Sapere Natura Più cervello per tutti Si potrebbe dare a scimpanzé, cani, delfini una intelligenza simile alla nostra? Forse sì: con la genetica. Il film “L’alba del pianeta delle scimmie” non è solo fantasia. L o aveva capito il grande biologo svedese Linneo, l’inventore della classifi­ cazione: l’uomo si distin­ gue dagli altri animali perché è sapiens, intelligente. Qualcuno aveva proposto di chiamarlo faber (costruttore) o ludens (che gioca), ma tutti si sono opposti. La vera barriera tra “noi” e “loro” (gli ani­ mali) è sempre stata l’intelligenza, una barriera ritenuta insuperabile. Con il progredire della scienza, e con l’affermarsi della teoria dell’e­ voluzione di Darwin, abbiamo do­ vuto riconoscere la nostra stretta parentela con il mondo animale: ne facciamo parte, anche se siamo dotati di un’intelligenza superiore. E, allora, perché non dare una mano ad altre specie, le più pro­ mettenti, per aumentare le loro capacità? In fondo, se tra noi e gli altri animali non ci sono differen­ ze troppo grandi, potremmo anche trovarle e cercare di eliminarle. f Scienziato peloso.Una scena del film L’alba del pianeta delle scimmie: il protagonista osserva le provette in cui è conservato il Dna per la terapia genica cui è stato sottoposto. Il film è il prequel del famoso film del 1968 Il pianeta delle scimmie, di Franklin Schaffner. 2 Focus 228 — Ottobre 2011 Candidati. I soggetti più adatti sa­ rebbero gli animali a noi più vici­ ni, come lo scimpanzé. Il suo Dna differisce da quello umano solo per l’1,3% e dal punto di vista anato­ mico non siamo poi così diversi. Un’altra possibilità sono i cetacei, magari i delfini (più “manegge­ voli” delle balene); molti anni di ricerca hanno stabilito che la loro intelligenza non è troppo inferiore a quella degli scimpanzé, anche se nell’ambiente acquatico è più dif­ ficile evidenziarne il livello. Alcuni propongono addirittura alcuni uc­ celli che, molto lontani dallo ste­ Giorgio Vallortigara Docente di neuroscienze al Centre for Mind/Brain Sciences (CIMeC) dell’Università di Trento. d Topo intelligente. Un topo “Doogie”, di un ceppo reso più intelligente grazie all’uso di un gene. reotipo del “cervello da gallina”, si sono dimostrati capaci di risolvere problemi complessi, come costrui­ re strumenti e usarli per pescare il cibo (v. riquadro a pag. XXX). Po­ tremmo però anche partire da spe­ cie meno dotate, come il topo da laboratorio o il cane, considerata la facilità con cui riusciamo a mo­ dificarle. Insomma, con le specie ci potremmo sbizzarrire. Ci pensa l’evoluzione. E i mezzi per aumentare l’intelligenza? An­ che qui, abbiamo solo l’imbarazzo della scelta: potremmo lasciar fare alla natura. In fondo, un tentativo (quello della nostra specie) è an­ dato a buon fine: ma, come dice il filosofo Telmo Pievani, autore del libro La vita inaspettata (che tratta dell’imprevedibilità dell’e­ voluzione), «la nascita della nostra specie è il risultato contingente e aleatorio della selezione natura­ le (insieme ad altri processi)». A meno di avere moltissimo tempo a disposizione, quindi, il percorso J Focus 228 — Ottobre 2011 3 Sapere Natura a Minuscoli robot? Il comportamento degli insetti sociali è sempre stato considerato istintivo e automatico, senza grosse differenze tra gli individui. Nuovi studi hanno chiarito che ci sono diversità tra i singoli animali: anche nei formicai ci sono gli Einstein. Si pensava che solo l’uomo costruisse strumenti: ora ci sono scimpanzé e corvi Uomini e topi La fantascienza ha spesso utilizzato il tema dell’aumento dell’intelligenza negli animali per romanzi e racconti. Il più noto è senz’altro Fiori per Algernon, scritto nel 1959 da Daniel Keyes e trasformato in romanzo nel 1966. Geni in provetta. La vicenda è il diario delle vite parallele di un inserviente con un QI di 68 e di un topo da laboratorio (Algernon). Sottoposti a un’operazione per accrescere l’intelligenza, entrambi vedono salire in maniera esponenziale le proprie capacità intellettive fino a diventare geni (ognuno nel proprio mondo). La vicenda, dal finale drammatico, è una riflessione molto moderna sui confini etici che la scienza può (o deve) porre al proprio intervento. 4 Focus 228 — Ottobre 2011 J verso l’uomo e la sua intelligen­ za è difficile da riprodurre, anche perché ogni minimo cambiamento delle condizioni ambientali ed evo­ lutive iniziali potrebbe portare a tutt’altra specie, magari con carat­ teristiche totalmente diverse dalle nostre. Ripetere la stessa strada è probabilmente impossibile. Svolta in cucina. Possiamo però ipotizzare che alcuni processi siano stati importanti punti di snodo: il paleoantropologo Richard Wrang­ ham, per esempio, nel suo libro Catching Fire: How Cooking Made Us Human, afferma che quello che ci ha reso diversi dagli altri animali è stata la cottura del cibo, che ha messo a disposizione del nostro cervello energia facile da usare, e ci ha permesso di fare il “grande salto in avanti” verso l’intelligenza. Con l’evoluzione non siamo però sicuri di ottenere il risultato che vogliamo anche perché, come dice il neuro­ scienziato Giorgio Vallortigara, «la “moneta sonante” della selezione naturale è la riproduzione, e non è detto che una grande intelligenza implichi maggior successo ripro­ Parole chiave per archiviare •Intelligenza •Dna •Genetica •Animali •Sviluppo d Un fiocco di geni. L’estrazione del Dna in un laboratorio. Per trasformare una specie è necessario conoscere la sequenza del Dna. duttivo. Il pianeta oggi è abitato da un gran numero di insetti, molti dei quali hanno capacità cognitive modeste». Una recentissima ricerca ha però dimostrato come non tutte le for­ miche siano “stupide”: in un nido alcune operaie sono più astute e hanno più personalità delle altre. Pensare di enfatizzare le loro ca­ pacità potrebbe essere un mezzo per avere un formicaio di insetti Einstein: che purtroppo, secondo il grande entomologo Edward Wil­ son, sarebbe anche un pericoloso focolaio di violenza. J Sapere Natura J Giocare col Dna. E se intervenis­ simo direttamente sul patrimonio genetico degli animali, per farli na­ scere già più intelligenti? Per riu­ scirci, la prima cosa da fare sarebbe scoprire quali siano le famose dif­ ferenze: i geni che noi abbiamo e di cui gli scimpanzé, per esempio, sono privi, o hanno in forma di­ versa. Per esempio, ce n’è uno de­ nominato FOXP2, che sembra sia coinvolto nel linguaggio. Oppure c’è il gene HAR1F, che, come spie­ ga Vallortigara, «si sospetta abbia avuto un ruolo nello sviluppo del cervello, anche se nessuno sa che cosa faccia esattamente. E c’è un terzo gene che codifica una pro­ teina della famiglia delle trombo­ spondine, legata in qualche modo alla formazione delle sinapsi», i punti di trasmissione dei segnali da una cellula nervosa all’altra. Topo geniale. Forse, accrescendo l’efficienza di trasmissione del se­ gnale, si aumenterebbe la velocità di elaborazione dei pensieri e di conseguenza anche l’intelligenza. Un esperimento con un gene di questo tipo è stato fatto: nel 1999 i topi chiamati ­Doogie sono sta­ ti “ingegnerizzati” in modo che il gene del recettore di un trasmet­ titore cerebrale, il glutammato, funzionasse più a lungo. Risultato? I topi “trattati” hanno surclassato i loro compagni in tutti i test cogni­ tivi. Con i geni, però, non esistono strade semplici. «C’è infatti il pro­ blema della “regolazione genica”, che vale per tutti i tratti connessi all’intelligenza» dice Pievani. «Il FOXP2, per esempio, ha svariate funzioni ed è coinvolto in miriadi di regolazioni. Se lo si modificasse con l’obiettivo di potenziare l’in­ telligenza, ci si potrebbe ritrovare con una brutta sorpresa da tutt’al­ tra parte!». Per esempio nel carat­ tere, o nella forma del corpo. Trapianto di neuroni. Una strada completamente diversa potrebbe essere un intervento diretto sul cervello, come quello raccontato nel romanzo fantascientifico Fiori per Algernon (v. pag. precedente). Alcuni anatomisti hanno infatti osservato con attenzione le cellule 6 Focus 228 — Ottobre 2011 h Strumenti subacquei. Un delfino usa una spugna come un attrezzo per difendersi da prede difficili e proteggersi esplorando i fondali. È il primo caso dell’uso di uno strumento in un animale marino. Sono molti i geni connessi allo sviluppo dell’intelligenza Il libro Telmo Pievani La vita inaspettata, Raffaello Cortina Editore del cervello, e hanno scoperto che tra noi e le grandi scimmie, oltre alle differenze di dimensioni, ci sono anche diversità nei tipi. Per esempio, in una zona del cervel­ lo umano che regola le emozioni e le decisioni (la corteccia cingolata anteriore) ci sono molte più cellule di un tipo particolare, i neuroni di von Economo, di quante ne abbia­ no gli scimpanzé e i gorilla; fra l’al­ tro, questi neuroni sono presenti anche nel cervello di altri animali considerati intelligenti, come ele­ fanti e delfini. «Si pensa quindi che abbiano a che fare con le forme più raffinate del comportamento so­ ciale» dice Vallortigara. Anche se fosse vero, però, non sarebbe certo possibile aumentarne la quantità per via chirurgica. Il virus della saggezza. Torniamo dunque alla via genetica e ammet­ tiamo di aver trovato i geni dell’in­ telligenza... Come introdurli o farli crescere nelle specie scelte? Nel film L’alba del pianeta delle scimmie, nelle sale dal 23 settembre, si ipotizza un metodo nient’affatto fantascientifico: l’uso di virus per inserire frammenti di Dna nelle cellule di uno scimpanzé neona­ to. Che nella crescita è sempre J Questi corvi sono dei veri geni Provengono dalla lontana Nuova Caledonia, nel Pacifico, e sono considerati geni tra gli uccelli. Sono i corvi della Nuova Caledonia (Corvus moneduloides), del laboratorio di Oxford, in Gran Bretagna. Strumenti. Una femmina particolarmente brillante, di nome Betty, ha dimostrato di essere in grado di costruire strumenti. Ecco come: 1) Dopo aver piegato un filo di ferro diritto, 2) lo infila in un cilindro e aggancia il peso che copre il cibo. 3) Solleva il peso e infine 4) raggiunge il cibo nascosto. 1 2 3 4 c Titolo didascalia. 273 Agna alit inim ing esed magniam, commoditas min exero odo odiatue tem num zzrit vullan veliquatie min vel ute tie tio zod. Sapere Natura a Titani al lavoro. Elefanti asiatici spostano alcuni tronchi. Messi di fronte a un problema risolvibile solo in gruppo, gli elefanti aspettano che arrivi l’aiuto. Per i ricercatori, questo comportamento è segno di elevata intelligenza sociale. Si potrebbe far diventare più intelligenti i polpi: purtroppo vivono un solo anno Il nostro cervello è al suo massimo? Milioni di anni di evoluzione hanno portato al cervello più complesso di tutto il mondo animale: quello dell’Homo sapiens. Ma, anziché aumentare le capacità intellettive degli animali, non sarebbe possibile cercare di migliorare le nostre? Neuroni. Secondo gli studiosi, la risposta è no. Il cervello umano infatti è già il frutto di molti “compromessi evolutivi”, tra il numero e le dimensioni dei neuroni (le cellule cerebrali), il consumo di energia e la velocità di trasmissione degli impulsi. Se diventasse più grande userebbe troppe risorse del corpo e, soprattutto, i segnali nervosi ci metterebbero troppo tempo per passare da una parte all’altra. Ci vorrebbe forse un’invenzione improvvisa per rivoluzionare il nostro cervello. Ma la natura non funziona così. 8 Focus 228 — Ottobre 2011 J più simile a un essere umano, nell’intelligenza e nelle emozioni. Ed è proprio sulla crescita che Val­ lortigara suggerisce di interveni­ re, per avere animali più brillanti: «Modificare i geni uno per uno sembra arduo. Si potrebbe cercare invece di ridurre i comportamenti aggressivi a favore di quelli coo­ perativi. Il modo più semplice per farlo potrebbe essere favorire gli individui i cui cervelli si sviluppa­ no relativamente in ritardo rispet­ to al resto del corpo». Perché? Per­ ché in questo modo si rimane più “giovani” e amichevoli. E come, e soprattutto dove, agire? «Forse basterebbe modificare sol­ tanto pochi geni regolatori dello sviluppo; anche se non possiamo ancora dire quali siano quelli che ci interessano…». Un esperimento simile pare però che la natura l’abbia già compiuto: nei bonobo (Pan paniscus), i co­ siddetti scimpanzé pigmei. Rispet­ to ai loro parenti più grossi hanno un aspetto più infantile e sono an­ che molto meno aggressivi. Telmo Pievani Docente di filosofia della scienza all’Università di Milano Bicocca. 3,5 volte l’aumento del cervello in 2 milioni di anni, da H. habilis a H. sapiens. Corvi asimmetrici. Da qualche anno, tra gli Einstein del mondo animale è doveroso considerare anche alcuni uccelli, come il corvo della Nuova Caledonia (v. riquadro a pag. XXX), una specie che si è dimostrata in grado di usare stru­ menti per procurarsi il cibo e addi­ rittura di “costruirli”. È probabile che in queste specie, come è stato documentato nei pappagalli, ci sia una differen­ za tra parte sinistra e parte destra del cervello. E questa differenza tra emisferi sarebbe il loro segre­ to. «Sembra infatti che il grado di asimmetria abbia un rapporto con le capacità cognitive. Per cui, in teo­ria, potremmo rendere una specie più “intelligente” modifi­ candone (per via genetica o am­ bientale) il grado di asimmetria cerebrale» conclude Vallortigara. Così da avere uccelli che, oltre al po­ tere del volo, avrebbero un’intelli­ genza in grado di rivaleggiare con la nostra: un rischio troppo alto? e Marco Ferrari