---------------------------Prof. GUIDO GANDELLI
BIOLOGIA
BIOTECNOLOGIE AGRARIE
---------------------------APPUNTI
PER GLI STUDENTI DELLE CLASSI 2 – 3
---------------------------ISTITUTO TECNICO AGRARIO STATALE
“ GIUSEPPE PASTORI ” - BRESCIA
---------------------------1
---------------------------Prof. GUIDO GANDELLI
BIOLOGIA
---------------------------APPUNTI
PER GLI STUDENTI DELLA CLASSE 2
---------------------------ISTITUTO TECNICO AGRARIO STATALE
“ GIUSEPPE PASTORI ” - BRESCIA
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INTEGRAZIONE BIOMOLECOLE
(NOTA BENE : “INTEGRAZIONE” significa che anche i paragrafi
precedenti e quelli del libro devono essere studiati con attenzione ! … )
“BIOMOLECOLA” è una “molecola che troviamo negli esseri viventi”.
Di ogni biomolecola è essenziale conoscere le funzioni, la composizione chimica
(quali elementi contiene?), la descrizione dello scheletro carbonioso e – se non è un
composto formato da una singola molecola come per esempio un monosaccaride –
quali molecole unite tra di loro formano la biomolecola di cui si sta parlando.
Importante è anche descrivere come queste molecole si uniscono tra di loro.
INTEGRAZIONE CARBOIDRATI
MONOSACCARIDI – I monosaccaridi vengono classificati in base al numero degli atomi di
carbonio che essi contengono: TRIOSI (3C – si vedranno degli esempi con il programma della
classe Terza) – TETROSI (4C) – PENTOSI (5C – esempi: il ribosio dell’acido nucleico RNA
(dove “R” è infatti l’iniziale di questo monosaccaride) e il deossiribosio del DNA) – ESOSI
(6C – Esempi: glucosio, fruttosio, galattosio …) – EPTOSI (7C).
Di gran lunga i più comuni sono gli esosi e soprattutto il glucosio che è la biomolecola più
comune ed abbondante in assoluto (anche se sotto forma di cellulosa che è un polimero del
glucosio). Piuttosto comuni sono anche i pentosi e i triosi.
I monosaccaridi si uniscono tra di loro per formare i disaccaridi e i polisaccaridi e sono una
fonte di energia di veloce utilizzo ma - per dare l’energia di cui dispongono - devono
partecipare alla respirazione cellulare della quale si parlerà in dettaglio più avanti.
L’equazione generale riassuntiva non bilanciata della respirazione cellulare è :
C6H12O6 + O2 → CO2 + H2O + Energia (in questa reazione compare la formula grezza
del glucosio perché, come già detto, è il monosaccaride più comune).
DISACCARIDI – Agli esempi citati nel paragrafo si può aggiungere il maltosio che è formato
da due molecole di glucosio. Il maltosio è comune nei vegetali ed è abbondante nelle cariossidi
dei cereali che sono dei frutti contenenti un seme poco distinguibile perché è completamente
saldato al frutto stesso (si tratta dei cosiddetti “chicchi” di mais, di riso …).La funzione del
maltosio, insieme a diverse altre molecole contenute nella cariosside, è quella di nutrire la
pianta neonata nelle sue primissime fasi di sviluppo, poi la pianta con la fotosintesi diventerà
presto autotrofa e autosufficiente. L’uomo utilizza il maltosio per diversi scopi e soprattutto
nell’industria della birra.
Il saccarosio ( che è il comune zucchero da tavola ) in tutte le piante svolge una
funzione “di trasporto”, vale a dire che è lo zucchero che si sposta in soluzione nella linfa
elaborata da dove viene prodotto (quindi le cellule fotosintetiche soprattutto delle foglie) verso
dove viene utilizzato oppure accumulato dopo essere stato convertito in amido. L’organo
principale di riserva delle piante è la radice. All’inizio della buona stagione quando la pianta
deve accrescersi e produrre le nuove foglie, il saccarosio compie il viaggio contrario dalla
radice verso i luoghi di utilizzo.
L’uomo ricava il saccarosio da due piante particolari: la canna da zucchero coltivata nei paesi
caldi e la barbabietola da zucchero che è coltivata anche in Italia. In queste piante il
saccarosio oltre alla funzione “di trasporto” prima accennata, insieme all’amido serve anche
come carboidrato di riserva e quindi viene accumulato in notevole quantità. Nella canna da
zucchero (una Graminacea non tanto diversa dal mais per l’aspetto) il saccarosio viene
accumulato nel fusto, nella barbabietola invece è il fittone che accumula il saccarosio
(il fittone è una grossa radice carnosa).
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POLISACCARIDI – I polisaccaridi sono dei POLIMERI e i polimeri sono delle grosse
molecole formate da centinaia di molecole unite tra di loro chiamate MONOMERI.
I monomeri sono simili oppure uguali tra di loro, secondo il polimero considerato.
“STRUTTURALE” è una molecola che serve per costruire una parte della cellula (per
esempio una membrana, un filamento, una parete …) o dell’organismo (p.e. i capelli, un
osso, una piuma, un tendine …). Quando si dice che una certa molecola è “strutturale”
(per esempio tra i polisaccaridi sono strutturali la cellulosa e la chitina) è essenziale precisare
quale parte della cellula o dell’organismo è formata da quella molecola. ESEMPIO: la cellulosa
è una molecola strutturale e, con altre molecole, forma la parete cellulare delle cellule vegetali.
Studia ora i polisaccaridi nel paragrafo contenuto nelle pagine precedenti oppure leggi quello a
pagina B6 del libro adottato, paragrafi che richiedono solamente due piccole “correzioni”:
1) Non è corretto definire la chitina “il polisaccaride di struttura degli animali” perché solo
una piccola parte degli animali hanno nel loro corpo la chitina, infatti la troviamo solo
nell’esoscheletro degli Artropodi: Insetti, Aracnidi (scorpioni, ragni, zecche), Crostacei
(gamberi, aragoste, granchi …) e Miriapodi (parola che significa “con molte zampe”:
“millepiedi”, “centopiedi”…).
2) L’amido non si accumula nelle cellule fotosintetiche delle foglie, ma nelle cellule di quegli
organi vegetali che hanno la funzione di accumulare delle molecole di riserva energetica,
quindi quelle delle radici prima di tutto, dei tuberi se presenti (il tubero è un fusto
modificato e sotterraneo, famoso è quello di patata), nei rizomi (è un rizoma il
cosiddetto“legno dolce” della liquirizia che è venduto impropriamente come “radice di
liquirizia”, perché anche il rizoma è un fusto modificato e sotterraneo), nelle cariossidi dei
cereali, nei semi, soprattutto quelli delle Leguminose (fagioli, lenticchie, ceci, piselli …).
Abbondante amido c’è anche nelle castagne, che ovviamente sono i semi del castagno.
INTEGRAZIONE LIPIDI
TRIGLICERIDI - Grassi e oli insieme formano i TRIGLICERIDI : la parola suggerisce che
il trigliceride è formato da tre acidi grassi uniti a una molecola di glicerolo.
I grassi a temperatura ambiente (18-20°C) sono solidi mentre gli oli sono liquidi : nelle
fotocopie precedenti sono ben spiegati i due motivi di questo diverso stato fisico.
La funzione principale dei trigliceridi è quella di riserva energetica e in questo sono dei veri
“specialisti” perché arrivano a fornire fino a sei volte più energia di un carboidrato a
parità di peso. Quindi in un piccolo volume e un piccolo peso di trigliceride è concentrata
una grande quantità di energia. Questo spiega come mai nelle diete ipocaloriche i grassi e gli
oli sono fortemente ridotti (ma non eliminati! Infatti solo nei lipidi troviamo le vitamine
liposolubili e anche altri essenziali principi nutritivi come i famosi “acidi grassi omega-3”).
Sempre per la stessa ragione gli animali – i quali per ragioni intuibili non devono essere
troppo pesanti e ingombranti - trovano conveniente accumulare riserve sotto forma di grassi
piuttosto che come glicerolo, che comunque potrebbero accumulare solo in modesta quantità.
Quindi gli animali convertono in grassi la maggior parte dei cibi (e soprattutto dei
carboidrati) ingeriti in eccesso rispetto ai fabbisogni quotidiani: questa è un’ottima cosa ad
esempio per un orso prima del letargo durante il quale morirebbe senza una ricca riserva di
grasso. L’abitudine di sovralimentarsi e il sovrappeso o – peggio – l’obesità che ne
conseguono sono invece dei veri pericoli per la salute dell’uomo: non si tratta solo d’estetica!
FOSFOLIPIDI – Non propongo alcuna integrazione rispetto al paragrafo contenuto nelle
scansioni delle pagine precedenti, ma lo studente cerchi di comprendere bene perché i
fosfolipidi sono molto adatti a formare le membrane cellulari, inoltre si guardi bene anche
la figura 2.10 a pag. B19 del libro di testo adottato (Biologia, un’introduzione – Curtis,
Barnes – Zanichelli) : tale figura rappresenta la struttura delle membrane delle cellule.
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CERE – I seguenti appunti SOSTITUISCONO IL PARAGRAFO relativo alle cere delle
scansioni delle pagine precedenti, un paragrafo brevissimo e con qualche approssimazione.
Le cere sono delle molecole organiche che derivano dall’unione di alcoli a catena lunga
(quindi diversi dal glicerolo) con più molecole di acidi grassi.
Le cere sono molecole strutturali e di norma formano dei rivestimenti impermeabili.
Come esempi possiamo ricordare la cera che impermeabilizza la pelliccia dell’orso bianco o
delle foche in relazione alla loro necessità di nuotare a lungo in acque freddissime.
Le cere rivestono anche le piume e le penne di alcuni uccelli acquatici come le anatre, ma
ad esempio non quelle dei cormorani perché devono immergersi per catturare i pesci di cui si
nutrono. Avrete notato come le penne delle oche e delle anatre siano asciutte quando escono
dall’acqua, mentre il cormorano deve aprire le ali e mantenere a lungo quella posizione prima
di potere volare efficacemente, infatti le sue penne non cerose sono completamente bagnate.
Molto famoso è il caso dell’ape che utilizza la cera per costruire le cellette esagonali che
servono per deporre le uova o per custodire il miele e il polline. A parte lo specifico impiego
della cera nel caso dell’ape (e di qualche altro Imenottero come il Bombo), tutti gli insetti
sono rivestiti da uno strato ceroso che li protegge dalla disidratazione. Si noti quindi
che il rivestimento ceroso degli insetti serve per non disperdere con l’evaporazione l’acqua
contenuta nel loro corpo e non per proteggerli dalla pioggia o da altre avversità meteoriche!
Questo strato ceroso è più spesso negli insetti che frequentano dei luoghi caldi e aridi, più
sottile nel caso contrario.
Anche le cere che rivestono le PIANTE servono per evitare la morte per eccessiva
disidratazione. Tutta la parte epigea (ovvero “fuori dalla terra”) di tutte le piante è rivestita
da cera, mentre non cerose sono le giovani radici che altrimenti non potrebbero assorbire
acqua, inoltre nel terreno c’è fresco ed umido e i rischi di disidratazione sono trascurabili.
Come per gli insetti, lo strato ceroso dei vegetali è più spesso nelle piante tipiche dei luoghi
caldi e aridi, più sottile nel caso contrario. In diversi casi l’acqua scorre via facilmente dalle
foglie delle piante che rimangono asciutte: si veda la fotografia 4.2A della pagina A45 del
libro di testo adottato (Biologia, un’introduzione – Curtis, Barnes – Zanichelli).
DUE sono le cere delle piante: la CUTINA e
la SUBERINA. La cutina forma uno strato
ceroso chiamato cuticola che riveste tutte le
parti giovani e fresche del vegetale: foglie,
fiori, frutti, fusti di piante erbacee …
Per gli scambi gassosi ci sono gli stomi ben
visibili nella fotografia 4.2B della pagina
sopra indicata del libro adottato. Attraverso
gli stomi (in media 1.000.000/cm quadrato)
una pianta non particolarmente adattata ai
climi caldo-aridi perde come vapore circa il
90% dell’acqua assorbita dalle radici.
La cuticola si vede bene nella fotografia
accanto che rappresenta una sezione della
foglia di una Monocotiledone: è lo strato
scuro che ricopre entrambe le epidermidi,
superiore ed inferiore (altri dettagli della fotografia: in alto un abbozzo di pelo - in entrambe
le epidermidi si vedono bene gli stomi con le relative camere sottostomatiche - le cellule più
grosse in mezzo alla sezione sono i vasi della linfa mentre le cellule con molti punti
scuri, che sono cloroplasti, sono cellule specializzate per la fotosintesi).
La SUBERINA è la cera che impregna le cellule del SUGHERO e il sughero è la parte più
esterna della CORTECCIA degli alberi, ovvero quelle piante legnose pluriennali che
crescono non solo in lunghezza come tutti i vegetali (crescita primaria), ma anche in
larghezza (crescita secondaria o laterale o diametrica).
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Più esattamente hanno crescita secondaria le Gimnosperme (pini, abeti, larice, cipressi,
ginepri, sequoie … ) e le Angiosperme dicotiledoni legnose (querce, castagno, pioppi,
faggio, aceri, tigli, olmi, melo, vite, olivo e, naturalmente, tantissime altre specie … ).
Il
sughero è un
TESSUTO di cellule
morte a maturità in
conseguenza del fatto
che le loro pareti sono
impregnate di una cera
che le impermeabilizza,
la suberina già citata.
Per garantire gli scambi
gassosi, la disposizione
regolare delle cellule
del sughero è interrotta
nelle LENTICELLE dove
infatti troviamo ampi
spazi tra le cellule per
consentire il passaggio
dell’aria.
Le lenticelle appaiono
come piccole macchie
o rilievi come nella
buccia di patata o sulla
corteccia del sambuco
(Sambucus nigra, vedi
il disegno sottostante).
Il sughero per i tappi del vino è quello ricavato dalla Quercia da sughero (Quercus suber).
E’ un sughero particolarmente spesso e morbido e – soprattutto - dopo la rimozione la pianta in
circa 10 anni produce un nuovo strato di sughero. La quercia da sughero, molto comune nella
Sardegna nord-orientale, sopporta una decina di asportazioni del sughero prima di morire.
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STEROIDI – Guarda le formule di struttura degli steroidi e nota che sono alquanto diversi
dagli altri lipidi, infatti gli steroidi sono caratterizzati dalla presenza di quattro anelli
carboniosi e dall’assenza di acidi grassi.
Il libro adottato alla pagina B8 (Biologia, un’introduzione – Curtis, Barnes – Zanichelli)
accenna alle gravi e possibili conseguenze di un eccesso di colesterolemia (colesterolo
presente nel sangue), tuttavia il colesterolo svolge anche delle funzioni indispensabili :
1) Il colesterolo ha una funzione strutturale perché entra a far parte, insieme ai fosfolipidi e
altre molecole, delle membrane cellulari animali che per circa il 10% sono fatte di
colesterolo (vedi la figura 2.10 a pagina B19 del libro sopra citato). Molto ricche di
colesterolo sono le membrane cellulari delle cellule del cervello e del tessuto nervoso.
2) Il fegato con il colesterolo presente nel sangue produce gli acidi biliari contenuti nella
bile, un liquido verde e amarissimo che si accumula provvisoriamente nella cistifellea e
che poi viene riversato nel duodeno, il primo tratto dell’intestino tenue. La bile è utilissima
nella digestione, soprattutto dei grassi.
3) I testicoli trasformano il colesterolo in testosterone, l’ormone maschile responsabile
dell’insorgenza dei caratteri sessuali secondari tipici dei maschi: la barba, la maggior
pelosità rispetto alle femmine, la statura media più elevata, la voce diversa, una massa
muscolare più sviluppata e anche - purtroppo - una certa tendenza alla perdita dei capelli.
4) Le ovaie con il colesterolo producono gli estrogeni e i progestinici, ormoni responsabili
della comparsa dei caratteri sessuali secondari femminili e del ciclo mestruale.
5) Sempre dal colesterolo e con lo stimolo dei raggi U.V. la nostra pelle sintetizza la
vitamina D antirachitica.
6) Le ghiandole surrenali (posizionate “sopra i reni”) utilizzano il colesterolo presente nel
sangue per produrre due ormoni: il cortisolo e l’ aldosterone. Il primo interviene nella
risposta dell’organismo agli stress mentre la principale funzione del secondo è quella di
regolare i livelli di sali e di potassio nell’organismo, mantenendoli nella norma.
INTEGRAZIONE PROTEINE : funzioni delle proteine
Semplificando molto una realtà che è assai complessa, possiamo dire che le proteine hanno
TRE FUNZIONI PRINCIPALI :
PROTEINE DI RISERVA ENERGETICA – Solo in qualche caso le proteine hanno questa
funzione, ad esempio nelle uova e nei semi dove tuttavia troviamo anche degli altri tipi di
molecole di riserva quali lipidi, carboidrati … Uova e semi sono particolarmente ricchi di
ogni genere di molecole di riserva energetica per nutrire nel primo caso l’embrione che si
sviluppa dentro di esse e, nel secondo caso, per nutrire la pianta neonata nelle sue primissime
fasi di sviluppo, poi la pianta con la fotosintesi diventerà presto autotrofa e autosufficiente.
PROTEINE STRUTTURALI – Sono molto comuni negli animali (invece le piante come
molecole strutturali di norma utilizzano i carboidrati, ad esempio la cellulosa).
Le proteine strutturali sono anche dette FIBROSE per la forma della loro molecola che è
stretta e lunga come una fibra, dal momento che gli aminoacidi (o amminoacidi) sono legati
tra di loro in una lunga sequenza lineare che rimane distesa.
ESEMPI – il collagene forma i tendini e le cartilagini – unghie, peli e capelli sono fatti da
cheratine come anche le penne, gli zoccoli e le corna, le squame dei rettili e i gusci di
tartaruga che infatti è un rettile – l’osseina è una proteina che troviamo nelle ossa alle quali
conferisce un certo grado di elasticità; possiamo evidenziarla immergendo per alcuni giorni
un osso in acido muriatico (acido cloridrico diluito in vendita nei supermercati): l’acido
corrode la parte minerale e rimane una morbida “spugna” d’osseina – possiamo fare lo stesso
esperimento per evidenziare la conchiolina delle conchiglie – anche la seta e le ragnatele
sono formate da una miscela di proteine diverse – l’actina e la miosina sono delle
importantissime proteine dei muscoli e, scorrendo una sull’altra, consentono al muscolo di
contrarsi, mentre servirà un muscolo antagonista per decontrarsi con il movimento opposto.
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PROTEINE FUNZIONALI – L’aggettivo “funzionale” riferito ad una proteina significa che
quella proteina ha un ruolo biochimico. Queste proteine sono dette GLOBULARI perché la
catena o le catene di aminoacidi si raggomitolano e si spiralizzano, quindi alla fine avremo
una proteina non propriamente sferica come l’aggettivo “globulare” (da “globo”) sembra
suggerire, ma comunque di forma tozza e non allungata. Seguono tre esempi fondamentali.
1) EMOGLOBINA – Forma buona parte dei globuli rossi del sangue e il suo ruolo biochimico
è quello di legarsi all’ossigeno dell’aria entrata nei polmoni per poi trasportarlo a tutte le
cellule del corpo affinché possano fare la respirazione cellulare. L’emoglobina contiene il
ferro ed è una proteina coniugata, ovvero non è formata solo da aminoacidi, infatti
nessuno dei 20 aminoacidi contiene il ferro. L’ossigeno atmosferico si lega proprio al ferro
di questo gruppo chimico aggiuntivo, detto gruppo prostetico.
2) INSULINA – E’ un ormone proteico prodotto dal pancreas, una grossa ghiandola
posizionata tra lo stomaco e il fegato. L’insulina serve per abbassare il livello di glucosio
contenuto nel sangue. Le persone affette dal diabete sono spesso costrette ad iniettare
l’insulina per via endovenosa (dipende dalla gravità maggiore o minore della malattia).
3) ENZIMI – Molti sanno che nell’apparato digerente ci sono degli enzimi che hanno il
compito di scindere le molecole contenute nel cibo in molecole abbastanza piccole per
essere assorbite dalla parete dell’intestino. In realtà gli enzimi hanno anche molti altri
compiti e infatti intervengono in tutte le reazioni chimiche che avvengono nella
cellula e le controllano, in un rapporto 1:1 (quindi ogni enzima è molto specializzato e
controlla una sola reazione e viceversa). Talvolta gli enzimi si comportano da catalizzatori
ed aumentano la velocità di reazione, altre volte agiscono in senso contrario, dipende
dalle esigenze della cellula e dal tipo di enzima considerato.
Rappresentazione grafica di una MOLECOLA di EMOGLOBINA formata da quattro catene di
aminoacidi e da quattro gruppi-eme (in verde nel disegno; i gruppi-eme contengono il ferro
e sono i gruppi prostetici dell’emoglobina). Come si nota nel disegno, le catene di aminoacidi
sono spiralizzate e raggomitolate e la forma complessiva dell’emoglobina è globulare.
Lo stesso nome di questa proteina funzionale ricorda due importanti caratteristiche,
infatti “emo” significa “sangue” e “globina” ricorda la forma di questa molecola.
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---------------------------Prof. GUIDO GANDELLI
BIOTECNOLOGIE AGRARIE
---------------------------APPUNTI
PER GLI STUDENTI DELLA CLASSE 3
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“ GIUSEPPE PASTORI ” - BRESCIA
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ENERGIA POTENZIALE DEGLI ELETTRONI
In queste due figure gli orbitali sono
rappresentati come gli spalti di uno stadio.
Gli orbitali più esterni e alti hanno un
livello energetico più elevato rispetto a
quelli più bassi.
FIGURA A : quando un elettrone assorbe
una certa quantità d’energia SI ECCITA e
SALTA ad un orbitale più esterno. Secondo i
casi, l’energia assorbita può essere luce,
calore o l’energia prodotta da una reazione
chimica esoergonica.
FIGURA B : la condizione eccitata non è
stabile e l’elettrone ritorna all’orbitale in cui
si trovava prima di essere eccitato, ma in
questo caso viene rilasciata la stessa quantità
d’energia prima assorbita.
L’energia che è collegata alla posizione
dell’elettrone è l’ ENERGIA POTENZIALE
che infatti significa “energia di posizione”.
PERCHE’ SERVE ENERGIA AD UN ESSERE VIVENTE ?
1) Movimento.
2) Produrre calore per mantenere costante la temperatura corporea : vale solo per gli animali
omeotermi (l’aggettivo significa “uguale-temperatura”; questi animali sono anche detti “a
sangue caldo”). Omeotermi sono solamente i mammiferi e gli uccelli che - a parità di peso –
devono mangiare circa 30 volte più cibo di un animale a sangue freddo come un rettile.
3) Tutte le reazioni di sintesi (sintesi significa unire più molecole), ad esempio la sintesi delle
proteine durante la quale molti aminoacidi vengono uniti tra di loro, oppure la fotosintesi.
4) Trasporto attivo (è il movimento di molecole in entrata o uscita dalla cellula contro gradiente
di concentrazione).
5) Endocitosi ed esocitosi (sono i movimenti rispettivamente in entrata e in uscita dalla cellula di
particelle o aggregati di molecole, p.e. un globulo bianco che fagocita un batterio).
6) Divisione cellulare (i processi di mitosi e di meiosi).
7) Per alcuni animali produrre correnti elettriche (torpedine, anguilla elettrica …) oppure luce
(lucciole, organismi e pesci abissali e anche diversi animali di ambiente ipogeo come le grotte.
Sono conosciuti anche dei funghi biolumiscenti, ma in questo caso si ignora l’utilità della debole
luce prodotta, ammesso e non concesso che davvero abbia una qualche utilità …).
27
GLICOLISI
28
DECARBOSSILAZIONE OSSIDATIVA DEL PIRUVATO : dopo la glicolisi e prima del ciclo di
Krebs, il piruvato perde una molecola di anidride carbonica e si ossida, mentre una molecola di NAD
si riduce. Il prodotto di reazione è il gruppo acetile, una molecola con due atomi di carbonio.
Il gruppo acetile così ottenuto si lega al pre-esistente coenzima-A che ha il compito di portare il
gruppo acetile al CICLO DI KREBS e di aggiungerlo ad una molecola di ossalacetato per formare il
citrato, poi il coenzima-A si stacca e tornerà a fare la stessa cosa più e più volte.
L’insieme del gruppo acetile e del coenzima-A viene chiamato acetil-coenzima-A.
--------------------------------------------------------CICLO di KREBS
(la figura è nella pagina successiva)
Nella matrice mitocondriale avviene il CICLO di KREBS, chiamato “ciclo” perché la prima
molecola che partecipa alla prima reazione, l’ OSSALACETATO , dopo una serie di reazioni alla fine
del ciclo viene formata di nuovo.
In ogni ciclo si producono : 1 molecola di ATP – 1 molecola di FAD ridotto - 3 molecole
di NAD ridotto – 2 molecole di anidride carbonica.
Il bilancio degli atomi di carbonio è in pareggio perché per ogni ciclo 2 atomi di carbonio entrano
con il gruppo acetile e 2 escono con altrettante molecole di CO2.
Il CICLO di KREBS non utilizza direttamente l’ossigeno, ma se la cellula fosse in condizioni
anaererobiche il piruvato, che si è formato alla fine della glicolisi, prenderebbe la via della
fermentazione.
A partire da una molecola di glucosio, si noti che dopo i due Cicli di Krebs che si possono fare con le
due molecole di piruvato che otteniamo da essa alla fine della glicolisi, la molecola di glucosio è
ormai “totalmente smantellata” : infatti 6 MOLECOLE di CO2 si sono staccate e sono andate
nell’atmosfera : 2 nelle 2 decarbossilazioni ossidative del piruvato e 2+2=4 nei 2 Cicli di Krebs che
seguono.
Le piante e le alghe preleveranno di nuovo dall’atmosfera quest’anidride carbonica per formare con la
fotosintesi dell’altro glucosio : è il famoso CICLO DEL CARBONIO.
29
CICLO di KREBS
30
CATENA DI TRASPORTO DEGLI ELETTRONI : queste “catene” sono sulle
creste mitocondriali e lungo di esse fluiscono coppie di elettroni che derivano
dall’ossidazione di tutte le molecole di N.A.D. ridotto e di F.A.D. ridotto che si
sono formate in precedenza.
Ogni catena è formata da una serie di molecole di diverso tipo specializzate nel
ridursi e nell’ossidarsi. In prevalenza si tratta di CITOCROMI, un particolare tipo
di proteine.
L’ultimo “anello” della catena è l’OSSIGENO perché nella catena c’è un gradiente
di elettronegatività e l’ossigeno, tra i vari componenti della catena, è il più
elettronegativo.
Nella serie di ossido riduzioni che avvengono lungo la catena, gli elettroni
s’abbassano di livello energetico e rilasciano energia (per capire meglio si riveda la
figura relativa all’energia potenziale degli elettroni).
Per ogni coppia di elettroni che deriva dall’ossidazione dell’NAD ridotto si ottiene
abbastanza energia per sintetizzare 3 molecole di ATP.
Si ottengono invece 2 sole molecole di ATP se la coppia di elettroni deriva
dall’ossidazione dell’FAD ridotto, perché in questo caso gli elettroni hanno un
livello energetico iniziale un po’ più basso.
(segue nella pagina seguente)
31
Alla fine della catena l’ossigeno si riduce accettando due elettroni e due protoni e
così si trasforma in acqua.
Un uomo a riposo produce nelle sue cellule circa 300 grammi di acqua al giorno
con questa reazione e parecchia di più se invece svolge un’intensa attività fisica, ma
in questo caso tuttavia saranno molto più elevate anche le “perdite” di acqua con la
sudorazione e il respiro affannoso.
Gli elettroni e i protoni (o ioni H+) necessari per la riduzione dell’ossigeno derivano
dalle molecole di NAD ridotto e di FAD ridotto che si ossidano ed ognuna di esse
cede due elettroni alla catena e due protoni alla matrice mitocondriale. Questi protoni
vengono poi recuperati per completare la riduzione dell’ossigeno alla fine della
catena di trasporto.
Si ricorda che l’NAD ridotto e l’FAD ridotto si sono formati in diversi momenti:
nella glicolisi, nella decarbossilazione ossidativa del piruvato e nel Ciclo di Krebs.
32
GLUCOSIO E ALTRE MOLECOLE CHE PARTECIPANO
ALLA RESPIRAZIONE CELLULARE
La respirazione cellulare e la glicolisi che la precede vengono rappresentate a partire da una
molecola di glucosio che, in condizioni normali, è il “combustibile” più disponibile per la cellula.
Nella nostra dieta il glucosio come tale di solito è assente (si trova nel miele e in pochi altri
alimenti), ma può essere ottenuto facilmente per idrolisi dai suoi polimeri: l’amido e il glicogeno,
mentre molti animali erbivori – tra i quali i bovini e tanti insetti fitofagi – ricavano il glucosio dalla
cellulosa, con l’aiuto di microrganismi simbionti ospitati nell’apparato digerente.
Comunque la respirazione cellulare può facilmente utilizzare, oltre il glucosio, anche altre molecole
come le proteine e i trigliceridi ( grassi e oli ). Infatti da queste molecole, e soprattutto dai
trigliceridi, è possibile ottenere moltissimi gruppi acetile che vengono trasportati dal coenzima-a
nel ciclo di Krebs ; ovviamente queste vie metaboliche non sono precedute dalla glicolisi.
Come è noto i lipidi e i trigliceridi sono particolarmente ricchi di energia e forniscono molte calorie
quando sono assunti con il cibo : la ragione è in quanto sopra è stato spiegato.
PERCHE’ FA MALE BERE TROPPI ALCOLICI ?
Tutti sanno che l’abuso di bevande alcoliche è dannoso per la salute, molti sanno che l’organo più
duramente colpito è il fegato, ma solo chi ha studiato la respirazione cellulare e in particolare la
catena di trasporto degli elettroni può comprendere esattamente in cosa consiste il danno.
L’etanolo è un composto tossico, estraneo al nostro metabolismo e deve essere eliminato dal fegato
che possiamo immaginare come una grande centrale biochimica.
Gli enzimi del fegato ossidano l’ ETANOLO ( CH3CH2OH ) ad ACETALDEIDE ( CH3CHO )
eliminando due atomi di idrogeno, ovvero due elettroni e due protoni.
L’acetaldeide è ancora più tossica dell’alcol etilico ma il vero danno è provocato dagli elettroni
rimossi dall’etanolo che passano direttamente alla catena di trasporto delle cellule epatiche
e così in questo modo viene prodotta una notevole quantità di ATP.
Soddisfatte le esigenze di ATP, vengono quindi bloccati sia la glicolisi che il ciclo di Krebs.
Di conseguenza i carboidrati, i lipidi e gli aminoacidi invece di essere utilizzati e demoliti nella
respirazione cellulare, vengono convertiti in grassi che si accumulano nelle cellule del fegato.
In questa fase la malattia si chiama degenerazione grassa del fegato (o steatosi epatica) e le cellule
epatiche osservate al microscopio appaiono piene di goccioline di grasso (vedi le fotografie
nella pagina seguente).
La degenerazione grassa del fegato è una malattia molto grave ma ancora reversibile, almeno in
una certa misura e a patto che cessi l’ assunzione di alcol.
In caso contrario le cellule del fegato cominciano a morire e abbiamo allora l’epatite alcolica che
facilmente degenera nella cirrosi epatica , l’ultimo e spesso letale stadio della malattia.
Nella cirrosi epatica si forma abbondante tessuto cicatriziale che interferisce nelle normali attività
metaboliche del fegato che, in particolare, non riesce più a scindere ed eliminare le scorie
metaboliche azotate che invece – in condizioni normali – dovrebbero alla fine essere espulse
dall’organismo come urea contenuta nell’ urina.
Quindi in definitiva la morte sopraggiunge a causa dell’avvelenamento provocato dai propri
rifiuti metabolici che non vengono più efficacemente escreti.
NOTA BENE : per un maschio adulto e sano la MASSIMA QUANTITA’ DI ALCOL TOLLERABILE
è quella contenuta in due o tre piccoli bicchieri di vino di media gradazione al giorno.
Le donne e i giovani di entrambi i sessi devono accontentarsi di un quantitativo ancora più basso
perché hanno nel fegato meno enzimi in grado di ossidare e degradare l’etanolo.
33
SOPRA A SINISTRA: confronta questo tessuto epatico sano con quello alterato delle fotografie
successive.
SOPRA A DESTRA: degenerazione grassa del fegato o steatosi epatica. Le macchie bianche
visibili nella fotografia sono gocce di grasso che hanno congestionato le cellule epatiche.
FOTOGRAFIA SOTTOSTANTE: cirrosi epatica. Nel fegato si è formato molto tessuto cicatriziale
che impedisce all’organo di svolgere le sue normali funzioni metaboliche.
( in questa fotografia il tessuto cicatriziale ha l’aspetto di venature grigiastre )
34
FERMENTAZIONE ALCOLICA
I LIEVITI , che sono dei funghi ascomiceti unicellulari , in condizioni anaerobiche trasformano
l’acido piruvico prodotto con la glicolisi in etanolo e in questo modo il mosto d’uva si trasforma in
vino durante la vinificazione. L’anidride carbonica che si forma nel primo passaggio della reazione si
libera nell’atmosfera e, dal momento che è più pesante dell’aria, tende ad accumularsi nei locali dove
avviene la vinificazione e pertanto è necessario un abbondante arieggiamento.
La stessa reazione avviene anche nella produzione della birra o del sidro (succo di mele fermentato).
La fermentazione alcolica avviene anche durante la lievitazione del pane, dell’impasto per la pizza e di
tanti prodotti dolciari, come per esempio il panettone.
In questi casi l’anidride carbonica gassosa che si forma, non riesce ad allontanarsi dalla massa vischiosa
e rimane intrappolata in essa formando una miriade di bollicine: questo spiega l’aumento di volume che
si osserva durante la lievitazione.
Naturalmente nel prodotto finito, dopo la cottura nel forno, non rimane traccia dell’etanolo che già
evapora molto facilmente a temperatura ambiente.
FERMENTAZIONE LATTICA
35
FERMENTAZIONE LATTICA
(la
figura è nella pagina precedente)
Nelle cellule muscolari, durante uno sforzo intenso, l’ossigeno diventa scarso, anche se l’organismo
tenta di portare più ossigeno ai muscoli con un battito cardiaco più frequente e con una respirazione più
profonda e accelerata. In queste condizioni di scarsità d’ossigeno, almeno una parte del piruvato
ottenuto con la glicolisi subisce la fermentazione lattica e si trasforma in acido lattico.
A mano a mano che si accumula, l’acido lattico produce la sensazione di fatica muscolare e talvolta può
provocare perfino dei crampi. Anche i dolori muscolari che perdurano più giorni (ad esempio dopo una
lunga camminata in montagna, soprattutto se siamo poco allenati … ) sono provocati dall’acido lattico
che richiede parecchio tempo per essere “smaltito”.
Comunque l’acido lattico non viene escreto e quando l’ossigeno torna ad essere abbondante viene
ritrasformato in acido piruvico e poi in glucosio, il glucosio può essere in seguito polimerizzato in
glicogeno, il polisaccaride di riserva tipico degli animali.
Come tutte le vie anaboliche e biosintetiche, anche la trasformazione dell’acido lattico in glucosio e poi
in glicogeno comporta un consumo di ATP.
La fermentazione lattica avviene anche nel latte che si trasforma in yoghurt il cui tipico sapore un po’
acido si deve appunto alla presenza dell’acido lattico. In questo caso sono dei batteri, i cosiddetti
fermenti lattici, a svolgere la fermentazione lattica.
A COSA SERVONO LE FERMENTAZIONI ALCOLICA E LATTICA
?
Prima di tutto notiamo che le due fermentazioni descritte non producono, ma al contrario
CONSUMANO ENERGIA : infatti in entrambe una molecola ricca d’energia, l’NAD ridotto, si ossida e si
trasforma in NAD ossidato che è la forma “scarica”, priva d’energia sfruttabile.
Nel caso della fermentazione lattica, l’acido lattico ottenuto produce – come si è visto – una serie
d’inconvenienti, anche se sono del tutto normali nelle descritte condizioni metaboliche.
Nel caso invece della fermentazione alcolica l’anidride carbonica ottenuta viene eliminata, mentre
l’etanolo e ancor di più l’acetaldeide sono composti tossici non solo per il nostro fegato, ma anche per i
lieviti che li hanno prodotti! Infatti, nel caso di mosti troppo zuccherini, quando durante la vinificazione
si arriva ai 14,5 o 15 gradi alcolici (ovvero una percentuale di alcool del 15%), i lieviti cominciano a
morire in massa intossicati dai loro stessi metaboliti, l’etanolo e l’acetaldeide.
A cosa servono allora queste fermentazioni ?
Servono a produrre le molecole di NAD ossidato senza le quali la glicolisi si bloccherebbe
irrimediabilmente allo stadio 5 (vedi la quinta reazione della glicolisi).
Per capire l’importanza di quanto affermato, si ricordi che siamo in condizioni anaerobiche, quindi
la respirazione cellulare è bloccata e da essa non possiamo avere ATP. In queste condizioni la
glicolisi diventa allora l’unica fonte di ATP e quindi - costi quel che costi ! - non deve assolutamente
fermarsi (anche se da essa otteniamo solo 2 molecole di ATP per ogni molecola di glucosio utilizzata
invece delle 38 che otterremmo con la respirazione).
36
FASE LUMINOSA DELLA FOTOSINTESI : lo SCHEMA Z
( FOTOFOSFORILAZIONE NON CICLICA )
( LA SPIEGAZIONE E’ NELLA PAGINA SUCCESSIVA )
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La FASE LUMINOSA DELLA FOTOSINTESI avviene nelle ore diurne sulla superficie
dei tilacoidi dove troviamo molti fotosistemi che sono degli insiemi di pigmenti.
I fotosistemi sono infatti formati dalla clorofilla-a e dai pigmenti antenna o accessori, che sono la
clorofilla-b e i carotenoidi.
I pigmenti antenna del fotosistema II assorbono certe lunghezza d’onda della luce che la clorofilla-a
non può direttamente assorbire e, con il fenomeno fisico della fluorescenza, immediatamente
riemettono luce con una lunghezza d’onda un po’ maggiore e adatta per essere assorbita dalla
clorofilla-a (per capire meglio si riveda la figura relativa all’energia potenziale degli elettroni).
La clorofilla-a assorbe quindi questa luce riemessa dai pigmenti antenna fluorescenti, più quella
quota di luce solare che essa stessa è in grado d’assorbire direttamente.
A questo punto la clorofilla-a si ossida e cede due elettroni eccitati e ricchi d’energia a un
accettore: la FERRIDOSSINA, una proteina coniugata (ovvero una proteina che non è fatta da
soli aminoacidi ma anche da un gruppo chimico diverso dagli aminoacidi, in questo caso un gruppo
che contiene FERRO, e il ferro infatti non esiste nei 20 aminoacidi delle proteine).
La clorofilla-a è considerata il vero pigmento fotosintetico perché è l’unico pigmento in grado
di OSSIDARSI e di cedere i suoi elettroni eccitati.
Segue una catena di trasporto molto simile a quella già incontrata nella respirazione cellulare, ma
più breve. Nella serie di ossido-riduzioni che caratterizzano la catena di trasporto, i due
elettroni ceduti dalla clorofilla-a si abbassano di livello energetico e in un punto della catena
rilasciano abbastanza energia per la sintesi di una molecola di ATP.
Il secondo fotosistema dello SCHEMA Z (che però si chiama fotosistema I) si comporta in modo
del tutto simile e la sua clorofilla-a cede due elettroni eccitati ad un altro accettore: la
PROTEINA FERRO-ZOLFO, anch’essa una proteina coniugata.
Segue un’altra catena di trasporto, ancor più breve di quella precedente.
Il “viaggio” di questi elettroni termina con una molecola di NADP ossidato che si riduce
acquisendo i due elettroni che provengono dallo SCHEMA Z e un protone o ione H+ .
(l’NADP è simile all’NAD della respirazione cellulare, ma con un gruppo fosfato in più).
Le molecole utili che la pianta ottiene con la fase luminosa della fotosintesi sono l’ATP e
l’NADP ridotto: sono entrambe delle molecole ricche di energia che verranno utilizzate nella fase
foto-indipendente e in particolare nel CICLO DI CALVIN dove viene fissata l’anidride carbonica e si ha
la sintesi di nuovi carboidrati.
Si noti che lungo lo SCHEMA Z c’è un flusso di elettroni, quindi c’è una vera e propria corrente
elettrica sostenuta dall’energia fornita dal Sole.
FOTOLISI DELL’ACQUA : La clorofilla-a del fotosistema II, una volta che si è ossidata e ha
ceduto due elettroni, diventa doppiamente positiva e non potrebbe mai più cedere altri elettroni,
quindi si impone la necessità di restituire alla clorofilla-a gli elettroni ceduti allo SCHEMA Z.
La pianta ottiene questi due elettroni da una molecola di acqua che viene scissa con una reazione
chiamata FOTOLISI DELL’ACQUA (foto = luce - lisi = scissione ).
Come il nome suggerisce, la fotolisi dell’acqua (che non è stata ancora completamente spiegata)
avviene in presenza di luce e la molecola d’acqua viene completamente scomposta e da essa infatti si
ottengono : 1 atomo di ossigeno – 2 elettroni – 2 protoni o ioni H+ .
L’atomo di ossigeno si lega ad un altro atomo uguale per formare una molecola di O2 che andrà
a far parte di quel 21% d’ossigeno che c’è nell’aria; i 2 elettroni vengono restituiti alla
clororofilla-a e uno dei due protoni servirà per completare la riduzione dell’NADP alla fine
dello SCHEMA Z .
NOTA BENE : si noti che il fotosistema I non ha alcun bisogno della fotolisi dell’acqua perché
gli elettroni persi dalla sua clorofilla-a sono continuamente rimpiazzati da quelli che fluiscono lungo
lo SCHEMA Z e che provengono dal fotosistema II.
38
FASE LUMINOSA CICLICA o
FOTOFOSFORILAZIONE CICLICA
Si è notato che in molte piante il fotosistema I può lavorare da solo al di fuori dello SCHEMA Z e in
modo del tutto indipendente dal fotosistema II.
Questo tipo di fase luminosa è detto ciclica perché gli elettroni persi dalla clorofilla-a che si ossida,
ad essa ritornano attraverso una breve catena di trasporto lungo la quale viene rilasciata abbastanza
energia per la sintesi di una molecola di ATP per ogni coppia di elettroni che fluisce lungo la catena
stessa.
In questo processo non si ha la produzione di NADP ridotto e neppure di ossigeno in quanto,
ovviamente, non serve la fotolisi dell’acqua.
“Fosforilare” significa aggiungere un gruppo fosfato, quindi la parola “fotofosforilazione”
significa che in presenza di luce in questo tipo di fase luminosa viene aggiunto un gruppo fosfato
all’ADP che si trasforma in ATP.
Lo SCHEMA Z viene invece anche chiamato fotofosforilazione non ciclica perché gli elettroni che
fluiscono lungo di esso non vengono riciclati e ogni volta devono essere ricavati da una nuova
molecola di acqua che viene scissa con la fotolisi.
39
FOTORESPIRAZIONE
La FOTORESPIRAZIONE è una serie di reazioni che in presenza di luce consumano ossigeno e
zuccheri e producono CO2 e ACQUA, ma senza ottenere ATP, come invece avviene nella
respirazione mitocondriale.
Per meglio capire l’importanza della fotorespirazione, ricordiamo che una pianta perde attraverso gli
stomi circa il 90% dell’acqua assorbita con le radici, questo almeno nelle piante “normali” e quando
non sono presenti degli speciali adattamenti morfologici per risparmiare acqua, come per esempio nel
caso dei famosi “cactus”.
Per questo motivo, se la temperatura è elevata e il terreno è arido o semi-arido, la pianta per non
morire disidratata può fare solamente una cosa: chiudere gli stomi totalmente o parzialmente per un
periodo di tempo più o meno lungo, ma non illimitato.
Ricordiamo anche che nell’atmosfera l’ossigeno è presente con il 21% e la CO2 con lo 0,03%.
A stomi chiusi le percentuali di questi due gas cambiano radicalmente nel mesofillo.
Infatti l’ossigeno aumenta molto perché viene prodotto nella fase luminosa della fotosintesi con la
fotolisi dell’acqua, ma non può uscire dagli stomi chiusi, e quindi l’ossigeno s’accumula.
L’anidride carbonica invece diminuisce perché quella già entrata nella foglia viene “fissata” nel
Ciclo di Calvin ed altra non ne può entrare.
In queste condizioni nelle piante C3 la fotorespirazione (che comunque in queste piante è sempre
presente) diventa molto intensa.
E’ vero che con la fotorespirazione la pianta si “auto-produce” per il Ciclo di Calvin la CO2 che
non può entrare attraverso gli stomi chiusi, tuttavia possiamo considerare la fotorespirazione un
processo dissipativo ed antieconomico per la pianta.
Infatti la fotorespirazione è una specie di “circolo vizioso”, infatti si consumano degli zuccheri per
avere la CO2 necessaria per produrre altri zuccheri con la fotosintesi: tanto varrebbe tenere
quelli che già si hanno …
Inoltre la fotorespirazione non solo non produce ATP, ma arriva a consumare circa il 50% degli
zuccheri prodotti dalla fotosintesi nell’intera stagione vegetativa: probabilmente il senso
biologico del processo non è stato ancora pienamente spiegato.
E’ evidente comunque che le piante coltivate - per la massima parte piante C3 con fotorespirazione
più o meno intensa - sarebbero molto più produttive se non avessero la fotorespirazione.
STOMA (dal greco “bocca”).
Lo stoma è formato da due
cellule,
le
CELLULE
DI
GUARDIA.
Queste cellule sono affiancate e
hanno la forma di una “C”, di
conseguenza tra di loro si
determina un’apertura, la RIMA
STOMATICA.
Attraverso le rime stomatiche
avvengono gli scambi gassosi.
Il numero degli stomi è molto
variabile nelle diverse specie,
ma si può dire che in media ci
sono circa 1.000.000 di stomi
per ogni centimetro quadrato.
40
FOTOSINTESI : FASE FOTO-INDIPENDENTE
Come il nome suggerisce, la fase foto-indipendente (o foto-indifferente) della fotosintesi non
necessita di luce e quindi avviene 24 ore al giorno per tutta la durata della stagione vegetativa.
Questa fase si interrompe solo nei mesi freddi quando la pianta è priva di foglie, mentre nelle piante
“sempreverdi” la fotosintesi può continuare anche in inverno, sia pure molto rallentata dalle basse
temperature. La fase foto-indipendente della fotosintesi avviene nello STROMA, il liquido denso che
è contenuto nel cloroplasto, ed è costituita da una serie di reazioni cicliche che nell’insieme
prendono il nome di CICLO DI CALVIN. Nella prima reazione del ciclo (vedi la reazione in fondo
alla pagina) avviene l’ORGANICAZIONE o la FISSAZIONE dell’anidride carbonica e infatti un
enzima - che è la proteina più abbondante del mondo - aggiunge anidride carbonica e acqua ad
uno zucchero pentoso pre-esistente, il RIBULOSIODIFOSFATO. Questo enzima si chiama
RIBULOSIODIFOSFATOCARBOSSILASI e quindi risponde perfettamente al criterio stabilito per dare
un nome agli enzimi.
Con questa reazione si forma
un composto instabile a 6
atomi di carbonio che subito
si scinde in due molecole
uguali di fosfoglicerato o
acido fosfoglicerico, con 3
atomi di carbonio ciascuna:
per questo motivo le piante
che seguono questa via
metabolica sono chiamate
piante C3. Quasi tutte le
piante delle nostre regioni con
clima temperato, coltivate o
spontanee che siano, sono
piante C3.
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Nel CICLO DI CALVIN abbiamo la produzione di carboidrati e quindi la PRODUZIONE DI
NUOVA SOSTANZA ORGANICA.
La figura sottostante rappresenta il CICLO DI CALVIN e riassume 6 cicli perché ad ogni ciclo
viene fissata una sola molecola di CO2 e quindi ne servono sei per sintetizzare il glucosio che è un
esoso. Si noti che in questi sei cicli si consuma molta energia: 18 molecole di ATP e 12 di NADP
ridotto, molecole che tuttavia sono state prodotte “gratuitamente” durante la fase luminosa.
NOTA BENE quello che è evidenziato nella parte più in basso della figura: una volta ottenute le
molecole di fosfogliceraldeide la pianta, con reazioni chimiche più o meno complesse, le trasforma in
altri carboidrati (ad esempio il glucosio e i suoi polimeri: l’amido e la cellulosa), aminoacidi e quindi
proteine, acidi grassi e quindi lipidi … In altre parole la pianta a partire dalla fosfogliceraldeide
OTTIENE TUTTE LE MOLECOLE ORGANICHE CHE FORMANO IL SUO CORPO. Come è noto,
l’AUTOTROFIA consiste proprio nella capacità di produrre tutte le molecole organiche del proprio corpo
con l’utilizzo di una fonte d’energia esterna (la luce) e prelevando dall’ambiente solo delle piccole e
abbondanti molecole inorganiche che sono – nel caso della fotosintesi – l’acqua e l’anidride carbonica.
42
METABOLISMO C4 Le piante C4 sono così chiamate perché il primo
composto che otteniamo dopo che la CO2 è stata fissata, ovvero l’ACIDO
OSSALACETICO, è un composto con 4 atomi di carbonio. L’acido ossalacetico
poi si riduce ad ACIDO MALICO, mentre una molecola di NADP ridotto si ossida.
43
Si tratta di un modo diverso di fissare l’anidride carbonica rispetto alle piante C3.
Questa via metabolica è presente in diverse piante nelle zone tropicali (soprattutto
ma non esclusivamente monocotiledoni), particolarmente bene adattate al clima
caldo e arido. Tra le piante coltivate sono certamente da ricordare il MAIS, il
SORGO e la CANNA DA ZUCCHERO, tra le infestanti la GRAMIGNA.
Le piante C4 non hanno o hanno poca fotorespirazione.
I vegetali che seguono questa via metabolica non hanno il mesofillo fogliare
distinto in parenchima spugnoso e parenchima a palizzata, ma hanno invece un
mesofillo omogeneo. Intorno ai fasci fibrovascolari, che formano le nervature
delle foglie, è presente uno strato di cellule speciali, le cellule della guaìna del
fascio. La CO2 viene fissata nelle cellule del mesofillo, mentre il Ciclo di
Calvin avviene nelle cellule della guaìna del fascio.
Nelle piante C4 la CO2 necessaria per il Ciclo di Calvin non viene ricavata
direttamente dall’atmosfera come avviene nelle piante C3, ma dall’acido malico
che subisce una decarbossilazione e una ossidazione in seguito alle quali
otteniamo dell’acido piruvico. L’acido piruvico poi torna nelle cellule del
mesofillo, prende un gruppo fosfato da una molecola di ATP e ridiventa
fosfoenolpiruvato, pronto ad accettare nuovamente una molecola di CO2,
trasformarsi in ossalacetato e in questo modo ricomincia il ciclo.
Rispetto alla via C3, quella C4 è certamente una via metabolica più lunga e
complessa e con un maggior dispendio energetico perché ha un maggior consumo
di ATP e di NADP ridotto, a parità di carboidrati formati. Tuttavia, soprattutto in
condizioni caldo-aride, le piante C4 sono molto avvantaggiate rispetto a quelle C3
perché non hanno (o hanno poca) fotorespirazione e anche perché l’enzima che
fissa la CO2, il FOSFOENOLPIRUVATOCARBOSSILASI, lavora bene anche con
l’abbondanza d’ossigeno e con le bassissime concentrazioni di CO2 che si
vengono a creare nel mesofillo quando la pianta chiude gli stomi – totalmente o
parzialmente – per non disidratarsi troppo.
MESOFILLO DI
PIANTA
C4
UNA
(una
monocotiledone)
con
evidenti
cellule
del
mesofillo e cellule della
guaìna del fascio.
Altrettanto evidenti sono
le
due
epidermidi,
entrambe con stomi e
con spessa cuticola
cerosa
che
è
un
adattamento
alle
condizioni caldo-aride.
44
MITOSI / MEIOSI : PRINCIPALI DIFFERENZE
 DIVERSO SCOPO BIOLOGICO : la mitosi ha una molteplicità di scopi
(la crescita, sostituire le cellule morte, consentire la riproduzione
vegetativa, riparare lezioni eccetera …) mentre la meiosi serve solo per
produrre SPORE o GAMETI (si ricorda che le spore sono capaci di mitosi
e di divisione cellulare e che quindi da una di esse si può ottenere un
intero individuo, i gameti invece o si uniscono con un altro gamete di
polarità sessuale opposta per formare uno zigote, oppure muoiono).
 LUOGO IN CUI AVVENGONO I DUE PROCESSI : la MITOSI più o meno
efficacemente può avvenire in tutte le parti del corpo (per esempio le
cellule del tessuto nervoso hanno una limitatissima capacità di mitosi)
mentre la MEIOSI avviene solo dove vengono prodotti i gameti o le
spore, quindi nelle gonadi degli animali o in determinate strutture
fiorali nel caso delle piante con fiori (antere, ovuli nel pistillo … ).
 La MITOSI consiste in una sola divisione cellulare che porta alla
formazione di due cellule figlie.
La MEIOSI consiste in due divisioni cellulari successive che - a partire
dalla CELLULA MADRE o MEIOCITO - portano alla formazione di quattro
cellule, che saranno appunto dei gameti oppure delle spore.
 La MITOSI non cambia il patrimonio genetico e quindi le cellule figlie
sono uguali tra di loro e uguali alla cellula madre sia per il numero di
cromosomi, sia per l’informazione genetica da essi posseduta.
La MEIOSI dimezza il numero dei cromosomi e rimescola
l’informazione genetica, di conseguenza i gameti oppure le spore che
vengono prodotti da un certo individuo sono tutti geneticamente diversi.
 La MITOSI può avvenire sia in cellule APLOIDI (come ad esempio una
spora) che in cellule DIPLOIDI (come ad esempio le cellule del nostro
corpo).
La MEIOSI è un processo che avviene solo in cellule DIPLOIDI.
(sia la mitosi che la meiosi in certi casi avvengono anche in cellule
poliploidi, ma lo studente non tenga conto di questa affermazione se
l’argomento non è stato spiegato in classe).
45
SINTESI DELLE PROTEINE
I seguenti appunto servono solo per integrare il libro adottato (BIOLOGIA, UN’INTRODUZIONE –
Zanichelli – Curtis Barnes) per l’argomento “la sintesi delle proteine” (pagina B79) e in particolare
questi appunti sostituiscono il paragrafo “il processo di traduzione” di pagina B80.
La sintesi delle proteine si divide in due parti : la TRASCRIZIONE e la TRADUZIONE.
Durante la trascrizione si forma la molecola di RNA messaggero (mRNA - vedi il libro a pagina
B77) mentre la traduzione consiste nella concreta costruzione della proteina da parte del
ribosoma che dovrà collocare in esatta sequenza tutti gli aminoacidi di quella proteina.
Si ricorda che le proteine più grosse sono formate da più di 800 aminoacidi e che neppure uno di essi
può essere errato, altrimenti avremmo una proteina anormale che sarà una probabile causa di
malattie anche molto gravi.
RIBOSOMI :
Nel disegno accanto vediamo che i ribosomi
sono costituiti da due subunità, una più grande e
una più piccola, entrambe formate da proteine e
da molecole di RNA ribosomiale (rRNA).
Il filamento di RNA messaggero (mRNA) nel
disegno è rappresentato come un nastro rosso che
scorre all’interno del ribosoma tra le sue due
subunità.
Il ribosoma interpreta e “legge” l’ RNA
messaggero come una sequenza di triplette o
codoni e ogni codone codifica per un certo
aminoacido (rileggi il paragrafo CODICE
GENETICO alla pagina B78 del libro adottato).
La TRADUZIONE si svolge in tre fasi : INIZIO - ALLUNGAMENTO - TERMINE (o terminazione).
(si segua il tutto nella figura che - per motivi di spazio - è posta nella pagina seguente)
INIZIO – Questa fase inizia quando alla subunità ribosomiale piccola s’attacca il filamento di
mRNA con il suo primo codone (nel disegno AUG : adenina, uracile, guanina). Giunge ora un
tRNA, non uno qualsiasi, ma l’unico che ha l’ anticodone complementare, nel nostro caso UAC :
uracile, adenina, citosina. A sua volta questo tRNA non trasporta uno qualsiasi dei 20 aminoacidi,
ma solo la metionina (fMet). Questa fase termina con il posizionamento della subunità grossa.
ALLUNGAMENTO – Il ribosoma viene ora raggiunto dal secondo tRNA, di nuovo non uno
qualsiasi, ma l’unico che ha l’anticodone complementare (CAG) al secondo codone dell’mRNA, nel
nostro esempio GUC. Questo tRNA non trasporta uno qualsiasi dei 20 aminoacidi, ma solo la valina
(val). I primi due aminoacidi si uniscono tra di loro con il legame peptidico che si forma in seguito a
una normalissima reazione di condensazione (vedi il libro a pagina B8).
Quanto sopra è brevemente descritto si ripete tante volte quanti sono gli aminoacidi che
formano la proteina che si sta sintetizzando, a mano a mano che il filamento di mRNA, con le sue
triplette, scorre all’ interno del ribosoma.
TERMINE – Si noti che l’ ultima tripletta dell’ mRNA è una tripletta di fine messaggio (stop) e
non esistono tRNA con un anticodone complementare alle tre triplette di fine messaggio.
A questo punto il ribosoma “capisce” che la proteina è completa e infatti la proteina si stacca per
andare a svolgere il suo “mestiere” e le due subunità del ribosoma si separano.
46
Una volta che si sono formate, molte proteine sintetizzate dai ribosomi (come ad esempio gli ormoni
e gli enzimi digestivi) vengono inviate all’ apparato di Golgi dove vengono rielaborate e chiuse nelle
vescicole che si staccano dalle cisterne. Le vescicole migrano verso la membrana cellulare,
si fondono con essa e riversano il loro contenuto all’ esterno della cellula ( vedi la figura alla
pagina B23 del libro ).
La sintesi proteica consuma energia come qualsiasi altra sintesi ( compresa la fotosintesi ).
Nel nostro caso l’energia necessaria è fornita dall’idrolisi della guanosina trifosfato ( GTP ) che
scindendosi libera energia e si trasforma in guanosina difosfato ( GDP ) + un gruppo fosfato che si
stacca.
Il GTP è un nucleotide simile all’ ATP dal quale differisce per la base azotata.
Il GTP si forma nel ciclo di Krebs ma di norma nelle figure che illustrano tale ciclo non viene
indicato perché il GTP si trasforma in ATP quando non viene utilizzato nella sintesi delle proteine.
( NOTA BENE : quanto sopra è stato esposto, per quanto possa essere corretto nelle sue linee
essenziali, è solo un riassunto molto semplificato del processo della sintesi proteica )
47
VIRUS
I virus non rientrano in alcuno dei cosiddetti “5 REGNI” degli esseri viventi perché non possono essere
considerati tali. Infatti i virus non sono delle cellule, sono semplicemente delle MACROMOLECOLE e
una molecola qualsiasi, come tale, non può essere considerata “viva”.
Di conseguenza i virus non hanno le caratteristiche tipiche degli esseri viventi, per esempio non hanno
crescita dimensionale e sono privi di qualsiasi attività metabolica.
Come gli esseri viventi, i virus sono però capaci di riprodursi, tuttavia – come meglio sarà spiegato in
seguito – non posseggono una capacità autonoma di riproduzione.
Anche se ci sono diverse ipotesi, l’origine dei virus rimane ancora piuttosto misteriosa, mentre casuale
è stata la loro scoperta avvenuta nei laboratori di microbiologia. In questi laboratori spesso si ha la
necessità di sterilizzare determinate soluzioni molto delicate e che
quindi non possono essere riscaldate o sottoposte ad altri
trattamenti energici. Per ottenere lo scopo si può costringere la
soluzione a passare attraverso dei filtri speciali caratterizzati da
una microporosità tale da non consentire il passaggio dei batteri.
Tuttavia si notò che con una certa frequenza qualche agente
patogeno infettivo riusciva a superare la barriera del filtro e questi
agenti vennero chiamati VIRUS FILTRABILI: filtrabili per la
ragione appena spiegata, mentre “virus” deriva da una parola
latina che significa VELENO, e questo è un chiaro riferimento al
fatto che tutti i virus sono patogeni. Fu il botanico olandese
Martinus Willem Beijerinck che nel 1898, con degli esperimenti di
filtrazione con il succo di foglie di tabacco infetto, riuscì a
dimostrare che la malattia nota col nome di mosaico del tabacco è
causata da un patogeno più piccolo dei batteri. Il virus responsabile di questa malattia del tabacco è
stato quindi il primo virus scoperto (nella figura sopra: virus del mosaico del tabacco o TMV-virus).
Più tardi, negli anni 1930-40, il microscopio elettronico consentì di capire meglio la natura non
cellulare dei virus che infatti sono costituiti da un solo tipo di acido nucleico, quindi il DNA
oppure l’RNA, circondato da un involucro proteico chiamato CÀPSIDE (si ricorda che tutti gli
esseri viventi, compresi i più piccoli e semplici batteri, hanno entrambi i tipi di acidi nucleici).
Il càpside è formato da singole unità chiamate CAPSOMERI che sono formati a loro volta da 5 o 6
proteine unite tra di loro, queste proteine sono chiamate PROTOMERI.
Più esternamente rispetto al
càpside diversi virus hanno il
pericàpside, parola che infatti
significa “intorno al càpside”.
Anche il pericàpside è di
composizione
prevalentemente
proteica e spesso presenta delle
protuberanze
che
facilitano
l’adesione delle particelle virali
alle cellule ospiti.
I virus forniti di pericàpside sono
chiamati VIRUS RIVESTITI, come
il virus influenzale, se invece ne
sono privi si chiamano VIRUS
NUDI.
(nella figura: VIRUS
RIVESTITO CON PROTUBERANZE)
48
Il virus, oltre all’acido nucleico, può contenere anche altre molecole, soprattutto enzimi essenziali per
la replicazione del virus all’interno della cellula ospite.
Il virus può essere efficacemente definito un PARASSITA ENDOCELLULARE OBBLIGATO :
PARASSITA :
Nel rapporto simbiotico con l’ospite, l’ospite ne viene danneggiato e infatti
s’ammala, mentre il virus è avvantaggiato perché nelle cellule dell’ospite può
riprodursi.
ENDOCELLULARE :
l’aggettivo significa “dentro la cellula”, all’interno della quale il virus si replica.
OBBLIGATO :
Il virus non è un parassita facoltativo come per esempio il fungo chiodino
(Armillariella mellea) che può comportarsi anche da saprofita e quindi nutrirsi di
sostanza organica morta: il virus per replicarsi DEVE invadere e parassitare le
cellule vive di un ospite adatto allo scopo.
Il VIRIONE è il nome della particella virale quando si trova fuori dall’ospite.
--------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------Come si è detto, tutti i virus sono PATOGENI.
Alcune malattie virali dell’uomo più o meno gravi sono le seguenti : raffreddore, verruche, Herpesvirus (“febbre nascosta”), influenza, vaiolo, varicella, morbillo, rosolia, parotite o “orecchioni”,
idrofobia o “rabbia”, virus Ebola, A.I.D.S. o “Sindrome da Immuno-Deficienza Acquisita”, alcuni tipi
di cancro.
Tra le più terribili pandemie virali del passato si ricorda l’influenza nota come “spagnola” che nel 1919
provocò decine di milioni di morti, molti di più della prima guerra mondiale da poco terminata.
Oltre agli animali e all’uomo, i virus possono aggredire e parassitizzare tutti gli esseri viventi: piante,
funghi e perfino batteri …
Nel caso delle piante tuttavia i più temuti parassiti sono i funghi, mentre i nostri patogeni più pericolosi
sono proprio i virus e i batteri.
DIMENSIONE DEI VIRUS
Le dimensioni dei virus vanno da 17 fino a 300 nanometri circa
(simbolo nm - 1nm = un miliardesimo di metro, ovvero un milionesimo di millimetro).
Quindi i virus più grandi, come per esempio quello del vaiolo, hanno quasi le stesse dimensioni dei
batteri più piccoli (quali i micoplasmi e le rickettsie), mentre i batteri più comuni sono molto più grandi
dei virus dal momento che misurano da 1 a 5 micrometri (simbolo μm - un micrometro = un
milionesimo di metro, ovvero un millesimo di millimetro).
FORMA DEI VIRUS Sostanzialmente esistono tre modelli per descrivere la struttura del càpside
che può essere ELICOIDALE, POLIEDRICO, COMPLESSO.
ELICOIDALE – In questo caso il virus ha
un aspetto BASTONCELLARE come il virus
del mosaico del tabacco della fotografia
della pagina precedente e qui accanto nel
disegno. In questi virus i capsomeri sono
disposti a fitta spirale intorno a un asse
longitudinale.
49
POLIEDRICO – Il virus appare di FORMA SFERICA, ma con un’osservazione più dettagliata e un
ingrandimento maggiore si riconosce la struttura geometrica del càpside che spesso è un ICOSAEDRO,
ovvero un solido geometrico delimitato da 20 triangoli equilateri uguali tra di loro. Hanno questa forma
i virus del raffreddore, della poliomielite, della varicella, l’Herpes-virus e tanti altri.
FOTOGRAFIA AL MICROSCOPIO ELETTRONICO A SCANSIONE E DISEGNO DI VIRUS ICOSAEDRICI, CON
PROTUBERANZE NELLA PRIMA IMMAGINE (si ricorda che il microscopio elettronico fornisce delle
immagini solo in bianco e nero, i colori sono aggiunti a computer con appositi programmi per rendere
più bella l’immagine, ma soprattutto per rendere meglio distinguibili le diverse parti raffigurate).
Virus dell’
INFLUENZA SUINA
A/H1N1 che
scatenò il panico
nel mondo nel
2009, panico poi
rientrato perché
in realtà il virus
si dimostrò meno
virulento e
pericoloso del
temuto.
La struttura
icosaedrica non è
riconoscibile
perché si tratta di
un virus rivestito.
50
COMPLESSO – In questo caso l’aspetto può essere diverso, ma i virus di forma più complicata sono
certamente i BATTERIOFAGI (letteralmente: “mangiatori di batteri”, ovvero sono dei virus che
parassitizzano i batteri). Nei batteriofagi l’acido nucleico è contenuto nella testa icosaedrica, mentre il
resto della struttura consente al virus d’attaccarsi alla superficie del batterio e poi iniettare il proprio
DNA al suo interno.
Nelle figure di questa
pagina in senso orario
dalla prima in alto e a
sinistra :
1) Un batteriofago
fissato sopra un batterio.
2) Molti batteriofagi
sopra un bacillo.
3) Un disegno con
indicate le diverse parti
che formano un virus
batteriofago.
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FASI DEL RAPPORTO PARASSITARIO CON IL VIRUS
PREPENETRAZIONE – E’ la fase in cui il virus, o meglio il VIRIONE, è fuori dall’ospite e dalle sue
cellule. Dal momento che sono privi di qualsiasi attività metabolica, i virioni si trovano nell’ambiente
come particelle completamente inerti e incapaci di riprodursi.
INTRODUZIONE NELL’OSPITE – I virus non hanno una capacità autonoma d’aggredire e di
penetrare attivamente nell’ospite e quindi hanno la necessità di essere passivamente inoculati in esso.
Nelle piante ad esempio il virus può essere inoculato in una pianta sana con la linfa infetta di una pianta
ammalata per sfregamento con lesioni tra i rami, oppure attraverso le anastomosi radicali o con gli
strumenti di potatura infetti. In altri casi anche l’innesto o addirittura il seme o il polline possono essere
già virosati. Più spesso sono dei vettori biologici che trasportano il virus da pianta a pianta: nematodi
ma soprattutto insetti con apparato boccale pungente-succhiatore imbrattato di linfa infetta.
Nel caso dell’uomo e a seconda del tipo di virus, la penetrazione può avvenire nei seguenti modi:
inspirazione di goccioline di saliva in sospensione nell’aria, rapporti sessuali, trasfusioni o organi
trapiantati, riutilizzo di siringhe infette, contatto con il sangue infetto se sulla pelle ci sono soluzioni di
continuità, attrezzi non perfettamente sterili per le cure odontoiatriche, strumenti non sterili per i
tatuaggi o il piercing.
ADSORBIMENTO (=ADESIONE ALLA CELLULA) – Per aderire il virus e la cellula stessa
devono interagire e adattarsi reciprocamente. Sugli involucri esterni del virus ci sono dei componenti
molecolari (come le proteine del càpside, il pericàpside se presente, le eventuali protuberanze … ) in
grado di combaciare e di unirsi con dei RECETTORI – proteine o carboidrati – che sono presenti sulla
superficie della cellula ospite.
La specificità dei legami tra le componenti virali e i recettori cellulari spiega lo SPETTRO AMPIO oppure
RISTRETTO e in vari casi TOTALMENTE SELETTIVO di un certo virus (“spettro ampio” significa che il
virus può parassitizzare parecchi ospiti diversi). Per le stesse ragioni un virus in generale può infettare
solo particolari organi o tessuti: in questo caso si parla di SPECIFICITA’ D’ORGANO. Ad esempio il virus
della parotite (“orecchioni”) trova una perfetta specificità nelle cellule delle nostre ghiandole parotidi.
PENETRAZIONE NELLA CELLULA OSPITE – L’adesione del virus ai recettori superficiali di
una cellula ospite adatta avvia una serie di modificazioni che avranno come conseguenza l’ingresso del
virus nella cellula.
La penetrazione vera e propria può avvenire in diversi modi, per esempio i virus nudi possono essere
fagocitati dalla cellula, mentre nel caso dei virus rivestiti il pericàpside si può fondere con la membrana
cellulare e così il genoma virale entra nella cellula.
SPOLIAZIONE – Comunque sia avvenuta la penetrazione, gli involucri virali (se non sono rimasti
fuori dalla cellula ospite come accade per esempio nei batteriofagi) si degradano liberando il DNA o
l’RNA virali.
REPLICAZIONE e MONTAGGIO – Questa fase si svolge in modi diversi nei vari virus e può
avvenire nel nucleo o nel citoplasma della cellula ospite. L’acido nucleico virale utilizza le risorse
biochimiche, metaboliche e le molecole che sono a disposizione nella cellula per fabbricare
innumerevoli copie di sé stesso e degli involucri virali. Acidi nucleici e involucri virali vengono poi
assemblati per formare nuovi virus completi.
LIBERAZIONE – Al termine della fase precedente le particelle virali fuoriescono con modalità
differenti che possono lasciare la cellula ancora viva o provocare la sua morte per rottura e lisi della
membrana plasmatica. In altri casi il virus esce per esocitosi, infine alcuni virus sono in grado
d’attraversare la membrana cellulare senza che questa subisca danni apparenti.
(A titolo d’esempio nella pagina successiva è illustrato il ciclo del virus influenzale)
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CICLO DEL VIRUS INFLUENZALE
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PERSISTENZA DEL VIRUS NELL’ORGANISMO
Nella maggior parte dei casi la moltiplicazione delle particelle virali danneggia la cellula ospite
attraverso la distruzione del DNA e il blocco della sintesi proteica e degli acidi nucleici.
In generale nelle INFEZIONI ACUTE (come l’influenza e le enteriti che si sviluppano rapidamente e
hanno una durata breve) la cellula invasa muore.
In altri casi la presenza del virus nell’ospite si protrae nel tempo e le particelle virali sono prodotte con
lentezza.
Nelle INFEZIONI CRONICHE il virus permane nell’ospite anche dopo la guarigione clinica dalla
malattia, come ad esempio nei portatori sani di epatite-B e C.
Si parla invece di INFEZIONI LENTE quando i sintomi della malattia diventano evidenti a distanza di
anni, come nel caso dell’A.I.D.S.
Infine il virus può passare un PERIODO DI LATENZA e di INATTIVITA’ molto protratto. E’ noto ad
esempio il caso del virus della varicella che, dopo avere colpito un individuo generalmente
nell’infanzia, può in qualche caso diventare di nuovo virulento in età adulta e provocare il “fuoco di
Sant’Antonio”, una malattia molto dolorosa che si manifesta con eruzioni vescicolari sulla pelle.
CLASSIFICAZIONE DEI VIRUS
Dal momento che i virus hanno un solo tipo di acido nucleico, la distinzione principale è tra i DNAvirus (o DESOSSIRIBOVIRUS) e gli RNA-virus (o RIBOVIRUS).
Ognuno di questi gruppi è ulteriormente suddiviso in FAMIGLIE, GENERI e SPECIE.
I virus che colpiscono le piante sono per lo più RNA-virus, mentre gli animali contraggono sia RNAvirus che DNA-virus.
MALATTIE VIRALI
(cenno)
Le malattie virali delle piante verranno considerate a parte (vedi : Guido Gandelli – Appunti di
Patologia speciale) mentre quelle degli animali sono considerate in un'altra disciplina d’insegnamento.
Per quanto riguarda la patologia umana sono d’origine virale le seguenti malattie: raffreddore, vaiolo,
verruche, varicella, morbillo, rosolia, parotite (“orecchioni”), epatite virale, A.I.D.S. (sindrome da
immuno-deficienza acquisita), idrofobia o rabbia, poliomielite, influenza …
Per quanto riguarda l’influenza è bene ricordare che non è una malattia da sottovalutare perché con una
certa facilità può comportare delle complicazioni e delle sovra-infezioni batteriche e in media muore
una persona ogni mille che contraggono l’influenza. Nel passato certe pandemie influenzali sono state
devastanti e la più terribile è stata certamente la cosiddetta “SPAGNOLA” che nel 1918 provocò in
Europa più morti di quelli dovuti alla prima guerra mondiale da poco conclusa e circa 50 milioni di
morti se consideriamo tutto il pianeta. Gli antibiotici contro i virus sono totalmente inutili.
PRIONI
-
VIROIDI
-
VIRUS DIFETTIVI
I PRIONI sono delle proteine capaci di auto-duplicarsi e sono responsabili di gravi malattie.
Il termine “prione” significa particella proteica infettante e sono considerate delle “forme varianti
patologiche di proteine normali”. Le proteine infatti possono assumere assetti tridimensionali variabili
in conseguenza del diverso modo in cui si può ripiegare la o le catene d’aminoacidi che formano la
proteina stessa. La peculiarità dei prioni consiste nel fatto che in una forma si comportano da proteine
normali, in un’altra forma invece diventano patogene, duplicabili e trasmissibili e possono causare la
trasformazione di altre proteine, come in una reazione a catena.
Una famosa malattia causata da prioni è la cosiddetta “mucca pazza” (encefalopatia spongiforme di
Creutzfeldt-Jakob. Il nome di questa malattia significa “malattia del cervello che assume un aspetto
spugnoso, con lacune più o meno ampie”).
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La malattia colpisce i bovini ma si trasmette all’uomo con l’ingestione di carni contaminate dai prioni.
Il primo caso noto di un uomo ammalato di “mucca pazza”si registrò in Inghilterra nel 1986, ma il vero
allarme mondiale si ebbe a partire dal 2000. Oggi non si parla quasi più di questa malattia che tuttavia
non è assolutamente eradicata, anche perché ha un periodo d’incubazione lentissimo di uno o più
decenni.
I VIROIDI sono dei piccoli virus che colpiscono le piante e sono formati solamente da una molecola di
RNA, senza alcun rivestimento proteico.
I VIRUS DIFETTIVI sono dei virus che hanno perduto la capacità di replicarsi e che per questo scopo
hanno bisogno della presenza di un “virus aiutante (helper in inglese)”. Ad esempio il virus
dell’epatite-D richiede la presenza del virus dell’epatite-B per potersi replicare.
Il cosiddetto “SCOPAZZO” è un sintomo di una
malattia virale che può colpire le piante legnose di
molte specie diverse.
In questa malattia la lunghezza degli internodi
diminuisce fortemente e, di conseguenza, i rametti
sono eccessivamente ravvicinati e affastellati e
nell’insieme hanno un aspetto abbastanza simile a
quello di una scopa di saggina, da cui il nome
del sintomo.
UTILITA’ DEI VIRUS
Anche dei parassiti obbligati come sono i virus possono essere utili all’uomo ed ai suoi interessi.
Ad esempio sono certamente utili quei virus che fanno ammalare - uccidendoli o indebolendoli - gli
insetti dannosi o molesti, le piante infestanti, i parassiti degli animali allevati …
I virus sono stati talvolta utilizzati con successo nella lotta biologica come in Australia quando venne
utilizzato il virus della mixomatosi del coniglio per contenere la spropositata diffusione del coniglio che
in nessun altro modo si era riusciti a contenere (si ricorda che i mammiferi placentati non esistevano
nella fauna australiana prima della colonizzazione dell’uomo bianco).
Da tempo si cerca di utilizzare i virus per combattere gli insetti fitofagi dannosi, soprattutto in ambiente
forestale dove è impensabile l’utilizzo di insetticidi chimici.
I virus sono stati importantissimi in molti studi di genetica e vengono utilizzati, con tecniche di
ingegneria genetica, per introdurre nelle cellule dei geni utili. Ad esempio in questo modo determinati
batteri sono stati condizionati per produrre l’ insulina che viene somministrata ai diabetici, mentre un
tempo tale ormone si ricavava dal pancreas di animali morti : una tecnica molto più costosa e rischiosa
per la salute dei diabetici.
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UTILITA’ e DANNOSITA’ dei BATTERI
I batteri, nel loro insieme, sono certamente più noti e temuti per le molte malattie che determinano,
infatti le più gravi malattie infettive dell’uomo e degli animali sono quelle batteriche oppure virali,
mentre per le piante sono più gravi e diffuse le micosi (malattie provocate dai funghi).
Senza la minima pretesa di completezza, si elencano alcune malattie batteriche dell’uomo, più o meno
gravi : polmonite batterica, tetano, carie ai denti, peste, salmonellosi, leptospirosi, legionella, meningite
batterica, setticemia (batteri nel sangue), tifo, colera, sifilide, lebbra, tubercolosi, scarlattina, perfino i
foruncoli si formano per una piccola infezione batterica provocata da un poro ostruito dal troppo sebo.
Altre malattie colpiscono gli animali allevati oppure le piante coltivate. I batteri possono rendersi
dannosi anche in altri modi, ad esempio deteriorando il cibo che invece si preferirebbe conservare.
Tutte le modalità per conservare il cibo si fondano sul blocco dell’attività dei batteri (il freddo, la
conservazione sotto sale che per motivi osmotici blocca i batteri, l’essiccazione, la liofilizzazione) o
sulla loro uccisione come nel caso del cibo inscatolato e poi sterilizzato con le alte temperature.
Anche se il concetto di UTILE o DANNOSO è quasi sempre RELATIVO AGLI INTERESSI DI QUALCUNO
(ad esempio un batterio che uccide una zebra procura dell’abbondante cibo ad una iena), possiamo
dire che i batteri svolgono almeno tre funzioni utili per tutti gli esseri viventi :
DECOMPOSIZIONE DELLA SOSTANZA ORGANICA – La decomposizione restituisce al
terreno le sostanze nutritive in una forma assimilabile dalle piante che poi le renderanno di nuovo
disponibili per tutti gli eterotrofi. Inoltre la decomposizione elimina l’ingombro fisico della sostanza
organica morta: si tenga conto che nei nostri climi la lettiera dei boschi, se non venisse decomposta, in
circa 10 anni raggiungerebbe le cime degli alberi più alti, soffocandoli completamente (la lettiera è
quello strato di materiale indecomposto o solo parzialmente decomposto che ricopre il suolo di un
bosco ed è formata da foglie e rami morti, escrementi, esuvie d’ insetti, penne e piume, cadaveri …).
SIMBIOSI NEGLI APPARATI DIGERENTI – Tutti gli animali, dagli insetti alle balene, ospitano
nel loro intestino una grande quantità di batteri simbionti, circa un chilogrammo nell’uomo. Si tratta di
una simbiosi mutualistica con reciproco vantaggio: i batteri trovano un luogo ben protetto in cui
vivere e molto cibo, mentre per noi i vantaggi sono più di uno :
- I batteri simbionti competono con i batteri patogeni e ne frenano la moltiplicazione.
- Producono importanti vitamine tra le quali la vitamina K antiemorragica, scarsa nel cibo.
- Contribuiscono alla digestione e scindono delle molecole per le quali non disponiamo dei necessari
enzimi per scinderle, è in questo modo che i bovini digeriscono la cellulosa dei vegetali, altrimenti
indigeribile anche per gli erbivori.
FISSAZIONE DELL’ AZOTO – Organicare o fissare l’azoto significa prenderlo dall’atmosfera e
aggiungerlo ad una molecola organica pre-esistente, ed è così che i batteri fissatori d’azoto si
procurano l’azoto necessario per i loro composti azotati, ad esempio le proteine.
Quando questi batteri muoiono, si decompongono e l’azoto in essi contenuto da organico che era si
mineralizza, ovvero si trasforma in sali d’azoto, nitriti e nitrati (si ricorda che solo le piante carnivore
sono in grado di utilizzare direttamente l’azoto organico). Questi sali vengono poi assorbiti dalle
piante per formare i loro composti azotati e, con la catena alimentare, l’azoto passerà in seguito a tutti
gli eterotrofi dell’ecosistema, uomo compreso. Il ruolo dei batteri fissatori d’azoto è veramente
essenziale perché non basta la decomposizione per restituire al terreno una quantità d’azoto sufficiente,
infatti sono diversi i fattori che riducono l’azoto presente nel terreno: l’erosione, il dilavamento delle
acque quando sono troppo abbondanti, eventuali incendi e l’attività dei batteri denitrificanti che
ossidano i sali d’azoto per ottenere l’energia necessaria, e così restituiscono l’azoto gassoso
all’atmosfera. In agricoltura quando si fa il raccolto si asportano tonnellate di sostanza organica che,
ovviamente, non potrà decomporsi e restituire al terreno l’azoto in essa contenuto: ecco perché sono
indispensabili le concimazioni azotate e non solo quelle azotate, infatti al terreno bisogna restituire
anche fosforo potassio … Solamente in certi ambienti particolari i batteri fissatori d’azoto trovano delle
condizioni assolutamente ottimali e sono talmente attivi da rendere superflue le concimazioni azotate,
come nelle risaie del sud-est asiatico dove si fanno perfino tre raccolti di riso all’anno.
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Oltre alle tre funzione utili sopra spiegate che sono d’ordine assolutamente generale, l’uomo sfrutta i
batteri per molte utilità più particolari e specifiche. Si fornisce un elenco d’esempi, un elenco
certamente non esauriente e con gli esempi non elencati in ordine d’ importanza :
 Trasformazione del latte in yoghurt.
 Trasformazione del vino in aceto.
 Produzione dei foraggi insilati.
 Produzione dell’ insulina da parte di batteri geneticamente modificati.
 Produzione del compost a partire dai rifiuti organici.
 Batteri che purificano le acque nere nei depuratori.
 Trasformazione delle deiezioni animali in letame, che è una cosa completamente diversa !
 Produzione del metano (biogas) a partire dai rifiuti organici o da reflui di stalla.
 Produzione di alcuni antibiotici, ad esempio la streptomicina.
 Batteri utilizzati per uccidere certi insetti dannosi ( Bacillus thuringiensis ).
 Ricerche di genetica.
 Il sapore della pasta più pregiata, quella “artigianale a lunga essiccazione”, è dovuto a dei
composti elaborati da batteri che hanno iniziato delle fermentazioni prima della completa
essiccazione della pasta stessa.
 Analogamente il sapore del burro, molto diverso da quello della panna da cui deriva, si deve
all’attività di alcuni batteri presenti nel latte e nella panna.
 Il salame è un prodotto fermentato da batteri chiamati fermenti lattici, senza i quali la carne,
nonostante il sale aggiunto, si decomporrebbe irrimediabilmente. I funghi che formano la muffa
sulla superficie del salame contribuiscono alla sua conservazione e disidratano l’insaccato nella
giusta misura.
 Gli aromi e i sapori che noi abitualmente associamo al THE, CACAO, CAFFE’, TABACCO e VANIGLIA,
si devono a delle molecole che in realtà non esistono nelle piante fresche elencate, infatti vengono
prodotte da dei batteri nel corso di fermentazioni a volte molto prolungate, ad esempio per i famosi
sigari “Havana” prodotti a Cuba il tabacco subisce una lentissima fermentazione di quasi due anni,
fatto che ne spiega l’elevato costo. Per convincersi di quanto sopra affermato si pensi al differente
colore, profumo e sapore del the verde (non fermentato ma solamente essiccato) e del più comune
the nero che invece è fermentato, prima di essere a sua volta essiccato. Si pensi anche alla
strabiliante quantità di denaro che ruota intorno a questi beni voluttuari ma di enorme importanza
economica (“voluttuario” significa “piacevole ma non indispensabile”).
Quattro pregiati sigari
“Havana” prodotti a Cuba:
senza le fermentazioni
batteriche subite dal
tabacco non avrebbero
quegli aromi così
apprezzati dai molti
estimatori.
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UTILITA’ e DANNOSITA’ dei FUNGHI
Le MALATTIE che i funghi procurano alle piante spontanee o coltivate sono più gravi e più importanti
di quelle provocate dai virus e dai batteri. In patologia umana e veterinaria invece le micosi o malattie
fungine sono più fastidiose che veramente pericolose, salvo casi particolari. Le nostre cavità naturali
comunicanti con l’esterno, la pelle e le unghie possono facilmente essere aggredite da funghi parassiti:
per guarire da queste micosi serve tempo, pazienza e innumerevoli applicazioni di pomate e lozioni
antimicotiche, talvolta diventano necessari degli antimicotici sistemici, ovvero che si distribuiscono in
tutto il corpo dopo essere stati assunti oralmente, nel caso più comune.
I funghi possono procurare dei danni anche alterando i cibi oppure stoffe e pellame quando vengono
riposti in luoghi un po’ troppo umidi. I funghi, sotto forma di muffe, possono anche crescere
sull’intonaco di muri domestici che vengono macchiati e rovinati.
In natura i funghi svolgono invece delle importantissime FUNZIONI UTILI :
DECOMPOSIZIONE DELLA SOSTANZA ORGANICA – Si veda quanto è già stato detto in
precedenza a proposito della decomposizione batterica. In certi ambienti prevale l’attività dei
batteri, in altri quella dei funghi.
MICORRIZA – (“mico” = fungo - “riza” = radice) – La micorriza è una simbiosi mutualistica
(ovvero con reciproco vantaggio) tra le radici di una pianta e le ife di un fungo. La micorriza è anche
una simbiosi obbligata per entrambi gli esseri viventi. Tale simbiosi coinvolge gran parte delle piante,
sia quelle legnose che quelle erbacee ed è stata riscontrata nel 90% delle famiglie botaniche studiate,
ma probabilmente in natura tutte le piante sono micorrizate. Una pianta che non riesce a stabilire una
buona simbiosi micorrizica, facilmente deperisce e muore.
In presenza di un’ efficace micorriza la pianta riduce la produzione di peli radicali: infatti in questo caso
è affidato soprattutto al fungo simbionte il compito di assorbire acqua e sali utili dal terreno.
In cambio la pianta cede al fungo micorrizico una buona percentuale - forse anche il 25-30 % - degli
zuccheri prodotti con la fotosintesi : è tantissimo ma per la pianta è un baratto conveniente.
La maggior parte dei funghi con la classica forma a gambo e cappello sono funghi micorrizici ed è
anche per questo motivo che i funghi, soprattutto nei boschi, devono essere rispettati, almeno quelli che
non raccogliamo per un più o meno pericoloso utilizzo alimentare!... Tra questi funghi possiamo
ricordare il porcino, l’ovulo buono o la mortale Amanita phalloides. Anche il tartufo è un fungo
Ascomicete micorrizico, mentre il chiodino (Armillaria mellea) è un fungo parassita o saprofita.
Terminazioni di radici ben micorrizate e un elegante fungo micorrizico, l’ Amania muscaria,
tossica ma non mortale. Un tempo pezzi di questo fungo venivamo mescolati a zucchero e latte
per confezionare delle esche velenose contro le mosche, da cui il nome specifico “muscaria”.
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LICHENI – Anche i licheni sono un’ interessantissima simbiosi, questa volta tra un fungo e un’alga
di solito unicellulare. I licheni quindi sono una simbiosi tra due esponenti di Regni diversi che nulla
hanno a che fare con il Regno Vegetale. Il fungo lichenico passa all’alga l’acqua e i sali minerali
assorbiti dall’ambiente, l’alga invece cede al fungo una parte dei carboidrati prodotti con la fotosintesi,
quindi il lichene può essere considerato una simbiosi mutualistica. In realtà il beneficio essenziale è
per il fungo per il quale si tratta di una simbiosi obbligata in mancanza della quale non potrebbe
sopravvivere. Per l’alga invece è una simbiosi facoltativa perché è capace anche di vita autonoma,
magari in ambienti diversi e più favorevoli alla vita algale. Infatti i licheni sono capaci di vegetare in
condizioni veramente estreme come sulle rocce nude delle Alpi ad alta quota, oppure sulle tegole di un
tetto, anche se in queste condizioni la crescita sarà lentissima. In compenso i licheni possono vivere per
tempi lunghissimi: si stima che certi licheni dell’Antartide, un ambiente estremo dove è possibile
vegetare solo per due o tre settimane all’anno, abbiano alcune migliaia d’anni di età.
I licheni sopportano ogni genere di avversità climatica come il gelo o il caldo e la siccità estrema alla
quale sopravvivono disidratandosi completamente in attesa della pioggia, non importa quanto lontana
nel tempo, allora il lichene si reidrata e riprende a vegetare, ma può bastare anche un po’ di rugiada.
Quindi i licheni sono degli organismi pionieri e in certi ambienti molto severi sono quasi l’unica forma
di vita autotrofa, base delle povere piramidi alimentari che sono possibili in quelle condizioni.
Tuttavia anche i licheni si trovano maggiormente a loro agio e sono più abbondanti nelle foreste umide.
Solo nei confronti dell’inquinamento i licheni sono indifesi perché tendono ad assorbire e accumulare
le molecole tossiche fino a raggiungere concentrazioni letali (per questa ragione sono spesso usati
come indicatori ecologici nelle nostre città nelle quali - infatti - i licheni sono ormai molto rari).
Diversi possono essere i colori e le forme :
Licheni CROSTOSI, completamente aderenti al
substrato.
FRONDOSI (“a forma di foglia” per via delle
lamine appiattite del tallo lichenico).
FRUTICOSI (“a forma di cespuglio” per il tallo
ramificato).
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Quando osserviamo un lichene, qualunque forma abbia, quello che vediamo è micelio fungino
(si ricorda che il micelio è l’intreccio delle ife). Le alghe unicellulari sono molto numerose ma
rimangono confinate all’interno del lichene in uno strato dove le ife fungine sono lasse (non fittamente
intrecciate tra di loro). Si veda nel disegno sottostante una SEZIONE DI UN LICHENE.
I licheni si riproducono per frammentazione, quindi si staccano dei frammenti, chiamati soredi, così
piccoli da sembrare polvere, ma già formati dal fungo e dalle alghe in simbiosi. Il fungo può riprodursi
anche liberando delle spore che potranno germinare producendo delle ife che tuttavia, come già detto,
moriranno se non riusciranno a trovare delle alghe adatte per ristabilire la simbiosi lichenica.
Oltre alle tre funzione utili sopra spiegate che sono d’ordine generale, l’uomo sa sfruttare i funghi per
delle utilità più particolari e specifiche :
 Da funghi del Genere Penicillium (“piccolo pennello”, per la loro
forma osservata al microscopio) Fleming nel 1928 ricavò il primo
antibiotico, la penicillina. Il Penicillium è quella muffa verdeazzurra che cresce sulla buccia dei limoni avariati.
Nella fotografia accanto, ottenuta con il microscopio elettronico a
scansione, si vedono i rami conidiofori disposti a pennellino e i
molti conidi sferici con i quali il fungo si diffonde.
 I lieviti sono dei funghi Ascomiceti unicellulari in grado di compiere la fermentazione alcolica nel
mosto d’uva che si trasforma in vino e nella produzione della birra. La stessa fermentazione avviene
durante la lievitazione del pane, della pizza e di tanti prodotti dolciari, come il panettone.
 Produzione di formaggi erborinati : gorgonzola, camembert, briè, lo stilton inglese …
 I funghi che formano la muffa sulla superficie del salame contribuiscono alla sua conservazione e
disidratano l’insaccato nella giusta misura. Tossiche e talvolta pericolose sono invece le muffe
che possono formarsi sugli alimenti di origine vegetale.
 I funghi vengono coltivati, venduti e ricercati in natura per il loro gradevole sapore, tuttavia
dovrebbero essere considerati più un condimento che un alimento. Infatti i funghi sono poveri di
sostanze nutritive, pesanti da digerire per la chitina contenuta e inoltre si sospetta che un eccessivo
ed abituale consumo alimentare di funghi favorisca l’insorgenza di tumori nell’apparato digerente.
Inoltre i funghi assorbono molto facilmente ogni genere d’inquinanti, anche quelli radioattivi.
Per queste ragioni è consigliabile limitare il consumo di funghi nella nostra alimentazione.
60
XYZ
Guido Gandelli
LUGLIO 2013
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