Assillare per ottenere: relazione tra Nag

annuncio pubblicitario
Assillare per ottenere: relazione tra Nag-Factor e obesità infantile
Scritto da Laura Scerbo
L’obiettivo principale della comunicazione pubblicitaria, se non addirittura unico, è quello di
far conoscere un prodotto, di metterne in evidenza le caratteristiche fondamentali e la sua
validità in ordine alle funzioni che esso deve svolgere e ai bisogni e alle esigenze che intende
soddisfare. È importante rilevare che, di per sé, la pubblicità assolve a compiti di informazione
che possono risultare utili per scelte responsabili e per ampliare anche l’ambito di conoscenza
dell’utente. Quest’ultimo, bombardato di spot che chiaramente lasciano intuire che alla loro
base c’è l’interesse economico del produttore, alla reiterazione pervicace del loro messaggio,
può reagire secondo differenti modalità: rifiutando il messaggio pubblicitario, considerandolo
poco attendibile o addirittura falsamente illusorio, o aderendo al messaggio pubblicitario in
maniera istintiva, emotiva, attraverso l’accettazione acritica e passiva delle argomentazioni
contenute in esso. In tal senso il soggetto, infatti, viene influenzato più dagli elementi di
“contorno” al nucleo tematico veicolato dalla pubblicità (per esempio la fonte o i
testimonials
), che dall’oggetto della comunicazione; oppure disponendosi, in base ai suoi interessi e
bisogni, a valutarlo criticamente, giungendo ad una sua personale conclusione di accettazione o
di rifiuto delle indicazioni pubblicitarie, sottraendosi, così, alla prevaricazione della suggestione
pubblicitaria
[1]
. Ovviamente quest’ultima modalità di risposta richiede che il soggetto abbia maturato quella
capacità di comprensione e di elaborazione dei messaggi, solitamente presente nell’individuo
adulto, ma soprattutto in quello che mostra un adeguato bagaglio di conoscenze e una naturale
attitudine mentale alla formulazione di giudizi critici. C’è ancora da rilevare che, per gli obiettivi
economici del marketing, l’esigenza di ampliare sempre più l’utenza, impone di affinare le
tecniche di persuasione, di adattarle alle fasce di età, di accomodarle alle diverse configurazioni
psicologiche e motivazionali dell’utenza maschile e femminile, perseguendo inoltre una politica
pubblicitaria che determini nuovi bisogni e nuove esigenze.
Nasce da quest’ultimi l’assalto della pubblicità al mondo infantile, aperta alle novità che la
produzione, in vari settori, presenta, seguendo con molta attenzione l’evolversi degli interessi
dei più piccoli e tenendo conto delle dinamiche psicologiche che li sottendono.
Così facendo la pubblicità orienta i propri obiettivi allo scopo di determinare credenze e
convinzioni che si radichino formando stereotipi e formalismi; così l’azione persuasiva,
all’interno di questo specifico scenario, utilizzando i mass-media come veicolo e il linguaggio
filmico come
stru
mento
comunicativo, opera a livello emotivo piuttosto che razionale, favorendo attività di
partecipazione prelogico-sensoriale rispetto ad un’attività più “ordinata” legata a espressioni
intellettive di discriminazione e comprensione del messaggio.
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Questo ci fa comprendere quanto i bambini siano facilmente esposti agli effetti distorsivi che il
messaggio pubblicitario può contenere, proprio perché le loro caratteristiche mentali, nelle
prime fasi di sviluppo, rispondono più ad un’attività percettiva che rappresentativa o
logico-formale [2] .
Si comprende bene, quindi, come, a causa della forte suggestione che questi messaggi
provocano e delle continue ripetizioni e insistenze con cui essi vengono proposti, le opinioni
determinate o polarizzate dal linguaggio televisivo nei recettori più piccoli e inesperti, rischiano
di trasformarsi da contingenti e superficiali in permanenti e profonde [3] .
Infatti, uno dei principali meccanismi del bambino che contribuisce alla sua maturazione
intellettiva e alla costruzione di un suo “corredo” comportamentale e di condotta è proprio quello
dell’imitazione, un’importante funzione psicologica comunemente chiamata “scimmiottamento”;
ma è soprattutto attraverso le azioni ludiche che egli mette in atto molti atteggiamenti e
comportamenti provenienti dall’ambiente, soprattutto familiare, e dal sistema relazionale che
sperimenta.
Imitazione e attività ludica assumono pertanto un’importanza notevole nel processo di
formazione del bambino, orientandone scelte e preferenze, ma anche le fondamentali
dimensioni della personalità.
Si tenga presente, inoltre, che recenti ricerche su alcune modalità del funzionamento mentale,
hanno documentato, attraverso varie sperimentazioni, l’esistenza di neuroni, detti “neuroni
specchio” [4] , attraverso i quali viene spiegato come l’esecuzione di un determinato
movimento o la visione del movimento stesso, svolta da un altro soggetto, contribuisca ad
accendere in chi osserva, la rete neurale predisposta proprio per quel tipo di performance (sia
motoria che ludica). In questo caso, quindi, l’accensione e la configurazione di una specifica
rete neurale può essere attivata sia dall’azione che dalla semplice visione.
Le neuroscienze, così, hanno indirettamente fornito una spiegazione dei processi neurologici
che determinano le principali attività cognitive.
Anche i risultati delle scienze cognitive confermano, pertanto, il ruolo fondamentale dell’attività
motoria, dell’esperienza del fare (attività ludica), ma anche del veder fare, delle relazioni con gli
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altri, nella accensione e nella configurazione di specifici processi mentali che potremmo definire
il “primordiale” neurologico dei processi di apprendimento.
Da quanto abbiamo finora considerato, possiamo giungere ad una prima fondamentale
conclusione: l’eccessivo tempo che il bambino trascorre davanti alla televisione, gli effetti che la
pubblicità determina su di esso, l’inadeguatezza della funzione educativa dell’ambiente
familiare, cui si aggiunge quello della scuola, oltre agli effetti negativi immediati, può portare ad
una visione distorta della realtà, a forme di apprendimento e di comportamento che essendo la
risultante di una configurazione e modificazione psicofisiologica del suo cervello possono quindi
avere carattere permanente.
Le strategie che la pubblicità così adotta sfruttano una serie di elementi che hanno legami con
le abitudini infantili, facendo ricorso a cartoni, film e personaggi che richiamano gioco,
divertimento, magia e fantasia.
I fanciulli risultano infatti attratti dai personaggi che vi ritrovano, dalla vividezza dei colori,
dall’armonia dei suoni.
Non v’è alcun dubbio, infatti, che la pubblicità ha ottenuto, e ottiene sempre più, un
incremento notevole della vendita di prodotti per l’infanzia, con un effetto relativamente
secondario anche sui comportamenti dei genitori, sempre più disponibili ad accontentare le
richieste dei figli, sia che riguardino il settore dei giocattoli, che degli alimenti,
dell’abbigliamento, degli articoli per la scuola etc.
La pubblicità rivolta ai bambini, dal punto di vista degli acquisti, se da un lato trova la sua
efficienza nei limiti delle capacità dei piccoli consumatori di valutare, di elaborare i suoi
messaggi, men che mai di assumere un minimo di atteggiamento critico, dall’altro la
dipendenza economica, ma anche decisionale dai genitori non consente loro, com’è ovvio, di
dare concrete risposte positive alle sollecitazioni consumistiche della pubblicità. La suggestione
pubblicitaria certamente determina il desiderio di acquisto dei prodotti che vengono
sponsorizzati, ma il suo effetto risulterebbe inefficace se non riuscisse ad ottenere che le stesse
richieste da parte del bambino non si traducessero nell’accondiscendenza da parte dei genitori,
cioè nel loro cedere alle “pressanti” pretese dei figli.
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Da qui l’idea “perversa” degli esperti della pubblicità e del marketing: se la volontà di
acquisto di piccoli consumatori passa inevitabilmente dal consenso dei genitori, occorre quindi
agire su quest’ultimi per indurli ad acconsentire alle richieste dei figli.
Nasce così il nag-factor, ossia il “fattore assillo” [5] , una tecnica di marketing che ha
determinato l’allarme, giustificato, di quanti tra studiosi, ricercatori, educatori e genitori hanno
intravisto e spiegato la pericolosità di tale procedura persuasiva, o meglio di condizionamento
che, indirizzata specificatamente verso il consumo alimentare dei bambini, consolida
comportamenti che determinano quella grave patologia di emergenza planetaria: l’obesità
infantile. Una patologia che ha conseguenze sulla salute in generale, e che, peraltro, ha influssi
negativi anche sull’equilibrio psicologico del soggetto obeso.
Insieme alla pubblicità di giocattoli, infatti, quella alimentare rappresenta la percentuale
maggiore degli spot rivolti ai bambini. Dai dati Eurispes e Telefono Azzurro [6] risulta che circa
l’80% dei piccoli consumatori chiede ai propri genitori specifiche marche di alimenti e di
bevande, dato alquanto allarmante soprattutto se si considera che sette pubblicità su dieci
riguardano prodotti ad alto contenuto di grassi, zuccheri e sodio. La più ampia fetta di
investimenti pubblicitari risulta essere quella delle merendine; praticamente il doppio di quelle
dedicate a frutta, verdura, legumi freschi o surgelati.
Secondo una visione più ampia risulta che circa uno spot televisivo su quattro riguarda generi
alimentari e quelli rivolti ai bambini sono circa il 20٪ del totale degli spot tv in Italia [7] .
Tutti questi dati in termini di percentuali ci fanno meglio comprendere il perché si è osservato un
certo aumento dell’obesità tra i bambini in tutta Europa. Nel 2005 in tutto il mondo circa un
miliardo e 600 milioni di adulti si trovavano in una condizione di sovrappeso. Ben 400 milioni di
persone al di sopra dei 15 anni di età erano obesi. Le stime prodotte dall’OMS calcolano che,
se questa tendenza rimarrà stabile, nel 2015 si potranno contare almeno 2300 milioni di adulti
in sovrappeso e 700 milioni di obesi. Ma il dato più preoccupante riguarda i 20 milioni di bambini
al di sotto dei 5 anni di età che si trovano in sovrappeso.
Secondo le ultime stime (2007) che emergono dall’indagine Eurispes, nel nostro Paese il 4% di
bambini e adolescenti è obeso, mentre circa il 24% in sovrappeso [8] .
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Da quanto emerge, il meccanismo innescato dal nag-factor, ha potenziato l’influenza negativa
della pubblicità rivolta al mondo dell’infanzia, utilizzandola per ottenere un effetto fortemente
invasivo sui genitori che, inconsapevolmente, divengono essi stessi strumenti di una attività di
marketing che agisce su di loro, tramite il comportamento dei figli.
Il nag-factor, infatti, non è uno strumento pubblicitario, ma, in modo ancora socialmente più
pericoloso, una vera e propria tecnica di marketing, che consente di ottenere il successo dei
suoi obiettivi servendosi del bambino per determinare nei genitori l’adesione e i comportamenti
richiesti dalla pubblicità.
La constatazione della ormai consolidata presenza quotidiana dei mass-media, l’influenza che
essi esercitano sulla vita sociale in generale e sulla vita dei nostri bambini in particolare, e
l’aumento notevole e costante di patologie legate a cattive abitudini alimentari (obesità) e/o di
relazioni sociali (aggressività, bullismo), impongono alle istituzioni formative tutte una presa di
coscienza forte del problema, da affrontare in termini chiari e precisi.
Queste considerazioni, allora, devono portare a prendere coscienza che il messaggio
pubblicistico possiede una studiata strutturazione, finalizzata al raggiungimento dei propri
obiettivi che molto spesso si risolvono dietro scopi poco educativi e molto consumistici.
Note:
[1] Cavazza N., La persuasione, Il Mulino, Bologna, 2007
[2] Piaget J, Lo sviluppo mentale del bambino, Einaudi, Torino, 1967
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[3] Smeriglio L./ Paolone A.R. – Smeriglio F., Forme e strumenti della comunicazione
educativa
, Sapignoli, Torriana (FO), 1993
[4] Rizzolatti G. / Sinigaglia C., So quel che fai. Il cervello che agisce e i neuroni specchio,
Raffaello Cortina Editore, Milano, 2006
[5] Linn S., Il marketing all’assalto dell’infanzia, Orme Editore, Milano, 2005
[6] 8° Rapporto Nazionale sulla Condizione dell’Infanzia e dell’Adolescenza: dati Eurispes e
Telefono Azzurro. Scheda 16: bambini e adolescenti a tavola, pag. 28.
[7] http://www.ausl.mo.it/informo/sicura2005/pdf/obesita/De-masi-gervais.pdf
[8] 8° Rapporto Nazionale sulla Condizione dell’Infanzia e dell’Adolescenza: dati Eurispes e
Telefono Azzurro. Scheda 16: bambini e adolescenti a tavola, pag. 29.
Bibliografia
Brunch H., Patologia del comportamento alimentare. Obesità, anoressia mentale e personalità,
Ed. Feltrinelli, Milano, 2000.
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Catalfamo G. - Smeriglio L., Introduzione alla psicologia dell’età evolutiva, Ed. Angelo
Signorelli, Roma
Cavazza N., Comunicazione e persuasione, Ed. Il Mulino,Bologna,1997
Cavazza N., La persuasione, Ed. Il Mulino,Bologna,1996
CialdiniR. B., Le armi della persuasione, Ed. Giunti, Firenze
Fabris G., La pubblicità, teorie e prassi, Ed. Franco Angeli, Milano, 2002
Laeng M., Quando la pubblicità televisiva fa male ai bambini, Sacis, Roma, 1985;
Linn S., Il marketing all’assalto dell’infanzia, Orme, Milano, 2005
Oliverio Ferraris A, Grammatica televisiva: pro e contro la tv, Cortina, Milano, 1995
Oliverio Ferraris A, Tv per un figlio, Ed. Laterza, Bari, 1995
Piaget J., Lo sviluppo mentale del bambino, Ed. Einaudi, Torino, 1967
Popper K. R.– Condry J., Cattiva maestra la televisione, Reset, Milano, 1996
Puggelli F. R., Spot generation, i bambini e la pubblicità, Ed. Franco Angeli, 2002. Milano
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Rizzolatti G. – Sinigaglia C., So quel che fai. Il cervello che agisce e i neuroni specchio,
Raffaello Cortina Editore, Milano, 2006
Schor J. B, Nati per comprare, Apogeo, Milano, 2005
Smeriglio D., Didattica comunicazione tecnologie nei processi formativi, Ed. Samperi, Messina,
2004
Smeriglio D.- Smeriglio S.- Scerbo L., L’educazione speciale tra normative giuridiche e proposte
didattiche
, Ed. Samperi, Messina, 2007
Smeriglio L. - Paolone A. R. – Smeriglio F., Forme e strumenti della comunicazione educativa,
Ed. Sapignoli, Torriana (Fo), 1993
Watzlawick B.J., Pragmatica della comunicazione umana,Roma, Astrolabio,1971
Williams K., Psicologia per il marketing, Ed. Il Mulino, Bologna, 1988
Zani B., Selleri P., David D., La comunicazione,Ed. Carocci, Roma, 1998
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