L`ordine kantiano - Il rasoio di Occam

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L’ordine kantiano
di Mario Ricciardi, Il Sole Domenica 23.8.15
Il diritto cosmopolitico è in Kant allo stesso tempo un'idea necessaria per poter pensare i reciproci
rapporti fra arbitri privati e il fine del diritto stesso, il suo compimento. La filosofia del diritto del
'900 ha cambiato questa impostazione? Cinzia Sciuto, nel suo recente La terra è rotonda. Kant,
Kelsen e la prospettiva cosmopolitica (Mimesis 2015, euro 14), sostiene di no, e cioè che per
esempio anche in Kelsen, malgrado la sua critica del diritto naturale, sia rilevabile una prospettiva
cosmopolitica. Allegati alla recensione il lettore troverà la premessa al libro e il suo indice.
Cosa hanno in comune Kant e Kelsen a parte l’iniziale del cognome? Ben poco, almeno se bisogna
prestar fede al giudizio di Norberto Bobbio. Lo studioso torinese liquidava la questione
dell’influenza del primo sul secondo in modo netto: «[p]er nessuna delle tesi di Kelsen c’è bisogno,
allo scopo di spiegarne l’origine e di capirne il significato, di scomodare Kant».
A nulla valevano le affermazioni contrarie dello stesso Kelsen. L’accenno al debito intellettuale
verso il neo-kantismo della scuola di Marburgo era per Bobbio di scarsa rilevanza, civetteria le
menzioni della Critica della ragion pura. Un peso preponderante, rispetto a tali evidenze testuali,
aveva invece l’assenza di qualunque riferimento a Hermann Cohen nella seconda edizione della
Reine Rechtslehre.
Lapidaria la conclusione: «Kelsen può dirsi kantiano solo nella misura in cui si ricollega alla grande
dicotomia tra la sfera del Sein e quella del Sollen, che si fa risalire a Kant». Tutti sbagliano, persino
i maestri. Negli ultimi decenni studi di grande rilievo, come quelli di Stanley Paulson e di Simone
Goyard-Fabre, hanno mostrato l’esatto contrario di quel che sosteneva Bobbio, ovvero che
l’influenza di Kant e del neo-kantismo su Kelsen è stata profonda e significativa. Essa riguarda non
solo i profili epistemologici della teoria pura del diritto, ma anche alcune dimensioni della filosofia
del diritto di Kant, come il legame tra l’idea di Recht (la cui felice ambiguità in tedesco è croce e
delizia degli interpreti) e quella di coercizione. Un tema su cui si è soffermato Hillel Steiner in un
saggio breve, ma ricco di spunti. A questo filone di studi che propongono una rilettura della teoria
kelseniana del diritto alla luce di quella di Kant si aggiunge ora un libro di Cinzia Sciuto, una
studiosa italiana che vive e lavora in Germania, sul “cosmopolitismo” dei due filosofi. La terra è
rotonda. Kant, Kelsen e la prospettiva cosmopolitica è un lavoro interessante che, pur non essendo
privo di difetti, può fungere utilmente da punto di partenza per lo studio di una tematica che, oltre a
essere di grande interesse teoretico, è di stringente attualità. L’autrice allude, nel titolo, a un noto
passaggio di uno degli scritti politici di Kant, in cui il filosofo afferma che «[s]e la [superficie
terrestre] fosse un piano infinito, gli uomini su di esso potrebbero disperdersi così da non venire
affatto in comunità tra loro, e questa quindi non sarebbe una conseguenza necessaria della loro
esistenza sulla Terra». Da questa premessa deriva, secondo la Sciuto, la tesi che il «punto di vista
cosmopolitico» non è arbitrario, non deriva da una scelta politica o morale, ma è dettato da una
necessità concettuale «indispensabile alla comprensione dell’intero ambito dell’esperienza umana
che va sotto il nome di diritto». Questa tesi kantiana sarebbe, per la studiosa, anche il punto di
partenza della teoria del diritto di Kelsen, nell’ambito della quale il diritto internazionale ha, come è
noto, un ruolo fondamentale. In un’epoca in cui la rotondità della Terra si manifesta in modi diversi
e inquietanti, un ripensamento delle premesse normative della convivenza civile tra popoli è di
urgenza stringente. Dobbiamo essere grati a Cinzia Sciuto per aver dato un contributo appassionato
a ricordarci la ricchezza e la profondità del pensiero di Kant, e del suo epigono novecentesco, e il
contributo che essi ancora oggi possono dare a chiarirci le idee.
Introduzione
IL «SALTO» COSMOPOLITICO: SE NON ORA, QUANDO?
Di cosmopolitismo si parla almeno a partire dal IV secolo avanti Cristo, quando
Diogene il cinico – secondo quanto riferisce Diogene Laerzio – alla domanda sulla sua provenienza
rispose: «Sono un cosmopolita», letteralmente un cittadino del mondo. Ma probabilmente noi
viviamo la prima epoca nella quale quel «sogno» cosmopolita, da molti ritenuto anzi un’utopia,
potrebbe essere effettivamente realizzato, o quantomeno si potrebbe cominciare ad approssimarlo.
Oggi ci sono infatti le condizioni storiche, economiche e tecnologiche che potrebbero farci fare
quale «salto» cosmopolitico. Mancano forse le condizioni politiche, ma quelle sta a noi costruirle.
A partire dalla crisi economico-finanziaria del 2008 non si è smesso di dire che i nostri Stati
«sovrani» si trovano a dover fare i conti con problemi ben più grandi di loro, ai quali non sono in
grado di dare risposte. La conseguenza è che – abbarbicati alla sovranità statale come a un
simulacro – ci lasciamo governare da «forze» sovranazionali non democratiche – quel soggetto
collettivo che indichiamo con il generico nome di «mercati», il Fondo monetario, la Banca centrale
europea, o le istituzioni europee a democrazia «zoppa», invece di cogliere l’occasione per uno
slancio cosmopolitico verso gli Stati Uniti d’Europa.
In questo momento storico è forse utile, quindi, riscoprire alcuni classici del pensiero filosofico e
giuridico, lontani nel tempo ma accomunati dallo stesso spirito cosmopolitico: Hans Kelsen e
Immanuel Kant.
Cosmopolitismo è un termine che nel corso della sua lunga storia ha assunto varie accezioni ed è
dunque necessario chiarire in quale di esse è utilizzato nelle pagine che seguono. Scriveva Kant:
Se [la superficie terrestre] fosse un piano infinito, gli uomini su di esso potrebbero
disperdersi così da non venire affatto in comunità tra di loro, e questa quindi non
sarebbe una conseguenza necessaria della loro esistenza sulla Terra1.
La Terra, invece, è rotonda, gli uomini sono destinati ad incontrarsi e, dunque, a costituire
una qualche comunità tra di loro. Il punto di vista cosmopolitico non è pertanto arbitrario, non
deriva da una mera opzione politica e morale. Esso è invece indispensabile alla comprensione
dell'intero ambito dell'esperienza umana che va sotto il nome di diritto. È da questo medesimo
punto di vista cosmopolitico che Hans Kelsen elabora la sua dottrina pura del diritto, la quale non
può essere pienamente compresa se non si guarda alla sua teoria del diritto internazionale. Il vertice
della grandiosa Stufenbau kelseniana, la costruzione a gradi dell'ordinamento giuridico, è infatti il
diritto internazionale, che fornisce validità a tutti gli ordinamenti giuridici statali. È certamente vero
1
RL, § 13, 262 (ed. it. p. 113).
che negli innumerevoli lavori di Hans Kelsen il termine cosmopolitismo non compare mai. Ma qui
non è in questione una disputa nominalistica: Kelsen era un giurista, mai avrebbe voluto essere
definito un filosofo, e in quanto giurista, per di più convinto positivista, non poteva che utilizzare le
categorie del diritto positivo. Ma Kelsen ha profondamente modificato il significato di molte delle
categorie del diritto positivo da lui utilizzate, e il ruolo assunto dal diritto internazionale nella sua
Stufenbau – come cercheremo di argomentare – può a buon diritto essere associato all’idea di diritto
cosmopolitico di kantiana memoria.
La parola cosmopolitismo è invece largamente presente nei testi politici di Kant. È curioso
notare che la maggior parte dei numerosi studi che trattano esplicitamente del diritto cosmopolitico
kantiano abbiano come oggetto della loro attenzione Zum ewigen Frieden, il saggio sulla pace
perpetua scritto da Kant nel 1795, e dedichino relativamente scarsa considerazione ai
Metaphysische Anfangsgründe der Rechtlehre. È curioso, anche se non incomprensibile visto che,
mentre lo scritto sulla Pace perpetua come anche quello sull’Idea per una storia universale dal
punto di vista cosmopolitico trattano espressamente e diffusamente del cosmopolitismo, nella
Rechtslehre il diritto cosmopolitico propriamente detto occupa un solo paragrafo, il 62. Eppure,
stando proprio alla struttura sistematica della dottrina del diritto così come Kant la espone nei Primi
princìpi, esso costituisce allo stesso tempo il compimento e la condizione del diritto tout court. È in
questa accezione sistematica che sta il filo conduttore che da Kant conduce a Kelsen. Così come in
Kant è il diritto cosmopolitico o, meglio, è l’idea del diritto cosmopolitico a fornire senso al diritto
tout-court, in Kelsen è il diritto internazionale, dalla sua posizione di vertice del sistema normativo,
a fornire validità a tutti gli ordinamenti statali e, dunque, anche qui, al diritto in quanto tale.
Nella prima parte di questo lavoro tenteremo di chiarire che cosa si intende esattamente
quando si afferma che in Kant il diritto cosmopolitico costituisce alla stesso tempo la condizione e il
compimento del diritto e in che senso esso sia necessario. Attraverso l’analisi soprattutto dei
Metaphysische Anfangsgründe der Rechtlehre, giungeremo alla conclusione che il diritto
cosmopolitico in Kant, in quanto costituisce il compimento del concetto di diritto, è a) un’idea
necessaria (inevitabile) per poter pensare i rapporti di reciproco influsso tra arbìtri senza
contraddizione; b) il fine del diritto, da pensare in una prospettiva filosofico-storica. La tesi che si
tenterà di sostenere in questa prima parte è che l’affermazione: «Il diritto cosmopolitico è il fine del
diritto», ha il carattere del giudizio riflettente e non quello del giudizio determinante. Per questa
ragione sarà necessario riferirsi costantemente alla Critica della facoltà di giudizio.
È sulla scorta di questa idea trascendentale di diritto cosmopolitico – che, quindi, come tale
non esprime nulla circa le determinazioni dell’oggetto (e men che meno, pretende di fare previsioni
deterministiche sul corso della storia), ma significa “solo” che pensare il diritto cosmopolitico come
fine del diritto è indispensabile per poterci rendere comprensibile quel preciso ambito di esperienza
che, di fatto, noi comprendiamo come diritto – che si affronterà nella seconda parte in maniera
analitica la teoria del diritto internazionale di Kelsen, fino alla sua proposta, che non possiamo non
definire cosmopolitica, di una Lega di Nazioni.
Chiude il presente lavoro una Appendice sulle critiche – molto aspre – che Kelsen ha
formulato nei confronti del diritto naturale. La demolizione della possibilità stessa di concepire
un’idea coerente di diritto naturale costituisce la premessa metodologica e concettuale
fondamentale, che consentirà poi a Kelsen di elaborare la sua Dottrina pura del diritto.
INDICE
Introduzione
IL “SALTO” COSMOPOLITICO: SE NON ORA, QUANDO?
PARTE PRIMA
UNA PREMESSA KANTIANA:
IL DIRITTO COSMOPOLITICO È NECESSARIO
Capitolo primo
Il ruolo del diritto cosmopolitico
nei Metaphysische Anfangsgründe der Rechtslehre di Immanuel Kant
a) Il diritto tra a priori ed empiria
b) La natura sintetica e formale del diritto
c) Stato di natura e stato giuridico
d) Il diritto non può che essere diritto cosmopolitico
Capitolo secondo
Per una filosofia della storia riflettente
a) Il finalismo trascendentale:
un “mero” filo conduttore (ma necessario)
b) La teleologia riflettente e la storia
c) Dal sistema alla storia, dalla comprensione all’azione
d) Il diritto cosmopolitico come fine
PARTE SECONDA
LA PROPOSTA COSMOPOLITICA DI HANS KELSEN:
LA PACE ATTRAVERSO IL DIRITTO
Capitolo primo
Il carattere giuridico del diritto internazionale
a) Il diritto come ordinamento coercitivo
b) Diritto e comunità giuridica
c) L’autotutela come forma di diritto primitivo
d) Responsabilità individuale e responsabilità collettiva
e) Rappresaglia e guerra come sanzioni giuridiche:
la dottrina del bellum iustum
Capitolo secondo
Diritto internazionale e Stato sovrano
a) Il problema della sovranità
b) Stato e diritto
c) L’illecito dello Stato
d) Concezione monistica del diritto e primato del diritto internazionale
Capitolo terzo
Diritto e pace: il progetto di una Lega di Nazioni
a) Pace, diritto, giustizia
b) Pace e diritto internazionale
c) Una Lega di Nazioni: pace internazionale
per mezzo di un tribunale
d) Una Lega di Nazioni: la responsabilità individuale
come garanzia della pace internazionale
Appendice
Gli “errori” e gli “orrori” del diritto naturale secondo Kelsen
Bibliografia
Cinzia Sciuto ha conseguito il Dottorato di ricerca in Filosofia presso l’Università La Sapienza di
Roma. Si è sempre occupata di filosofia politica e del diritto, con particolare attenzione al pensiero
di Immanuel Kant e Hans Kelsen. Attualmente lavora come redattrice a MicroMega.
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