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FATTORI AMBIENTALI IN
PSICHIATRIA DELL'ETA' EVOLUTIVA
Giovanni Valeri
Corso residenziale di alta specializzazione per Professionisti della Salute Mentale in Età Evolutiva.
2323-28 giugno 2014
Negli ultimi decenni abbiamo assistito a un notevole aumento
delle ricerche empiriche e dei modelli concettuali,
scientificamente fondati, in merito agli effetti dei fattori
genetici, neurobiologici, cognitivi e psicosociali sullo
sviluppo psicologico tipico e atipico. La contrapposizione
tra “natura” e “cultura” dovrebbe essere ormai superata,
ma sfortunatamente i progressi nella conoscenza
scientifica continuano ad essere accompagnati da
polarizzazioni eccessive e da estrapolazioni arbitrarie di
dati che comportano la comunicazione e la diffusione di
informazioni distorte (Rutter, 2002; Rutter & Solantus,
2013).
La storia della ricerca sul ruolo dei fattori ambientali in
psichiatria dell'età evolutiva illustra bene questa
continua dialettica tra ricerca (e di conseguenza pratica
clinica e politiche socio-sanitarie scientificamente
fondate) e il clamore di posizioni “ideologiche”, spesso
ammantate da terminologia pseudo-scientifica.
Cenni storici
Il periodo dal 1950 agli inizi del 1970 è stato
caratterizzato, in psichiatria e in psicologia clinica, dal
prevalere di modelli eziopatogenetici di tipo
ambientalistico, con un' accettazione acritica degli
effetti duraturi e irreversibili di esperienze infantili
precoci e l'idea che il disagio sociale costituisse
una delle principali cause dei disturbi mentali.
Cenni storici
- ipotesi sul ruolo determinante della deprivazione
materna (Bowlby, 1951) ed estrapolazione dei presunti
effetti dannosi (e permanenti) per la salute mentale
dovuti alla frequenza della scuole dell'infanzia (World
Health Organization Expert Committee on Mental
Health, 1951), - aspettative ingenue sui risultati di
brevi interventi in età prescolare, p.es. Head Start
(Clarke & Clarke, 1976; Zigler & Valentine, 1997).
Sfondo teorico-clinico di questa impostazione: - obiettivo
di migliorare la vita dei bambini in genere, insieme
alla consapevolezza delle necessarie modifiche delle
modalità di cura soprattutto in ambito
istituzionale.
- necessità di sottolineare il ruolo
dei rischi psicosociali o ambientali per realizzare
un'azione politica efficace. - Queste
preoccupazioni sono state (e sono) legittime, ma, dal
punto di vista scientifico, non sono state
accompagnate dal riconoscimento della necessità di
fornire prove rigorose relative all'ipotesi delle cause
ambientali
E' stato sottovalutato il ruolo della continuità (e
spesso della cronicità) delle condizioni di rischio
psicosociale, con la conseguenza di un'esagerazione
del ruolo eziopatogenetico di tali fattori nel primo
periodo di vita (Breuer, 1999; Clarke & Clarke, 1976;
2000) .
.
Alla fine degli anni ‘70 e nei primi anni ‘80 sono
emerse critiche significative ai modelli teorici che
sostenevano la preminenza eziopatogenetica dei fattori
psicosociali, - e alla fine degli anni ‘80 e nei primi
anni ‘90 c'è stata una diffusa negazione del ruolo dei
fattori ambientali, tranne in situazioni caratterizzate da
stress di intensità eccezionale.
La polarizzazione tra natura e cultura è rimasta,
accompagnata dalla riluttanza nell'accettare la
necessità di studiare lo sviluppo psichico tipico e
atipico alla luce dell'interazione tra fattori di tipo
genetico e ambientale (Baumrind, 1993; Brown, 1996
).
- la maggior parte della ricerca psicosociale ancora oggi
continua ad utilizzare disegni metodologici che
forniscono prove inadeguate sul ruolo della mediazione
ambientale . Troppa ricerca psicosociale si limita alla
dimostrazione di una associazione statistica tra alcuni
fattori di rischio e qualche variabile di esito, senza la
necessaria attenzione nel distinguere tra indicatori di
rischio e meccanismi di rischio.
La scarsa attenzione da parte di alcuni ricercatori
sull'importanza delle influenze psicosociali nello
sviluppo psicologico e nella psicopatologia è stato un
grave errore metodologico con significative ricadute
nella pratica clinica. - Oggi disponiamo di solide
evidenze riguardo l'importanza dei fattori di rischio
psicosociali nell'eziopatogenesi dei disturbi mentali
dell'età evolutiva, ma la conoscenza di come questi
fattori agiscano (processi) e di come i loro effetti a
volte persistano per fasi successive dello sviluppo, è
molto meno avanzata di quanto i sostenitori di
prospettive teoriche prevalentemente ambientaliste
vorrebbero farci credere.
Stato attuale della ricerca
Molti studi dimostrano gli effetti mediati dall'ambiente
(Rutter 2000, 2002, 2013). due problemi
metodologici sono la necessità di verificare: 1) che gli
effetti siano davvero mediati dall'ambiente - piuttosto
che mediati geneticamente, e 2) che la direzione di
influenza causale sia dall'ambiente al bambino,
piuttosto che il contrario. Una ampia gamma di
metodologie di ricerca efficaci è oggi disponibile per
questi scopi, tra cui molteplici varianti degli studi sui
gemelli, sugli adottati, sui migranti e gli studi sugli
effetti degli interventi preventivi e terapeutici.
Limitata conoscenza 1) dei processi di rischio
psicosociale, e ancor meno degli effetti di tali processi
di rischio sull'organismo (e, quindi ,perché e come tali
effetti persistano).
2) delle differenze individuali
nella risposta a stress psicosociali, 3) dei fattori
ambientali responsabili delle significative
modificazioni nella prevalenza di alcuni disturbi
psichici nel corso del XX secolo (Rutter & Smith,
1995): ,
modificazioni nella prevalenza di alcuni disturbi
psichici nel corso del XX secolo (Rutter & Smith,
1995): aumento del livello di comportamento
antisociale, di problemi di abuso di sostanze e dei tassi
di suicidio tra i giovani maschi .
La velocità
delle modificazioni nella prevalenza indica che alcuni
fattori ambientali debbano essere coinvolti – anche se
probabilmente rafforzati dall'effetto moltiplicatore che
potrebbe derivare da correlazioni gene-ambiente
(Dickens e Flynn, 2001) –, ma c'è poca ricerca
sistematica su tali possibili cause
Rischi psicopatologici associati ad alcune condizioni:
(1) discordia e conflitto familiare persistente,
soprattutto se associati a forme di interazioni negative
focalizzate verso un determinato figlio (“capro
espiatorio”), (2) la mancanza di cure personali
individualizzate (che implicano continuità nel tempo),
come è solitamente il caso di bambini cresciuti in
ambito istituzionale,
(3) la mancanza di
conversazione e gioco reciproco, e (4) un'etica
sociale negativa o l'appartenenza a un gruppo sociale
che favorisce comportamenti disadattivi.
fattori di rischio e fattori protettivi
Individuazione dei fattori di rischio, e sul loro rapporto
con i fattori di protezione.
I fattori che
possono influire sulla salute mentale possono essere
suddivisi in fattori di rischio e fattori protettivi: i primi
aumentano la probabilità che si manifestino problemi o
disturbi mentali, mentre i secondi attenuano gli effetti
dell’esposizione al rischio.
I fattori di rischio e protettivi possono essere presenti a
livello biologico, psicologico e sociale e riguardano
l'individuo, la famiglia, il gruppo dei pari (Rutter,
Giller, e Hagell, 1998), la scuola (Mortimore, 1998;
Rutter & Maughan 2002) e la comunità sociale più
ampia (Leventhal e Brooks- Gunn, 2000).
Esempi di fattori di rischio e fattori protettivi tratti da
Child and Adolescent Mental Health Policies and
Plans, pubblicato dal World Health Organization
(2005).
Molti disturbi mentali degli adulti esordiscono nell'età
evolutiva. Un intervento precoce su bambini e
adolescenti, ma anche su genitori, altri familiari ed
educatori, può ridurre o prevenire alcuni disturbi
mentali e promuovere l’integrazione con i normali
servizi educativi e sanitari rivolti all’infanzia e
all’adolescenza, che altrimenti richiederebbero servizi
specializzati e intensivi.
- la centralità di alcuni
fattori di rischio e protettivi varia in base allo stadio
di sviluppo del bambino o dell’adolescente. Nei primi
anni di vita, ad esempio, la famiglia ha un peso
maggiore (v. efficacia degli interventi di parent
training), mentre nell’adolescenza l’impatto dei
coetanei ha un’importanza decisiva
Diversi fattori, una volta considerati significativi in termini
di rischio per disturbi mentali, in realtà non lo sono:
1) la perdita dei genitori (o la loro separazione),
comporta, di per sé, rischi molto lievi, a meno che la
perdita non conduca a genitorialità disfunzionale o ad
altre forme di disadattamento familiare. - 2) l'epoca in
cui avviene lo svezzamento o l'educazione al
controllo sfinterico, 3) il tipo di metodi educativi
utilizzati, (Maccoby & Martin, 1983) .
fattori prossimali e distali di rischio
Distinzione tra fattori prossimali e distali di rischio
(Rutter et al., 1998). -, 1) la perdita di uno dei
genitori comporta di per sé un limitato rischio
psicopatologico diretto (o prossimale), ma resta un
importante fattore di rischio (distale) perché, può
rendere la funzione genitoriale del caregiver più
disarmonica e predisporre ad altri rischi psicosociali.
Quindi, una modalità genitoriale disadattiva associata o meno alla perdita di uno dei genitori - può
predisporre di per sé allo sviluppo di disturbi mentali,
mentre la sola perdita di uno dei genitori non
predispone necessariamente alla psicopatologia.
2) la povertà ha un ruolo molto limitato come fattore di
rischio prossimale, ma è molto più importante come
fattore di rischio distale, perché spesso può rendere
più difficile un funzionamento familiare coeso e poco
conflittuale.
3) la residenza urbana è un altro fattore con un rischio
di tipo distale è : questa è statisticamente associata ad
un aumento dei tassi di disturbi psichiatrici dell'età
evolutiva, ma questi rischi sono mediati non dagli effetti
della vita cittadina direttamente sui bambini, ma
piuttosto attraverso i loro effetti sul funzionamento
familiare e sulla loro associazione con esperienze
scolastiche meno positive (Rutter, 1979 ; Rutter e
Quinton, 1977) .
Differenze individuali
Consapevolezza delle importanti differenze individuali
nella risposta ai fattori ambientali, e dell'ampia
eterogeneità negli esiti. - fenomeno della resilienza,
cioè un funzionamento psicologico relativamente
buono nonostante l'esperienza di gravi avversità
psicosociali (Rutter, 2013).
Specificità degli effetti
Apparente mancanza di specificità degli effetti di fattori
ambientali (Steinberg & Avenevoli 2000). L'ipotesi era
che qualora si fosse assunto che le esperienze
psicosociali negative potessero predisporre
indistintamente a tutti i disturbi psichici, esse avrebbero
potuto costituire al più un generico fattore di rischio,
mentre era improbabile che esercitassero un influsso
causale significativo.
prove di un certo grado di specificità degli effetti. ,
1) crescere in un ambito istituzionale 2)
esperienze traumatiche 3) disorganizzazione e
conflittualità familiare
1) crescere in un ambito istituzionale predispone a
problemi di attaccamento disinibito e a disturbi da
disattenzione e iperattività (Rutter & Sonuga-Barke,
2010).
Quando l'educazione istituzionale si
associa a gravi forme di deprivazione globale, e solo in
questi casi, può predisporre allo sviluppo di
comportamenti atipici “quasi-autistici” e a
compromissione cognitiva.
2) Gravi ed insolite esperienze traumatiche (es.
naufragi o terremoti) sono associate a una serie di
fenomeni clinici che configurano il disturbo posttraumatico da stress; questo disturbo non è l'unica
forma di psicopatologia associata a stress gravi e
insoliti, ma è un pattern caratteristico. 3) rapporto
tra disorganizzazione e conflittualità familiare e
sviluppo di comportamenti antisociali
4) i fattori stressanti che comportano la minaccia di un
pericolo futuro tendono ad essere associati con ansia,
mentre quelli che comportano la sensazione o la
minaccia di una perdita a livello psicologico
predispongono alla comparsa di un disturbo
depressivo (Eley & Stevenson, 2000).
molti fattori di rischio sono costituiti da una serie di
elementi diversi, ciascuno dei quali può comportare
esiti relativamente specifici; poiché questi sono
molteplici vi è una falsa impressione di non specificità.
Il fumo di sigaretta fornisce un esempio evidente:
sembra predisporre a una gamma apparentemente
eterogenea di disturbi medici - tra cui l'osteoporosi, il
cancro al polmone, le malattie coronariche, l'enfisema che suggerirebbero una mancanza di specificità.
la depressione dei genitori comporta un rischio
genetico (cioè, è più probabile che i figli presenteranno
disturbi depressivi), ma la stessa depressione dei
genitori predispone anche alla disgregazione del
nucleo familiare e alla discordia familiare, condizioni
che a loro volta aumentano il rischio di comportamento
antisociale .
Fattori ambientali PRENATALI
Fino a qualche decennio fa molti studi sui fattori
ambientali erano concentrati su esperienze di cure
negative, attualmente attenzione anche alla possibilità
di rischi prenatali. 1) l'assunzione da parte della
madre di alcool durante i primi mesi di gravidanza
comporta rischi per lo sviluppo del feto, effetti che sono
evidenti in seguito come anomalie somatiche o come
disturbi comportamentali – in particolare sotto forma di
disattenzione e iperattività (Stratton, Howe, e Battaglia,
1996; Streissguth & Kanter, 1997).
2) Ricerche sugli effetti del fumo da sigaretta
materno durante la gravidanza associazione con
problemi comportamentali e cognitivi, mediati dal
basso peso alla nascita (Obel et al., 2011; D'Onofrio et
al., 2008; Rice et al., 2009; Thapar & Rutter, 2009). 3)
rischi analoghi connessi con altre forme di abuso di
sostanze in gravidanza (Mayes, 1999 ), 4) anche
altre forme di danno prenatale sono associate ad un
aumentato rischio psicopatologico (Munk - Jørgensen
& Ewald, 2001) .
negli ultimi decenni sono state sviluppate varie forme di
intervento psicosociale evidence-based sia per
prevenire la psicopatologia sia per ridurre la gravità e
l'intensità della sintomatologia nei disturbi conclamati
(Offord & Bennett, 2008); la conoscenza dei
meccanismi coinvolti nell'efficacia terapeutica è
decisamente ancora limitata (Forgatch & De Garmo,
1999; Vitaro, Brendgen, Pagani, Tremblay, e McDuff,
1999). Tuttavia, ci sono prove che alcune modalità di
intervento psicosociale determinino benefici reali e
significativi
Prospettive future della ricerca psicosociale
Il potenziale della ricerca psicosociale sta aumentando,
ma è sempre più necessario porre maggiore
attenzione ai problemi concettuali e metodologici. Tre
alternative possibili (sempre da considerare) sono 1) la
mediazione genetica, lo studio dell'interazione geneambiente. Va sempre verificato che i fattori di rischio
psicosociali siano realmente rischi mediati
dall'ambiente. 2) l'inversione del nesso di causalità
(cioè gli effetti dei bambini sui loro genitori, piuttosto
che il contrario) e 3) gli effetti di selezione (ad
esempio, le caratteristiche di coloro che divorziano
piuttosto che il divorzio in quanto tale).
Prospettive future della ricerca psicosociale
Il potenziale della ricerca psicosociale sta aumentando,
ma è sempre più necessario porre maggiore
attenzione ai problemi concettuali e metodologici. Tre
alternative possibili (sempre da considerare) sono 1) la
mediazione genetica, lo studio dell'interazione geneambiente. Va sempre verificato che i fattori di rischio
psicosociali siano realmente rischi mediati
dall'ambiente. 2) l'inversione del nesso di causalità
(cioè gli effetti dei bambini sui loro genitori, piuttosto
che il contrario) e 3) gli effetti di selezione (ad
esempio, le caratteristiche di coloro che divorziano
piuttosto che il divorzio in quanto tale).
Mediazione Genetica
Il ruolo della possibile mediazione genetica è stato
valutato tramite diversi paradigmi di ricerca: studi su
adottati (Burt, McGue, Iacono e Krueger, 2006), su
gemelli – analisi multivariata (Kendler e Prescott,
2006. Narusyte et al., 2008 ), gemelli discordanti (Burt
et al, 2006;. Caspi et al ., 2004) e figli di gemelli
(D'Onofrio et al., 2006, 2008. Silberg & Eaves, 2012;
Silberg, Maes, e Eaves, 2010).
Mediazione Genetica
Il focus di questi vari studi è stato molto ampio;
includeva, ad esempio, le modalità di interazione,
l'emotività espressa, i conflitti familiari, il divorzio e la
discordia tra genitori. I risultati sono chiari: mostrano
l'importanza dei fattori di rischio mediati dall'ambiente,
ma, anche, sempre evidenziano una certa mediazione
genetica.
Quasi tutte le variabili che descrivono fattori psicosociali
o ambientali sono una miscela complessa di
mediazione genetica e ambientale.
la vulnerabilità
genetica opera determinando una maggiore
suscettibilità ai rischi ambientali. Sembra che gli
effetti negativi in seguito a stress psicosociale siano
relativamente minori in coloro che non sono
geneticamente a rischio (Rutter, 2000; Rutter, Pickles,
et al, 2001). Questa non è una tendenza universale e
ci possono essere circostanze in cui sembra valido il
contrario (Rowe, Jacobson, e van den Oord, 1999)
Necessità: 1) di paradigmi di ricerca in ambito
psicosociale geneticamente sensibili, 2) attenzione
alla comprensione sia dei fattori di rischio ambientale
sia dei meccanismi protettivi. contributo significativo
da studi di modelli animali, da studi (trasversali e
longitudinali) di soggetti umani
Direzione della Causalità
Una simile attenzione metodologica è necessario nello
studio della causalità dei fattori di rischio. Bell (1968)
ha posto la questione, studiando se gli effetti presunti
della socializzazione potessero riflettere le influenze
dei figli sui genitori, piuttosto che quelle dei genitori sui
bambini. Numerosi studi, utilizzando una ampia
gamma di paradigmi, hanno mostrato la realtà degli
effetti bidirezionali (Anderson, Lytton e Romney,
1986; Kerr e Stattin, 2000; Kerr, Stattin e
Pakalniskiene, 2008; Silberg & Eaves, 2012; Silberg et
al., 2010; Jaffee et al., 2004; Jaffee, Moffitt, Caspi, e
Taylor 2003 )
Sensibilizzare/Temprare
Studi condotti sull'uomo e su modelli animali hanno
mostrato la realtà degli effetti di “sensibilizzazione”
(sensitaziation) e degli effetti che “temprano”
(steeling”) (Wachs, 2000). esperienze di stress
possono rendere gli individui sia più resistenti sia più
vulnerabili ai successivi rischi psicosociali, anche se
non è ancora chiaro quanto dipenda da fattori inerenti
l'individuo e quanto sia correlato con il tipo di
esperienza stressante.
Sensibilizzare/Temprare
.
Un'ipotesi che sembra avere qualche sostegno empirico
è che le situazioni di stress psicosociale più lievi o, più
probabilmente, quelle che sono accompagnate da un
coping efficace e da un buon adattamento, tendono a
favorire il “temprare”, mentre situazioni di stress
psicosociale che determinano disadattamento ed
esperienze di coping inefficace tendono a favorire la
sensibilizzazione. (Maier, Amat,Baratta,Paul &
Watkins, 2006)
RESILIENZA
il fenomeno della resilienza (resilience) sottende
diverse caratteristiche (Luthar, Cicchetti & Becker,
2000; Rutter, 2012b; 2013) incluse le esperienze
precedenti, il modo in cui soggetto affronta lo stress in
quel momento, le caratteristiche intrinseche del
l'individuo e le esperienze successive.
Iniziale
ipotesi che la vulnerabilità e la resilienza fossero
caratteristiche generali dell'individuo, ma attualmente
sembra che questa ipotesi sia poco plausibile; le
persone possono essere specificamente resilienti
rispetto ad alcuni tipi di esperienze stressanti e
specificatamente vulnerabili rispetto ad altre
condizioni di rischio psicosociale.
Kindling
Effetto " kindling " (Kendler, Thornton, e Gardner, 2000;
Post, 1992): progressiva diminuzione della sensibilità
ai fattori di stress ambientale come risultato stesso
dell'aver sviluppato un disturbo. Sembra infatti che, in
alcune circostanze, l'esperienza del disturbo provochi
cambiamenti nell'organismo che predispongono alla
cronicizzazione: il decorso del disturbo diventa,
progressivamente, relativamente indipendente
dall'ambiente.
Cambiamenti
priorità della ricerca è quella di individuare i
cambiamenti a livello psicologico e biologico
causati dalle esperienze psicosociali, e le modalità con
cui tali modifiche predispongono l'organismo stesso al
persistere o all'emergere di disturbi psicopatologici.
Gli studi stanno valutando il ruolo di diversi possibili
fattori (Rutter, 2012a; 2013; Rutter, & SonugaBarke,2010).
1) fattori psicologici e Cambiameno
1) i meccanismi psicologici implicano le modalità di
elaborare le informazioni cognitive e affettive, le
rappresentazioni di sé, i modelli operativi interni (IWM),
i sistemi motivazionali.
Questi meccanismi possono
agire anche attraverso effetti sugli stili di interazione
interpersonale e attraverso gli effetti sui comportamenti
individuali che predispongono le persone ad agire con
modalità che generano stress successivi.
Resilienza e importanza di alcune funzioni mentali, come
la tendenza alla 'pianificazione' (Clausen, 1991, 1993;
Quinton e Rutter, 1988), uno stile di auto-riflessione
che permette di valutare che cosa ha funzionato o non
ha funzionato, e un senso di agency, la
determinazione ad affrontare le sfide e la fiducia in se
stessi di essere in grado di farlo con successo
(Hauser, Allen & Golden, 2006)
Queste funzioni
non sono equivalenti ad una particolare strategia di
coping; i benefici riguardano una propensione nel
pianificare, in generale, in relazione alle scelte di vita
fondamentali, piuttosto che l'abilità nella pianificazione
in quanto tale
Studio di Quinton e Rutter (1988) su ragazze cresciute
in ambito istituzionale, la caratteristica principale era
il non avere alcun senso di controllo su quello che gli
era accaduto; mancavano sia della tendenza alla
pianificazione sia del senso di agency. I risultati sono
stati sorprendentemente migliori per la minoranza di
ragazze che ha mostrato queste caratteristiche
mentali. Alcune esperienze hanno favorito lo sviluppo
di questi fattori psicologici, come l'aver successo in
qualche attività, sia scolastica sia extra-scolastica
Altra caratteristica psicologica fondamentale è
l'autocontrollo (self-control).
Moffitt et al. (2011) nello studio longitudinale
Dunedin hanno mostrato che lo scarso autocontrollo
durante lo sviluppo infantile era associato con una
vasta gamma di esiti fisici, psico-logico e sociali. Gli
effetti, inoltre, erano indipendenti da QI e classe
sociale, e interessavano tutta la popolazione.
.
Gli interventi per migliorare l'autocontrollo sono forse più
correttamente intesi come prevenzione piuttosto che
trattamento. Lo studio Dunedin non include alcun
intervento per migliorare l'autocontrollo, ma la
constatazione che i miglioramenti nel tempo sono
associati con un migliore esito suggerisce che ci
potrebbero essere benefici da interventi per aumentare
l'autocontrollo. I risultati sull'efficacia di tali interventi
preventivi sono ancora scarsi, ma incoraggianti
(Greenberg, 2006).
2) Fattori biologici e Cambiamento
2) fattori biologici implicati nelle modifiche causate dalle
esperienze psicosociali, e nella predisposizione al
persistere o all'emergere di disturbi psicopatologici
(Rutter, 2012a):
Studi sull'epigenetica (Jirtle e Skinner, 2007), sui
cambiamenti del sistema neuroendocrino e della
struttura o funzione del sistema nervoso (plasticità
cerebrale)..
.
Effetti dell' abuso e dell'incuria (neglet) sul sistema
neuro-endocrino (asse HPA, ipotalamo-ipofisisurrene) (Gunnar e Quevedo, 2008), ma i dati sono
ancora carenti su quanto questi effetti differiscano
nelle persone resilienti, in coloro cioè che superano le
avversità.
.
La realtà degli effetti epigenetici delle esperienze è
stato dimostrato da studi su animali (Meaney, 2010),
ed è prevedibile che gli stessi meccanismi si applichino
agli esseri umani ( Essex et al. 2011) . Tuttavia, come
con i risultati relativi all'asse HPA, la domanda è se i
fattori epigenetici rappresentino differenze individuali
nelle risposte dei bambini alle avversità - vale a dire se
essi rendano conto anche della resilienza.
La plasticità cerebrale (Huttenlocher, 2002; Lenroot &
Giedd, 2011; Nelson, 2011) si riferisce alla capacità del
cervello di modificarsi come risultato di esperienze talvolta (ma non sempre) a seguito di stimoli sensoriali
, in particolare durante le fasi sensibili dello sviluppo.
Hubel e Wiesel (2005), ricerca sul ruolo dell' input
visivo binoculare nel permettere il normale sviluppo
della corteccia visiva.
La plasticità cerebrale è stata evidenziata, a tutte le età,
sia in situazioni di “arricchimento” ambientale, come
negli studi sui tassisti londinesi ( Maguire EA, et al.,
2000; Woollett . Spiers, Maguire, 2009) , sia in
situazione di “deprivazione” (Rutter, 2012a)
Studi sugli effetti della deprivazione istituzionale
precoce esempio degli effetti di gravi avversità
sociali sulla struttura e funzione neurale . Nello studio
su bambini rumeni adottati in UK (Rutter & SonugaBarke, 2010) la deprivazione istituzionale durata oltre
l'età di 6 mesi era associata ad una marcata riduzione
della circonferenza cranica; i risultati della RMN
mostravano una associazione con le dimensioni del
cervello . Questo effetto è stato trovato in bambini che
non avevano subito una iponutrizione significativa
(indicizzato dal peso corporeo), e anche se c'è stato un
significativo recupero, la circonferenza cranica è
rimasta ridotta almeno fino all'età di 15 anni.
.
Studi che hanno utilizzato metodiche come
l'elettroencefalografia e i potenziali evocati eventocorrelati , come quello usato nello studio di Bucarest ,
hanno mostrato una marcata riduzione dell'attività
cerebrale (Marshall, Fox; Bucharest Early Intervention
Project Core Group (2004) , anche se questa
migliorava se i bambini venivano dati in affidamento
prima dell'età di 2 anni (Marshall, Reeb, Fox, Nelson,
Zeanah, 2008) .
i studi su animali hanno dimostrato che lo stress
cronico provoca il rimodellamento dei circuiti
dell'ippocampo (alterazioni dendritiche e delle sinapsi),
e la soppressione della neurogenesi (McEwen &
Gianaros, 2010); Effetto opposto sull' amigdala .
Gli studi su umani sono più limitati; anche loro sono
stati interpretati come associazione tra stress e
meccanismi neurotossici.
Un problema connesso ai cambiamenti biologici dovuti a
fattori ambientali riguarda il ruolo dello sviluppo nel
determinare l'adattamento dell'organismo in relazione
alle condizioni ambientali durante i periodi sensibili
dello sviluppo (Bateson et al., 2004; Ellis et al., 2011).
Un esempio in medicina è il rapporto tra scarsa
crescita nel periodo prenatale e la predisposizione ad
un aumentato rischio di malattie cardiovascolari in età
adulta (Barker, 1999, 2007).
. L'ipotesi è che la programmazione biologica fornisca
un adattamento ad un ambiente caratterizzato da
scarsa nutrizione, e quindi può essere dannoso se il
neonato viene sottoposto a una ipernutrizione forzata.
Una implicazione, nel campo della salute mentale in
età evolutiva, potrebbe essere che una troppo rapida
stimolazione può essere dannosa nel caso di bambini
che abbiano subito una deprivazione globale (ad es.
crescita in ambito istituzionale) e che la resilienza
potrebbe essere favorita da un ripristino più graduale di
esperienze ambientali tipiche.
La ricerca sui fattori ambientali sta iniziando ad utilizzare
paradigmi metodologici più accurati . Il tradizionale
dualismo “gene-ambiente” appare troppo riduzionista,
ed appare necessario un nuovo approccio ai disturbi
mentali, capace di integrare aspetti biologici con quelli
contestuali La contrapposizione tra “natura” e
“cultura” appare un retaggio del passato basato su
vecchi paradigmi ideologici piuttosto che su un sistema
di conoscenza scientificamente verificabile.
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