Fulvio Mazza
Proposte per la riforma della professione giornalistica
Filosofia generale del documento e del dibattito
PREMESSA
Tralasciando le problematiche sindacali, connesse all’intervento
che mi succederà, interverrò illustrando alcune linee generali che,
mi auguro, possano servire come base di discussione circa alcune
auspicabili riforme da effettuare in direzione di una migliore e più
etica – ma anche più funzionale - attività professionale. Altra
avvertenza preliminare: non mi soffermerò sui dati strettamente
giuridici della questione ma solo su quelli di indirizzo generale. La
ratio di questo intervento, lo ricordo, è “politico” e non tecnico.
Ultimo dato introduttivo: scopo di questo canovaccio è quello di
aprire un dibattito fra noi per rendere più morale la professione
giornalistica e – conseguentemente – per poterci dare la possibilità
di essere orgogliosi di farne parte.
In tal senso, il mio punto di partenza non è stato “il giornalista”
bensì “il cittadino” e come meglio “il giornalista” possa essere utile
alla società. Non “noi” come punto di riferimento base, dunque,
anche se, come appare evidente, da un miglioramento del nostro
“Servizio” al cittadino scaturirà automaticamente un miglioramento
del nostro status.
Ordine si ordine no
Anche se magari sarebbe forse anche meglio puntare
sull’abolizione dell’ordine, darò per scontato il suo mantenimento e
mi concentrerò su (poche ed essenziali) proposte di modifica
dell’ordine e della professione.
Circa il dibattito “mantenimento o abrogazione” dell’ordine mi
limiterò a pochissime considerazioni esprimendomi, come si noterà
per un –anche se assai poco entusiasta – sì al mantenimento.
E’ ben vero – come evidenziava giustamente Massimo Alberizzi
durante il dibattito “precongressuale” - che è difficile che un
consiglio dell’ordine, composto da persone che – magari – sono
colleghi e amici dei sottoposti ai provvedimenti disciplinari, possa
facilmente agire contro tali persone.
E, inoltre, alcune infrazioni – concordo con Alberizzi – potrebbero
assai meglio essere sanzionate da istanze giudiziali costituite da
collegi di magistrati ordinari civili o penali.
Ma altre sanzioni, non di rilevanza giudiziale (quelle etiche, per
esempio) difficilmente potremmo pensare di farle sanzionale
dall’esterno. A meno che non intendessimo aggravarne la portata
rendendole di rilevanza civile o penale. Ma, come si sa, aggravare
le pene non è quasi mai una buona strategia.
Al fine di evitare che, come spesso avviene oggi, le persone che
infangano moralmente la nostra categoria (e, dunque, noi stessi) la
facciano franca, si potrebbe e si dovrebbe dunque agire verso una
maggiore chiarezza nella descrizione delle infrazioni e, nel
contempo, verso una minore discrezionalità dei collegi giudicanti.
Oppure, lo si ragionava sempre in sede di dibattito preliminare
informale, si potrebbe lasciare all’ordine – o come lo si vorrà
chiamare – un mero compito di tenuta dei registri e passare le
competenze disciplinari ad un “Giurì” misto formato da giornalisti e
magistrati (riguardo a quelle più specificatamente etiche) e
rafforzando la magistratura ordinaria per quel che riguarda la
sanzionatura civile e penale. Per ultimo, non va sottovalutato un
altro aspetto: quello dell’impatto verso l’esterno. Come veniva
notato nel “dibattito precongressuale” l’ordine viene recepito
dall’esterno con molta maggiore credibilità rispetto a qualsiasi altra
istanza professionale o sindacale. Il motivo nasce dal fatto che
mentre, ad esempio, il sindacato è un’associazione privata, l’ordine
è un organo di natura statale.
Senza l’ordine, tale “supplenza” verrebbe assunta dal sindacato che
però, come accennato riuscirebbe assai meno a fornire un ambito
di credibilità esterna.
Ma, dal mio punto di vista, Ordine sì o ordine no non cambia molto.
Si tratta, in fin dei conti, solo di un passaggio tecnico; è a quello
strategico, una maggiore e migliore eticità della professione, che mi
interessa assai di più e che, mi auguro, possa interessare anche voi
sino a considerare vostre alcune delle proposte che esporrò tanto
da inserirle nel documento programmatico di base che questo
congresso è chiamato a stendere.
Proposte
DOVERI DEL GIORNALISTA
Privacy e minori.
Bisognerebbe rendere assolutamente più pregnanti le varie norme
a tutela della privacy e – ancor di più – dei minori.
Norme oggi generalgeneriche come la "Carta di Treviso" o come la
“Carta dei doveri” dovrebbero diventare innanzi tutto strettamente
operative ma anche con sanzioni disciplinari assai maggiori.
Idem per chi chiede insistentemente interviste – soprattutto
televisive e a telecamere accese – a privati cittadini duramente
colpiti da eventi drammatici (tipo i familiari di sequestrati o delle
vittime di delitti, i familiari dei delinquenti arrestati o condannati,
ecc.), chi pubblica foto disgustose.
Netta presa di distanze, dunque, da chi sfrutta il dolore altrui ben al
di là del diritto di cronaca.
Un concetto, che a mio avviso, andrebbe comunque molto
ridimensionato.
Come accennavo, le norme dovrebbero essere assolutamente
chiare e pregnanti lasciando poche scappatoie anche agli organi
più compiacenti. Inserendo, eventualmente – soprattutto nel caso
dei minori – anche rappresentanti della magistratura all’interno degli
organismi (sia in fase di istruttoria che in fase di delibera).
Lobbies e attività pubblicitarie paragiornalistiche
Stesso dicasi, anche se l'
argomento è diverso, per chi firma articoli
o interviste pubblicitarie o parapubblicitarie o chi si occupa di
Pubbliche relazioni o conduce attività d’intrattenimento (Giletti,
Giurato, Timperi, Ventura e company).
Non si tratta, è bene specificarlo, di nulla di infamante, ma di attività
che vanno considerate assai diverse dal giornalismo. Chi,
legittimamente, fa questi mestieri dovrebbe essere sospeso
dall’ordine. Non come sanzione, dunque, ma come “semplice”
presa d’atto di un cambio effettivo di attività professionale.
Sanzioni più pregnanti – sanzioni! - anche, ovviamente, per i
direttori che ospitano pubblicità “redazionali”. Che non si tratta di
articoli di favore (che, bene o male, sono scritti da un redattore o da
un collaboratore , che sono sempre partoriti dalla ratio del direttore
e a lui vengono sottoposti. Il riferimento è agli articoli
parapubblicitari scritti direttamente dalle agenzie pubblicitarie ma
stilati sotto forma di articolo.
Obblighi di rettifiche
Credo sia necessario che si obblighi, con molta maggiore
pregnanza, i giornali a rettificare subito e con stesso corpo,
posizione ecc. le rettifiche delle persone che, ingiustamente,
abbiano subito l'"attenzione" dei media.
Andrebbe ovviamente regolamentata la questione in modo da non
limitare la libertà di stampa, ma anche in modo da non permettere come avviene ora - che un arresto vada magari in prima pagina su
9 colonne e l'
assoluzione in coda al giornale in una "breve".
Pornografia
Altro argomento correlato: non dovrebbe essere giornalista chi
dirige giornali di contenuto pornografico. In tal senso non si
avrebbero più "giornali" porno.
Tali pubblicazioni continuerebbero, ovviamente, ad uscire, ma
come "libri" e non come "giornali". In tal senso perderebbero anche
i benefici che oggi hanno nell'
essere considerati giornali (come il
diritto ad essere esposti nelle edicole. Le pubblicazioni porno, in
pratica, manterrebbero tutti i propri diritti ad essere pubblicate. Ma
le edicole non avrebbero più il dovere – cosa che oggi avviene – di
esporle pubblicamente.
La punibilità per gli eventuali reati commessi verrebbe comunque
garantita alla stessa stregua della punibilità che attualmente esiste
relativamente ai libri. Quindi, anche se non più giornalisti, i
responsabili di tali pubblicazioni sarebbero comunque facilmente
identificabili.
Conseguentemente, i direttori dei giornali (e ciò vale anche e
soprattutto per le televisioni private, indipendentemente dagli orari
delle trasmissioni) che ospitassero inserzioni pubblicitarie porno –
quelle che, per parlarci chiaro – vanno in onda la sera su
moltissime tv private - andrebbero soggetti alle (forti) sanzioni
disciplinari.
Nel caso delle radio, tv private e internet, la questione è più
complicata in quanto la responsabilità è della “rete” e non della
testata. Magari la sanzione, in questo caso, potrebbe essere
applicabile solo nel caso che l’editore sia un giornalista. Ma,
comunque, al di là della facilità o meno di reprimere tali
comportamenti di antieticità giornalistica, quella nostra sarebbe
un’affermazione politica di una linea di tendenza.
Analogamente estenderei le norma auspicate sulla pornografia a
tutte le pubblicazioni o programmi televisivi che, anche a orari diurni
o di grande ascolto, trasmettono scene ed immagini, filmati o
cartoni animati di violenza gratuita. Anche in questo caso dunque le
norme e le sanzioni dovrebbero essere molto più chiare e severe.
In questo contesto va evidenziata l’inutilità dei cosiddetti “bollini”
che diverse televisioni applicano all’inizio dei film o dopo le pause
pubblicitarie per segnalare il grado di violenza e tutelare(!) i minori.
A cosa serve un bel bollino rosso fuoco (che, a dirla tutta, svanisce
rapidamente dopo pochi secondi dallo schermo) se si propone, in
prima serata, ugualmente il film o la fiction che lo contengono?
Forse che non esistono minori chela sera sono soli a casa a causa
della forzata assenza dei genitori ?
Per non parlare delle inserzioni pubblicitarie di carattere osceno e/o
violento che spesso, con tranquillità, “passano” durante le
trasmissioni che solitamente vengono viste dai ragazzi.
Suicidi
Sull’argomento vi è poco da dire. Va imposta una chiara norma che
preveda il divieto di trattare, in qualsiasi modo vicende di suicidio.
Uniche due eccezioni: il caso di suicidi di persone pubbliche (Raoul
Gardini ecc.) e il caso di indagini statistico-sociologiche.
Obbligo della rettifica sulle titolazioni
Quando, su iniziativa del collega interssato, del Cdr o di qualsiasi
lettore, viene certificato (dall’ordine, da un giurì o da quant’altro da
determinarsi) che il redattore ha posto un titolo fuorviante ad un
determinato articolo,il redattore va sanzionato e va effettuata
adeguata rettifica.
Virgolettato
Obbligo da parte del giornalista che virgoletta le frasi di un
intervistato a sottoporgli il virgolettato stesso. Unica eccezione: se
vi è la registrazione audio. Senza tale autorizzazione il pensiero va
riassunto ma senza virgolette.
Regali
Realmente sarebbe difficile fornirci una risposta all’interrogativo
circa il perché dei tanti regali che spesso vedono come beneficiari
gli appartenenti alla nostra categoria professionale.
O meglio, una risposta anche se può apparire brutale nella sua
semplicità la si ha chiaramente: si tratta di una sorta, più meno
velata di “corruzione implicita”.
In tal senso sarebbe ben opportuno che nel codice deontologico un
chiaro divieto di ricezione di regalie di qualsivoglia genere e valore.
O, quantomeno, ci sia l’obbligo di dichiarare pubblicamente ed
espressamente tutti i regali ricevuti e i gentili mittenti. Con
l’appendice della possibilità dell’acquisto degli stessi regali (con
adeguato versamento, magari, all’Inpgi).
Per una volta tanto verifichiamo come effettivamente la decantata
democrazia americana sia tale. In tal senso, difatti, sarebbe
auspicabile seguire l’esempio del presidente degli Usa che è tenuto
a segnalare pubblicamente qualsiasi regalo ricevuto – e a
qualunque titolo – salvo l’opportunità di acquistare i regali stessi.
Viaggi per conferenze stampa
Il ragionamento è assai simile al precedente. Va sanzionato il
giornalista che, con la scusa di seguire una conferenza stampa di
una tale azienda, effettua viaggi e sostiene altre spese a spese
dell’azienda.
Se tali viaggi sono effettuati su indicazione del direttore, la sanzione
va a carico di quest’ultimo.
Pubblicità occulta
Quello della pubblicità occulta è uno degli argomenti più delicati,
perché mina alla base il rapporto di fiducia che dovrebbe sussistere
tra i lettori e il proprio giornale.
Il pubblico fruitore di un giornale si aspetta che il giornalista sia
“terzo” imparziale nell’adempimento della sua professione, ed
eccolo invece che cambia “casacca” ed è pronto a “circuire”, con
modi subdoli, perché non palesi, chi ha la sua fiducia.
Le norme sul divieto della pubblicità occulta, sia essa nelle forme
radio televisive e di internet sia nella cosiddetta pubblicità
“redazionale” scritta, vanno inasprite ma soprattutto, perché è
questo il vero “vulnus”, rese effettive ed applicate: su tale tema,
come forse su pochi altri, la professione di giornalista si gioca una
gran fetta di credibilità.
Periodo sabbatico durante e dopo termine esperienza politica
Riallacciandoci alla credibilità a cui prima si accennava, lo stesso
problema nasce, con modalità diverse, per i colleghi che svolgono e
incarichi politici e che poi tornano a svolgere la loro professione
dopo il termine di tali incarichi politici stessi.
Si tratta, opportunamente riadattato, dello stesso principio adottato
dalla magistratura.
In tal senso, al di là dei tecnicismi da stabilire, si potrebbe
prevedere cge – durante il mandato – possano solo scrivere nella
pagine delle “lettere” e che tale limitazione venga estesa anche per
un anno dopo la fine del mandato citato. In quest’ultimo caso,
l’anno “sabbatico” potrebbe avvenire con pagamento di un
adeguato contributo a carico dell’Inpgi.
Come appare evidente, tale parentesi sarebbe necessaria, agli
occhi dell’opinione pubblica e non solo, per una migliore immagine
di correttezza dell’intera categoria.
Divieto di candidatura ad organismi giornalistici dopo due incarichi
consecutivi e divieto di cumulo delle cariche all’interno di differenti
organismi giornalistici.
Le ragioni, ritengo siano sufficientemente evidenti di per se stesse e
non abbisognano di un granché di spiegazione.
L’intento è evitare la cristallizzazione delle posizioni di potere.
Sospensione automatica dalla professione dopo una sentenza di
condanna di primo grado. Espulsione dopo condanna definitiva.
Anche in questo caso le motivazioni sono più che evidenti. Rimane
da evidenziare che i reati oggetto di tali normative dovrebbero
essere sia qualli professionali che quelli non professionali e che
dopo l’eventuale assoluzione in secondo grado o in Cassazione la
sospensione cesserebbe immediatamente (con pagamento da
parte dell’Inpgi degli eventuali danni subiti).
DIRITTI
No a richiesta di risarcimenti miliardari
Oggi la libertà giornalistica è fortemente minacciata dall’abitudine
dei “presunti diffamati” di chiedere risarcimenti miliardari.
Si tratta, a ben vedere, di una vera e propria offensiva continua alla
libertà di stampa. Ricordo, in tal senso, il caso de il Quotidiano della
Calabria che nel 2003 denunciò pubblicamente un’offensiva
economica – combattuta a suon di richieste milionarie (di Euro!) –
con l’obiettivo dichiarato di intimidire giornalisti ed editore.
Posto e ribadito che chi è stato diffamato deve essere
assolutamente risarcito, credo che bisognerebbe prevedere
condanne morali (scuse pubbliche – ma solo quando c’è stato un
dolo - rettifiche redatte da un giornalista appositamente delegato
dal diffamato, da un apposito comitato di giornalisti e avvocati o
quant’altro da inventarci) e non condanne pecuniarie.
Se proprio le si dovessero ritenere necessarie le condanne
pecuniarie andrebbero, comunque, drasticamente ridotte – stesso
dicasi per quelle penali. Pubbliche scuse, rettifiche e quant’altro si.
Ma non soldi e non galera.
Obbligo vincolante parere positivo redazione su nomina direttore.
Un'
altra ipotesi su cui ritengo si debba riflettere, per fare in modo
che una auspicabile e possibile riforma della nostra professione non
sia solo di facciata ma vada a incidere realmente in quelle che sono
oggi le sue maggiori problematiche, è l’obbligo, al momento della
nomina del direttore di un giornale, del parere favorevole vincolante
della redazione giornalistica.
Un parere vincolante, sia chiaro, che va dato prima e non dopo
l’effettiva assunzione dell’incarico direzionale.
A primo acchito potrebbe apparire come una norma più sindacale
che professionale-ordinistica. Ma così non è. La ratio non è tanto,
difatti, la tutela dei diritti dei lavoratori bensì quella dei lettori
cittadini. Nessuno vuole mettere in dubbio la legittimità delle
prerogative dell’editore; però va evidenziato che un’azienda che
produce informazione non può avere le stesse notizia di una che
sforna “soppressate”.
Pur in forme e modalità da stabilire (scelta della redazione
all’interno di una rosa di “papabili”, previsione di un “tot” preciso e
inderogabile di… fumate nere consentite e via discorrendo).
Tale questione, ritengo, vada posta con particolare forza.
DIVERSA ORGANIZZAZIONE NORMATIVA INTERNA
Pubblicisti
Bisognerebbe poi fare una riflessione sui pubblicisti.
Ci sono pubblicisti che vivono solo di giornalismo, a cui andrebbe
applicato – dietro apposita documentazione probante, collegata a
criteri economici chiari – il praticantato d'
ufficio. Oggi ci sono tanti
giornalisti che, pur facendo solo tale professione, non possono
diventare professionisti perché nella loro redazione non vi è alcun
professionista che possa far fare agli altri il relativo tirocinio (un
esempio: i giornalisti del bisettimanale “il Crotonese”, ove lavorano
6 pubblicisti a tempo pieno, che mai diventeranno professionisti in
quanto nessuno di loro lo è già). Stefano Tesi
E ci sono tanti altri pubblicisti che ogni tanto scrivono – per diletto –
qualcosa.
A questi ultimi non bisognerebbe dare il diritto di dirigere giornali o,
quantomeno, tale diritto andrebbe limitato a talune specifiche e
limitate categorie di giornali.
Anche sui criteri per essere iscritti all’albo c’è da dire assai. Per
esempio: gli importi che gli aspiranti giornalisti devono dichiarare
per la relativa domanda devono essere non inferiori ai minimi fissati
dallo stesso ordine. Altrimenti, oltre che contraddire se stesso,
l’ordine continuerebbe in questa assai opinabile prassi delle
infornate di persone che con il giornalismo hanno ben poco a che
vedere.
Corsi di aggiornamento
Appare necessario che l’ordine organizzi ciclicamente corsi di
aggiornamento professionali che, per i contrattualizzati, andrebbero
recepiti dal Ccnl. Per i non contrattualizzati, invece, andrebbe
invece studiato un indennizzo a carico della generalità della
categoria.
Accesso alla professione tramite Università
Sulla futura via privilegiata (ma non esclusiva) dell'
Università
all'
accesso alla professione credo si possa essere, invece,
sostanzialmente d'
accordo.
In ogni caso, appare ben opportuno che i professionisti siano in
possesso di una laurea specifica mentre per i giornalisti il minimo
potrebbe essere limitato ad una laurea, anche se generica.
Il giornalismo solo ai giornalisti
Della professione non dovrebbero, invece, far parte cineoperatori,
segretari, amministrativi, grafici, conduttori, autori, ecc. che, al
massimo, a mio avviso, dovrebbero essere inseriti in un elenco a
parte. In sintesi: il giornalista dovrebbe essere solo quello che
svolge la funzione di professionista che descrive e interpreta gli
avvenimenti della società e che li "media" verso il pubblico.
Revisione degli albi
Bisognerebbe obbligare gli ordini regionali a richiedere, tanto ai
pubblicisti quanto ai professionisti, un’autodichiarazione annuale
sulla propria attività svolta.
E di obbligarli ad effettuare – almeno quinquennalmente – le
appropriate revisioni.
Aziende pubbliche di diritto privato.
Con la privatizzazione effettuata negli anni scorsi, molte aziende
pubbliche (Rai in testa) hanno incrementato a dismisura la già
presente (ma minoritaria) abitudine di assumere direttamente e
senza concorso. La tendenza va invece invertita con forza per tutte
le aziende che, comunque, sono a capitale pubblico.(*)
Fulvio Mazza
(*)
Alla stesura della presente relazione ha collaborato Mirko Altimari
che qui doverosamente ringrazio.