MONTESQUIEU – LO SPIRITO DELLE LEGGI (1748)
Esistono tre specie di governi: il repubblicano, il monarchico e il dispotico. [...] Io presuppongo tre definizioni, o meglio tre
fatti: «il governo repubblicano è quello nel quale il popolo tutto, o almeno una parte di esso, detiene il potere supremo; il
monarchico è quello nel quale uno solo governa, ma secondo leggi fisse e stabilite; nel governo dispotico invece, uno solo,
senza leggi né freni, trascina tutto e tutti dietro la sua volontà e i suoi capricci». Ecco ciò che io chiamo la natura di ogni
governo. Ora dobbiamo vedere quali siano le leggi che derivano da questa natura e sono perciò le prime leggi fondamentali.
Quando, nella repubblica, è il popolo intero che gode del potere supremo, allora si ha una democrazia. Quando il potere
supremo si trova nelle mani di una parte del popolo, allora noi chiamiamo ciò una aristocrazia. Nella democrazia il popolo è
sotto certi aspetti il monarca, sotto certi altri il suddito. Esso può essere monarca solo grazie ai suoi suffragi, i quali non sono
altro che le sue volontà. La volontà del sovrano è il sovrano stesso. Le leggi che stabiliscono il diritto al suffragio sono dunque
fondamentali in questo governo. In esso infatti è altrettanto importante stabilire come, a chi, da chi, a proposito di che cosa i
suffragi debbano esser dati, quanto in una monarchia sapere chi sia e come debba governare il monarca. [...] è essenziale che il
numero dei cittadini destinati a formare l’assemblea venga fissato, altrimenti sarebbe possibile ignorare se il popolo tutto ha
parlato, o solamente da parte di esso. A sparta occorrevano diecimila cittadini. A Roma non era stato fissato questo numero, e
ciò fu una delle cause della sua rovina. Il popolo che gode del potere supremo deve fare da solo tutto ciò che può far bene; e
ciò che non può far bene deve affidare ai suoi ministri. Costoro non gli saranno fedeli se esso stesso non li nomina; massima
fondamentale del governo democratico è che il popolo nomini i propri ministri, o meglio i propri magistrati. Come, anzi più
che ai monarchi, gli occorre la guida di un consiglio o senato. Ma, perché possa aver fiducia in esso, deve eleggerne i membri,
sia che, come ad Atene, se li scelga da solo, sia che, come a Roma, in certe occasioni ne abbia incaricato un magistrato scelto
apposta.
Il popolo sceglie in maniera ammirevole coloro ai quali deve affidare parte della propria autorità. Esso deve prendere delle
risoluzioni solo in base a circostanze che non può ignorare e a fatti controllabili dai sensi. [...] Come la maggior parte dei
cittadini sono abbastanza sicuri di sé per eleggere, ma non per essere eletti, così il popolo ha sufficiente capacità per farsi
render conto della gestione altrui, ma non per amministrare direttamente. Occorre che gli affari procedano, e con un modo che
non sia troppo lento, né troppo veloce. Ma il popolo è sempre troppo o troppo poco attivo. Talvolta con centomila braccia
travolge ogni cosa, talaltra con centomila piedi non va più spedito di un insetto.
Nello stato popolare il popolo viene diviso in certe classi. E appunto nel modo di compiere questa divisione i grandi legislatori
si sono distinti, e da ciò sono sempre dipese la durata e la prosperità delle democrazie. [...] Come nelle prime repubbliche la
divisione di coloro i quali hanno diritto di suffragio è legge fondamentale, così lo è pure il modo con cui questo suffragio si
dà. Il suffragio per via della sorte è proprio per natura della democrazia; quello per via di scelta, dell’aristocrazia. [...] Anche
la legge che stabilisce le modalità del suffragio è fondamentale nelle democrazie. È assai importante sapere se i suffragi
devono essere pubblici o segreti. Indubbiamente, quando il popolo dà i suoi suffragi, essi debbono essere pubblici; e ciò nelle
democrazie deve esser legge fondamentale. Il popolino deve essere illuminato dalle persone più importanti e tenuto in
reispetto dalla gravità di alcune personalità. Fu così che, nella repubblica romana, rendendo segreti i suffragi, si rovinò tutto;
né fu più possibile illuminare una plebaglia che andava perdendosi. Ma quando in un’aristocrazia il corpo dei nobili, o in una
democrazia il senato, danno i suffragi, poiché si tratta solo di impedire gli intrighi, il segreto non sarà mai esagerato. [...]
Nelle aristocrazie, il supremo potere è nelle mani di un certo numero di persone, che fanno le leggi e badano alla loro
esecuzione, mentre il resto del popolo rispetto a essi si trova tutt’al più nella situazione dei sudditi rispetto al monarca nelle
monarchie. Ivi i suffragi non devono essere dati per sorte, poiché di tale sistema non si avrebbero che gli inconvenienti. [...]
Quando i nobili sono numerosi, occorre un senato che regoli gli affari che il corpo nobiliare non può decidere e prepari quelli
di cui quello decide. In simile caso possiamo dire che in certo qual modo si ha l’aristocrazia nel senato, la democrazia nel
corpo dei nobili, e che il popolo non è nulla. [...] Nel senato i senatori non devono avere il diritto di rimpiazzare i mancanti:
nulla risulterebbe più atto a perpetuare gli abusi. In Roma, la quale nei primi tempi fu una specie di aristocrazia, esso non
colmava da sé i propri vuoti: erano i censori a nominare i nuovi membri.
Un’autorità esorbitante che, nelle repubbliche, venga concessa improvvisamente a un cittadino, forma la monarchia, o più che
la monarchia. In questa alla sua costituzione hanno provveduto le leggi, o vi si sono acconciate: il principio del governo
raffrena il sovrano. Ma se in una repubblica un cittadino si fa dare un potere esorbitante, l’abuso è maggiore, poiché le leggi,
che non hanno previsto un simile caso, non hanno fatto nulla per frenarlo. Si ha un’eccezione alla regola precedente quando la
costituzione è tale che allo stato occorra una magistratura dal potere esorbitante. Così a Roma coi dittatori; a Venezia coi suoi
inquisitori di Stato; terribili magistrature che riconducono violentemente lo Stato alla libertà. [...]
In ogni magistratura la grandezza del potere va compensata con la brevità della sua durata. La maggior parte dei legislatori ha
fissato un anno come termine: un periodo più lungo sarebbe pericoloso, più corto contro la natura delle cose. [...]
L’aristocrazia migliore è quella dove la parte del popolo priva di potere è tanto povera, tanto esigua, che la parte dominante
non ha alcun interesse a opprimerla. Le famiglie aristocratiche devono quindi essere quanto più è possibile affini al popolo.
Più un’aristocrazia si avvicinerà alla democrazia, più sarà perfetta; e lo diventerà meno, quanto più si avvicinerà alla
monarchia. La più imperfetta di tutte è quella dove la parte del popolo che obbedisce è civilmente schiava di quella che
comanda, come l’aristocrazia di Polonia, dove i contadini sono schiavi dei nobili.
I poteri intermedi, subordinati e dipendenti, costituiscono la natura del governo monarchico, di quello, cioè, nel quale non solo
governa grazie a leggi fondamentali. Ho detto poteri intermedi, subordinati e dipendenti: infatti nelle monarchie è il principe
la sorgente di ogni potere politico e civile. Queste leggi fondamentali suppongono necessariamente dei canali mediani per i
quali scorre il potere; se infatti non esiste nello Stato che la volontà momentanea e capricciosa di uno solo, non può esistere
nulla di fisso, e quindi nessuna legge fondamentale.
Il più naturale potere intermedio subordinato è quello della nobiltà. Questa, in certo qual modo, fa parte dell’essenza della
monarchia, la cui massima fondamentale è la seguente: «Senza monarca non esiste nobiltà; senza nobiltà non esiste monarca».
Altrimenti si ha un despota. In certi Stati europei, qualcuno aveva immaginato di abolire tutte le giurisdizioni feudali e non si
accorgeva di voler fare ciò che già era stato compiuto dal parlamento inglese. Abolire in una monarchia le prerogative dei
signori, del clero, della nobiltà e delle città, ed avrete ben presto o uno Stato popolare o uno Stato dispotico. [...]
Il potere del clero, tanto è pericoloso in una repubblica, tanto è conveniente in una monarchia, soprattutto se essa tende al
dispotismo. In quali condizioni si troverebbero mai Spagna e Portogallo, dopo la perdita delle loro leggi, senza questo potere
che solo può frenare il potere arbitrario? Barriera sempre efficace quando non ne esistono altre: infatti, dati i mali spaventosi
che il dispotismo arreca alla natura umana, il male medesimo che lo limita risulta un bene. [...]
Non è sufficiente che in una monarchia ci siano gli ordini intermedi; occorre pure un deposito delle leggi, il quale non può
essere che nei corpi politici che annunciano le leggi quando vengono fatte e le richiamano alla memoria quando vengono
dimenticate. L’ignoranza naturale dei nobil, la loro poca attenzione e disprezzo per il governo civile, esigono l’esistenza di un
corpo che tragga incessantemente dalla polvere le leggi, ove rimarrebbero seppellite. Il consiglio del principe non è un
deposito conveniente. Esso, per sua natura, è il deposito della volontà momentanea del principe che ha il potere esecutivo, non
già delle leggi fondamentali. Inoltre il consiglio del monarca cambia sempre, non è permanente, non potrebbe essere
numeroso, non gode a un grado abbastanza elevato della fiducia del popolo: non ha modo dunque, né di illuminarlo nei tempi
difficili, né di ricondurlo all’obbedienza. Negli Stati dispotici, ove le leggi fondamentali non esistono, non esiste nemmeno un
deposito delle leggi. Ecco perché in quei paesi la religione ha, di solito, tanta forza. Poiché essa forma una specie di deposito
permanente; e, mancando la religione, vi si venerano le costumanze, in luogo delle leggi.
Risultato della natura del potere dispotico è che colui il quale da solo lo esercita, lo faccia parimenti esercitare da uno solo. Un
individuo al quale i cinque sensi dicono sempre che egli è tutto e gli altri nulla, è naturalmente pigro, ignorante, voluttuoso.
Pertanto trascura gli affari. Ma se si affidasse a molti, fra costoro nascerebbero dispute e intrighi per essere il primo tra gli
schiavi; il principe sarebbe costretto a riprendere in mano l’amministrazione. È dunque più semplice per lui abbandonarla a un
vizir, che in un primo tempo godrà della stessa potenza sua. In un simile Stato la creazione del Vizir è legge fondamentale.
Si narra che un papa, al momento della sua elezione, tutto compreso della propria incapacità, facesse da principio infinite
difficoltà; infine accettò e abbandonò al nipote il disbrigo di tutti gli affari. Egli era pieno di ammirazione e: «Non avrei mai
immaginato – diceva – che fosse tanto facile fare il papa. Lo stesso avviene ai principi d’Oriente. Quando vengono tolti da
quella prigione ove gli eunuchi hanno infiacchito loro il cuore e lo spirito, lasciandoli spesso nell’ignoranza della condizione
loro, per essere posti sul trono, essi da principio provano stupore; ma, appena hanno eletto un vizir e si sono abbandonati nel
loro serraglio alle passioni più brutali; quando in mezzo a una corte prostrata hanno obbedito ai loro più sciocchi capricci, non
avrebbero mai creduto che fosse tanto facile regnare.
Più l’impero è esteso, più s’ingrandisce il serraglio; e più, quindi, i piaceri inebriano il principe. Così in siffatti stati, il sovrano
più ha popoli da governare, meno pensa al governo; più gli affari sono importanti, meno se ne discute. [...]
È vero che nella democrazia il popolo sembra fare ciò che vuole: ma la libertà politica non consiste affatto nel fare ciò che si
vuole. In uno stato, cioè in una società regolata da leggi, la libertà consiste unicamente nel poter fare ciò che si deve volere e
nel non essere costretti a fare ciò che non si deve volere. Occorre avere ben presente che cosa sia l’indipendenza e che cosa sia
la libertà. La libertà è il diritto di fare tutto ciò che le leggi permettono. Infatti se un cittadino potesse fare ciò che esse
proibiscono non avrebbe più libertà, poiché anche gli altri acquisirebbero un tale potere. La democrazia e la libertà non sono
affatto stati liberi per loro natura. La libertà politica non si trova che nei governi moderati. Ma non sempre è presente negli
stati moderati: essa si trova solo quando non vi sia abuso di potere. Perchè non si possa abusare del potere, bisogna che il
potere argini il potere.