L`INTERVENTO DELLO STATO NELL`ECONOMIA IN

L’INTERVENTO DELLO STATO NELL’ECONOMIA IN PROSPETTIVA STORICA
[Sintesi dell’articolo di V.Tanzi e L.Schuknecht, The growth of government and the reform of the State
in industrial countries, IMF, WP/95/130, Dicembre 1995]
1. Spesa pubblica e ruolo dello Stato nell’economia (1870-1994)
Il punto di vista degli economisti e della società nel suo complesso nei confronti del ruolo dello Stato
nell’economia è cambiato molte volte e in modo radicale negli ultimi due secoli.
Nell’Ottocento, gli economisti e i loso della politica ‘classici’ (es. Adam Smith, David Ricardo,
John Stuart Mill) erano assertori dello ‘Stato minimale’, in parte come reazione all’effetto negativo delle
attive politiche protezionistiche praticate dai Governi nel ‘700. Keynes nel 1926 sosteneva che: “praticamente ogni azione dello Stato nel diciottesimo secolo in eccesso rispetto alle sue funzioni minime [cioè:
difesa nazionale, mantenimento dell’ordine pubblico e amministrazione della giustizia] fu, o apparve,
dannoso o inefcace”. In altre parole, si riteneva che la sola funzione legittima svolta dagli Stati nazionali fosse quella ALLOCATIVA, e in paticolare la difesa dei diritti individuali. In consonanza con questa
visione, la Costituzione degli USA non menzionava nessun altro ruolo economico per lo Stato.
Coerentemente con questa visione, il peso dello Stato nell’economia nel 1870 era davvero molto
ridotto. In quell’anno la spesa pubblica nei paesi industrializzati raggiungeva solo l’8.3% del PIL (una
media tra il 4% circa degli USA e circa il 10% di Germania e Olanda). Il 12.6% della Francia rendeva
quel paese un paese che oggi deniremmo ‘dirigista’! In Italia, la spesa pubblica rappresentava circa il
12% del PIL.
Nella parte nale del diciannovesimo secolo, la losoa classica fu messa in discussione dal
marxismo che esercitava una notevole inuenza sul movimento socialista. Alla ne dell’Ottocento, gli
economisti tedeschi Schmoller e Wagner aggiunsero la funzione REDISTRIBUTIVA a quella allocativa
alla lista dei compiti legittimamente svolti dagli Stati. In quello stesso periodo, il carattere pubblico e
di massa della scuola primaria erano già acquisiti. Nel 1880, fu introdotto in Germania l’embrione del
primo sistema di sicurezza sociale (sia pure con beneci e beneciari estremamente limitati).
Ciò nonostante, i principi del laissez-faire rimasero predominanti nelle politiche pubbliche, così
che la percentuale della spesa pubblica sul PIL aumentò molto lentamente no alla Prima guerra mondiale, da 8.3% nel 1870 al 9.1% nel 1913. In questo periodo, in Italia la quota della spesa sul PIL diminuì
di circa un punto percentuale, dal 12% all’11%.
Fu con la Prima guerra mondiale che i livelli medi di spesa pubblica aumentarono notevolmente,
come riesso dell’aumento della spesa militare bellica. L’accresciuta capacità impositiva che aveva consentito di nanziare (almeno parzialmente) l’aumento di spesa in tempo di guerra, consentì ai Governi
di continuare a mantenere livelli di spesa più elevati rispetto al periodo prima della guerra (e ad alcuni
di questi di ripagare i danni di guerra).
Intorno al 1920, la quota della spesa pubblica sul PIL era aumentata a più del 15%. Solo Spagna,
Svezia, Svizzera e USA (su 13 paesi per cui esiste disponibilità di dati) mantenevano livelli di spesa
inferiori al 10% del PIL. In Francia, Germania e UK la spesa pubblica rappresentava ormai il 25% circa
del PIL, in Italia il 22.5%.
Il mutamento di clima e della pubblica opinione sul ruolo dello Stato fu riassunto da Keynes nel
1926: “Il compito principale per i Governi non è quello di non fare cose che gli individui fanno già,
rendendoli un poco più o un poco meno soddisfatti, bensì fare quelle cose che non vengono fatte per
nulla”, sottolineando implicitamente che le ‘cose che non erano fatte per nulla’ erano molto numerose e
molto importanti.
Alla ne degli anni venti, molti governi occidentali avevano introdotto sistemi di sicurezza
sociale. L’arrivo della Grande Depressione nei primi anni trenta contribuì ad aumentare la portata dei
programmi sociali dello Stato. La Grande Depressione fu interpretata come un esempio di drammatico
fallimento del meccanismo di mercato - un fallimento così grande da necessitare interventi statali senza
precedenti. Gli USA introdussero allora il primo piano di interventi sociali chiamato il New Deal. Il
Presidente del New Deal fu Theodore Roosevelt.
Il risultato di questi anni fu che nel 1937, la quota della spesa pubblica sul PIL era salita no
quasi al 21% (il 18%, se si escludono paesi come la Germania, il Giappone e la Spagna che erano paesi in
guerra civile o in procinto di intraprendere uno sforzo bellico). Tranne che in Svezia, Svizzera e USA, la
spesa pubblica superava ovunque il 15% del PIL. In Italia, la spesa pubblica rappresentava il 24% circa
del PIL. Nel 1937, lo ‘Stato minimale’ dei classici aveva ormai lasciato il posto all’avvento del Welfare
State, che sarebbe arrivato dopo la seconda guerra mondiale.
Dopo la Seconda guerra mondiale, come già dopo la Prima, la spesa pubblica aumentò notevolmente. La quota della spesa sul PIL aumentò dal 21% circa del 1937 al 28% nel 1960 (circa il 30% in
Italia). Gli USA per la prima volta erano molto vicini alla media degli altri paesi industrializzati ( e non
ampiamente al di sotto, come in precedenza).
Il periodo tra il 1960 e il 1980 fu un periodo di grande ottimismo sull’efcacia della politica
di bilancio e di politiche di spesa molto attive. L’esperto di nanza pubblica Musgrave, in un libro del
1959, descrisse i tre ruoli dello Stato: ALLOCATIVO, DI STABILIZZAZIONE e REDISTRIBUTIVO.
In particolare, la teoria economica delle esternalità formalizzò ed estese l’ambito di applicazione degli
interventi allocativi dello Stato, la Teoria Generale di Keynes denì il compito di stabilizzazione macroeconomica delle politiche di domanda aggregata e la diffusione delle esperienze di socialdemocrazia
e di socialismo estesero l’ambito di applicazione delle politiche di redistribuzione, portando ad una sottovalutazione degli effetti di disincentivo della tassazione progressiva sull’offerta di lavoro e ad una
sopravvalutazione delle capacità del Governo di identicare i beneciari potenziali delle politiche di
redistribuzione.
Questa accresciuta convinzione sulle potenzialità positive dell’intervento dello Stato condusse
anche molti paesi a introdurre speciche modiche costituzionali volte a garantire e rendere legalmente
sostenibili le politiche attiviste. In Germania, la nuova costituzione dopo la seconda guerra mondiale
accennava al ruolo dello Stato nel promuovere l’avvento dell’ ”economia sociale di mercato”. Il compito
di stabilizzazione macroeconomica venne incorporato nella costituzione verso la ne degli anni sessanta,
e, dopo la prima crisi del petrolio, il Governo fu anche esentato dalla Corte Suprema dall’obbligo di
copertura del bilancio pubblico. Tradizionalmente, la costituzione economica degli USA non conteneva
forti controindicazioni nei confronti di politiche attiviste in campo sociale ed era inoltre molto difcile
da cambiare. La Corte Suprema diede allora una mano al Governo consentendo la legislazione del New
Deal e l’Employment Act del 1946, che assegnava al governo federale la responsabilità di promuovere
il “massimo livello possibile di occupazione, produzione e potere d’acquisto”.
Gli sviluppi politici nelle democrazie occidentali facilitarono ulteriormente l’avvento del welfare
state (burocrazie desiderose di espandersi, accresciuto potere dei gruppi di pressione). Il nanziamento
monetario del decit pubblico diminuì il controllo sulla spesa, così come le asimmetrie nella percezione
dei costi della tassazione e della spesa al livello del potere legislativo (beneci della spesa localizzati nei
collegi elettorali, costi distribuiti su tutti gli elettori -> spesa eccessiva).
L’espansione della spesa pubblica del periodo 1960-80 ha due caratteristiche distintive. Primo,
si tratta della prima espansione signicativa della spesa in un periodo di pace. Secondo, l’aumento della
spesa è molto marcata in termini quantitativi: da 28% del PIL nel 1960 al 42.5% nel 1980. Per Belgio,
Irlanda, Giappone, Spagna, Svezia e Svizzera, la quota della spesa pubblica sul PIL raddoppia e in Belgio
e Svezia supera il 50% del PIL. In Italia, la quota della spesa sul PIL sale dal 30% circa del 1960 al 42%
circa del 1980.
Dall’inizio degli anni settanta, cominciano a emergere i primi dubbi sull’efcacia della spesa
pubblica a ni di stabilizzazione, allocazione e ridistribuzione e sugli effetti distorsivi delle imposte. Alla
ne degli anni settanta, ci fu la reazione neoliberista con l’avvento al potere del Presidente Reagan negli
USA e della signora Thatcher nel Regno Unito.
Alla retorica neoliberista non fece seguito tuttavia una altrettanto potente azione dei Governi
volta a ridurre il peso dello Stato nell’economia. La spesa pubblica nei paesi industrializzati, anzi, continuò ad aumentare raggiungendo circa il 45% del PIL nel 1990 e il 47% nel 1994. Tra il 1980 e il 1994,
la quota della spesa pubblica sul PIL si ridusse in Belgio, Irlanda, Nuova Zelanda e, marginalmente, in
Olanda, mentre aumentò in modo signicativo in Canada, Francia (dal 46% al 59%), Italia (dal 42% al
54%), Norvegia, Spagna (dal 32% al 45%) e Svezia (dal 60% al 69%).
Considerando l’incremento del livello della spesa in percentuale sul PIL nell’arco di 125 anni, si
nota che la spesa è aumentata di 39 punti percentuali. Il 50% di questo aumento è avvenuto in corrispondenza delle due guerre. L’aumento della spesa dopo il 1960 rappresenta l’altro 50%. Il cambiamento più
rilevante nel ruolo del Governo nell’economia è quello sperimentato da Norvegia e Svezia, che erano
due paesi con small government alla ne dell’Ottocento e all’inizio del Novecento e ora sono diventati
l’emblema del big government.
2. Composizione della spesa pubblica (1870-1994)
Esistono dati di lungo periodo (1870-1994) su tre componenti principali della spesa pubblica: consumi
pubblici (li abbiamo chiamati G), spesa per trasferimenti e sussidi (Tr), pagamento di interessi sul debito
(rDg).
Nel 1870, la spesa pubblica era composta quasi esclusivamente da consumi pubblici (in media, il
4.6% del PIL su una spesa totale pari all’8.3%). Nel 1870, i trasferimenti erano meno dell’1% del PIL e
la spesa per interessi circa il 3% del PIL. Questi dati non sono disponibili per l’Italia.
Nel 1992-94, la spesa pubblica rappresenta mediamente il 47% del PIL. I trasferimenti rappresentano
circa metà della spesa totale (il 23% del PIL), i consumi pubblici più del 25% (per un ammontare pari al
18% circa del PIL), mentre gli interessi sul debito non sono aumentati molto e rappresentano poco più
del 4% del PIL (anche se erano diminuiti no a raggiungere l’1% del Pil nel 1970 e poi da allora sono
aumentati di tre punti percentuali, a causa dell’accumulo di debiti pubblici successivo). Dunque l’accresciuta quota della spesa sul PIL è da ascrivere sostanzialmente all’andamento di due voci: i consumi
pubblici e i trasferimenti.
L’aumento di 13 punti percentuali della quota dei consumi pubblici sul PIL avviene tra il 1870 e
il 1980, con un’accelerazione tra il 1960 e il 1980 (quando la quota sale di 5 punti da 12.7% a 17.7%).
Tra il 1980 e il 1994, la quota dei consumi pubblici rimane costante.
La spesa per trasferimenti e sussidi aumenta dall’1% del 1870 al 4% del 1937, no all’8% del
1960. L’aumento quasi senza controllo avviene però solo dopo il 1960: 15% nel 1970, 21% nel 1980,
23% nel 1992. Fino al 1960 è il Regno Unito a mostrare il più elevato ammontare di trasferimenti
in percentuale sul PIL. Dal 1960 al 1980, quelle che in precedenza erano chiamate ‘politiche sociali’
diventano il welfare state. La percentuale di spesa per trasferimenti e sussidi di Olanda, Norvegia, Svezia
e Belgio supera quella del Regno Unito (che si è stabilizzata intorno al 15%). La spesa per trasferimenti
in Olanda raggiunge il 38.5% del PIL nel 1980 e si stabilizza a quel livello no al 1992. Negli Usa, la
spesa per trasferimenti e sussidi non supera di molto il 10% del PIL, mentre in Italia la quota aumenta
costantemente a partire dal 1970 (18%), no al 1980 (26%) e al 1992 (29%).
In corrispondenza con l’andamento crescente delle voci principali della spesa e degli interessi sul
debito pubblico, a partire dal 1970 si è vericata una preoccupante riduzione degli investimenti pubblici,
che sono scesi da una quota del 4% della spesa totale nel 1970 ad una del 3% circa nel 1985.
3. Finanziamento della spesa e composizione delle entrate (1960-1990)
Fino al 1970, l’incremento della spesa veniva nanziato con un corrispondente incremento delle entrate
scali (almeno in tempo di pace).
Nel 1960, i decit pubblici dei paesi industrializzati erano praticamente uguali a zero. Chi spendeva di più (Austria, Francia, Germania, Olanda, Svezia e Regno Unito) raccoglieva anche più entrate
scali in percentuale sul PIL.
Le politiche keynesiane di sostegno della domanda conseguenti al primo shock petrolifero causarono l’emergere di rilevanti decit per la prima volta in tempo di pace. Ma quell’episodio fu solo
l’inizio di un nuovo periodo di diminuita responsabilità scale dei Governi. Anche se si osserva ancora
la regolarità che chi spende di più fa anche pagare più tasse ai suoi cittadini, la grande novità degli ultimi
25 anni è stato il fatto che l’aumento delle entrate scali è stato di gran lunga inferiore all’aumento delle
spese, da cui l’accumulazione di un cospicuo ammontare di debito pubblico in molti paesi.
All’interno delle entrate scali, di particolare rilevanza è stato l’aumento delle entrate derivanti da imposte dirette e dai contributi sociali e, in parallelo, la perdita di importanza delle imposte indirette.