Il Teatro lingua Morta: documento di sintesi a Maggio

Associazione Studio Novecento
ALLA RICERCA DI UNA NUOVA LINGUA TEATRALE
RIFLESSIONI GENERALI
Quelle che seguono sono alcune pagine di sintesi di un lavoro che comincia nell’ottobre
del 2008 con la Giornata Internazionale di Studio “Il teatro Lingua Morta?” e prosegue con
una ricerca prima teorica e poi sulla scena finalizzata all’invenzione di una nuova “lingua
teatrale”. Da settembre 2009 Studionovecento lavora su “Sei Personaggi In Cerca
D’Autore” di Pirandello come prima tappa di questo viaggio in un territorio inesplorato
che rimettendo in discussione lo statuto del testo lo statuto dello spettatore e lo statuto
dell’attore cerca un teatro che smetta di parlare “latino” e trovi una lingua adeguata al
nuovo momento storico e al “tempo di internet”.
Non stiamo inventando niente: stiamo semplicemente ricombinando gli elementi del
teatro del Grande Attore del Teatro di Regia e del Teatro di Ricerca in una sintesi diversa.
RIFLESSIONI PRELIMINARI: 1. IL TEATRO LINGUA MORTA
 Oggi i teatri sono sempre più vuoti (a parte il musical).
Perché il teatro è una lingua morta.
La gente non ha più la grammatica il vocabolario la sintassi per capire il teatro.
Noi teatranti così siamo diventati un club di latinisti: non è che non abbiamo più niente da
dire. Continuiamo ad avere cose interessanti ma parliamo in latino (o in latinorum).
La gente là fuori parla in volgare.
Inoltre oggi c'è più gente che vuole fare teatro di quanta non voglia vedere teatro (gli stessi
utenti dei corsi stage laboratori a teatro non ci vanno).
E' tempo di cercare un'altra lingua teatrale che parli all'oggi.
Alcuni anni fa Valerio Festi e Monica Maimone si sono accorti -con dieci anni
d'anticipo!- che non c'era più un pubblico per il teatro e sono usciti dal teatro per andarsi a
cercare
un
pubblico.
Così è nato il loro teatro festivo.
Forse anche questo teatro festivo sta cominciando a mostrare la corda e forse sta arrivando
ai suoi limiti e in qualche modo sta cominciando ad esaurirsi.
Noi oggi cerchiamo di fare il contrario: cerchiamo di riportare il pubblico a teatro.
Non ci aspettiamo un pubblico televisivo e nemmeno la maggioranza della popolazione
ma cerchiamo di recuperare quella fascia abbastanza colta abbastanza benestante che però
a teatro non ci va più perché non sopporta più di morire di noia e se gli parli di un
classico si sente male.
Che colpa abbiamo noi teatranti in questo atteggiamento?

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Forse dovremmo chiedercelo dopo trent'anni di ricerche artistiche d'avanguardia anche
interessanti e a tratti importanti ma spesso autoreferenziali e condotte in nome del
principio “è arte solo se non si capisce niente”.
 Non vogliamo però essere provocatori. La provocazione ha una storia -a
teatro- e un senso.
Quando il Living negli anni '60 fa Antigone e sono tutti nudi in scena e come se non
bastasse belle ragazze nude si siedono in braccio ai buoni borghesi lo scandalo è reale
rompe con convenzioni perbenismi di facciata sepolcri imbiancati e l'imbarazzo che crea in
bilico tra lo svelamento di desideri tenuti rigorosamente segreti e l'inadeguatezza a
rapportarsi a una situazione così trasgressiva; o quando la Fura dels Baus nei primi
spettacoli fa piombare acqua attori ed altro addosso agli spettatori attoniti davvero in tutto
questo c'è un gesto fondamentalmente rivoluzionario che dà senso perché svela il nascosto
il non detto l'occultato ad arte.
Oggi però dopo trent'anni la trasgressione non è più scandalo la provocazione non
provoca più: è diventata la rappresentazione di se stessa -per cui signore impellicciate si
danno di gomito ridacchiando sottovoce davanti alle (finte) esibizioni sessuali live di uno
degli ultimi spettacoli appunto della Fura.
Siamo abituati a tutto rotti a tutto immersi nella volgarità -che non è provocazione e
nemmeno liberazione!- incapaci di scandalo vero.
Forse oggi l'unico vero scandalo è la poesia (già la Szymborska sbeffeggia la pornografia
“in fondo ingenua” e suggerisce che la vera pornografia è il piacere di pensare).
Allora noi non vogliamo sbeffeggiare o provocare nessuno.
Il nostro intento è piuttosto dire al pubblico: siamo qui come voi inadeguati come voi ad
affrontare un classico incapaci come voi di leggerlo in colpa come voi perché ci annoiamo
mortalmente davanti a qualsiasi classico e pensiamo che sono tutti come la corazzata
Potiomkin di Fantozzesca memoria.
Insomma non siamo nemmeno artisti sacerdoti che celebrano un rito intellettuale per il
popolo degli iniziati o dei non iniziati o intellettuali che hanno il verbo e lo comunicano
dall'alto ai non ammessi a questa cerchia di sapere -e di solito finiscono col parlare solo ad
altri teatranti.
Niente di tutto questo.
Diciamo al pubblico: proviamo ad affrontare insieme questo monumento che ci spaventa e
ci attrae insieme e vediamo cosa ha da dire a noi. Aiutateci voi spettatori a scandagliare i
meandri dell'opera senza pretendere di arrivare a dire cose definitive e forse neppure
esatte ma autentiche sì. Autentiche nella misura in cui facciamo emergere quello che quel
testo dice a noi.
Ma se è vero quello che scrive Calvino “un classico è tale perché non ha mai finito di dire ciò che
ha da dire” l'interpretazione che di volta in volta ne emergerà benché rozza non raffinata
primaria sarà autentica e in quanto tale avrà valore. Per noi stessi innanzitutto.
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Perché crediamo davvero che la cultura sia importante per la vita. Ma non in modo
astratto. Ma perché diventa uno strumento per interpretare quello che a noi succede nella
nostra quotidianità.
Anche in questo senso quindi rimettiamo in questione lo statuto del pubblico.
In questi tempi così difficili questi tempi in cui il materialismo forsennato del
capitalismo selvaggio e trionfante promette felicità a tutti e realizza la più totale infelicità
l'infelicità dell'eterna insoddisfazione noi sentiamo il bisogno di una nuova rivoluzione.
Una rivoluzione che non è per tutti anzi è per una minoranza.
Ma una minoranza che esiste e vuole reagire alla tristezza dei tempi alla massificazione del
consumismo all'omologazione forzata ai reality allo sciocchezzaio dei dibattiti TV per
trovare un suo spazio uno spazio elitario -sì elitario- dove sentirsi a casa sentirsi diversa e
migliore dove sentire che l'intelligenza serve a qualcosa e il piacere dell'intelligenza è
un'emozione nuova che avevamo dimenticato.
Una minoranza che non ha più voglia di sentirsi rimbecillita come la vorrebbero i padroni
del mondo.

RIFLESSIONI PRELIMINARI: 2. IL TEATRO AL TEMPO DI INTERNET
Nella nostra ricerca sui Sei Personaggi e su una nuova forma teatrale dobbiamo
probabilmente prendere in considerazione che il tempo in cui stiamo vivendo è il tempo di
internet.
Quali sono le caratteristiche di internet?
La creazione di una realtà virtuale -con uno spazio virtuale e un tempo virtuale.
(In fondo il teatro ha sempre creato una realtà virtuale ma non l'abbiamo mai chiamata
così. Ma se le caratteristiche della realtà virtuale sono -p.es.- che i morti alla fine si
rialzano o che compaiono -in scena è il caso di dire- elementi che nella realtà normale non
sono presenti (se non per chi ci crede -forse) -p.es. quelli soprannaturali- non c'è chi non
veda come quella del teatro sia e sia sempre stata una realtà virtuale ante litteram. La
differenza è probabilmente da cercarsi nella possibilità che internet ha è il teatro no di
mostrare una realtà “più vera del vero”).
Una seconda caratteristica è la velocità. Tutto su internet è in tempo reale.
Quindi la velocità che ha tra le sue conseguenze la riduzione o annullamento dei tempi di
sviluppo di un pensiero che non sia superficiale primario im-mediato. Caratteristica che
fa a pugni coi tempi del teatro. Ma che forse offre delle possibilità impreviste.
Una terza caratteristica è l'interattività. On-line si ha la sensazione -e qualche volta
davvero è così- di non essere semplici spettatori ma di partecipare in prima persona
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all'evento -e per di più restandosene al sicuro nella propria stanza (sicurezza per altro
ingannevole che ogni tanto tradisce ma questo qui non ci interessa).
E' la stessa condizione dello spettatore televisivo -senza interattività però (o con quella
limitatissima del telecomando e dello zapping)- e in fondo anche dello spettatore teatrale
tradizionale: si assiste a catastrofi dal sicuro della propria poltrona. In più internet però
offre la sensazione di essere “dentro” l'evento -e appunto senza subirne le conseguenze (si
pensi per esempio a tutti i video-giochi).
Quarta caratteristica la collaboratività. Internet è per definizione il luogo delle reti che
sono reti di informazioni di conoscenze ma anche e forse soprattutto reti di scambio commerciale (e qui non ci interessa) comunicazionale (due utenti in una chat o anche solo
due che si scambiano mail collaborano alla comunicazione [che già di suo e per
definizione è un gesto collaborativo] e addirittura di sviluppo del mezzo stesso [Linux è
l'esempio principe di una comunità che ha contribuito a svilupparlo]).
Tutto questo come può agire su un nuovo modo di intendere il teatro?
Ci pare ingenuo portare gli schermi sul palco o scimmiottare alcune caratteristiche di
internet teatralizzandole (un po 'come a suo tempo certi esperimenti di uso del laser a
teatro che dopo alcune prove più curiose che artisticamente compiute sono finiti lì).
Ci pare piuttosto interessante cercare di capire come alcune almeno di quelle
caratteristiche possano essere rilette e rivissute all'interno del mezzo teatrale e della sua
specificità.
L'interattività e la collaboratività aprono orizzonti imprevedibili per una nuova forma
teatrale. Se usciamo dalla relazione attore/spettatore tradizionale -l'attore sul palco si
esibisce o officia un rito e lo spettatore guarda o talvolta subisce- possiamo forse
immaginare una modalità più adeguata al nostro tempo in cui l'emozione (e “il teatro è
emozione” scrive molto tempo fa Claudio Meldolesi. Ma anche “oggi l'obiettivo di tutti è il
consumo di emozioni” dice Baumann in “Società sotto assedio”) è creata dal coinvolgimento
più che dall'osservazione.
Sono già stati fatti un certo numero di tentativi in questo senso -dal coinvolgimento dello
spettatore del Living Theater alla messa a rischio dello stesso della Fura dels Baus dal
teatro di strada al teatro nei locali pubblici dalla ricerca della relazione uno a uno di certi
spettacoli-confessione agli esperimenti in cui uno spettatore viene trasformato in
protagonista fino all'animazione teatrale (e a quella da villaggio turistico con quanto di
deteriore porta con sé). Da tutti questi tentativi c'è parecchio da imparare. Come c'è da
imparare da forme di teatro in qualche modo parateatrali come le “cene con delitto” dove
l'alternanza di testo scritto e improvvisazione sul tema richiama la commedia dell'arte e
nello stesso tempo la supera perché prevede un intervento strutturato e finalizzato del
pubblico.
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Quest'ultima sperimentazione ci pare offra indicazioni di metodo per una forma teatrale
che sia generalizzabile e quindi applicabile a ogni testo -sia originale che dato classici
compresi- e superi i limiti evidenti dell'animazione o della provocazione.
Crediamo quindi si possa immaginare una forma di teatro che fa della interattività e
della collaboratività le sue caratteristiche a patto di offrire al pubblico una struttura
definita e semplice e uno scopo esplicito.
In questo modo le due caratteristiche di internet di cui sopra entrano nel lavoro teatrale
portando con sé conseguenze profondamente innovative. Per esempio spettatori e attori
vengono a trovarsi “dalla stessa parte” rispetto al testo e lo affrontano assieme. Lo
spettatore in qualche modo contribuisce al “farsi” dello spettacolo in quella certa sera -che
così diventa ancor più unica e irripetibile di quanto già non siano le arti dello spettacolo
dal vivo- attraverso le sue domande al singolo personaggio o la richiesta di vedere certe
piuttosto che certe altre scene non previste dall'autore etc.
Interattività quindi “io partecipo” con le mie domande non sono semplice spettatore ”colui che guarda”.
Ma anche collaboratività “contribuisco alla costruzione della relazione col testo” e
quindi all'esplorazione dei suoi significati.
(Non c'è chi non veda come qui si aprano questioni ermeneutiche di estremo interesse a
cominciare da quella semplice per cui ci sarà un'interpretazione condivisa dal pubblico e
interpretazioni personali dei singoli spettatori che forse vedranno comparire sotto i loro
occhi loro “verità” private collegate ai loro vissuti).
A proposito della velocità infine viene quasi da pensare che forse il teatro che non può
competere in velocità con internet potrebbe fare proprio della sua lentezza un'arma
potente. Abbiamo tutti bisogno di momenti di respiro di oasi in cui fermarci un attimo e il
teatro può forse offrirle come un regalo o addirittura un lusso! E' un regalo che lo
spettatore si fa acquistando il biglietto e entrando nella sala. Una vacanza quasi che dura
lo spazio di uno spettacolo -due ore. Ma davvero è un lusso -quasi una crociera in
sedicesimo. (Ma allora lo spettatore dev'essere messo in situazione confortevole non deve
essere maltrattato provocato vessato e i luogo stesso dev'essere un luogo accogliente).
Da un punto di vista strettamente teatrale poi la lentezza spesso è in grado di contribuire
alla creazione di momenti di grande emozione. Ma sta all'abilità degli artisti creare questi
momenti di magia.
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ELEMENTI CARATTERIZZANTI LA RICERCA
1. LO STATUTO DEL PUBBLICO
Questo credo sia il nocciolo centrale: dobbiamo rimettere in questione lo statuto del
pubblico.
L'attore è stato nell'ultimo secolo divo mattatore poi sacerdote martire (Grotowski)
materiale umano (Brook) persino interprete... Comunque tramite medium -spesso nelle
mani di un demiurgo (fosse Strelher o Kantor)- e tanto più nel teatro di ricerca dove ha
cercato spesso di circondarsi di un'aura sacrale (sempre insieme al
regista/demiurgo/creatore). Era colui che parlava agli iniziati o colui che dava ai non
iniziati accesso a vertici di conoscenza. Per altro tutto questo è volte è stato anche vero!
Ma altre volte è stata solo una recita.
Per altro c'è stato anche un momento in cui alcuni critici anche molto intelligenti e
preparati hanno teorizzato il fatto che l’attore sul palco lavorava per sé e non per il
pubblico e che se il pubblico non veniva era meglio e se c'erano tre spettatori che
guardavano come vojeur dal buco della serratura era meglio...
Insomma il principio di comunicazione veniva coscientemente disatteso.
Tutto questo ha portato tra l'altro a bruciare un'intera generazione di pubblico: finito un
certo tipo di clima culturale e anche di pressione culturale con l'epoca del riflusso e la
grande trasformazione sociale del fine millennio tutti quelli che a teatro -e a “quel teatro”andavano per ”dovere morale o culturale o politico” hanno semplicemente smesso
d'andarci.
Quindi noi vogliamo provare a dire al pubblico: proviamo ad affrontare insieme un testo
un tema un’idea e vediamo cosa ha da dire a noi. Aiutateci voi spettatori a scandagliare i
meandri di un’opera senza pretendere di arrivare a dire cose definitive e forse neppure
esatte ma autentiche sì. Autentiche nella misura in cui facciamo emergere quello che quel
testo dice a noi.
L'interpretazione che di volta in volta ne emergerà benché rozza non raffinata primaria
sarà autentica e in quanto tale avrà valore. Per noi stessi innanzitutto.
Perché crediamo davvero che la cultura sia importante per la vita. Ma non in modo
astratto. Ma perché diventa uno strumento per interpretare quello che a noi succede in
miniatura nella nostra quotidianità.
In questo senso quindi crediamo che il nuovo teatro debba mettere in questione lo statuto
del pubblico.
Il pubblico non è più solo spettatore non è più solo terminus ad quem ma entra nello
spettacolo come collaboratore dello stesso.
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Niente a che vedere con l'animazione e gli spettatori trascinati sul palco a fare gli attori.
Niente a che vedere nemmeno con i pur interessanti esperimenti di “serate di delirio
organizzato”.
Una concezione radicalmente altra di teatro.
Insomma quello che stiamo cercando è una forma di teatro collaborativo un teatro cioè in
cui attori e spettatori dalla stessa parte rispetto al testo collaborino ad affrontarlo.
2. LO STATUTO DEL TESTO
Insisto inoltre a pensare che i classici siano importanti!
E penso che lo siano nel senso che ci possono aiutare a capire la nostra stessa vita le stesse
cose che a noi -in sedicesimo- succedono: tutti ci siamo innamorati come Romeo e
Giulietta; tutti abbiamo avuto voglia di giustizia assoluta come Antigone e come lei odiato
i tiranni (magari solo in famiglia); tutti abbiamo pensato “era destino” come Edipo; tutti
abbiamo avuto brama di potere come Macbeth (magari solo in ufficio); o abbiamo pensato
di essere onnipotenti come Lear... Non c'è bisogno che prosegua.
E' chiaro che i classici dicono anche molto di più ma occorre ripartire da una sorta
d'immediatezza: la cultura come strumento. Strumento per interpretare il mondo. Ma
uno strumento deve essere maneggevole. Un martello senza manico non serve per
picchiare chiodi nel muro.
(Insomma si tratta pur sempre di archetipi: quelli che agiscono esplicitamente nelle grandi
storie e implicitamente e abbassati di grado nelle nostre vite).
Oggi poi molti che se gli parli di un classico piuttosto ti pagano pur di non venire. Troppe
volte sono morti di noia! Ma è possibile che ci si debba per forza annoiare?
Possibile che è cultura solo se è noiosa? Sennò e “giornalismo” “divulgazione” -che chissà
perché poi in Italia è ritenuta una parolaccia.
Possibile che debba decidere cosa ha valore culturale solo chi “ha pallidi sorrisi solo quando
si parla di strutturalismo”? Con la conseguenza che ormai a tutto si affibbia la definizione
cultura -cultura del cibo del vino del dormire del turismo ... e chi più ne ha più ne metta
così non si capisce più niente.
E con l'altra conseguenza che decide il valore di qualcosa la volgarità del mercato della
moda e dei padroni del vapore!
E allora vorrei riportare la gente ai classici. E i classici alla gente.
Credo che per farlo sia tempo di dichiarare che anche noi davanti ai classici siamo
disorientati esattamente come gli spettatori normali anche noi abbiamo l'impressione di
non capirci niente e anche noi non abbiamo un'interpretazione già fatta.
Vogliamo cercarla insieme noi e il pubblico questa interpretazione.
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Collaborare a capire cosa ci dice quel classico ma non
lezione/discussione/conferenza ma trasformando la ricerca in spettacolo.
facendo
una
Diciamo al pubblico: proviamo ad affrontare insieme questo monumento che ci
spaventa e ci attrae insieme e vediamo cosa ha da dire a noi. Aiutateci voi spettatori a
esplorare il territorio sconosciuto dell'opera senza pretendere di dire cose definitive e
nemmeno profonde e forse neppure esatte ma autentiche sì. Autentiche nella misura in
cui facciamo emergere quello che quel testo dice a noi. (Come si diceva sopra).
E speriamo che la lettura che ne emergerà possa riavvicinarci il testo –soprattutto se
classico.
3. LO STATUTO DELL’ATTORE
La cosa più interessante che è emersa in una tappa di lavoro sui Sei Personaggi è che oltre
a mettere in questione lo statuto del testo e quello del pubblico dobbiamo mettere in
questione anche lo statuto dell’attore.
La conseguenza palese è che bisognerà in prospettiva inventare una nuova recitazione e
un nuovo modo di formare gli attori.
L’attore si trova dalla stessa parte dello spettatore davanti a un testo che gli è estraneo non
capisce a cui è comunque impari.
Lo spettatore davanti a questa condizione tende a ritirarsi. L’attore invece è mosso dalla
consapevolezza che un testo classico è importante perché parla degli uomini di ogni
tempo e quindi anche di noi e ci aiuta a capire il nostro stesso “essere nel mondo” cioè in
fondo quello che ci succede mostrandocene in controluce l’archetipo o l’esempio assoluto e
permettendoci così se lo vogliamo di riflettere su noi stessi –i nostri amori dissennati il
bisogno di giustizia i nostri desideri diabolici i nostri odi il nostro essere animali sociali (o
politici) etc.- e quindi ci può aiutare ad orizzontarci oggi in un mondo di cui non abbiamo
la bussola in cui non abbiamo punti di riferimento né tantomeno stelle a guidarci (e non è
vero come si diceva nei trionfali e falsi anni novanta che così è meglio –la modernità
liquida è già al capolinea).
Quindi l’attore sta dalla stessa parte dello spettatore rispetto al testo ma con una
differenza: l’esigenza di affrontare quel testo. (E’ una specie di eguaglianza nella
differenza dei ruoli).
Nei secoli l’attore è stato molte cose. Il Grande Attore ottocentesco esibiva se stesso e le
proprie capacità quasi stregonesche –basta leggere cosa scrive Stanilslaskij di Salvini che
tiene in pugno il Bolscioi pur recitando in italiano-; nel Novecento l’attore diventa un
medium portavoce del regista-creatore o del regista-demiurgo che offre la sua
interpretazione del testo la sua creazione –a volte contro il testo- o la sua sapienza allo
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spettatore attraverso il lavoro del suo attore; l’attore diventa anche un sacerdote di un
culto iniziatico che parla a iniziati o a volte dispensa il suo sapere esoterico a non-iniziati;
diventa persino un martire –Grotowski “l’attore è un martire che bruciando sul rogo dice
un’ultima verità”. (Naturalmente è anche un intrattenitore un imbonitore etc.).
Quello che noi stiamo proponendo è di togliere l’aura sacra all’attore togliere il carattere
di medium e togliere anche l’esibizione di sé per mettersi allo stesso livello dello
spettatore e provare a esplorare insieme il testo e i suoi significati almeno i più palesi
quelli che più facilmente posso interessare –e “servire”- un pubblico di non specialisti un
pubblico normale moderatamente colto sufficientemente curioso da affrontare anche un
testo classico a patto però di avere la garanzia di non annoiarsi o peggio di essere punito o
trattato da stupido.
Quindi ancora una volta ripetiamo: una forma di teatro collaborativo.
A che tipo di recitazione deve condurre quel tipo di statuto?
C’è forse una doppia funzione –in scena e nel pubblico?
Certamente anche quando sono nel pubblico i Recitati (usiamo questo termine perché
usare il termine Personaggi nel caso specifico dei Sei Personaggi in Cerca d’Autore
ingenera confusioni) devono essere vivi e non narrati.
Questo porta come prima conseguenza al superamento del Teatro di Narrazione che è
stato sempre la cifra di Studionovecento e al recupero della “sospensione dell’incredulità”.
I Recitanti (continuiamo a servirci di questi termini per evitare la confusione con gli Attori
di Pirandello) dunque incarnano i Recitati: in senso stanislavskiano? O invece mostrano il
personaggio recitato in modo da poterlo esaminare criticamente (Brecht)? Oppure ancora
è un “gioco” in cui gli spettatori accettano che i recitanti siano altro da sé ma siano qui ed
ora –ambiguità del ruolo del luogo e del tempo- e li guidino nei meandri di una storia che
è quella del testo e quindi insieme data e sconosciuta certamente spaventosa e
incomprensibile?
Quale recitazione quindi?
E’ curioso che Studionovecento che è sempre stato lontano dal teatro di tipo
stanislavskiano essenzialmente per incredulità e ha sempre cercato un teatro in cui i
Recitanti erano innanzitutto narratori di una storia avvenuta in precedenza -anche quando
erano personaggi- oggi si trovi a ripartire da Stanislavskij.
Ma ci pare che dal grande Maestro dobbiamo cercare di prendere più che il metodo le basi
di partenza e l’obiettivo finale: la “fame di vita” (Mirella Schino) che caratterizza lui e tutti
i suoi contemporanei; la necessità di una “verità” che nulla ha a che fare con il realismo;
una qualità di energia una intensità (per mutuare un termine dallo sport).
Non sappiamo ancora dove arriveremo e non sappiamo se saremo all’altezza ma
sappiamo che è uno dei temi su cui certamente ci è più necessario interrogarci.
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(Probabilmente l’identificazione Recitante/Recitato è più emozionante per lo spettatore
della formula per cui un narratore mostra un personaggio e lo diventa a vista.
Per altro in questa nuova forma di teatro collaborativo forse non serve quella
giustificazione dell’essere in scena che il Teatro di Narrazione garantiva.
Se negli ultimi trent’anni del Novecento la credibilità convenzionale dell’attore che “è” il
personaggio è stata messa in crisi -da ragioni sociali e artistiche- e quindi la strada del
Teatro di Narrazione in cui uno o più narratori si dichiarano in quanto tali e narrano la
storia diventando i personaggi sembrava una risposta possibile –e lo era certamenteaveva però il limite che evitando l’identificazione attore/personaggio evitava anche
l’identificazione spettatore/personaggio. Questo limite è anche una forza –Brecht “l’attore
deve mettere lo spettatore in grado di criticare il personaggio”- ma nel caso del teatro
collaborativo sembra sottrarre quella creazione di emozione che è necessaria perché
l’operazione funzioni –e che è uno degli scopi cercati oggi nella vita dalla gente (di nuovo
Baumann “Società sotto assedio” e il concetto di modernità liquida).
4. LO STATUTO DEL LUOGO E DEL TEMPO
Se le considerazioni di cui sopra sono vere per altro va messo in discussione anche lo
statuto del luogo. Cioè il teatro è un contenitore in cui le regole della vita non valgono più
e quindi è un mondo altro con proprie leggi. Però dentro questo mondo non c’è
“l’illusione scenica” più o meno naturalistica o più o meno astratta ma una relazione:
quella tra Personaggi Recitati e Spettatori (meglio il termine Spettatori che il termine
Pubblico).
Questo significa che per esempio possiamo forse usare oggetti in senso simbolico racconti
di didascalie –descrizioni- e non abbiamo bisogno che la storia sia consequenziale (anzi la
frammentarietà ne è una caratteristica…).
Da qui emerge forse un’indicazione per il lavoro dell’attore: è immerso nella parte (nel
Recitato) ma vive uomo tra gli uomini in una “contiguità” 1 tra scena e vita –che forse è
data proprio dal “luogo teatro”.
Cioè al teatro si estende lo statuto del palco se possiamo immaginarcelo come luogo dove
appaiono –anzi “da” dove “entrano” nel nostro mondo o nel nostro livello di realtà- le
Ombre –cioè quelle stesse di cui Pirandello ci dice che create hanno poi vita autonoma.2
Anche il tempo viene così messo in questione.
Non è infatti il tempo in cui è ambientata la storia ma piuttosto un tempo sospeso un
tempo-bolla dove coesistono tempi diversi (il presente degli spettatori e il tempo dei
1
2
il concetto di contiguità credo vada approfondito
Forse questa affermazione finirà coll’essere il viatico e il principio del nuovo teatro collaborativo.
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Recitati –e forse anche il tempo dei
Recitanti dei quali però forse sarà bene
provvisoriamente non occuparsi dandoli per assorbiti nei Recitati)
Siamo davvero dentro la macchina del tempo e Amleto o Antigone possono parlare con
gente del nostro tempo.
(Ma non sono il vero Amleto e la vera Antigone potremmo dirci. Però anche se non sono
l’Amleto reale o l’Antigone reali perché non sarebbero veri? Quello che conta non è forse
che diverse incarnazioni –e quindi interpretazioni- dello stesso personaggio generino
diverse riflessioni in noi che li vediamo –o addirittura li interroghiamo? E per altro
proprio Pirandello ci dice che noi stessi in fondo crediamo di essere ma non siamo o per lo
meno siamo una molteplicità –una moltitudine per dirla con Pessoa. Quindi perché non
potrebbero avere il diritto di essere pienamente Amleto o Antigone anche se interpretati
inevitabilmente in UN modo in quella particolare occasione?. Quindi allo spettatore è
offerta la possibilità di parlare con un possibile Amleto o una possibile Antigone. Che non
siano quelli reali non importa. Sono veri perché dati così in quel momento. Tema su cui
tornare –anche per le conseguenze sullo statuto dell’attore e la sua recitazione).
Il teatro è quindi tutto intero uno di quei luoghi dove universi paralleli e non
comunicanti si toccano.
Allora le Ombre possono entrare nel nostro livello di realtà da quello eterno e immutabile
dove vivono. (Il teatro è una convocazione di ombre).
Questa parte sullo statuto del luogo e del tempo è chiaramente solo un abbozzo che avrà
bisogno di ulteriori ricerche e riflessioni. La offriamo così al punto in cui siamo arrivati.
5. UNA NOTA A MARGINE: IL JAZZ
Appare sempre più chiaro che in questa nuova forma di teatro lo spettacolo è una
partitura di jazz –almeno nel senso in cui la intende Giorgio Gaslini.
Ci sono cioè pezzi scritti che conducono a pezzi improvvisati che riportano a pezzi scritti.
Le improvvisazioni devono essere strutturate: ma invece di usare la pittura –come Gaslininella parte improvvisata dobbiamo dare un tema forte e chiaro un cuore alcune note
suggestioni suggerimenti indicazioni di passaggi necessari che guidino gli attori.
Poi si torna a un altro pezzo di testo scritto.
E così via.
In questo senso forse c’è un recupero della Commedia dell’Arte e di alcune sue
caratteristiche.
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sede operativa: v. F. Tosi 10 Milano - sede legale: v. G. Verga 1 20037 Paderno Dugnano (MI)
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e-mail [email protected] sito www.studionovecento.com
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“IL SOGNO DEI SEI PERSONAGGI”
Questa scheda avrebbe dovuto concludersi con una scheda dello spettacolo e come tale
avrebbe dovuto presentarlo. Ma non solo di quello spettacolo esiste solo un progetto- ma
non sappiamo come sarà perché sarà ogni sera diverso a seconda dell’apporto del
pubblico.
Se quello che cerchiamo è un teatro “collaborativo” in cui il pubblico non è più solo “colui
che guarda” ma partecipa all’esplorazione del racconto inevitabilmente lo spettacolo sarà
diverso sera per sera.
Quella che vogliamo cercare una nuova “forma” teatrale -una nuova lingua- e che per
farlo abbiamo scelto di lavorare su “Sei personaggi in cerca d'autore” di Luigi Pirandello.
La sole cose che possiamo dire sono che:
1. abbiamo cercato di trasformare il testo filosofico e per certi versi anti-teatrale di
Pirandello in un testo di conflitti –che assumono veste filosofica ma sono profondamente
esistenziali (conflitto all’interno della famiglia dei Personaggi; conflitto all’interno della
Compagnia; conflitto tra Personaggi e Compagnia);
2. la struttura è divisa in momenti teatrali in senso classico e interruzioni in cui in maniera
strutturata il pubblico può partecipare: la prima è data dalle autobiografie di Personaggi e
Attori fatte in rapporto personale con un gruppo di spettatori; la seconda è data da un
tempo in cui gli spettatori possono interrogare “in privato” Personaggi e Attori; la terza
dalla richiesta da parte degli spettatori di vedere alcune scene non previste dall’autore;
l’ultima è data dalla formulazione di ipotesi da parte del pubblico sul perché l’Autore non
ha completato la storia dei Personaggi –cui fa seguito la scena conclusiva con la nostra
ipotesi messa in scena;
3. al pubblico è dato uno scopo che sebbene inessenziale alla vicenda serve a orientarne le
domande e la collaborazione.
L'obiettivo è quello di sperimentare la possibilità di creare un rapporto nuovo con lo
spettatore pur mettendo in scena un classico in modo da restituire al “classico” la sua
forza e allo spettatore il piacere di andare a teatro.
Abbiamo scelto i “Sei Personaggi” per cominciare perché la struttura aperta del testo
pirandelliano ci ha lasciato intravedere delle possibilità o sperare delle possibili direzioni
di ricerca. Cosa ne nascerà lo sapremo solo quando lo spettacolo andrà in scena.
marco m. pernich
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