SENTIERI SELVAGGI Le SETTE STELLE FRANCESCONI - DEL CORNO – COLOMBO TACCANI SOLLIMA – MONTELBETTI - BOCCADORO Il debutto di Sentieri Selvaggi su Deutsche Grammophon Luca Francesconi Insieme II Filippo Del Corno Dogma 3 Giorgio Colombo Taccani Croce di ghiaccio Giovanni Sollima Voyage Mauro Montalbetti Voce tra le voci Carlo Boccadoro Le Sette Stelle CD 4815031 / DIGITALE Street date: 10 febbraio 2017 “L'impaginazione di questo CD presenta un ventaglio di alcune tra le possibilità che gli autori oggi hanno per creare nuova musica. Molte altre ve ne sono, ma credo che sia un campione piuttosto ampio per farsi un'idea di cosa sta succedendo. Se dobbiamo proprio trovare un filo comune per tutte queste partiture, esso si ritrova nell'estremo virtuosismo strumentale richiesto ai musicisti, spesso spinti ai limiti delle loro possibilità”. Carlo Boccadoro Debutto su etichetta Deutsche Grammophon per Sentieri Selvaggi, l’ensemble che da anni svolge un importantissimo lavoro per la promozione della musica contemporanea presso il grande pubblico coinvolgendo compositori ed interpreti di altissimo livello. Come evidenziato da Carlo Boccadoro, che è anche il produttore dei questo album, “Le Sette Stelle” raccolgono alcune delle composizioni più significative del panorama attuale. L'irrequieto fiume della musica d'oggi continua a trascinare al suo interno forme e linguaggi diversissimi, spesso antitetici tra loro,che però convivono fianco a fianco nei programmi concertistici di tutto il mondo. Finito il tempo delle contrapposizioni ideologiche, esaurita la propulsione ultra sperimentale delle avanguardie postbelliche (ma anche la disincantata ironia glaciale di troppa produzione postmoderna) oggi i compositori si ritrovano con a loro disposizione una tavolozza ricchissima di colori diversi a loro disposizione, e sono molto determinati ad usarla in totale libertà. L'impaginazione di questo CD presenta un ventaglio di alcune tra le possibilità che gli autori oggi hanno per creare nuova musica. Molte altre ve ne sono, ma credo che sia un campione piuttosto ampio per farsi un'idea di cosa sta succedendo. Se dobbiamo proprio trovare un filo comune per tutte queste partiture, esso si ritrova nell'estremo virtuosismo strumentale richiesto ai musicisti, spessospinti ai limiti delle loro possibilità. Insieme II di Luca Francesconi schiaccia subito l'accelleratore a mille con figure rapidissime che guizzano nello spazio sonoro in multiple direzioni contrastanti; inseguendosi, contrapponendosi, creando in continuazione domande e risposte in un brulicare che sembra non trovare mai un attimo di riposo. In mezzo a questo continuum sonoro appaiono, come delle àncore per l'ascoltatore, determinati intervalli che ritornano periodicamente, si presentano all'inizio in modo frammentario, prendendo corpo man mano che il discorso musicale prosegue e si trasforma. A questo punto all'ascoltatore è ben chiaro che dietro questa frenetica ragnatela di note velocissime si cela una lunga melodia “nascosta”, che si svela un poco alla volta. Progressivamente il tessuto strumentale diviene più trasparente, lasciando spazio a voci soliste (una su tutte il clarinetto) e giungendo alla fine con il disvelamento completo della melodia suonata “insieme” da tutti i musicisti. Una sola nota, martellante,insistente, apre il paesaggio sonoro che Filippo Del Corno disegna con il suo Dogma 3. Si tratta, come indica il titolo, della terza composizione di un cicli di sei brani ispirati al manifesto estetico Dogma dei registi Lars Von Trier e Thomas Vinterberg, dove venivano stilate una serie di regole spartane per la realizzazione dei propri film. Allo stesso modo Del Corno scrive un decalogo di cose che non è possibile fare dueante la composizione del pezzo, e questa serie quasi paradossale di limitazioni estremamente stringenti, quasi impietose, accende la sua fantasi in maniera proporzionale alla difficoltà di realizzazione delle regole stesse. Con pochissimo materiale Del Corno ci presenta un panorama ossessivo, claustrofobico, dove gli elementi vengono ripetuti in continuazione trascolorando in microvariiazioni timbriche e ritmiche. L'atmosfera è violenta, le dinamiche quasi sempre utilizzate in modo estremo ( si passa da sezioni quasi caotiche a vaste oasi di improvviso silenzio), la pulsazione ritmiche non ha mai tregua, spinge senza sosta verso un obiettivo finale non dichiarato, tant'è che il brano si interrempe di colpo senza arrivare a una vera e propria conclusione. Consonanza e dissonanza si alternano, larghi spazi diatonici cozzano contro intervalli ultracromatici in un gioco continuo di contrasti che sorprende l'ascoltatore senza fargli mai prevedere quale sarà la prossima mossa. Cambio di atmosfera improvviso con Croce di Ghiaccio, di Giorgio Colombo Taccani, che all'inizio della partitura scrive: “Nelle notti più gelide sulle distese di neve compaiono piccole croci di ghiaccio. Si vuole che vadano ad indicare i punti in cui la primavera presenterà i suoi primi germogli”. Un'immagine di grande delicatezza e trasparenza, dunque, e in effetti buona parte di questo brano si svolge proprio su atmosfere simili. Non mancano, però, improvvise accensioni che aggiungono un tono di decisa drammaticità al discorso musicale, senza però che questo intacchi il clima generale di questa pagina, spesso trattenuta sul filo del silenzio. Anche nei passaggi più aspri, però, Colombo Taccani non rinuncia mai a un sincero lirismo e a una assoluta chiarezza di scrittura. Partendo da un brevissimo frammento melodico, Giovanni Sollima sviluppa il proprio discorso musicale su campiture molto ampie in questo Voyage, dove i tre strumenti (viola , clarinetto e pianoforte) sviluppano le microcellule iniziali in direzione più ritmica, spesso giocando sull'ambiguità del tactus ritmico che sovrappone pulsazioni binarie e ternarie in contemporanea. Le figure ritmiche e ostinate si sciolgono periodicamente in frasi melodiche molto accese, con uso di scale della tradizione mediterranea che ormai fanno parte da anni dello stile personale di Sollima. La forma è quasi “classica” , con il ritorno periodico di intere sezioni, che però presentano diversi gradi di densità strumentale che raggiungono il culmine nell'ultima parte del pezzo. Questa semplicità formale (assieme ad una capacità di sintesi tra linguaggi differenti che vanno dal minimalismo alla musica popolare) contribuisce a accentuare ulteriormente l'impatto immediato che la musica di Sollima ha sugli ascoltatori. La strumentazione del brano di Mauro Montalbetti, Voce tra le voci, è decisamente singolare. Oltre al vibrafono solista, infatti, presenta flauto contralto, viola, pianoforte, violoncello e clarinetto basso (e contrabbasso). Il contrasto è nettissimo, dunque, tra la voce luminosa, squillante dello strumento solista e il colore scuro, quasi notturno, degli altri musicisti. Negli ultimi anni Montalbetti si è avvicinato al mondo dell'improvvisazione pcollaborando anche con diversi musicisti di jazz. Il suo linguaggio, però, non cerca in alcun modo di imitare lo stile jazzistico (anche se le armonie iniziali del pezzo fanno capire che a Montalbetti Gil Evans e Miles Davis non dispiacciono affatto) ma cerca bensì di inserire all'interno di una struttura compositiva raffinatissima e totalmente pianificata degli spazi in cui il protagonista possa improvvisare (Andrea Dulbecco, per il quale la partitura è stata scritta, è uno dei migliori vibrafonisti jazz d'Europa). L'interesse di questo tentativo sta nel cercare di eliminare le barriere tra ciò che è scritto e quello che viene improvvisato. La fusione stilistica operata da Montalbetti è talmente riuscita che in effetti all'ascolto è impossibile distinguere tra libertà e scrittura, tra estro momentaneo e meticolosa organizzazione di altezze ed armonie. Il disco si chiude cone un'ampia composizione, Le sette stelle, che ho scritto su commissione del Festival di Stresa. Mi era stato chiesto un titolo che si rifacesse esplicitamente al testo dell'Apocalisse, dato che il brano sarebbe stato eseguito assieme al Quatuor pour la fin du temps di Olivier Messiaen. Non volendo imitare le atmosfere profetiche del compositore francese trovai nel libro di Giovanni l'immagine di un uomo che reggeva tra le sue mani sette stelle, dando così un'idea di forza e luminosità. La partitura è divisa in sette movimenti proprio come quella di Messiaen ma le similitudi terminano qui, il linguaggio che ho usato nel brano è totalmente diverso da quello del suo illustre predecessore. I quattro strumenti suonano assieme raramente, spesso si frammentano in sottoinsiemi strumentali di carattere contrastante, dividendosi tra duetti e trii. Movimenti di sobria cantabilità si alternano ad esplosioni di violenza ritmica assoluta, che spingono gli strumentisti al limite del possibile. Ostinati del pianoforte sembrano voler congelare il discorso musicale, che improvvisamente si scioglie i momenti maggiormente o in virtuosismi pirotecnici. In generale, però, prevale l'idea di una musica malinconica, autunnale, incline più alla meditazione che al dispiegamento di bravura esteriore. L'estrema difficoltà delle parti strumentali spinge i musicisti a una tensione interiore che ben si riflette nel carattere austero della musica. Carlo Boccadoro