMETRI DI CONTROLLO DELLA MICROOSSIGENAZIONE ________________________ 23 4.5.1 Parametri analitici ______________________________________________________ 24 4.5.2 Parametri Organolettici __________________________________________________ 25 4.5.3 Condizioni necessarie per la microossigenazione______________________________ 26 CONCLUSIONI _______________________________________________________________ 27 BIBLIOGRAFIA ______________________________________________________________ 29 2 L'influenza dell'ossigeno in vinificazione e la tecnica della microossigenazione Drius Denis Introduzione: L'ossigeno ha da sempre partecipato alla qualità del vino, determinando sia difetti (quali ossidazioni o imbrunimenti, l'insorgenza di malattie del vino dovute a microorganismi a metabolismo respiratorio quali batteri acetici o lieviti filmogeni della fioretta), sia miglioramenti qualitativi dati, per esempio, da una microossigenazione lenta e continua attraverso le botti di legno. Il primo a intuire l'influenza positiva dell'ossigeno sul vino fu Luis Pasteur che nel suo Etudes sur le vin del 1866 costata che l'ossigeno partecipa alla vita del vino nel bene e nel male, infatti l'ossigeno è causa dei principali difetti ossidativi e contemporaneamente partecipa all'eliminazione dei cattivi odori dal vino e alla riduzione dei sentori acerbi. Oggi l'influenza dell'ossigeno sulla vinificazione riveste notevole importanza e determina spesso i diversi stili di produzione di un vino, è cosi che per esempio è nata la tecnica dell'iperossigenazione oppure recentemente la tecnica dell'iperriduzione. Nell'ultimo decennio è nata anche la pratica della microossigenazione,allo scopo di dosare nel vino precise dosi di ossigeno, che può essere utilizzata in varie fasi del processo di vinificazione e che richiede un adeguata conoscenza dei processi chimici e microbiologici coinvolti per essere applicata al meglio. Di seguito verranno esposte le generalità sull'influenza dell'ossigeno in vinificazione, dei processi ossido-riduttivi che avvengono nel vino, ponendo attenzione ai fattori intrinseci ed estrinseci che partecipano sinergicamente all'ossigeno alla qualità finale del vino. Infine si tratterà la tecnica della microossigenazione sottolineando i diversi utilizzi e i vari parametri di controllo. 1.0 Ossigeno: Generalità La solubilità di un gas in un solvente con il quale non reagisce, ad una determinata temperatura, è proporzionale alla pressione parziale del gas che sovrasta la superficie di contatto con il liquido. Inoltre la solubilità di un gas diminuisce con l'aumentare della temperatura. Tuttavia la velocità di consumo dell'ossigeno in un vino (enzimatico, chimico o microbiologico) diminuisce al diminuire della temperatura. Quindi, quando un vino in affinamento viene lasciato a contatto con l'aria si ha la dissoluzione di ossigeno in quantità crescesti quanto più l'agitazione è intensa e prolungata e quanto più bassa è la temperatura. Successivamente quando il vino è posto nuovamente al riparo dall'aria l'ossigeno reagisce con i costituenti del vino e scompare tanto più velocemente quanto più il vino è ricco in molecole ossidabili e quanto più la temperatura è alta. La concentrazione di ossigeno disciolto in condizioni di saturazione in vino a 20 C° e a pressione atmosferica è di 8,3 mg/L. La presenza di altri gas disciolti del mezzo, di origine esogena o endogena (anidride carbonica, azoto o argon), riducono la solubilità dell'ossigeno in un vino. 1.1 Fattori e composti che influiscono sulla capacità di consumo e di solubilizzazione dell'ossigeno nel vino Il mosto ed il vino contengono numerosi composti che influiscono sulla capacità di consumo dell'ossigeno da parte di un vino. Vivas (1999) ha dimostrato che sono i composti polifenolici i maggiori responsabili del consumo chimico di ossigeno in un vino, sopratutto quelli poco condensati a basso peso molecolare, che sono i più reattivi. In effetti il consumo di ossigeno in un vino rosso è superiore rispetto al consumo di ossigeno dei vini bianchi anche se in questi ultimi vini il tempo per raggiungere la concentrazione di saturazione è inferiore. Inoltre sono innumerevoli, come specificato precedentemente, i fattori fisici e ambientali che influenzano il consumo di ossigeno e la sua solubilizzazione in un vino. 3 L'influenza dell'ossigeno in vinificazione e la tecnica della microossigenazione Drius Denis 1.1.1 Influenza della composizione di un mosto o di un vino sul consumo di ossigeno Il consumo dell'ossigeno ad opera dell'anidride solforosa procede secondo la seguente reazione: SO2 +1/2 O2 →SO3 L'anidride solforosa protegge quindi il vino dalle ossidazione ossidandosi a sua volta. Questa reazione risulta lenta e necessiterebbe di catalizzatori quali ioni ferro o rame. Infatti come dimostrato da Ribereau Gayon (1974) l'attività antiossidante dell'anidride solforosa in vinificazione (fasi pre-fermentative) è piuttosto poco rilevante, mentre riveste fondamentale importanza nella prevenzione delle ossidazioni durante le fasi di conservazione. La limitazione del consumo di ossigeno da parte del mosto dovuto all'aggiunta di anidride solforosa nelle prime fasi di vinificazione è invece dovuto all'attività antiossidasica dell'anidride solforosa stessa. Quest'ultima infatti protegge il mosto dalle ossidazioni distruggendo gli enzimi ossidasici quali la laccasi e la tirosinasi. Si ricorda inoltre che le ossidazioni enzimatiche sono più veloci delle ossidazioni chimiche ed è per questo che le ossidazioni enzimatiche sono le più importanti nelle prime fasi della vinificazione. Al contrario durante l'affinamento sono le ossidazioni chimiche a svolgere il ruolo più importante ed è in queste fasi che la solforosa esplica la sua attività antiossidante. Inoltre e stato dimostrato da Vivas che l'anidride solforosa influisce poco sulla capacità di consumo dell'ossigeno da parte di un vino rosso, mentre influisce in maggior misura sul consumo di ossigeno da parte dei vini bianchi. Il glutatione è una molecola fortemente riducente relativamente molto presente nelle uve. Questa molecola riveste notevole importanza nell'interruzione delle catene di ossidazione dei composti fenolici innescate dalle polifenolossidasi, infatti questa molecola funge da "cattura chinoni", ovvero si combina ai chinoni dell'acido caftarico impedendo a questi composti molto reattivi di ossidare ulteriormente altri composti fenolici. Questa reazione porta alla produzione di GRP (Grape Reaction Product o acido s-glutationilcaftarico) che non ha colorazione bruna. Pertanto finché i tenori in glutatione in un mosto sono elevati, il consumo di ossigeno da parte del mosto non comporterà un accumulo di chinoni che imbruniscono il mosto. Il GRP si presenta stabile nei confronti della tirosinasi, ma può essere ossidabile dalla laccasi. Inoltre elevate concentrazioni di ossigeno possono comportare l'ossidazione chimica del GRP a GRP2 (colorazione bruna). Tuttavia questa ossidazione chimica è più lenta rispetto all'ossidazione enzimatica dovuta alla laccasi. Il rapporto acidi cinnamici/glutatione riveste quindi considerevole importanza nella gestione del ossigeno delle fasi pre-fermentative della vinificazione. Il ferro e il rame sono catalizzatori delle reazioni di ossidazione, pertanto una loro aggiunta comporta un aumento del consumo di ossigeno in un mosto o in un vino. L'acido ascorbico viene utilizzato in sinergia con l'anidride solforosa sia per limitare le ossidazioni enzimatiche sia quelle chimiche. L'acido ascorbico inoltre rappresenta un substrato della laccasi e si ossida evitando l'ossidazione degli acidi cinnamici. Inoltre l'acido ascorbico interviene anche nella limitazione delle ossidazione chimiche accelerando l'attività dell'anidride solforosa. 4 L'influenza dell'ossigeno in vinificazione e la tecnica della microossigenazione Drius Denis H2O2 + SO2 → H2O + SO3 → H2SO4 → 2H+ + SO4-Fig.1 Reazione dell'acido ascorbico con l'ossigeno che libera acqua ossigenata. L'acqua ossigenata cosi liberata va a reagire con l'anidride solforosa: la sparizione dell'ossigeno è più veloce. L'acido ascorbico se non utilizzato con un adeguata dose di anidride solforosa può liberare acqua ossigenata dalla sua ossidazione, molecola che risulta molto più ossidante dell'ossigeno stesso. I composti fenolici sono i maggiori responsabili del consumo di ossigeno in un vino. Le catechine e le epicatechine possono aumentare la capacità di consumo dell'ossigeno fino a 2,5 volte quella iniziale, gli antociani possono aumentare la capacità di consumo di ossigeno fino a 4 volte quella inziale e infine i complessi tannino-antociano possono aumentare il consumo di ossigeno fino a 3,2 volte quella iniziale. 1.1.2 Fattori che influenzano la solubilizzazione e il consumo di ossigeno nel vino I principali fattori che influenzano la solubilizzazione e il consumo di ossigeno nel vino sono la temperatura e il pH. Al crescere della temperatura la solubilità dell'ossigeno e il suo tasso di saturazione nel vino diminuisce ma la velocità di consumo aumenta. In fase pre-fermentativa è comunque essenziale mantenere il mosto sotto una certa temperatura (es. 12°C) per limitare il consumo enzimatico (polifenolossidasi) di ossigeno a scapito delle sostanze polifenoliche del mosto. Il pH del vino influenza soprattutto il consumo enzimatico e chimico del vino. Nel primo caso l'influenza del pH è data dalla vicinanza al pH ottimale dell'enzima. La tirosinasi per esempio ha pH ottimale a 4.75, la laccasi invece è più attiva a pH del mosto. Mosti con pH più bassi sono meno suscettibili a queste ossidazioni enzimatiche. Per quanto riguarda il consumo chimico di ossigeno nel vino l'influenza del pH è data soprattutto dal fatto che le sostanze polifenoliche sono reattive con l'ossigeno soprattutto nella forma dissociata presente in maggiore misura soprattutto a pH alti (pH 8-9 per i flavonoidi) e alle loro caratteristiche acide. Il consumo chimico di ossigeno nel vino quindi aumenta all'aumentare del pH. Infine sono molte le operazioni che arricchiscono il vino in ossigeno, soprattutto i trasferimenti. Un travaso arricchisce il vino mediamente da 2 a 5 mg/L di ossigeno. Durante queste fasi il vino si arricchisce in ossigeno soprattutto all'inizio e alla fine dell'operazioni e quindi nelle fasi di discontinuità. Di conseguenza anche il volume di vino trattato è direttamente correlato al arricchimento in ossigeno. Essenziale è anche la turbolenza a cui è sottoposto il vino che incrementa l'ossigeno disciolto, allo scopo di ridurre questa turbolenza è consigliabile effettuare il trasferimento utilizzando in uscita la valvola inferiore del contenitore. Anche il tipo di pompa utilizzato per il trasferimento del vino influenza la solubilizzazione dell'ossigeno. Per limitare eccessivi apporti di ossigeno durante un travaso sono consigliate pompe di tipo monovite che causano una minore turbolenza del vino, mentre le pompe peggiori da questo punto di vista sono quelle di tipo centrifuga a causa della cavitazione che si forma a inizio e a fine pompaggio. Per ridurre questa cavitazione si può utilizzare dei variatori di frequenza (inverter). Anche l'affinamento in botti di legno provoca un arricchimento in ossigeno di cui il 16% attraverso il legno (a seconda dell'età della botte e della tua grana), il 63% tra una doga e l'altra e il 21% dal foro del cocchiume (circa 0,5 mg/L anno). La colmatura inoltre apporta sistematicamente un arricchimento in ossigeno medio di 1 mg/L circa. Altre fasi critiche sono la filtrazione, soprattutto la stabilizzazione tartarica a freddo (elevata solubilizzazione di ossigeno se non si utilizzano coperture a gas inerti) e infine il confezionamento. 1.1.3 Utilizzo di gas inerti per limitare l'arricchimento del mosto o del vino in ossigeno I gas utilizzabili a questo scopo sono l'anidride carbonica, l'azoto e l'argon. L'argon presenta una solubilità nel vino pari a 4 L/hL e a causa del suo elevato costo viene poco utilizzato nella pratica 5 L'influenza dell'ossigeno in vinificazione e la tecnica della microossigenazione Drius Denis enologica. L'anidride carbonica invece presenta una solubilità in vino pari a 107,2 L/hL e può quindi causare modifiche delle caratteristiche organolettiche di un vino, dannose soprattutto nel caso dei vini rossi. Il gas maggiormente utilizzato è l'azoto che presenta una solubilità in vino pari a 1,8 L/hL (inferiore a quella dell'ossigeno 3,6 L/hL). L'anidride carbonica grazie al suo maggior peso specifico rispetto all'ossigeno (e all'azoto) può essere utilizzata allo scopo di creare una sorta di strato protettivo tra la superficie del vino e l'atmosfera sovrastante. 2.0 Le vie di consumo dell'ossigeno L'ossigeno esplica la sua azione positiva o negativa sulla qualità finale del vino reagendo con i composti del vino secondo tre diverse vie d'accesso: via enzimatica, via microbiologica e la via chimica. Ognuna di queste vie di consumo dell'ossigeno predomina in determinate fasi della vinificazione. Solo in pochi casi si può avere la sinergica presenza delle diverse vie di consumo dell'ossigeno, per esempio nel affinamento "sur lies". Risulta importante conoscere queste vie per comprendere al meglio la gestione dell'ossigeno. 2.1 Via enzimatica di consumo dell'ossigeno Il consumo di ossigeno per via enzimatica avviene dal momento di raccolta dell' uva (all'interno dei contenitori), al momento di ricezione delle uve (diraspatura, pressatura ecc) fino all'inizio della fermentazione alcolica. Gli enzimi coinvolti solo le polifenolossidasi rappresentate dalla tirosinasi e dalla laccasi nel caso di uve affette da Botritys cinerea. I substrati preferenziali delle polifenolossidasi sono gli acidi cinnamici (contenuti nelle uve a bacca nera o bianca in misura pressoché equivalente, nel ordine dei 140 g/kg di uva). Gli acidi cinnamici maggiormente interessati sono l'acido caftarico e l'acido cutarico, rispettivamente esteri con l'acido tartarico del acido caffeico e cumarico. Le polifenolossidasi ossidano gli acidi cinnamici ai loro ortochinoni. Fig. 2: ossidazione enzimatica dell'acido caftarico, estere del acido caffeico con l'acido tartarico, al suo ortochinone di colore bruno, reazione catalizzata dalle polifenolossidasi L'ortochinone dell'acido caftarico è molto reattivo è può quindi ossidare altri composti meno facilmente ossidabili come le catechine e le procianidine portanti gruppi orto-di-fenolici ai loro rispettivi ortochinoni. In questo modo si instaura la catena di ossidazione dei polifenoli, questa catena può essere interrotta dal glutatione che si trasforma in GRP (grape reaction product). Finché vi è disponibilità di un antiossidante (glutatione, acido ascorbico) quindi la catena di ossidazione non procede oltre. 6 L'influenza dell'ossigeno in vinificazione e la tecnica della microossigenazione Drius Denis Fig.3: L'ortochinone dell' acido caftarico si riduce a sua volta ossidando il flavanolo avente un gruppo ortodifenolico sull'anello B alla sua forma ossidata di colore bruno 2.2 Via microbiologica di consumo dell'ossigeno La principale via microbiologica di consumo di ossigeno durante la vinificazione è rappresentata da Saccharomyces cerevisae, microorganismo eucariote agente della fermentazione alcolica. Saccharomyces cerevisae è in grado di attuare metabolismo sia respiratorio (aerobio) che fermentativo (anaerobio) ma visto che appartiene al gruppo dei microorganismi Crabtree positivi, nei quali il metabolismo respiratorio viene inibito da concentrazioni zuccherine superiori al 2%, in condizioni enologiche questo lievito è in grado di attuare solo il metabolismo fermentativo. Nonostante S. cerevisae attui un metabolismo anaerobio è stato dimostrato che il suo fabbisogno in ossigeno riveste un'importanza determinante per il buon andamento della fermentazione alcolica. Infatti l'ossigeno è essenziale per la sintesi, da parte del lievito, dei suoi fattori di sopravvivenza, acidi grassi costituenti dei fosfolipidi e steroli, che rappresentano i principali costituenti della membrana cellulare dei lieviti. Un tenore in acidi grassi insaturi e di steroli insufficiente determina una perdita di funzionalità della membrana cellulare causando così l'arresto di fermentazione, dovuta, ad esempio, dall'entrata dell'etanolo nel citoplasma della cellula. La molecola base nella sintesi dei composti lipidici in S.cerevisae è l'acetil CoA che può essere prodotto dalla piruvato deidrogenasi (solamente con metabolismo respiratorio, quindi non avviene), oppure tramite la decarbossilazione del piruvato ad acetaldeide che viene poi ossidato ad acido acetico e infine utilizzato per sintetizzare acetil CoA tramite due vie: una inibita dal glucosio e una responsabile della sintesi degli acidi grassi a lunga catena. L'acetil CoA viene poi utilizzato per la sintesi degli acidi grassi a lunga catena dopo la sua carbossilazione a malonil CoA (processo di elongazione della catena). La sintesi di acidi grassi insaturi a lunga catena richiede l'intervento di una desaturasi che è attiva solo in presenza di ossigeno. In assenza di ossigeno si ha quindi un accumulo acidi grassi saturi a lunga catena che causano l'inattivazione dell'enzima acido grasso sintetasi con conseguente accumulo di intermedi quali acido acetico e acidi grassi a media catena. Nella sintesi degli steroli l'acetil CoA viene utilizzato nella sintesi dello squalene che viene poi ciclicizzato a lanosterolo e successivamente a ergosterolo dall'enzima squalene epossidasi che necessita della presenza di ossigeno. In anaerobiosi si avrà quindi l'accumulo dello squalene. 7 L'influenza dell'ossigeno in vinificazione e la tecnica della microossigenazione Drius Denis Fig.4: Vie di sintesi dei composti lipidici in S. Cerevisae Si ricorda inoltre che anche le cellule non più attive di S. cerevisae che si depositano sul fondo del vinificatore a fermentazione conclusa sono in grado di consumare ossigeno probabilmente a causa della liberazione di ergosterolo in seguito all'autolisi dei lieviti che va poi incontro a processi ossidativi. Questa proprietà delle cellule non vitali di S. cerevisae riveste notevole importanza nell'affinamento "sur lies". I batteri lattici sono microorganismi anaerobi o aerobi facoltativi quindi un'eccessiva concentrazione in ossigeno può essere d'ostacolo al loro sviluppo. Tuttavia è stato dimostrato che la somministrazione di piccole dosi di ossigeno tramite la tecnica della microossigenazione può favorire la fermentazione malolattica. Nel corso della fermentazione malolattica la degradazione dell'acido malico non è influenzata dal contenuto in ossigeno, la degradazione dell'acido citrico che porta alla formazione di acido acetico e diacetile (responsabile del sentore "burroso") è invece influenzata dal contenuto in ossigeno. La gestione dell'ossigeno durante la fermentazione malolattica può essere dunque svolta a seconda che si voglia promuovere o inibire la produzione di diacetile. Generalmente durante la fermentazione malolattica gli apporti di ossigeno vengono interrotti. Anche altri microorganismi responsabili di deviazioni organolettiche nel vino sono responsabili del consumo microbiologico dell'ossigeno. Brettanomyces, responsabile del difetto di fenolico la cui principale molecola responsabile è il 4-etilfenolo (odore di scuderia), è favorito dalla presenza di ossigeno disciolto nel vino, tuttavia l'anaerobiosi non impedisce del tutto il suo sviluppo. Inoltre alcuni studi dimostrano che la pratica della microossigenazione non ne favorisce l'attività. Anche i lieviti filmogeni agenti della fioretta, che sono in grado di sviluppare una film bianco-grigiastro sulla superficie del vino, sono favoriti da condizioni di aerobiosi. Questi lieviti causano difetti di natura ossidativa. Per evitare il loro sviluppo si devono ridurre le condizioni di aerobiosi con l'utilizzo di gas inerti e di colmature oltre ad una adeguata pulizia di cantina. Infine anche i batteri acetici, microorganismi aerobi, che ossidano l'etanolo ed il glucosio ad acido acetico, sono favoriti da condizioni di aerobiosi. La loro attività è comunque dovuta soprattutto al livello di contaminazione. 8 L'influenza dell'ossigeno in vinificazione e la tecnica della microossigenazione Drius Denis 2.3 Via chimica di consumo dell'ossigeno Dato il maggiore consumo di ossigeno dei vini rossi rispetto ai vini bianchi risulta evidente che i principali composti coinvolti nel consumo chimico di ossigeno nel vino siano i composti polifenolici, e tra questi soprattutto gli ortodiidrossifenoli (ac. caffeico, ac. caftarico, le catechine ecc.). Altre molecole coinvolte nel consumo chimico di ossigeno nel vino sono i solfiti, l'acido ascorbico e l'etanolo che rivestono tuttavia importanza secondaria. Le reazioni tra ossigeno e composti fenolici avvengono solo dopo la loro attivazione: l'attivazione dell'ossigeno avviene tramite la fissazione su alcune sostanze chiamate autossidabili (Fe3+, Cu2+) dando perossidi instabili in grado di ossidare altre sostanze non direttamente ossidabili dall'ossigeno, l'attivazione dell'ortodifenolo è rappresentata invece dal radicale semichinonico formato a sua volta dall'ossidazione dello ione fenolato, presente in maggiore quantità al crescere del pH. Forma colorata (flavilio) - elettrofilo Forma incolore (emichetale) - nucleofilo Fig.5: Forme degli antociani in equilibrio in funzione del pH Dall'ossidazione di uno ione fenolato (nucleofilo) si ottiene quindi un radicale semichinonico estremamente instabile che porta subito alla formazione di un chinone. I chinoni così formati hanno una spiccata attitudine elettrofila, ovvero tendono ad ossidare altre sostanze nucleofile come i fenoli nucleofili (quindi riducenti), portando alla riformazione di nuovi ortodifenoli reattivi. L'ossidazione degli ortodifenoli a radicale semichinonico prima e ortochinone poi, inoltre porta alla formazione di radicali perossidi intermedi molto reattivi, come l'acqua ossigenata. L'acqua ossigenata così formata ha come substrato ossidabile preferenziale, in quanto presente in maggiore quantità, l'etanolo che viene ossidato ad aldeide acetica (etanale). L'acetaldeide così formata partecipa alle reazioni di condensazione antociani-flavanoli, antocianiantociani e flavanoli-flavanoli (tannini-tannini). La formazione di polimeri via acetaldeide (ponte etanale) avviene in seguito alla protonazione dell'acetaldeide, quindi alla formazione di un carbocatione che subisce un addizione nucleofila con una proantocianidina o un antociano nella sua forma incolore (forma emichetale). La molecola così formata subisce un'ulteriore protonazione e la perdita di una molecola d'acqua, portando alla formazione di un nuovo carbocatione che reagisce quindi con una molecola nucleofila (un tannino o un antociano) formando un dimero di due molecole fenoliche collegate tramite un ponte etanale. Fig.6: Dimero tra un antociano e un tannino mediante ponte etanale 9 L'influenza dell'ossigeno in vinificazione e la tecnica della microossigenazione Drius Denis Se questa polimerizzazione procede con molecole di tannini, il polimero, raggiunto una data dimensione, precipita, mentre nel momento in cui viene addizionata una molecola antocianica la catena di polimerizzazione si interrompe formando molecole colorate di maggiore stabilità e di colore malva. Esistono anche altri composti di reazione tra antociani e acetaldeide (o antociano e acido piruvico) che si formano da reazione di cicloaddizione degli antociani nella loro forma colorata di ione flavilio in posizione 4 con l'acetaldeide: sono i pirano-antociani, composti di colore giallo-arancio, stabili alla decolorazione con SO2 e alle variazioni di pH, sono responsabili del colore rosso dei vini sottoposti ad affinamento in bottiglia di almeno 6 anni, ma si formano anche durante la fermentazione contribuendo alla colorazione dei vini. Fig.7: Struttura generica delle forme pirano-antocianiche che si sviluppano nel corso dell'affinamento Sono possibili anche altre reazioni tra tannini e antociani che come le precedenti reazioni richiedono la presenza di ossigeno, è questo il caso in cui la molecola di antociano sia presente in forma flavilio (elettrofila) mentre i tannini si presentano in forma reattiva (tendenza nucleofila). Dalla reazione di queste due molecole si ottiene una molecola incolore che solo dopo essere stata riossidata assume un colore rosso. Questo tipo di reazione è molto lenta. Vi sono infine anche altre reazioni di condensazione tannini-antociani o tannini-tannini che non richiedono la presenza di ossigeno che porta alla progressiva scomparsa dei monomeri reattivi presenti. 3.0 Gestione dell'ossigeno: Generalità La gestione dell'ossigeno durante il processo di vinificazione si può suddividere in 3 fasi: una prima fase pre-fermentativa (per i vini bianchi), una seconda fase fermentativa che va fino ai momenti immediatamente successivi alla svinatura nei vini rossi e una fase di affinamento. Durante la fase pre-fermentativa ogni enologo può scegliere, a seconda degli obbiettivi ricercati, dalla tipologia di vino e dallo stato sanitario dell'uva, se procedere con una totale protezione del mosto dall'ossigeno mediante solforosa, acido ascorbico, gas inerti ecc. allo scopo di preservare tutto il potenziale aromatico delle uve oppure se procedere a una iper-ossigenazione del mosto allo scopo di eliminare la tirosinasi e tutti i substrati fenolici ossidabili presenti (solubilizzazione di circa 50 mg/L di ossigeno) o meglio ancora ricorrere ad un'ossigenazione gestita che si basa su una preliminare analisi delle sostanze fenoliche ossidabili utile per determinare il reale dosaggio di ossigeno necessario per ossidare solamente le sostanze fenoliche facilmente ossidabili. La vinificazione in iperossigenazione necessita per forza la vinificazione di uve aventi un'eccellente stato sanitario. Questa pratica spesso porta a vini troppo "piatti" o semplici. La tecnica dell'iperriduzione spinta si presenta invece assolutamente positiva solamente per i mosti da uve Sauvignon Blanc, e per vinificazioni particolari, mentre per altre varietà la protezione spinta dei mosti dall'ossigeno non porta sempre a dei risultati migliori ad altre pratiche ed inoltre fornisce dei vini successivamente più soggetti a ossidazioni e a invecchiamenti precoci. La gestione dell'ossigeno durante la fase fermentativa differisce per scopo e dosaggi a seconda della vinificazione in bianco o in rosso. Nella vinificazione in bianco la presenza di ossigeno e la sua corretta gestione durante la fermentazione alcolica permette l'ottenimento di fermentazioni più regolari e complete oltre alla prevenzione dei fenomeni riduttivi. Nella vinificazione in rosso una corretta gestione dell'ossigeno durante la macerazione consente una maggiore stabilità del colore ed un ammorbidimento dei vini. Questa gestione è da sempre stata praticata mediante i rimontaggi all'aria. 10 L'influenza dell'ossigeno in vinificazione e la tecnica della microossigenazione Drius Denis Durante l'affinamento dei vini rossi un'ossigenazione continua e a dosi minime consente l'ottenimento di vini più stabili e morbidi. Da sempre questo risultato si è ottenuto con l'affinamento dei vini rossi in barrique. Infine anche per i vini bianchi affinati "sur lies" una corretta gestione dell'ossigeno risulta importante per evitare spiacevoli difetti riduttivi dovuti alla presenza delle fecce di lievito. Anche a questo scopo un determinante ruolo è stato svolto dalle botti di legno. La gestione dell'ossigeno in enologia è quindi sempre stata praticata mediante la gestione dei rimontaggi all'aria in fase di maturazione, la gestione dei travasi, l'affinamento in botti di legno di diversa grana o dimensioni e la gestione delle colmature nell'affinamento in botti di legno nelle diverse fasi del processo di vinificazione. Dall'affinamento dei vini in botti di legno si apprende che un apporto di ossigeno nel vino continuo e in dosaggi minimi ha effetti diversi e migliori rispetto ad un apporto istantaneo e violento come quello che si può ottenere mediante un travaso. Questa differenza si può spiegare con due spiegazioni. La prima è che con un accumulo violento di ossigeno nel vino oltre alle sostanze polifenoliche facilmente ossidabili vengono consumate anche altre molecole importanti per la qualità del vino, come alcune sostanze aromatiche e le stesse antocianine. La seconda spiegazione è che le reazioni di polimerizzazione tannini-antociani o tannini-tannini sono di carattere ciclico, ovvero per potere rigenerare un orto-difenolo ossidabile e necessario che il chinone precedentemente formatasi reagisca con una molecola fenolica ridotta: se l'apporto di ossigeno è troppo elevato tutti i substrati fenolici si ossidano e la catena di rigenerazione si interrompe. 4.0 La tecnica della micro-ossigenazione: Generalità La tecnica della micro-ossigenazione nasce in Francia durante gli anni '90 con gli studi dell'equipe di Michael Mountounet. La nascita di questa tecnica è dovuta alla necessità di potere riprodurre gli effetti benefici e stabilizzanti dell'affinamento in botti di rovere anche in vasche inerti. Con il progredire degli studi sulla tecnica della micro-ossigenazione questa tecnica si è arricchita di numerosi altri scopi come, per esempio, il dosaggio dell'ossigeno in fermentazione allo scopo di promuovere la sintesi di fattori di crescita essenziali per la buona funzionalità della membrana della cellula del lievito oppure il dosaggio di ossigeno in un vino allo scopo di riequilibrare il potenziale ossido-riduttivo per evitare difetti riduttivi. Il principio fondamentale di questa tecnica consiste nel dosare nel mosto o nel vino una precisa quantità di ossigeno tale da non superare mai la capacità di consumo degli stessi costituenti del vino. La dose di ossigeno da somministrare ad un certo vino non risponde a regole fisse ed è in funzione soprattutto delle caratteristiche intrinseche del vino e dalla fase del processo di vinificazione ma anche dal risultato ricercato, dal tempo disponibile e dagli obbiettivi di mercato. Questa tecnica per essere correttamente applicata necessità un'approfondita conoscenza dei meccanismi coinvolti (descritti sinteticamente nei precedenti paragrafi) e del vino soggetto al trattamento, ovvero della sua composizione, del contenuto di ossigeno già disciolto e dei trattamenti che il vino ha già subito in precedenza senza dimenticare i trattamenti che subirà in futuro (travasi, stabilizzazioni a freddo che arricchiscono il vino in ossigeno). 4.1 Macro o Micro -ossigenazione Il micro-ossigenatore è in grado di dosare l'ossigeno in modo istantaneo o in modo continuo, a seconda del momento in cui deve essere utilizzato. Si distinguono quindi l'ossigenazione in dose singola, la macro-ossigenazione e la microossigenazione. L'ossigenazione in dose singola consiste in un dosaggio puntuale che avviene, per esempio nell'arco di un ora (mg/L/h), questa trova applicazione durante la fase fermentativa dove il fabbisogno dei lieviti e nell'ordine dei 5-10 mg/L. La macro-ossigenazione invece consiste in un ossigenazione continua che avviene nell'arco di una giornata, nell'ordine dei mg/L/giorno, che trova applicazione soprattutto durante le fasi di macerazione fino ai momenti immediatamente successivi alla svinatura nei vini rossi. Infine la microossigenazione consiste in un dosaggio minimo e 11 L'influenza dell'ossigeno in vinificazione e la tecnica della microossigenazione Drius Denis continuo che avviene nell'arco di un mese (mg/L/mese) che trova invece applicazione durante le fasi di affinamento quando il fabbisogno di ossigeno del vino e relativamente limitato. Tuttavia spesso la tecnica della micro-ossigenazione, della macro-ossigenazione e dell'ossigenazione in dose singola vengono convenzionalmente indicate nel loro complesso come tecnica della microossigenazione in quanto il micro-ossigenatore, lo strumento utilizzato a questo scopo, è generalmente dotato di tutte e tre le funzioni. 4.2 Applicazioni della microossigenazione 4.2.1 Micro-ossigenazione in dose singola in fermentazione La micro-ossigenazione viene applicata durante la fase fermentativa fondamentalmente per promuovere la sintesi dei fattori di sopravvivenza necessari per l'attività fermentativa, come gli acidi grassi insaturi e gli steroli che partecipano attivamente alla buona funzionalità della membrana cellulare e quindi ai meccanismi di trasporto attivi e passivi tra il citoplasma e il mezzo (paragrafo 2.2). Il dosaggio dell'ossigeno viene quindi effettuato in dose singola solitamente nell'ordine dei mg/L/h, ma può essere effettuata anche in mg/L/giorno (macro-ossigenazione). L'aggiunta di ossigeno in fermentazione deve essere effettuata quando la principale via di consumo dell'ossigeno è rappresentata dai lieviti, poiché se l'ossigeno venisse somministrato quando la principale via di consumo è ancora quella enzimatica (paragrafo 2.1), si potrebbero verificare arresti fermentativi o casse ossidasiche. Secondo lo studio di Jean Marie Sablayrolles il momento ottimale per la somministrazione di ossigeno in fermentazione coincide con il momento in cui sono stati consumati 1/4 degli zuccheri totali, che coincide con la fine della fase di crescita dei lieviti. Questo studio stima inoltre il fabbisogno dei lieviti tra i 5 mg/L e i 10 mg/L di ossigeno. Inoltre è stato dimostrato che anche la somministrazione di solo 1 mg/L migliora comunque la cinetica fermentativa. I lieviti secchi attivi (LSA) vengono prodotti in condizioni fortemente aerobiche e che quindi, in un primo momento, hanno già a disposizione una buona quantità di fattori di crescita (acidi grassi e steroli) localizzati nella membrana o come composti di riserva. Tuttavia con il procedere della fermentazione questi fattori di crescita di diluiscono progressivamente con il susseguirsi delle generazioni, comportando un non più adeguato tenore in fattori di crescita: In questo momento risulta fondamentale la somministrazione di un'adeguata concentrazione di ossigeno allo scopo di promuovere la sintesi di acidi grassi insaturi e steroli anche allo scopo di incrementare la resistenza all'etanolo che diventa in questa fase fondamentale (funzionalità delle membrana). Il dosaggio di ossigeno durante questa fase, nella vinificazione in bianco, è inoltre in funzione del grado di torbidità del mosto. Mosti torbidi (es. 250 NTU) necessitano dosaggi minori poiché il lievito può compensare la sua alimentazione lipidica mediante i residui vegetali. Tuttavia a torbidità superiori ai 250 NTU, l'eccesso di acidi grassi favorisce l'accumulo di metionolo, caratterizzato da un spiacevole sentore di cavolo cotto. Mosti troppo illimpiditi invece necessitano dosaggi maggiori poiché l'alimentazione lipidica risulta insufficiente e si potrebbero avere elevate produzioni di acido acetico conseguenti ad una fermentazione alcolica stentata e nel peggiori dei casi un arresto fermentativo. Con l'aggiunta contemporanea di ossigeno e azoto si possono ottenere ottimi risultati sulla velocità di fermentazioni. L'aggiunta di ossigeno va effettuata ad 1/4 della fermentazione, mentre l'aggiunta di azoto a 1/2 fermentazione. In alternativa ossigeno e azoto possono essere somministrati contemporaneamente a 1/2 fermentazione. In presenza di dosi di ossigeno reputate ottimali per una buona cinetica fermentativa (circa 7 mg/L) si avrà quindi una maggiore Fig. 8:Metionolo (3-metiltio-propan-1-olo): si forma per deaminazione, decarbossilazione e riduzione della metionina da parte dei lievito (via di Ehrlich) 12 L'influenza dell'ossigeno in vinificazione e la tecnica della microossigenazione Drius Denis produzione di acidi grassi e steroli con accumulo di ergosterolo. Somministrando invece dosi maggiori al mosto in fermentazione (37mg/L), una volta soddisfatto il fabbisogno di ossigeno per la sintesi di fattori di sopravvivenza , il lievito attiva meccanismi di ossidazione dell'ergosterolo e l'attivazione delle vie respiratorie. La somministrazione di ossigeno durante la fermentazione può influenzare anche le fasi successivi della vinificazione. Il consumo di ossigeno da parte delle fecce di lievito è stato attribuito principalmente all'ergosterolo, contenuto nelle membrane cellulari delle cellule in lisi, che secondo quando osservato da Fornairon et al (2003) diminuisce in presenza di ossigeno andando incontro a fenomeni ossidativi. Il consumo di ossigeno da parte delle cellule di lievito viene inoltre attribuito da Vivas (2007) alla presenza di composti azotati, amminoacidi solforati, peptidi e proteine stabili rilasciati in seguito ai processi di autolisi del lievito. Fornairon e altri autori hanno dimostrato che il consumo di ossigeno delle fecce fini di lievito durante l'affinamento sur lies è inversamente proporzionale all'aggiunta di ossigeno durante la fermentazione. Questo studio afferma quindi che somministrando ossigeno durante la fermentazione si potrebbe ridurre i rischi di riduzione frequenti durante l'affinamento sur lies soprattutto in contenitori ermetici quali le vasche in acciaio INOX. Tuttavia da un mio punto di vista personale tale affermazione non trova applicazione poiché questo fenomeno è stato verificato sulle fecce di lievito proveniente da una fermentazione alla quale sono stati addizionati ben 37 mg/L di ossigeno, condizioni ben lontane dalla reale pratica enologica, che portano all'ossidazione dell'ergosterolo con contemporaneo accumulo di lanosterolo. Questo minore consumo di ossigeno e sicuramente dovuta alla precedente ossidazione dell'ergosterolo, evidenziando che si è andati oltre al ottimale fabbisogno del lievito in ossigeno, causando sicuramente danni organolettici al vino soggetto alla sperimentazione. 4.2.2 Microossigenazione per la stabilizzazione del colore dei vini rossi e la maturazione dei tannini Ai fini di ottenere un vino rosso di qualità è di fondamentale importanza ottenere dalle uve il massimo della loro potenzialità qualitativa. A questo scopo si può dunque intervenire con la gestione dell'ossigenazione durante macerazione allo scopo di ottimizzare l'estrazione degli antociani e dei tannini dalla buccia, e durante le fasi immediatamente post-fermentative e di affinamento allo scopo di stabilizzare e conservare il corredo polifenolico del vino. La microssigenazione quindi trova applicazione in questo scopo sostituendo o integrando i tradizionali trattamenti attuati durante la fase di estrazione per gestire l'ossigeno che venivano attuati mediante travasi e rimontaggi all'aria che tuttavia non permettono una precisa quantificazione dell'ossigeno davvero disciolto nel vino. Di seguito verranno esposte tutte le applicazioni della pratica della microossigenazione allo scopo di estrarre e stabilizzare il colore dei vini rossi e di alleviare l'astringenza dei loro tannini, durante le diverse fasi del processo di vinificazione. 4.2.3 Fase di estrazione: gestione dell'ossigenazione durante la macerazione dei vini rossi Come abbiamo visto in precedenza nel paragrafo 2.2 l'ossigeno rientra in numerose reazioni che portano alla stabilizzazione della sostanza colorante. Durante la fase di estrazione quindi la gestione dell'ossigeno mediante rimontaggi all'aria o alla macro-ossigenazione risulta fondamentale a questo scopo. Tuttavia e necessario comprendere anche la cinetica della macerazione per potere applicare queste tecniche al meglio. 13 L'influenza dell'ossigeno in vinificazione e la tecnica della microossigenazione Drius Denis 4.2.3.1 Generalità sulla macerazione Durante la fase di estrazione sarebbe ottimale potere stabilizzare le sostanze coloranti man mano che esse vengono rilasciate dalle bucce al mezzo. Tuttavia questa condizione ideale risulta molto lontana dalla realtà in quanto durante la macerazione i diversi composti vengono rilasciati nel mezzo in momenti diversi. Gli antociani, per esempio, sono presenti nel mosto in quantità Fig.9:rappresentazione grafica dell'evoluzione dell'estrazione di aldeide acetica, antociani e tannini durante la macerazione massime durante i primi 8-10 giorni di macerazione (maggiore intensità colorante) poiché la loro estrazione non richiede la presenza dell'etanolo, questo momento non corrisponde con la massima ricchezza in tannini, quindi il rapporto tannini antociani di 1:4 ritenuto ottimale non è rispettato e verrà raggiunto solamente quando la concentrazione in antociani sarà in declino. La dissoluzione dei tannini avviene più tardi in quanto facilitata dalla presenza dell'etanolo. I primi ad essere estratti sono i tannini della buccia (morbidi ma amari se la maturazione delle uve non è completa), poi, previa eliminazione dei lipidi, quelli dei vinaccioli (più rugosi ma meno amari). Nemmeno l'aldeide acetica si ritrova nel mezzo in massima concentrazione nel momento in cui sarebbe più utile, infatti essa trova la sua massima concentrazione durante la fase di crescita esponenziale dei lieviti, durante i primi 4 -5 giorni di macerazione. Inoltre il momento di massima dissoluzione degli antociani nel mezzo si verifica quando la principale via di consumo dell'ossigeno è quella microbiologica dei lieviti ed in certi casi più spesso ancora quella enzimatica. In sintesi la stabilizzazione delle sostanze coloranti in fase di estrazione risulta difficile in quanto i diversi composti coinvolti (antociani, tannini, acetaldeide) si ritrovano in quantità massime in momenti diversi durante la macerazione. Una soluzione proposta da alcuni ricercatori consiste nel riequilibrare il rapporto tannini/antociani nel momento in cui la concentrazione in antociani è massima con l'apporto di tannini esogeni (tannini idrolizzabili a basso peso molecolare o tannini ellagici con ulteriore funzione per quanto riguarda la protezione dalle ossidazioni). 4.2.3.2 Macroossigenazione in fase di estrazione L'apporto di ossigeno durante questa fase deve tenere conto delle diverse vie di consumo dell'ossigeno. Risulta essenziale evitare ossidazioni quando il consumo enzimatico di ossigeno è ancora quello preponderante soprattutto nel caso si vinifichi uve affette da Botrytis cinerea che potrebbe portare ad una rilevante ossidazione delle sostanze coloranti. Inoltre durante le prime fasi gli antociani sono molto più presenti dei tannini e anche questo fattore può determinare, in seguito ad un'ossigenazione, l'ossidazione della materia colorante. La macroossigenazione avrà quindi inizio quando la principale via di consumo dell'ossigeno sarà rappresentata da quella microbiologica dei lieviti. Il momento in cui gli antociani e i tannini reattivi sono presenti in maggiore quantità coincide con la fermentazione. Bisognerà quindi considerare che del momento in cui i lieviti avranno degradato l'1/4 degli zuccheri presenti fino a metà fermentazione, essi consumeranno la maggior parte dell'ossigeno. Da questo momento in poi invece l'ossigeno sarà utilizzato prevalentemente per via 14 L'influenza dell'ossigeno in vinificazione e la tecnica della microossigenazione Drius Denis chimica per stabilizzare la sostanza colorante. Il dosaggio dell'ossigeno è quindi in funzione della tipologia di fermentazione. Con macerazioni brevi, dove la svinatura avviene in corrispondenza del contenuto massimo in antociani, prime della fine della fermentazione alcolica, l'ossigeno verrà consumato prevalentemente dai lieviti a seconda della fase fermentativa. In questo caso sarà d'obbligo riequilibrare il rapporto tannini/antociani con l'aggiunta di tannini esogeni e permettere una certa stabilizzazione della sostanza colorante che richiederà anche essa una parte dell'ossigeno apportato. Con macerazioni lunghe con svinature a fine fermentazione invece l'ossigeno verrà in un primo momento utilizzato prevalentemente dai lieviti e man mano che la fermentazione procede dalle reazioni di stabilizzazione del colore. Inoltre una parte dell'ossigeno verrà consumato anche dalle parti solidi presenti in sospensione nel mezzo. Infine in una macerazione lunga, con durata superiore alla fermentazione, il consumo di ossigeno da parte dei lieviti andrà esaurendosi con la fermentazione. Il consumo da parte delle parti solide e delle fecce di lievito rimarrà invece costante. I tannini e gli antociani potranno quindi avviare i meccanismi di stabilizzazione del colore mediante ponte etanale. Tuttavia in questa fase gli apporti di ossigeno potrebbero causare la comparsa di batteri acetici (acetobacter) sul cappello di vinacce, anche a causa dell'assenza dell'anidride carbonica che svolgeva un certo ruolo di protezione dall'ossigeno nel capello di vinacce, con importanti incrementi dell'acidità volatile. Il dosaggio di ossigeno durante la fase di estrazione avverrà in due momenti. Una prima macro ossigenazione, quando il mosto in fermentazione raggiunge i 6-7% alcolici (metà fermentazione) con 10-15 mg/L di ossigeno in dose singola o nell'arco di 4 ore. In questo caso 5-10 mg/L dell'ossigeno apportato saranno consumati dai lieviti e la quantità restante nelle reazioni di stabilizzazione del colore e dai solidi in sospensione. Un secondo intervento invece consisterebbe in 2-6 mg/L/giorno a fine fermentazione (circa 50 g/L di zuccheri residui) per soddisfare il fabbisogno delle reazioni di stabilizzazione del colore fino 5-6 giorni dopo la fine della fermentazione alcolica. Prima di procedere con questi dosaggi è comunque molto importante verificare il rapporto tannini/antociani ed eventualmente correggerlo a 4:1 e procedere eventualmente ad un analisi del quadro polifenolico totale. Si ricorda infine che bisogna considerare, prima di determinare il dosaggio, le operazioni precedenti che avrebbero potuto arricchire il vino in ossigeno, come i rimontaggi o travasi, procedendo eventualmente ad un analisi dell'ossigeno disciolto. Durante il dosaggio se si osservassero incrementi dell'acidità volatile e/o di microorganismi contaminanti, si dovrà procedere con l'immediata interruzione dell'ossigenazione e con la messa al riparo del vino dall'ossigeno. Infine prima di effettuare dei dosaggi è necessario verificare la cinetica fermentativa e tenere sotto controllo l'acetaldeide e l'acido acetico. 4.2.3.3 Macroossigenazione pre-fermentazione malolattica Per ottenere la massima stabilizzazione dei composti estratti durante la macerazione, la fase che intercorre tra la svinatura e l'inizio della fermentazione malolattica riveste un ruolo di determinante importanza e risulta dunque fondamentale la gestione dell'ossigeno al fine di promuovere le reazioni di stabilizzazione della sostanza colorante estratta con la pratica del travaso o della microossigenazione. Come specificato in precedenza le reazioni di stabilizzazione sono facilitate da un alto contenuto in tannini reattivi e antociani liberi che devono tuttavia essere presenti in un adeguato rapporto di 4/1. Anche durante questa fase tale rapporto va corretto con l'aggiunta di tannini esogeni nel caso in cui si sia dovuto, per esempio, procedere ad una macerazione breve a causa di uve botrytizzate. Gli altri composti che promuovono tale reazioni sono l'etanolo e l'aldeide acetica di cui una parte si è formata per ossidazione dell'etanolo e la restante dal metabolismo dei lieviti. Questa fase risulta determinante poiché non vi è una sostanziale presenza di solforosa che verrà aggiunta solamente a fine fermentazione malolattica. Questo fattore è importante perche l'anidride solforosa è fortemente reattiva con l'acetaldeide e può determinarne una suo consumo. Inoltre 15 L'influenza dell'ossigeno in vinificazione e la tecnica della microossigenazione Drius Denis elevati tenori possono precipitare gli antociani, bloccare la formazione di perossidi e riportare alcuni polifenoli ossidati nella loro forma ridotta determinando un arresto dei processi di stabilizzazione. Un gruppo di ricerca dell'Università di Auckland (Nuova Zelanda) ha infatti verificato l'influenza della microossigenazione sul profilo polifenolico e del colore dei vini su mosti aventi dosi crescenti di solforosa (da 0 a 200 mg/L) confermando che la solforosa determina un rallentamento progressivo delle reazioni di stabilizzazione del colore in funzione del suo dosaggio. La monitorazione della fermentazione malolattica è necessaria, infatti nel caso in cui fosse avviata la microossigenazione deve essere interrotta quando è stato consumato il 70 % dell'acido malico altrimenti si potrebbe promuovere la formazione di diacetile e acido acetico dalla degradazione dell'acido citrico che avviene nell'ultima fase della fermentazione malolattica (2.2). Nel caso in cui non vi sia la possibilità di monitorare la fermentazione malolattica può essere necessario interrompere il dosaggio di ossigeno fino alla sua conclusione. Interessante risulta l'utilizzo del lisozima allo scopo di ritardare la fermentazione malolattica (che verrà successivamente avviata con un inoculo di batteri selezionati) per ampliare questa fase del processo di vinificazione che risulta essenziale per la stabilizzazione dei composti polifenolici estratti senza dover ricorrere al uso di anidride solforosa. La dose da somministrare in questa fase dipende dalla varietà, dal stato di maturazione, dallo stato sanitario, dalla qualità delle uve, dalla torbidità del vino (presenza di lies di lievito), profilo polifenolico (tannini e antociani) e dall'obbiettivo enologico ricercato. La moltitudine dei fattori che influenzano il dosaggio sottolineano la necessità di avere una stretta conoscenza del vino da trattare. Nel caso in cui si voglia raggiungere solo la stabilità dei composti polifenolici senza apportare quindi una sostanziale modificazione organolettica si può intervenire con dosaggi variabili tra 0.5 e 2 mg/L/giorno per 4-5 giorni a seconda del profilo fenolico del vino (basso profilo fenolico: da 0,5 a 1 mg/L/giorno per 4-5 giorni; profilo fenolico elevato: 1-2 mg/L/giorno per 4-5 giorni). Nel caso si voglia invece intervenire, oltre che sulla stabilizzazione delle sostanze polifenoliche estratte, anche sulle caratteristiche organolettiche del vino migliorandole si può procedere con dosaggi compresi tra 1,5 e 4 mg/L/giorno per 7-10 giorni a seconda delle caratteristiche intrinseche del vino (vino con profilo fenolico basso 1,5 - 2 mg/L/giorno per 7-10 giorni, vino con profilo fenolico elevato da 2 a 4 mg/L giorno per 7-10 giorni) e dell'impatto organolettico ricercato. 4.2.3.4 Microossigenazione post-fermentazione malolattica L'affinamento in barrique dei grandi vini rossi fornisce al vino l'ossigeno necessario al suo elevage. In un vino rosso conservato in vasche in INOX il fabbisogno in ossigeno richiesto dalle reazioni di stabilizzazione della sostanza colorante e dell'ammorbidimento dei tannini non viene soddisfatto. Durante affinamento in vasche INOX l'unico strumento di dosaggio dell'ossigeno in passato era rappresentato dai travasi che tuttavia apportano una dose d'ossigeno troppo elevata (mediamente 4 mg/L) e in un arco di tempo troppo ristretto. Come detto in precedenza un'ossigenazione brusca ha risultati diversi e peggiori rispetto ad un'ossigenazione lenta e progressiva. Così è nata la necessità di avere a disposizione sistemi di dosaggio di ossigeno in grado di dosare l'ossigeno in dosi minime e in tempi lunghi: i micro ossigenatori. La loro applicazione in questa fase di elevage è stata facilitata dagli studi dei fenomeni dell'affinamento in barrique. Il fabbisogno d'ossigeno in questa fase dipende dalla presenza di lies di lievito (consumo di ossigeno), dalla varietà, dal grado di maturazione, dallo stato sanitario, dai metalli (Cu++, Fe+++) dal corredo polifenolico, dallo stato cromatico iniziale, dall'impatto enologico ricercato e dal tempo trascorso dalla fine della fermentazione malolattica. Infatti, più tempo trascorre dalla fermentazione malolattica, minore sarà il fabbisogno d'ossigeno del vino e quindi del suo dosaggio, come rappresentato dal seguente grafico: 16 L'influenza dell'ossigeno in vinificazione e la tecnica della microossigenazione Drius Denis Fig.10: fabbisogno medio di ossigeno richiesto da un vino rosso in affinamento dopo la fermentazione malo-lattica; Durante il dosaggio sarà necessario monitorare la concentrazione in anidride solforosa libera che dovrà essere maggiore o uguale a 15 mg/L, la presenza di lieviti (Brettanomyces) o batteri (batteri acetici) dannosi. Si ricorda inoltre che la pratica della microossigenazione causa reazioni auto innescati: il fabbisogno di ossigeno quindi incrementerà nella fase iniziale, dunque un'interruzione precoce e/o improvvisa del dosaggio della microossigenazione può comportare stati di riduzione del vino. Oltre alla scelta del dosaggio in questa fase risulta quindi fondamentale la scelta della sua durata. Infine il dosaggio deve essere diminuito progressivamente per la sua interruzione. Per la scelta del dosaggio di ossigeno possiamo schematicamente dividere il fabbisogno di ossigeno in due fasi. Una prima fase di più elevata richiesta d'ossigeno durante i primi tre mesi che seguono la fermentazione malolattica e una seconda fase, dopo i tre mesi che seguono la fermentazione malolattica rappresentati da un fabbisogno d'ossigeno minore. Durante i primi 3 mesi dopo la fermentazione malolattica il dosaggio sarà compreso tra 0,5 e 3,5 mg/L/mese. Se l'impatto organolettico ricercato è basso questo dosaggio sarà di 0,5-1 mg/L/mese per vini con basso profilo polifenolico (in questo caso può essere necessaria un eventuale aggiunta di tannini esogeni) e di 1-2 mg/L/mese per vini con un elevato profilo polifenolico. Se invece l'impatto organolettico ricercato è elevato i dosaggi saranno di 0,8-1,5 mg/L/mese per i vini a basso profilo fenolico, di 2-3,5 mg/L/mese per vini ad alto profilo polifenolico. Dopo tre mesi dalla fine della fermentazione malolattica invece le dosi saranno comprese tra 0,2 e 2 mg/L/mese. Se l'impatto organolettico ricercato è basso il dosaggio sarà di 0,2-0,5 mg/L/mese per i vini a basso profilo polifenolico (eventuale aggiunta di tannini), e di 0,6-1 mg/L/mese per i vini ad elevato profilo polifenolico. Se invece l'impatto organolettico ricercato è elevato le dosi saranno di 0,4-1,5 mg/L/mese per i vini a basso profili polifenolico e 1-2 mg/L/mese per i vini ad elevato profilo polifenolico. 4.2.4 Applicazione secondarie della microossigenazione Dopo la sua nascita la microossigenazione ha trovato molte altre applicazioni come le correzioni di difetti di verde o di stati di riduzione o il prolungamento del affinamento sur lies anche sui vini bianchi, anche se questi ultimi richiedono maggiore attenzione in quando molto più sensibili all'ossigeno. 4.2.4.1 Microossigenazione e correzione difetti di "vegetale" Il difetto di verde o di vegetale si manifesta su vini provenienti da uve che non hanno raggiunto un adeguata maturazione, in particolare per le varietà Sauvignon Blanc, Merlot, Cabernet Sauvignon e Cabernet Frank. Il sentore di "vegetale" è da attribuire alle metossipirazine, composti aromatici a 17 L'influenza dell'ossigeno in vinificazione e la tecnica della microossigenazione Drius Denis carattere erbaceo e vegetale derivati dal metabolismo degli amminoacidi e presenti tanto più quanto più le uve sono immature. Questi caratteri sono particolarmente dannosi qualitativamente per i vini rossi dove tale difetto, a causa della maturità non adeguata, si accompagna alla presenza di tannini astringenti, sentori amari, secchezza e mancanza di colore. La vinificazione di questi vini dovrà avvenire in modo da estrarre più colore possibile riducendo al massimo l'estrazione di tannini astringenti e aromi vegetali. L'apporto di ossigeno risulta efficace per l'eliminazione di questi difetti anche se alcuni autori evidenziano che dopo una loro prima eliminazione questi possono ricomparire. Il dosaggio di ossigeno può avvenire in macerazione (macrossigenazione), in questo caso se è accompagnato dal apporto di chips o staves il trattamento avrà maggiore efficacia (tempi ridotti). L'ossigeno agisce eliminando i composti aromatici responsabili del sentore vegetale sensibili all'ossigeno e favorendo le reazioni di polimerizzazione dei tannini (ammorbidimento). Per quanto riguarda l'attenuazione dell'astringenza dei tannini un trattamento particolarmente efficace risulta essere l'affinamento sur lies, con la liberazione di polisaccaridi che legandosi ai tannini possono diminuire la loro astringenza, associato alla microossigenazione (vini rossi). Tuttavia quest'ultima pratica può determinare una dannosa diminuzione del colore. 4.2.4.2 Microossigenazione e correzione degli stati di riduzione I difetti di ridotto appaiono nel vino quando il suo potenziale di ossido-riduzione scende al di sotto dei 250 mV ed è sempre associato alla comparsa di composti solfurei aventi sentori nauseabondi e dalle basse soglie di percezione, poiché i sistemi ossido-riduttivi tioli-disolfuri si caratterizzano per valori di potenziale di ossido riduzione estremamente bassi. Queste sostanze possono avere diverse origini. La prima origine è rappresentata dal metabolismo dei lieviti che possono originare queste sostanze o per riduzione dei solfiti e dei solfati (anidride solforosa o residui di trattamenti fitosanitari) oppure per degradazione degli amminoacidi solforati quando il mezzo è carente di azoto prontamente assimilabile (annate particolarmente calde e siccitose). In questo ultimo caso risulta efficace l'integrazione con solfato di ammonio. La seconda via di origine dei composti solforati e la via enzimatica che si manifesta nella fase finale della fermentazione alcolica e durante l'affinamento sur lies ed è dovuta all'attività degli enzimi solfato e solfito reduttasi liberati dall'autolisi delle cellule di lievito. La terza via di formazione di composti solforati ridotti è quella chimica dovuta al continuo consumo di ossigeno da parte di polifenoli e fecce di lievito che portano il vino a condizioni sempre più ridotte, al di sotto di 250 mV. Risulta dunque che i vini bianchi siano più soggetti a questi difetti data la loro particolare condizione di vinificazione che nella maggio parte dei casi avviene in riduzione soprattutto per alcune varietà più sensibili come il Sauvignon Blanc o la Malvasia Istriana. I composti solforati responsabili del difetto di riduzione possono essere suddivisi in due principali categorie: i composti solforati "leggeri" aventi punto di ebollizione inferiore a 90 C°, quindi soglia di percezione molto bassa e caratterizzati da odori particolarmente sgradevoli, rappresentati da acido solfidrico (uova marce, aglio), metantiolo (gomma bruciata, cavolo putrescente) e etantiolo (cerino bruciato), oppure i composti solforati "pasanti" aventi punto di ebollizione maggiore di 90 C° e quindi soglie di percezione più basse (più difficili da eliminare data la minore volatilità) rappresentate dal metionolo (sentore di cavolo cotto) (Fig.8, Pag.12). L'idrogeno solforato, che si forma prevalentemente durante la fermentazione alcolica per azione degli enzimi riduttasi o per la degradazione degli amminoacidi solforati, dovrà essere eliminato immediatamente in quanto la sua permanenza nel vino può determinare la comparsa di altre sostanze solfuree ridotte più stabili e difficili da eliminare come il metionolo. L'eliminazione dell'idrogeno solforato avviene tramite un'aerazione (es. macroossigenazione per 3-4 giorni) anche con l'aggiunta di solfato di rame (che non deve essere in eccesso altrimenti causa un aumento dell'utilizzo di ossigeno nel vino con conseguente impoverimento del potenziale aromatico). 18 L'influenza dell'ossigeno in vinificazione e la tecnica della microossigenazione Drius Denis Al contrario dell'idrogeno solforato i composti solfurei "pesanti" non risultano così facili da eliminare, infatti non è sufficiente una semplice aerazione. Questi composti sono in grado di ossidarsi ai loro corrispondenti disolfuri che hanno soglie di percezione più basse, attenuando quindi il difetto nel vino, ma che essendo instabili tendono, in ambiente ridotto, a ridursi nuovamente ai corrispondenti mercaptani. L'eliminazione di questi composti non deve comportare un'ossigenazione eccessiva che rovinerebbe ulteriormente il vino, ma l'uso dell'ossigenazione in associazione con l'apporto di coadiuvanti biologici ad azione complessante e adsorbente come i lieviti inattivati, le fecce fini (che hanno perso la capacità di ridurre i derivati solforati), i tannini ellagici o chips. Infatti i polisaccaridi della parete dei lieviti e i tannini ellagici sono in grado di formare ponti disolfuro con questi mercaptani e di eliminarli. Su questo principio si basano alcuni composti commerciali che apportano al vino lievito inattivato e rame. Meccanismo di azione del Rame: Cu + 2R-S-H → R-S-Cu-S-R↓ + 2H+ ++ In conclusione la tecnica della micro e della macro ossigenazione ci consente di intervenire tempestivamente sulla comparsa di questi difetti, eventualmente coadiuvando l'azione dell'ossigenazione con l'uso di rame, lieviti inattivati o tannini ellagici. Nei vini più soggetti a tali deviazioni sarà opportuno prevenire tali difetti durante i periodi più sensibili come la fermentazione intervenendo con dosaggi di ossigeno in dose singola tra i 5 e i 10 mg/L/ora ed eventualmente, per i vini rossi, a fine fermentazione proseguendo al dosaggio di 0,5-5 mg/L/mese a seconda delle caratteristiche intrinseche del vino. Durante l'affinamento sur lies sarà importante, durante il primo periodo di affinamento, effettuare battonâge per rimettere in sospensione le fecce ed ossigenare contemporaneamente con una macro ossigenazione con 0,5-4 mg/L/giorno per un giorno (oppure in dose singola) alla scopo di prevenire l'azione delle riduttasi particolarmente attive nelle prime fasi dell'affinamento. Nel caso di affinamenti in vasca in assenza di fecce di lievito la correzione potrà avvenire con 4 mg/L/giorno per i vini più strutturati (periodo breve) o con 2 mg/L/giorno per vini più fragili (tempi più lunghi). La micro ossigenazione potrà avvenire anche per la correzione del difetto di ridotto durante l'affinamento in barrique con 1 mg/L in dose singola. In generale l'ossigenazione è particolarmente efficace per l'eliminazione di sostanze solfuree leggere e nel caso si debba eliminare sostanze solfuree pesanti sarà necessario l'utilizzo di coadiuvanti biologici come lieviti inattivati o tannini ellagici. La durata del trattamento non dovrà mai essere superiore ai 4 giorni e nel caso di dosi elevate il trattamento dovrà essere più breve e viceversa. In ogni caso è importante conoscere la struttura del vino ed ricorrere eventualmente ad un test di tenuta all'ossigeno. 4.2.4.3 Microossigenazione nei vini bianchi La microossigenazione dopo qualche tempo ha trovato applicazione anche nell'elaborazione dei vini bianchi, nonostante questi ultimi siano molto più sensibili all'ossigeno in quanto poveri in sostanze polifenoliche. Nel caso dei vini bianchi quindi questa tecnica trova applicazione, oltre che in fermentazione alcolica, anche per l'affinamento "sur lies" dove le cellule di lievito, consumando ossigeno, rivestono un ruolo di protezione dall'ossigenazione analogo a quello delle sostanze polifenoliche nei vini rossi. Per quanto riguarda la gestione dell'ossigeno nella vinificazione in bianco dunque si può distinguere 3 fasi, ovvero quella pre-fermentativa, quella fermentativa e quella post-fermentativa. Durante la fase pre-fermentativa si potrà scegliere se proteggere il vino dalle ossidazione (vinificazione in riduzione o iper-riduzione) o se ossidarlo allo scopo di eliminare tutte le sostanze polifenoliche ossidabili (iperossigenazione o iperossigenazione controllata). La vinificazione in riduzione presenta il vantaggio di preservare maggiormente l'aroma primario delle uve e trova applicazione 19 L'influenza dell'ossigeno in vinificazione e la tecnica della microossigenazione Drius Denis soprattutto per vini come il Sauvignon Blanc che possiede un corredo aromatico molto sensibile all'ossidazione (aromi tiolici), ma spesso fornisce vini troppo sensibili all'ossigeno e ad invecchiamento precoce. L'iperossigenazione presenta invece il vantaggio di avere vini più puliti e molto meno sensibili all'insorgenza di difetti di tipo fenolico (asportazione dell'acido caffeico e ferulico) oltre che di maggiore serbevolezza. Tuttavia l'iperossigenazione spesso appiattisce troppo i vini. Durante la fase fermentativa l'apporto di ossigeno in dose singola (5-10 mg/L) permette sempre di avere una migliore cinetica fermentativa, una riduzione dei sentori solforati (acido solfidrico) e, secondo alcuni studi, una minore attitudine delle fecce fini da loro provenienti a consumare ossigeno (par. 4.2.1) soprattutto se accompagnata da un integrazione azotata. Nella fase post-fermentativa la tecnica della microossigenazione trova applicazione solamente nell'affinamento "sur lies" allo scopo di contrastare il consumo di ossigeno da parte delle fecce particolarmente importante nelle prime fasi dell'affinamento, avendo quindi il ruolo di prevenire gli stati di riduzione. La microossigenazione in questa fase è molto delicata a causa della natura chimica dei vini bianchi, molto sensibili, in quanto può causare un consumo eccessivo di glutatione, sostanza antiossidante molto reattiva con l'ossigeno, e provocare conseguentemente difetti di invecchiamento precoce dovuti al 2-amminoacetofenone (naftalina, fiori d'acacia) o al sotolone (noci, fico, rancio), oppure l'insorgenza diretta di tali difetti ossidativi. La tecnica della microossigenazione in questa fase viene effettuata in concomitanza con la risospensione delle fecce fini tramite i "battonâge" con una dose di ossigeno variabile da 0,2-1 mg/L/mese in funzione della caratteristiche intrinseche del vino e della quantità di lies. Questa tecnica e sconsigliata per alcune varietà come il Sauvignon Blanc i cui aromi varietali, i tioli, sono molto sensibili all'ossidazione. I risultati ottenuti abbinando l'affinamento "sur lies" alla tecnica della microossigenazione si traducono in una maggiore morbidezza e di grassezza e con caratteristiche aromatiche più fruttate e meno erbacee. Inoltre questa tecnica consente spesso di diminuire l'amaro, la ruvidità o la secchezza di alcuni vini rendendoli più morbidi, è questo il caso delle vernacce caratteristicamente amare oppure di alcuni vini bianchi sottoposti a macerazioni pellicolari. 4.2.4.4 Microossigenazione: affinamento "sur lies" L'affinamento "sur lies" inizialmente impiegato solamente per la produzione di vini di elevata qualità come i Chardonnay della Borgogna, oggi trova impiego anche per la vinificazione in rosso. Tramite questa tecnica le cellule di lievito inattive liberano nel vino, in seguito alla loro autolisi, mannoproteine della parete, composti aromatici presenti nel loro citoplasma (come il GMP che apporta sentore di "crosta di pane"), nucleotidi e alcuni esteri. Le mannoproteine conferiscono al vino una maggiore stabilità proteica e tartarica inoltre i vini risultano più morbidi e più grassi. Anche la componete aromatica risulta in seguito a tale affinamento più stabile. Infine per i vini rossi si assiste ad un ammorbidimento dell'astringenza a causa dell'istaurarsi di legami tra mannoproteine e tannini ruvidi. Inoltre per i vini rossi si ha anche la combinazione tra antociani e polisaccaridi che porta ad una parziale perdita dell'intensità colorante ma ad una sua maggiore stabilità. Le problematiche relative a questo tipo di affinamento sono il maggiore rischio di contaminazione microbiologica dovuta al rilascio di sostanze nutritive in seguito all'autolisi delle cellule di lievito e la maggiore combinazione dell'SO2. Per questo motivo i vini sottoposti a tale affinamento necessitano un maggiore e più frequente controllo dell'anidride solforosa. Risulta inoltre necessaria la valutazione di un'adeguata qualità microbiologica delle fecce. Per quanto riguarda l'anidride solforosa si ricorda che l'attività enzimatica delle solfito e solfato reduttasi è ancora funzionale nelle prime fasi dell'affinamento e quindi un solfitaggio precoce potrebbe determinare l'insorgenza di difetti riduttivi. Una seconda problematica di questo tipo di affinamento è rappresentato dal consumo di ossigeno da parte delle cellule di lievito che potrebbe poi portare il vino a degli stati di riduzione. A tale scopo la microossigenazione riveste un ruolo preventivo allo scopo di soddisfare il fabbisogno di ossigeno 20 L'influenza dell'ossigeno in vinificazione e la tecnica della microossigenazione Drius Denis delle cellule di lievito. Il consumo di ossigeno da parte delle cellule di lievito risulta maggiore nelle prime fasi dell'affinamento e tende, con il tempo, a diminuire. La microossigenazione dovrà quindi tenere conto di questo fattore e dovrà essere applicata preferenzialmente nelle fasi precoci dell'affinamento. Per quanto riguarda il dosaggio è importante ricordare che il consumo di ossigeno da parte delle cellule di lievito è molto più veloce del consumo chimico di ossigeno dovuto alle reazioni di polimerizzazione implicate della stabilizzazione della sostanza colorante e del ammorbidimento dei tannini, quindi la presenza di lieviti nel vino riveste una sorta di fattore di competizione nei confronti delle reazioni di stabilizzazione delle sostanza colorante e dell'ammorbidimento dei tannini, rallentandole. Il dosaggio di ossigeno dovrà quindi tenere conto sia del consumo chimico del vino sia del consumo biochimico da parte della biomassa: la freschezza e la quantità di fecce sono dei parametri fondamentali per la definizione del dosaggio. In conclusione la pratica della microossigenazione durante l'affinamento "sur lies" cerca di creare le condizioni di "elevage ossidativo in condizioni di riduzione" dove le reazioni ossidative di polimerizzazione e stabilizzazione della sostanza colorante sono accompagnate dalla protezione delle sostanze aromatiche fruttate dall'ossigeno da parte delle cellule del lievito, come avviene per l'affinamento dei vini rossi "sur lies" in barrique. 4.2.4.5 Microossigenazione e uso di legno alternativo alle barriques Con la nascita della microossigenazione allo scopo di simulare i fenomeni di elevage che avvengono durante l'affinamento dei vini rossi in barriques in vasche inerti, è nata la necessità di mimare anche l'apporto di tannini ellagici e di sostanze aromatiche, responsabili rispettivamente della stabilizzazione della sostanza colorante e dell'ammorbidimento dell'astringenza dei tannini e all'aromatizzazione dei vini, che avviene durante l'affinamento in barrique. Questo apporto di tannini ellagici e sostanze aromatiche avviene durante l'affinamento in contenitori inerti tramite l'apporto di frammenti di legno che possono avere diverse origini, diverse tostature e diversa forma: chips, staves, cubes, xoakers. Questi frammenti di legno possono essere utilizzati in fermentazione per tempi brevi oppure in affinamento per tempi più lunghi. Nel caso del loro utilizzo durante la fermentazione i lieviti consumano alcune sostanze volatili cedute dal legno e conseguentemente consentono una maggiore armonizzazione con l'aroma fruttato del vino. I legni derivati da rovere francese inoltre possono risultare dannosi se utilizzati nella fase sbagliata in quanto ricchi di tannini ellagici. Per questo motivo questi legni, più ricchi in tannini, trovano maggiore applicazione in fermentazione. Questa tecnica richiede, in quanto avviene in ambiente molto riducente (vasche inerti chiuse ermeticamente), di essere associata alla tecnica della microossigenazione, e consente, in confronto con la tradizionale tecnica di affinamento in barriques, un maggiore controllo dell'ossigeno apportato e una maggiore possibilità di adattamento al vino interessato. Così, per esempio, sarà possibile dosare nei vini più strutturati una quantità di ossigeno maggiore e nei vini meno strutturati una quantità di ossigeno minore. Fig.11: Chips Il dosaggio di ossigeno può essere inoltre determinato dall'obbiettivo organolettico, così nei vini di pronta beva il dosaggio sarà maggiore per favorire l'apertura aromatica. Anche il quantitativo di legno apportato rappresenta un fattore di variabilità del dosaggio di ossigeno: il dosaggio di ossigeno aumenterà all'aumentare del dosaggio del legno allo scopo di armonizzare i composti ceduti dal legno. La scelta del dosaggio di ossigeno sarà funzione anche della fase in cui avviene questa tecnica (maggiori dosaggi nelle fasi fermentative e dosaggi minori nelle fasi postfermentative) e della torbidità del vino, ovvero della presenza di fecce di lievito che competono con il consumo chimico di ossigeno del vino. Bisogna d'altronde tenere conto che i frammenti di legno apportano al vino un certo quantitativo di ossigeno, questo avviene soprattutto per i frammenti più grandi come gli "staves" dove a parità di 21 L'influenza dell'ossigeno in vinificazione e la tecnica della microossigenazione Drius Denis superficie di contatto, si ha un volume di legno maggiore. Per non apportare al vino ossigeno in eccesso sarà quindi necessario attendere un certo tempo prima di procedere alla microossigenazione, per permettere al vino di consumare l'ossigeno apportato dal legno. Infine, per quanto riguarda la scelta del dosaggio, si ricorda che, in confronto ad un vino affinato in assenza di frammenti di legno, un vino affinato in presenza di frammenti di legno ha bisogno di un quantitativo maggiore di ossigeno. Nel caso dei chips, per esempio, questo quantitativo corrisponde a 0,2 mg/L di ossigeno ogni 100 g/hL di chips: se un vino in assenza di chips richiederebbe quindi 2 mg/L/mese di ossigeno, lo stesso vino in presenza di 100g/hL di chips richiederebbe 2,2 mg/L/mese di ossigeno. L'azione sinergica dell'ossigeno e dei tannini ellagici ceduti avrà quindi la funzione di stabilizzare la sostanza colorante, ammorbidire i tannini, prevenire stati di riduzione eventualmente asportando i composti solfurei (legami tra i tannini ellagici e il gruppo tiolico dei mercaptani) e di armonizzare gli aromi ceduti dal legno (lattoni, aldeidi fenoliche, fenoli volatili e furani) con l'aroma fruttato del vino. 4.3 I microossigenatori I microossigenatori propriamente detti sono nati nel 1999 è sono i microossigenatori a volume costante, caratterizzati da una maggiore precisione e quindi da una maggiore affidabilità. I microossigenatori delle generazioni precedenti non sono abbastanza precisi e affidabili per parlare propriamente di "microossigenazione" e in alcuni casi andrebbero più propriamente chiamati "arieggiatori". Gli arieggiatori trovano applicazione soprattutto per le vinificazioni in iperossigenazione, nelle quali il dosaggio preciso non risulta essenziale. Fig.12 Microossigenatore e suoi principali componenti I microossigenatori sono costituiti principalmente da 4 parti: una bombola di ossigeno, un riduttore di pressione (che permette di ridurre la pressione della bombola di 200 bar alle pressioni di lavoro di 5-6 bar), dal apparecchio dosatore (collegato alla bombola mediante un input e al diffusore mediante l'output) e dal diffusore poroso (che ha la funzione di creare una colonna di microbolle che diffonde l'ossigeno all'interno del mosto o del vino). Il sistema dosatore riveste ampia importanza in quanto deve consentire di programmare un adeguata dose di ossigeno nella modalità appropriata (dose singola, macroossigenazione o microossigenazione) su un certo volume di vino da trattare. Questo dispositivo inoltre deve essere preferibilmente munito di un allarme che segnali i principali problemi che possono insorgere come l'intasamento del diffusore poroso o la pressione di entrata non adeguata. Il sistema dosatore inoltre deve funzionare in mg di ossigeno e non i mL di ossigeno in quanto il volume di ossigeno risulta influenzato da fattori quale la temperatura e la pressione. Infatti, al contrario di quanto si possa pensare, non esiste proporzionalità tra l'espressione del dato in mg o mL in quanto vi sono più pressioni che influenzano il volume di ossigeno, come per esempio la pressione in entrata, la pressione esercitata dal intasamento del diffusore, la pressione atmosferica e la pressione esercitata dallo spessore di vino o mosto che sovrasta il diffusore. (Questa affermazione può portare a mettere in discussione le prove tecniche effettuate prima del introduzione di microossigenatori sufficientemente precisi.) I diffusori sono principalmente cilindrici e possono essere costruiti essenzialmente con due diverse tipologie di materiali: l'acciaio sinterizzato o la ceramica. I diffusori in ceramica presentano il vantaggio di creare microbolle più piccole e si prestano quindi meglio per la microossigenazione di piccoli volumi. I diffusioni in acciaio sinterizzato presentano invece il vantaggio di essere più 22 L'influenza dell'ossigeno in vinificazione e la tecnica della microossigenazione Drius Denis facilmente pulibili (il lavaggio dei diffusori avviene con preparati commerciali appositi, soda caustica o acido citrico). I diffusori devono essere posti ad un'altezza di 20 cm circa dal fondo del recipiente, in modo da non essere a contatto con le "fecce" che potrebbero favorirne l'intasamento, calandolo direttamente nel volume da trattare o mediante l'utilizzo di un'apposita asta. L'introduzione del diffusore attraverso l'asta presenta il vantaggio di essere più facilmente sanitizzabile. L'altezza che intercorre tra il diffusore e la superficie del volume trattato deve consentire all'ossigeno di solubilizzarsi nel vino altrimenti si assisterebbe ad un accumulo di ossigeno nello spazio sovrastante il vino con conseguente rischio di ossidazioni o di contaminazioni microbiologiche da parte di microorganismi aerofili di superficie. Si ricorda inoltre che ogni diffusore è costituito da un punto di bolla che rappresenta la differenza di pressione che deve essere presente tra l'interno e l'esterno del diffusore per permettere la fuoriuscita del gas. La pressione esercitata dal volume di vino o mosto che sovrasta il diffusore ha quindi un ruolo di contro pressione. La dimensione delle microbolle deve essere più piccola possibile per incrementare l'interfaccia solido/liquido e quindi la solubilizzazione dell'ossigeno nel vino. Tuttavia con i diffusori cilindrici spesso si assiste ad un fenomeno di aggregazione che comporta un aumento eterogeneo delle dimensioni delle singole microbolle. Per risolvere questo inconveniente alcune ditte produttrici hanno brevettato i diffusori piatti che presentano il vantaggio di creare una "colonna" di microbolle di diametro maggiore. 4.4 Il dosaggio dell'ossigeno La scelta del dosaggio di ossigeno da somministrare ad un determinato vino è in funzione al suo profilo chimico e organolettico (nei vini rossi soprattutto il profilo polifenolico), del tempo a disposizione, dell'impatto organolettico ricercato e infine dalla fase in cui viene attuata la microossigenazione. A seconda del profilo polifenolico di un vino possiamo suddividere i vini in vini a basso profilo polifenolico o ad alto profilo polifenolico che richiederanno rispettivamente bassi dosaggi di ossigeno in tempi brevi oppure dosaggi maggiore in tempi più lunghi. I vini a basso profilo polifenolico inoltre richiedono un controllo del processo più attento in quanto più delicati. Inoltre in questi vini spesso può essere necessario riequilibrare il rapporto tannini/antociani con l'uso di tannini esogeni o derivati dal legno. Il tempo a disposizione per applicare la microossigenazione influenza il dosaggio: se si dispone di tempi lunghi il dosaggio potrà essere minore e viceversa. L'impatto organolettico ricercato può essere basso oppure alto. Se l'impatto organolettico ricercato è basso lo scopo della microossigenazione sarà l'ottenimento di vini dall'aroma fruttato che conservano la loro tipicità, mentre se l'impatto organolettico ricercato è alto, la microossigenazione avrà come scopo l'ottenimento di vini "internazionali" morbidi con aroma di prugna o cioccolato e perdita della sua tipicità. Infine la fase nella quale avviene influisce sul dosaggio in quanto più ci si allontana dalla fine della fermentazione alcolica o malolattica, minore dovrà essere il dosaggio di ossigeno da somministrare (Fig. paragrafo 4.2.3.4). In pratica il fabbisogno di ossigeno dei vini decresce con il tempo dopo la fermentazione alcolica. 4.5 Parametri di controllo della microossigenazione La microossigenazione a causa dei rischi che comporta non può essere condotta empiricamente, e necessità quindi di parametri per il suo controllo allo scopo di definire un dosaggio corretto e di monitorare tutto il processo per intervenire tempestivamente con la sua correzione o con l'interruzione. Non esiste un parametro univoco che ci consenta di seguire questo processo ed è quindi necessaria la valutazione sinergica di un insieme di parametri che possono essere analitici o organolettici. La scelta dei parametri da prendere in considerazione è in funzione del obbiettivo enologico ricercato e dalla fase in cui viene attuata la microossigenazione. 23 L'influenza dell'ossigeno in vinificazione e la tecnica della microossigenazione Drius Denis 4.5.1 Parametri analitici I parametri analitici che possono essere presi in esame per la determinazione del dosaggio e per la monitorazione del processo di microossigenazione riguardano in primo luogo il profilo polifenolico del vino che riveste fondamentale importanza nel caso in cui la microossigenazione abbia lo scopo di stabilizzare il colore e/o ammorbidire i tannini. A tale scopo vengono effettuate soprattutto analisi spettrofotometriche come la densità ottica a 280 nm per la determinazione dei polifenoli totali o alle lunghezze d'onda di 430 nm, 520 nm e 620 nm per lo studio del colore. Attraverso queste analisi spettrofotometriche è possibile determinare l'intensità colorante del vino, ottenuta mediante la somma delle letture alle tre lunghezze d'onda corrispondenti rispettivamente al giallo (420nm) al rosso (520nm) e al blu-malva (620 nm). Questo parametro aumenta durante la microossigenazione ed in rapporto ad un vino non microossigenato diminuisce in misura minore con l'invecchiamento. Tramite le analisi spettrofotometriche si osserva inoltre che l'assorbanza a 520 nm, corrispondente al colore rosso degli antociani liberi e monomeri, diminuisce progressivamente, mentre l'assorbanza a 620 nm, corrispondente alla colorazione blumalva dei pigmenti polimeri complessi (antociani-tannini) e stabili alla variazione di pH e SO2 aumenta progressivamente, evidenziando una stabilizzazione del colore. Le analisi spettrofotometriche possono inoltre dare un'indicazione anche sul processo di polimerizzazione e quindi di ammorbidimento dei tannini tramite l'indice di HCl, l'indice di dialisi, l'indice di gelatina e l'indice di etanolo. Durante la microossigenazione l'indice di HCl che esprime il grado di polimerizzazione dei tannini (i tannini più sono polimerizzati e più tendono a precipitare in ambiente acido) aumenta e successivamente tende a diminuire. L'indice di dialisi (capacità dei tannini di attraversare una membrana di dialisi in funzione della loro massa molecolare e della loro struttura spaziale) aumenta dimostrando l'incremento di tannini aventi massa molecolare più alta. Anche l'indice in etanolo (esprime la quantità di tannini presenti in forma colloidale e legati a colloidi glucidici e proteici, in quanto l'etanolo favorisce la loro precipitazione) tende ad aumentare. L'indice in gelatina (che fornisce indicazioni sull'astringenza dei tannini paragonandola alla capacità di questi ultimi a legarsi alla gelatina e quindi precipitare) dovrebbe invece diminuire. Per quanto riguarda lo studio del profilo polifenolico del vino allo scopo di monitorare la microossigenazione esistono anche altre analisi più avanzate, come la cromatografia liquida (HPLC), che sono tuttavia applicabili solo a livello di ricerca e non di pratica di cantina. Inoltre per monitorare il processo di microossigenazione si può ricorrere alla misura del potenziale di ossido-riduzione che esprime il livello di ossidazione e di riduzione del mezzo ad un certo equilibrio ad una data temperatura e ad un certo pH. La misura di questo parametro avviene con l'utilizzo di un elettrodo combinato (un elettrodo di misura in platino e un elettrodo di riferimento Ag/AgCl e KCl) e si esprime in Volt o mV. Ribéreau-Gayon fu il primo ad utilizzare il potenziale di ossido-riduzione per lo studio delle caratteristiche organolettiche dei vini. Questo è infatti direttamente correlato con i sentori riduttivi (quando il potenziale scende sotto i 150 mV) o sentori di ossidazione. Il potenziale di ossidoriduzione viene influenzato in grande misura dalla temperatura: all'aumentare della temperatura il potenziale di ossidoriduzione diminuisce. Il pH ha invece un influenza più blanda: al suo aumentare il potenziale di ossidoriduzione diminuisce. L'aggiunta di ioni metallici (ferro o rame) che catalizzano le reazioni di ossidazione, influenzano il potenziale di ossido riduzione in modo diverso a seconda che si tratti di vini bianchi o rossi. Nei vini bianchi infatti la formazione di perossidi porta il vino ad uno stato di ossidazione e a causa dello scarso tenore in sostanze polifenoliche dei vini bianchi, il potenziale di ossidoriduzione necessita di tempi più lunghi per riequilibrarsi. Nei vini rossi invece l'aggiunta di detti composti determina, al contrario, un abbassamento del potenziale di ossido riduzione. Le sostanze polifenoliche (come anche l'anidride solforosa) hanno un effetto tampone sul potenziale di ossido riduzione, ovvero si oppongono alle brutali variazioni di quest'ultimo. Durante la vinificazione il potenziale di ossidoriduzione è inizialmente elevato (fasi prefermentative) almeno che questa fase non sia caratterizzata da condizioni di iper-riduzione, poi, durante la fermentazione alcolica diminuisce bruscamente (durante questa fase si hanno i maggiori rischi di riduzione). 24 L'influenza dell'ossigeno in vinificazione e la tecnica della microossigenazione Drius Denis Successivamente durante le fasi di affinamento tende ad riequilibrarsi. I recipienti utilizzati hanno un'influenza diretta su questo parametro. Infatti i vini conservati in barrique nuove presentano costantemente potenziali di ossidoriduzione maggiori rispetto ai stessi vini conservati in vasche INOX. A questo proposito si sottolinea che un ossigenazione violenta, come un travaso, determina un aumento più importante del potenziale di ossidoriduzione in un vino avente un potenziale di ossidoriduzione iniziale basso in rapporto ad un vino avente potenziale iniziale più elevato. Pertanto, in quanto bruschi sbalzi del potenziale di ossidoriduzione possano determinare danni ossidativi al vino, risulta fondamentale portare il vino ad un potenziale di ossidoriduzione più elevato tramite un ossigenazione lenta e progressiva come avviene nel caso dell'affinamento in fusti o con la microossigenazione. In pratica un vino conservato in condizioni strettamente riduttive risulta molto sensibile alle aerazioni, mentre un vino affinato in condizioni di lenta ossigenazione risulta più resistente. Il potenziale di ossidoriduzione riveste infine significativa importanza durante il processo di microossigenazione. Infatti in un vino microossigenato con un'adeguata dose di ossigeno bisognerebbe misurare una diminuzione del potenziale di ossidoriduzione (dovuta all'instaurarsi di reazioni di ossidazione che consumano tutto l'ossigeno) in rapporto ad un vino non trattato. In un vino microossigenato con un dosaggio eccessivo invece si noterà un aumento del potenziale di ossidoriduzione in quanto le reazioni di auto-ossidazione innescate sono alimentate dal maggiore dosaggio di ossigeno. Infine per monitorare il processo di microossigenazione può essere presa in considerazione anche la determinazione dell'ossigeno disciolto oppure dell'acetaldeide. La determinazione dell'ossigeno disciolto avviene tramite due elettrodi: un anodo d'argento e un catodo d'oro collegati tra di loro da un gel di cloruro di potassio. La differenza di potenziale che si stabilisce tra i due elettrodi viene modificata dalla diffusione dell'ossigeno attraverso la membrana. Questa misura risulta utile solo a segnalare dosaggi di ossigeno eccessivi poiché in questo caso si avrebbe un accumulo in ossigeno che non viene consumato dalla reazioni di polimerizzazione delle sostanze polifenoliche. A titolo indicativo, quando la concentrazione in ossigeno disciolto supera i 0,5 mg/L il dosaggio di ossigeno è superiore al consumo da parte del vino. L'aldeide acetica è un intermedio delle reazioni di polimerizzazione dei tannini e degli antociani mediante ponte etanale, quindi un suo accumulo indica la mancanza di substrati reattivi e quindi un dosaggio di ossigeno eccessivo. La sua determinazione avviene per distillazione con successiva titolazione colorimetrica, per via enzimatica oppure mediante gascromatografia. La misura dell'ossigeno e dell'acetaldeide presentano però molte difficoltà. 4.5.2 Parametri Organolettici I parametri organolettici sono suddivisi nella valutazione visiva, olfattiva e gustativa. Durante l'analisi visiva si osserva, nei vini microossigenati, un aumento dell'intensità colorante, più accentuato se la microossigenazione avviene in associazione con l'aggiunta di derivati di legno. L'andamento dell'olfatto durante la microossigenazione è caratterizzato da una prima fase di "chiusura" aromatica, accompagnata spesso a fenomeni di riduzione, dovuta all'innescarsi delle reazioni di auto-ossidazione. Successivamente si manifesta un "apertura" aromatica caratterizzata da un sentore fruttato più deciso e accompagnato da una rimozione dei sentori vegetali. Anche i sentori solforati di riduzione vengono eliminati soprattutto se la microossigenazione è associata all'aggiunta di tannini ellagici, lieviti inattivi o derivati dal legno. Se la microossigenazione viene estesa per un periodo troppo lungo si manifesta la comparsa di sentori tipici dell'ossidazione. L'evoluzione delle caratteristiche gustative è analoga all'evoluzione gustativa dei vini affinati in barrique ed è caratterizzata da una prima fase di strutturazione dei vini nel quale su assiste ad un incremento del volume e dell'astringenza. Successivamente i vini subiscono un ammorbidimento e un addolcimento dovuti alla perdita dell'aggressività dei tannini. Se la microossigenazione viene protratta oltre si assiste alla manifestazione di sentori di secchezza (tannini) e perdita di volume. 25 L'influenza dell'ossigeno in vinificazione e la tecnica della microossigenazione Drius Denis In conclusione, durante la microossigenazione, l'evoluzione delle caratteristiche organolettiche dei vini può essere suddivisa in tre fasi: 1. Fase di strutturazione con incremento dell'astringenza e del volume accompagnata ad un incremento del potere riducente del vino che porta ad una "chiusura" aromatica o ad uno stato di riduzione. 2. Fase di armonizzazione caratterizzato da un ammorbidimento del vino con perdita di astringenza dei tannini e comparsa di un aroma fruttato più intenso insieme alla scomparsa di sentori vegetali o solforati. 3. Fase nella quale la microossigenazione, applicata per tempi troppo lunghi, porta a vini caratterizzati da tannini secchi e da sentori tipici dell'ossidazione. Risulta dunque chiaro come l'evoluzione delle caratteristiche organolettiche dei vini sottoposti a microossigenazione risulti di primaria importanza. La microossigenazione dovrà essere protratta fino alla seconda fase dove i vini si presentano con un aroma fruttato più intenso e con una maggiore morbidezza. 4.5.3 Condizioni necessarie per la microossigenazione La microossigenazione comporta dei rischi che possono essere di tipo chimico-organolettico, come i rischi ossidativi, oppure microbiologici, dovuti alla proliferazione di microorganismi aerofili indesiderati. Per ridurre al minimo questi rischi è necessario controllare, prima di procedere alla microossigenazione, i fattori che possono influenzare questi rischi come l'anidride solforosa e la temperatura ed eventualmente procedere ad un controllo microbiologico del vino. L'anidride solforosa in questo caso è necessaria soprattutto per la sua attività antisettica, per proteggere il vino dalle contaminazioni microbiologiche, e per la sua attività antiossidante, in quanto aumenta il potere tampone dell'ossidazione del vino. Tuttavia questo composto presenta un alta affinità con l'acetaldeide, quindi una concentrazione eccessiva di anidride solforosa libera può determinare un elevato consumo dell'acetaldeide comportando il rallentamento delle reazioni di polimerizzazione della sostanza colorante mediante ponte etanale. Nello stesso modo un'alta concentrazione in acetaldeide determinerebbe un consumo di anidride solforosa libera comportando un maggiore rischio microbiologico. Di conseguenza èquindi chiaro che l'anidride solforosa risulta necessaria per questo scopo, tuttavia dosaggi elevati possono determinare varie problematiche. La concentrazione in anidride solforosa libera dei vini che andranno microossigenati dovrà essere di almeno 15 mg/L, oppure 20 mg/L nel caso in cui i vini siano conservati in recipienti di legno oppure affinati in presenza di derivati del legno. Anche il pH risulta in questo caso di fondamentale importanza in quando influenza la concentrazione di anidride solforosa molecolare, ovvero della forma più attiva: ai pH più elevati, a parità di anidride solforosa libera, si avrà maggiori rischi di contaminazioni microbiologiche a causa del minore quantitativo in anidride solforosa molecolare. Infine una diminuzione dell'anidride solforosa libera durante la microossigenazione può essere segno di un dosaggio eccessivo. Anche la temperatura del vino sottoposto a microossigenazione risulta fondamentale per ridurre i possibili rischi. La temperatura infatti influenza sia la solubilità dell'ossigeno che il suo consumo: microossigenare un vino a basse temperature, nel quale la solubilità dell' ossigeno è alta mentre il suo consumo è limitato, determina un accumulo di ossigeno che diventa dannoso appena la temperatura di alza. La temperatura del vino sottoposto a microossigenazione dovrà essere quindi sempre superiore ai 12 C°. Le temperature ritenute ottimali per il processo di microossigenazione sono comprese tra i 15 e i 20 C°. Infine prima di procedere ad una microossigenazione potrebbe essere auspicabile procedere ad un controllo microbiologico del vino. I maggiori rischi microbiologici si hanno ai pH più alti e con torbidità più elevate (presenza di fecce). Un'eventuale presenza di microorganismi contaminanti può essere eliminata mediante un opportuna filtrazione. 26 L'influenza dell'ossigeno in vinificazione e la tecnica della microossigenazione Drius Denis Conclusioni L'ossigeno accompagna nel bene o ne male ogni vinificazione e la sua influenza prosegue anche oltre con l'affinamento in bottiglia. La sua gestione è di determinante importanza sia per proteggere il vino dalle varie alterazioni (microorganismi aerofili o difetti ossidativi) sia per ottenere vini più stabili, cinetiche fermentative migliori o affinamenti ottimali. Durante le fasi pre-fermentative la scelta dello stile di vinificazione deve essere effettuata in funzione dello stile di vino, della tipologia delle uve, dal loro stato di maturazione, dal loro stato sanitario, dagli obbiettivi ricercati, dei costi e del tipo di affinamento a cui è destinato il vino. La macro-ossigenazione consente, tramite l'eliminazione di tutti i substrati fenolici ossidabili e alla denaturazione della laccasi, di avere mosti più stabili all'ossigeno e non soggetti a difetti di tipo fenolico dovuto, nei vini bianchi, all'attività dell'enzima cinnamato decarbossilasi del lievito che produce vinil-fenoli (sentore di farmaco, vernice) a partire dagli acidi cinnamici. Tuttavia questa tecnica tende ad omogeneizzare i vini e risulta quindi incompatibile con alcune vinificazioni di alta qualità dove la vinificazione ha il principale scopo di esaltare la caratterizzazione del "terroir". La vinificazione in iper-riduzione viene scelta soprattutto per alcune varietà quali il Sauvignon Blanc, per preservare il suo potenziale aromatico sensibile all'ossidazione (aromi tiolici) e altre varietà aromatiche della famiglia dei moscati. Questa tecnica presenta il vantaggio di preservare il potenziale aromatico, tuttavia diversi studiosi accusano questa tecnica di dare vini successivamente troppo sensibili all'ossidazione. Nelle vinificazioni di alta qualità tuttavia le operazioni successive di affinamento permettono ai vini così ottenuti di ottenere un'elevata stabilita nei confronti dell'ossigeno. Questa tecnica presenta lo svantaggio di richiedere costi molto più alti (diraspatrici e presse inertizzate, neve carbonica ecc.). Successivamente alle fasi pre-fermentative le tradizionali vinificazioni in fusto ci dimostrano come un'ossigenazione lenta e progressiva sia benefica per la qualità dei vini, infatti i vini bianchi fermentati in fusti di legno presentano sempre una cinetica fermentativa migliore rispetto ai vini fermentati in contenitori inerti, sia a causa delle dimensioni minori, sia a causa dell'ossigenazione lenta e progressiva che soddisfa il fabbisogno dei lieviti in ossigeno e previene il vino dagli stati di riduzione (ossigeno e tannini ellagici ceduti dal legno). Anche durante l'affinamento si comprende come l'influenza di un'ossigenazione lenta e progressiva sia determinante: i vini bianchi affinati "sur lies" sono sempre migliori se vinificati in fusto a causa dell'ossigenzione lenta che soddisfa il fabbisogno in ossigeno delle fecce fini e impedisce l'attività degli enzimi solfato e solfito reduttasi, e della cessione di tannini ellagici che regolano i processi ossido-riduttivi. Allo steso modo i vini affinati di fusto di legno si presentano sempre più morbidi e più stabili al colore a causa della funzione chiave dell'ossigeno durante le reazioni di condensazione dei composti polifenolici. Da queste osservazioni si è reso necessario creare un sistema con il quale poter dosare l'ossigeno precisamente per avere il totale controllo di queste reazioni benefiche per la qualità senza dovere per forza ricorrere all'uso di fusti di legno. Con la tecnica della microossigenazione oggi possiamo avere il totale controllo dell'ossigeno da somministrare al vino, potendo spesso evitare scomodi travasi, tuttavia l'applicazione di questa richiede molta esperienza e molte conoscenze tecniche sulle reazioni coinvolte. Gli studi effettuati in passato sono stati effettuati spesso con sistemi di dosaggio non sufficientemente precisi e probabilmente oggi non sono più abbastanza credibili. Molti enologi e tecnici evidenziano la necessità di avere a disposizione più parametri di controllo per l'applicazione di questa tecnica. Tuttavia come descritto in precedenza le analisi utilizzabili non sono mai autosufficienti inoltre diverse di esse necessitano l'acquisto di macchinari molto costosi (es. spettrofotometro). Il migliore parametro di controllo risulta quindi sempre l'analisi organolettica che deve essere sempre accompagnata da un'approfondita esperienza del degustatore. I parametri analitici dovrebbero servire solo integrare e confermare quest'analisi organolettica e ad controllare l'andamento del processo gestendo i rischi. La tecnica della microossigenazione nell'ultimo decennio si è largamente diffusa e come ogni cosa presenta, oltre agli aspetti positivi, anche degli aspetti negativi: con questa tecnica spesso si cerca di 27 L'influenza dell'ossigeno in vinificazione e la tecnica della microossigenazione Drius Denis ottenere vini "neutri" di facile comprensione e quindi monotoni che si scontrano con il concetto di "terroir". Il concetto di "terroir" è importantissimo poiché è il vero punto di forza del vino: nessun altra bevanda, come il vino, risente in questo modo dell'influenza dell'annata, del zona, del terreno e delle persone coinvolte nella sua riuscita. D'altronde diversi enologi hanno mal utilizzato i fusti di legno, cercando in loro solamente l'aroma "boisé", banalizzando ogni vino e stufando i consumatori che oggi spesso rifiutano un vino vinificato in fusto di legno a priori. Questa tecnica, se utilizzata razionalmente, non si scontra con i tradizionali principi della vinificazione e consente un controllo più diretto e preciso dei vari processi della vinificazione. 28 L'influenza dell'ossigeno in vinificazione e la tecnica della microossigenazione Drius Denis Bibliografia: - P.Ribéreau-Gayon, D. Dubourdieu, B. Donèche, A. Lonvaud Trattato di enologia I: Microbiologia del vino, Vinificazioni (Edagricole, Gruppo 24ore) - P. Rebéreau-Gayon, Y. Glories, A. Maujean, D. Dubourdieu Trattato di enologia II: Chimica del vino, Stabilizzazioni, Trattamenti (Edagricole, Gruppo 24ore) - R.Zironi, F.Battistutta, L. Tat, P. Comuzzo, L. Brotto Ruolo dell'ossigeno e del legno nell'espressione dei caratteri varietali - A. Biondi Bartolini, F. Cavini, M. De Basquiat Ossigeno e vino: dal ruolo dell'ossigeno alla tecnica della micro-ossigenazione (Parsenc Srl.) 29