Nina Kalitina Claude MONET Claude CLAUDE MONET Edizione originale Testi: Nina Kalitina Progetto grafico e impaginazione: Baseline Co Ltd 127-129A Nguyen Hue Boulevard Fiditourist Building, 3rd Floor, District 1, Ho Chi Minh (Vietnam) © Confidential Concepts, worldwide, USA © Sirrocco, London, UK ISBN: 978-1-78042-264-0 Tutti i diritti sono riservati, in Italia e all’estero, per tutti i Paesi. Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta, memorizzata o trasmessa con qualsiasi mezzo e in qualsiasi forma (fotomeccanica, fotocopia, elettronica, chimica, su disco o altro, compresi cinema, radio, televisione) senza autorizzazione scritta da parte dell’Editore. In ogni caso di riproduzione abusiva si procederà d’ufficio a norma di legge. Monet Sommario 5 La vita 49 Le opere 137 Cronologia 145 Esposizioni 151 Bibliografia 157 Indice delle opere riprodotte 3. 1. Pierre Auguste Renoir, Ritratto di Claude Monet, 1875. 4. La vita G ustave Geffroy, amico e biografo di Claude Monet, inserì due ritratti dell’artista nella sua monografia. Il primo, opera di un pittore mediocre, ritrae Monet all’età di diciotto anni: un giovane bruno con camicia a righe, a cavalcioni di una sedia, con le braccia attorno allo schienale. La posa fa pensare a un carattere vivace e impulsivo; il viso, incorniciato da capelli che scendono sulle spalle, mostra uno sguardo inquieto, mentre la linea della bocca e del mento esprime una forte volontà. Geffroy inizia la seconda parte del suo libro con un ritratto di Monet all’età di ottantadue anni. Vediamo un vecchio tarchiato con una folta barba bianca che sta sicuro di sé in posizione eretta a gambe divaricate: calmo e saggio, Monet conosce il valore delle cose e crede solo nel potere immortale dell’arte. Non a caso ha scelto di posare con la tavolozza in mano davanti a un pannello della serie delle Ninfee. Ci sono rimasti numerosi ritratti di Monet – autoritratti, dipinti di suoi amici (Manet e Renoir tra gli altri), fotografie di Carjat e Nadar – che riproducono la fisionomia dell’artista in diversi periodi della sua vita. Possediamo anche molte descrizioni letterarie dell’aspetto fisico di Monet, soprattutto dopo che, divenuto famoso, fu molto corteggiato da critici d’arte e da giornalisti. Che immagine dobbiamo dunque farci di Monet? Prendete una fotografia degli anni Settanta. Non è più un giovanotto, ma un uomo maturo con una folta barba nera e baffi, la sommità della fronte nascosta dai capelli tagliati corti. L’espressione degli occhi castani è decisamente vivace e il suo viso nel complesso emana sicurezza ed energia. Questo è Monet nel momento in cui senza compromessi lottava per nuovi ideali estetici. Prendete ora l’autoritratto con il berretto che risale al 1886, l’anno dell’incontro con Geffroy sull’isola di Belle-Ile al largo della costa meridionale della Bretagna. «A prima vista» ricorda Geffroy «avrei potuto scambiarlo per un marinaio, perché indossava giacca, stivali e cappello molto simili a quelli che porta la gente di mare. Usava quell’abbigliamento per proteggersi dalla brezza marina e dalla pioggia». Alcune righe sotto Geffroy scrive: «Era un uomo robusto in maglione e berretto, con la barba arruffata e gli occhi brillanti, da cui mi sentii subito trapassato».1 2. Barca tirata in secco a Honfleur, 1864, New York, Memorial Art Gallery of the University of Rochester. 5. Nel 1919, quando Monet viveva quasi da recluso a Giverny, non lontano da Vernon-sur-Seine, ricevette la visita di Fernand Léger, che lo vide come «un gentiluomo piuttosto basso con panama e abito grigio chiaro di taglio inglese… Aveva una grande barba bianca, un viso roseo, piccoli occhi che brillavano allegri, ma forse con un leggero tocco di diffidenza…».2 I ritratti di Monet, sia letterari sia visivi, lo dipingono come una figura instabile e inquieta. Era capace di offrire un’impressione di spavalderia e di audacia oppure poteva mostrare, soprattutto in vecchiaia, placida sicurezza. Sia gli amici di gioventù, Bazille, Renoir, Cézanne, Manet, sia le persone intime che gli facevano visita a Giverny – innanzitutto Gustave Geffroy, Octave Mirbeau e George Clemenceau – erano ben consapevoli delle crisi di tormentosa insoddisfazione e dei dubbi angosciosi di cui il pittore era spesso vittima. Il crescente malumore e la scontentezza di sé trovavano spesso sfogo in atti di furore incontrollato e primitivo, quando Monet distruggeva dozzine di tele, grattando via il colore, tagliandole a pezzi e talvolta persino bruciandole. Il mercante d’arte Paul DurandRuel, a cui Monet era legato da contratto, ricevette dall’artista una valanga di lettere con la richiesta di posporre la data di una mostra dei suoi dipinti. Monet scriveva che aveva “non soltanto raschiato, ma semplicemente stracciato” gli studi che aveva iniziato, che, per essere soddisfatto, era essenziale apportare modifiche, che i risultati raggiunti erano «incommensurabili con lo sforzo profuso» che era «di cattivo umore» e «buono a nulla»3. Monet fu capace di mostrare grande coraggio civile, ma a volte si rese anche colpevole di codardia e di incoerenza. Così nel 1872, insieme al pittore Eugène Boudin, fece visita in prigione all’idolo della sua gioventù, Gustave Courbet, un evento in sé non molto significativo ma, dato l’ostracismo generale a cui era stato condannato il comunardo Courbet, un atto sia audace sia nobile. Per quanto riguarda la memoria di Edouard Manet, Monet fu il solo membro della cerchia di artisti che si era raccolta attorno al leader di Batignolle ad agire quando seppe dall’artista americano John Singer Sargent che il capolavoro di Manet, Olympia, avrebbe potuto essere venduto agli Stati Uniti: con un appello ai francesi raccolse il denaro necessario per acquistare il dipinto per il Louvre. Ancora, al tempo del caso Dreyfuss, negli anni Novanta, Monet si schierò con i sostenitori di Dreyfuss ed espresse la propria ammirazione per il coraggio dimostrato da Emile Zola. Un episodio più personale testimonia la natura profondamente affettiva della personalità di Monet. Rimasto vedovo, negli anni Ottanta si risposò con Alice Hoschedé, che aveva cinque figli dal precedente matrimonio. Monet li accolse a braccia aperte e sempre si riferì a loro come «i miei figli». C’era tuttavia un altro lato della personalità dell’artista. Alla fine degli anni Sessanta, soffrendo per l’indigenza e per la mancanza di riconoscimenti, Monet in diverse occasioni lasciò la moglie Camille e il figlioletto Jean, praticamente 6. abbandonandoli a se stessi. Cedendo a crisi di disperazione fuggiva non importava dove pur di cambiare ambiente e sottrarsi a una situazione nella quale aveva patito un fallimento personale e professionale. Una volta arrivò persino a pensare al suicidio. Altrettanto difficile da giustificare è il suo comportamento nei confronti degli impressionisti quando, seguendo l’esempio di Renoir, ruppe la “sacra unione” e si rifiutò di partecipare alla quinta, sesta e ottava mostra del gruppo. Degas ebbe buone ragioni per accusarlo di sconsiderata autopromozione quando venne a sapere che Monet si era rifiutato di esporre le sue opere con gli impressionisti nel 1880. Infine, l’atteggiamento ostile nei confronti di Paul Gauguin è del tutto indifendibile. Questi episodi esemplificano molto chiaramente il carattere contraddittorio di Monet. Il lettore potrebbe chiedere: perché parlare di aspetti personali in un saggio su un artista, soprattutto se lo mostrano in una luce non particolarmente attraente? È sempre pericoloso dividere una personalità, unica nella sua integrità, in due metà: da un lato l’uomo comune con tutte le sue complessità e le disgrazie della sua storia personale, dall’altra il pittore famoso che ha scritto il proprio nome nella storia dell’arte mondiale. Le grandi opere d’arte non sono create da persone ideali e se la conoscenza della loro personalità in realtà non ci aiuta a comprenderne i capolavori, può almeno spiegarci le circostanze in cui tali capolavori sono stati creati. Gli improvvisi cambiamenti d’umore di Monet, la costante insoddisfazione di sé, le decisioni estemporanee, le emozioni tempestose e la fredda metodicità, la consapevolezza che la sua personalità era stata forgiata dalle inquietudini della sua epoca, mal disposta verso il suo estremo individualismo: se prendiamo in considerazione globalmente tutti questi aspetti, ci possiamo spiegare gran parte dei processi creativi dell’artista e del suo rapporto con la propria opera. Claude-Oskar Monet nacque a Parigi il 14 novembre 1840, ma tutti i suoi ricordi di bambino e di adolescente sono legati a Le Havre, la città dove la sua famiglia si trasferì verso il 1845. L’ambiente in cui il ragazzo crebbe non era favorevole agli studi artistici: il padre di Monet commerciava in prodotti coloniali ed era sordo al desiderio del figlio di diventare un artista. Le Havre non poteva vantare collezioni d’arte significative, né mostre, né una scuola d’arte. Il ragazzo dovette accontentarsi dei consigli della zia, che dipingeva per puro piacere personale, e dei suggerimenti del suo insegnante. L’esperienza più emozionante provata dal giovane Monet in Normandia fu l’incontro con l’artista Eugène Boudin. Fu Boudin che scoraggiò Monet dal passare tanto tempo a produrre le caricature che gli avevano procurato il suo primo successo come artista e lo spinse a passare alla pittura di paesaggio. Boudin gli consigliò di osservare il mare, il cielo e di studiare la gente, gli animali, gli edifici e gli alberi alla luce, all’aria aperta. 3. Foce della Senna a Honfleur, 1865, Pasadena (California), Norton Simon Museum. 7. In questa pagina: 4. Il Pavé de Chailley nella foresta di Fontainebleau, 1865, Charlottenlund-Copenhagen, Ordrupgaarsamlingen. A fronte: 5. Camille in abito verde, 1866, Brema, Kunsthalle Bremen. 8. Diceva: «Tutto ciò che viene dipinto direttamente sul posto ha una forza, un potere, una sicurezza di tocco che non si ricreano in studio»; e aggiungeva: «se un quadro deve essere veramente un’unità e non un frammento dipinto per colpire l’osservatore».4 Queste parole potrebbero servire come epitaffio per l’opera di Monet. La formazione artistica di Monet ebbe luogo a Parigi e poi di nuovo in Normandia, ma questa volta in compagnia di altri artisti. Il suo apprendistato fu per molti aspetti simile a quello di altri pittori della sua generazione, tuttavia il suo sviluppo artistico ebbe un carattere profondamente individuale. Quasi tutti i giovani artisti che giungevano nella capitale dalla provincia rimanevano abbagliati dalla magnificenza delle collezioni di pittura del Louvre. Era stato il Louvre ad attenuare il desiderio di Jean-François Millet di tornare immediatamente in Normandia, fuggendo dalla città che gli era tanto estranea. Courbet, arrivando a Parigi dalla Franca Contea, ostentatamente respinse l’idea di lasciarsi influenzare dai musei, ma in realtà fu molto colpito dalla collezione di pittura spagnola del Louvre. E benché Manet e Degas, entrambi parigini di nascita, conoscessero il Louvre sin da bambini, non si stancarono mai di studiare gli antichi maestri e mostrarono sempre una grande reverenza per i classici; infatti, durante i viaggi all’estero, la loro priorità era sempre la visita ai musei, non come turisti, ma come studenti desiderosi di incontrare le creazioni dei grandi pittori. Monet, tuttavia, preferiva le mostre e gli incontri con pittori contemporanei alle visite ai musei. Le sue lettere dimostrano che il contatto con gli antichi maestri lo entusiasmava assai meno della vita che si svolgeva attorno a lui e delle bellezze naturali. Che cosa dunque colpì in particolare Monet durante la sua prima visita a Parigi nel 1859? Una risposta esauriente ci viene dalle lettere che scrisse a Boudin dopo aver visitato il Salon. Il giovane provinciale passa indifferente davanti ai dipinti di carattere storico e religioso di Boulanger, Gérôme, Baudry e Gigoux; non è per niente attratto dalle scene di battaglia della campagna di Crimea; persino Delacroix, rappresentato da opere come La salita al Calvario, San Sebastiano, Ovidio, Il ratto di Rebecca e da altri dipinti di analoghi soggetti, gli sembra privo di interesse. Corot, invece, è «carino», Theodore Rousseau è «molto buono», Daubigny è «veramente bello», e Troyon è «superbo». Monet andò a far visita a Troyon, un pittore di paesaggi e di animali i cui consigli in passato Boudin aveva molto apprezzato. Troyon gli fece delle raccomandazioni che Monet riferì nelle lettere a Boudin: avrebbe dovuto imparare a disegnare la figura, fare copie al Louvre ed entrare in uno studio famoso, per esempio quello di Thomas Couture.5 Al Salon del 1859 non c’erano dipinti di Courbet, il principale artista realista del tempo, e la giuria respinse Il taglialegna e la morte di Millet. Monet vide quest’opera nel 1860 e la giudicò «magnifica», mentre definì «brillanti» le tele di Courbet che aveva avuto modo di vedere nello stesso periodo. Sempre nel 1860 scoprì le vedute marine del pittore olandese Johan Barthold Jongkind che definì «il solo buon pittore di marine»6. Monet identificò immediatamente le figure capaci di offrirgli una guida artistica. Erano i paesaggisti della scuola di Barbizon che avevano indirizzato la pittura di paesaggio francese verso la propria campagna natale: Millet e Courbet, i quali avevano scelto di dipingere il lavoro e la vita della gente semplice. Infine Boudin e Jongkind, che avevano immesso nella pittura di paesaggio una freschezza e un’immediatezza assenti nelle opere della vecchia generazione dei pittori di Barbizon. Monet avrebbe dipinto con diversi di quei maestri – Boudin, Jongkind, Courbet (e anche Whistler) – e osservandoli al lavoro avrebbe mutuato da loro molti insegnamenti pratici. 9. In questa pagina: 6. Barche nel porto di Honfleur, 1866, Collezione privata. A fronte: 7. La colazione, 1868, Francoforte, Städelsches Kunstinstitut und Städtische Galerie. 10. 11. 12. Nel 1862 Monet entrò a far parte dello studio di Charles Gleyre e, benché non riservasse particolare ammirazione per il maestro, non fu un’esperienza sprecata, dal momento che nel corso di quell’apprendistato l’artista si impossessò di preziose abilità tecniche. Inoltre Gleyre, sebbene fosse sostenitore dei metodi d’insegnamento accademici, concesse al suo discepolo una certa libertà e non tentò di annacquare il suo entusiasmo per la pittura di paesaggio. L’aspetto più importante per Monet della sua frequentazione dello studio di Gleyre furono le nuove amicizie con Bazille, Renoir e Sisley. Sappiamo che aveva già conosciuto Pissarro e perciò si può dire che, sin dall’inizio della sua carriera, il destino portò Monet in contatto con coloro che dovevano diventare suoi colleghi e alleati per molti anni a venire. Durante la prima metà degli anni Sessanta questi pittori stavano cercando una propria identità e non sapevano ancora dove li avrebbe condotti il loro rifiuto dei cliché accademici e della pittura dei Salon; ma erano assolutamente decisi a seguire con coraggio le orme di coloro che, prima che essi stessi fossero coinvolti nelle problematiche dell’arte, avevano dato avvio a una lotta per nuovi ideali artistici. All’inizio furono particolarmente attratti da Courbet, l’«ingenuo gigante», per usare le parole di Monet, ma verso la fine degli anni Sessanta mostrarono una preferenza per Manet, la cui pupilla, Berthe Morisot, entrò nel gruppo. Manet, l’opposto del chiassoso e provinciale Courbet, elegante membro della società parigina, era una delle figure centrali del mondo artistico francese di quegli anni. Portava avanti una coerente lotta per la causa di un’arte aderente alla vita e attirava un numero sempre maggiore di seguaci provenienti dai ranghi dei giovani pittori in cerca di nuovi mezzi espressivi, procurandosi l’ostilità della critica ufficiale e della giuria dei Salon. Le tappe principali di quella lotta sono ben note: La colazione sull’erba alla mostra del Salon des Refusés nel 1863, Olympia al Salon del 1867 e la sua mostra personale durante l’Esposizione Universale del 1867. Alla fine degli anni Sessanta Manet era il leader riconosciuto del gruppo di artisti e di critici di Batignolle, che si riunivano al Café Guerbois e che comprendeva Degas, Fantin Latour, Guillaumin, Duranty, Zola e Pissarro, ma anche gli amici dello studio Gleyre. Manet e Monet conoscevano le reciproche opere molto prima di conoscersi personalmente e, benché all’inizio fosse molto guardingo nei confronti delle sperimentazioni artistiche di Monet, il leader del gruppo di Batignolle ben presto si interessò a lui e prese a seguire gli sviluppi del suo lavoro con grande attenzione. Quanto a Monet, non imitò Manet, ma piuttosto assorbì dall’artista più esperto lo spirito di ricerca, lo slancio per liberare le capacità latenti. Monet fu anche influenzato dai vitali contatti con Bazille, Renoir, Sisley e Pissarro. Discussioni, controversie e soprattutto il lavoro in comune contribuirono ad affinare le abilità individuali di ciascuno e a facilitare lo sviluppo di certi principi generali. Nel corso degli anni Sessanta Monet non aveva ancora deciso quale genere di pittura lo interessava personalmente, ma non aveva alcun desiderio di dedicarsi ai temi storici, letterari o esotici. Sentiva come priorità di dover servire la verità e di tenersi al passo con il proprio tempo: provava soltanto un’incertezza, per quanto vaga, nella scelta del genere al centro della sua opera: il paesaggio o le scene con figure. Come la maggior parte degli artisti della sua generazione, Monet non mostrò alcun interesse per i grandi problemi sociali. Quando la generazione di Monet apparve sulla scena artistica, le speranze ispirate alla rivoluzione del 1848 erano ormai infrante. Monet e i suoi amici vivevano nel Secondo Impero di Napoleone III, apparentemente incrollabile, e sostenuto da una borghesia bramosa di ricchezza e di lusso. Gli artisti di tendenze progressiste desideravano soltanto dissociarsi dall’Impero, almeno da un punto di vista spirituale e morale. Il movimento d’opposizione che comprendeva le forze sociali che sarebbero venute allo scoperto nella Comune di Parigi e poi nella Terza Repubblica non suscitava grande interesse in Monet, totalmente assorbito com’era in questioni artistiche. I suoi sentimenti democratici, diversamente da Pissarro, per esempio, non presupponevano un coinvolgimento personale nelle lotte della nazione. I dipinti di genere di Monet, che ebbero un ruolo notevole nella prima fase della sua carriera, diversamente da quelli di Honoré Daumier o di Gustave Courbet, non si ispiravano a nessuno dei problemi vitali della società. I dipinti di figura si limitavano sempre e solo alla rappresentazione della sua cerchia intima di amici e di parenti. Infatti ritrasse Camille in abito verde e giacca con bordure di pelliccia: (Camille in abito verde, 1866, Brema, Kunsthalle; W., I, 65); di nuovo Camille con il figlio Jean a tavola (La colazione, 1868, Francoforte sul Meno, Städelsches Kunstinstitut; W., I, 132); e la sorella dell’artista Bazille in giardino a Ville-d’Avray (Donne in giardino, 1866, Parigi, Musée d’Orsay; W., I, 67). Due tele degli anni Sessanta conservate in musei russi sono di carattere simile: Colazione sull’erba (1866, Mosca, Museo Pushkin; W., I, 62) e Jeanne-Marguerite Lecadre in giardino (1867, San Pietroburgo, Ermitage; W., I, 68). Il primo dipinto mostra un gruppo di amici a un picnic, fra loro Camille e gli artisti Frédéric Bazille e Albert Lambron. Il secondo ritrae la cugina di Monet, Jeanne-Marguerite Lecadre, nel giardino di SainteAdresse. Da queste tele sembrerebbe di poter dedurre che l’essenza del talento di Monet stia in questo suo elogio dell’intimità quotidiana e nella sua abilità di riconoscerne la bellezza e la poesia. Ma Monet sa esprimere questi sentimenti con maggiore profondità, sottigliezza e varietà quando dipinge il paesaggio. È sufficiente conoscere le sue composizioni di figure per comprendere come il pittore non si interessi al mondo interno dell’uomo o alla complessità dei rapporti umani. Egli tende a sottolineare l’interazione fra la figura e lo spazio naturale in cui è immersa: se la scena si svolge all’aperto, A fronte: 8. Ritratto di Madame Gaudibert, 1868, Parigi, Musée d’Orsay. 13. 9. Sul bordo dell’acqua. La Senna a Bennecourt, 1868, Chicago, The Art Institute of Chicago. sono le macchie di luce sugli abiti, o persino gli abiti stessi a interessarlo piuttosto che il viso della persona, come nel Ritratto di Madame Gaudibert (1868, Parigi, Musée d’Orsay; W., I, 121). Similmente, non è l’individualità dell’aspetto esteriore del modello, né il suo mondo spirituale a interessare il pittore; così in Colazione sull’erba Monet ripete per quattro volte la figura di Bazille, che attrae come uno degli elementi 14. nell’insieme della composizione, ma l’individuo in sé è poco significativo per lui. Chiaramente, all’inizio degli anni Settanta Monet aveva riconosciuto questo aspetto del suo talento e le composizioni di figura divennero meno frequenti nella sua opera, dal momento che tutte le sue energie erano dedicate alla pittura di paesaggio. Ciononostante, questi primi tentativi di pittura di figura in futuro si sarebbero dimostrati utili, poiché nella maggior parte dei suoi paesaggi appaiono delle figure: nei campi, in giardino, per strada, in barca. L’uomo in quella fase non è il soggetto principale del dipinto e neppure un soggetto secondario, è semplicemente uno degli elementi indispensabili a rappresentare la mutevolezza del mondo, senza il quale la sua armonia risulterebbe sconvolta. Monet sembra quasi tornare alla concezione dell’Uomo e della Natura che si riflette nei paesaggi eroici di Poussin; ma nelle opere del grande classicista Uomo e Natura erano entrambi soggetti alle leggi di una più alta Ragione, mentre in Monet sono soggetti alle leggi naturali nella stessa misura. Un altro aspetto dei paesaggi di Monet degli anni Sessanta e Settanta è che spesso esprimono una maggior umanità dei suoi dipinti di figura. Si può spiegare questa tendenza non solo per il fatto che il pittore dipingeva sfaccettature della natura familiari e vicine all’uomo, ma anche grazie alla percezione della natura attraverso gli occhi, per così dire, dell’uomo comune, che rivelano il mondo dei suoi sentimenti. Ciascuno dei paesaggi di Monet è una rivelazione, un miracolo della pittura; ma senza dubbio ogni uomo, purché non completamente cieco alla bellezza del suo ambiente, almeno una volta nella vita prova quella sensazione sconvolgente quando, in un improvviso momento d’illuminazione, vede trasfigurarsi il mondo familiare a cui è assuefatto. In realtà basta poco perché ciò accada: un raggio di sole, una folata di vento, una foschia al tramonto; e Monet, da vero artista creativo, faceva costantemente esperienza di quella sensazione. I temi dei primi paesaggi di Monet sono tipici di tutta la sua opera. Amava dipingere l’acqua, in particolare la costa vicino a Le Havre, Trouville e Honfleur, e la Senna. Era affascinato dalle vedute di Parigi, dai motivi del giardino e della strada nel bosco; mentre i gruppi di grossi alberi con radure ed edifici in primo piano rappresentavano un tributo al passato, un legame con il gruppo di Barbizon e con Courbet, almeno nella scelta del soggetto. Infatti, in termini di tecnica pittorica, Monet non aveva ancora del tutto superato l’influenza di Courbet e dei pittori di Barbizon. Applicava ancora il colore sulla tela con pennellate dense, definendo chiaramente la sagoma di ogni forma, anche se le forme stesse erano già trattate in modo piuttosto appiattito. Lo speciale interesse di Monet per la riproduzione degli effetti luministici è inconfondibile, ma anche in questo campo all’inizio l’artista non andò oltre i suoi predecessori, in particolare Boudin e Jongkind. Anche se troviamo l’uso di singole, piccole macchie di colore per riprodurre la vibrazione della luce, queste sono un’eccezione nel quadro generale. Tuttavia, pur seguendo una strada ampiamente battuta, Monet già mostra la propria originalità. Non sempre i giovani artisti trovano la propria peculiare personalità creativa sin dall’inizio della carriera. Alcuni passano anni nella ricerca, ancora ostaggi della tradizione, provando un senso di continua insoddisfazione e Monet non sfuggì del tutto a tale esperienza. Una volta, accogliendo il consiglio di Gustave Courbet, apportò delle modifiche a un suo dipinto ma, ancora insoddisfatto del risultato, lo abbandonò e alla fine fece a pezzi la tela. Se la pittura di Monet conservava non pochi caratteri di alcuni pittori della vecchia generazione, non era identica a quella di nessuno di loro. Il senso della solidità delle forme naturali, presente nei primi paesaggi che ricordano Rousseau e Courbet, è più morbido, perché le masse sono rappresentate con un uso meno accentuato dei contrasti. Se confrontate con le vedute marine di Jongkind, che non sono interamente esenti da esagerazioni romantiche, le marine di Monet sono semplici e calme. È evidente che il giovane artista preferiva sviluppare i propri mezzi espressivi, affidandosi alla natura, piuttosto che imitare le opere di altri pittori. Per Monet, come per ogni artista all’inizio della carriera, il problema del “suo” pubblico era di importanza capitale. Sin dall’inizio la pittura era la sua sola fonte di guadagno e quindi doveva essere in grado di vendere le proprie opere. Indipendentemente dalla sua originalità creativa e dall’audacia delle sue idee, l’unico modo per attirare l’attenzione era esporre al Salon ufficiale. Il Salon des Refusés, tenutosi nel 1863 in aperta opposizione al Salon ufficiale, non ebbe una seconda edizione durante il Secondo Impero e, naturalmente, nessun pittore agli esordi era in grado di organizzare una mostra personale, come avevano fatto Courbet nel 1855 e nel 1867 e anche Manet nel 1867. Presentare una mostra personale a quei tempi richiedeva grande coraggio, perché era possibile solo sulla base di un nutrito numero di opere e di adeguati mezzi finanziari e di fatto era un avvenimento raro. Poiché Monet negli anni Sessanta non disponeva né di molte opere né di mezzi economici, la sua sola opzione restava il Salon ufficiale. Il suo primo tentativo di esporre al Salon risale al 1865, quando sottomise al giudizio della giuria due paesaggi, La foce della Senna a Honfleur (Los Angeles, Norton Simon Foundation; W., I, 51) e Punta della Hève (Fort Worth, Texas, Kimbell Art Museum; W., I, 39). Entrambi i dipinti furono accettati e i critici, compreso l’autorevole Paul Mantz, li accolsero positivamente. La medesima situazione si ripeté nel 1866, anche se non fu il paesaggio La strada per Chailly a Fontainebleau (W., I, 19) ad attirare l’attenzione dei critici, ma il ritratto, trattato come pittura di genere, Camille con il vestito verde. I difensori del Realismo, Thoré-Bürger e Castagnary, ma anche Zola che da poco era entrato nel campo della critica d’arte, unanimemente riconobbero i meriti del dipinto. Monet poteva considerarsi soddisfatto: la sorte chiaramente gli sorrideva. L’anno successivo, però, soffrì un rovescio di fortuna: la giuria ammise solo uno dei suoi paesaggi. Una simile piega degli eventi era ben nota a molti giovani pittori innovatori dell’Ottocento. In un primo momento le loro opere erano accolte: non vi si scorgevano elementi particolarmente audaci e nell’accettarli la giuria mostrava di essere liberale. Poi, a mano a mano che diventavano evidenti l’individualità creativa del pittore e la sua nuova visione del mondo, la giuria si faceva più cauta e alzava barriere. 15. Fu la sorte di Rousseau, Courbet, Manet e molti altri, ma l’impulsivo Monet visse il fallimento in modo dolorosamente acuto. Il fatto che la stessa sfortuna fosse condivisa dai suoi amici non era di grande consolazione. La fine degli anni Sessanta e l’inizio degli anni Settanta furono un periodo estremamente importante per la carriera di Monet. È nelle opere di questo periodo che si inizia a percepire la mano di un maestro indipendente e innovatore piuttosto che di un coraggioso principiante. Purtroppo poche persone ne erano consapevoli, poiché i tentativi di Monet di esporre in mostre ufficiali, come alla Royal Academy di Londra nel 1871 o ai Salon parigini del 1872 e del 1873 furono frustrati. Molti studiosi d’arte attribuiscono un grande significato alle visite di Monet in Inghilterra e in Olanda nel 1871 e alla sua conoscenza di prima mano delle opere di Constable e Turner. Non c’è dubbio che la pittura di paesaggio inglese, nelle opere dei suoi due massimi esponenti, abbia di gran lunga superato i risultati artistici dei paesaggisti del Continente. Con una determinazione che non troviamo nei suoi contemporanei, Constable si dedicò all’osservazione diretta dei fenomeni naturali e allo studio della luce. La libertà e la freschezza dei suoi schizzi, caratteristiche che spesso si conservano nei dipinti finiti, continuano ancor oggi a sorprendere. Per quanto riguarda Turner, Monet stesso avrebbe in seguito ammesso la forte influenza che le tele del pittore inglese aveva avuto su di lui, sottolineando allo stesso tempo che la sbrigliata fantasia romantica di Turner gli era del tutto estranea. Senza negare l’influenza della scuola inglese su Monet, non bisognerebbe comunque sopravvalutarne il significato. Forse ancora più importanti sono state le sue visite a Londra, a Zaandam e ad Amsterdam, poiché la campagna inglese e olandese, lo speciale carattere della luce e l’atmosfera intrisa d’umidità tipica di questi Paesi di mare, necessariamente lasciarono il loro marchio sulla ricettività del giovane artista. Lavorando en plein air, Monet voleva essere un esploratore che desiderava apprendere dalla natura stessa un nuovo modo di vedere, e la natura infatti glielo insegnò. Bisogna essere stati in Inghilterra per rendersi conto della sensibilità e della fedeltà con cui Monet ha reso l’atmosfera velata di Londra nel suo paesaggio Il Tamigi e il Parlamento (1871, Londra, National Gallery; W., I, 166), con le torri del Parlamento e il ponte di Westminster che svaniscono nella foschia grigio-azzurra, per apprezzare gli effetti pittoreschi che il pittore ha saputo ottenere dal contrasto tra i profili netti delle strutture sulla riva e lo sfondo indistinto, il cielo coperto e l’acqua grigia. Di ritorno in Francia, Monet sentì la ricchezza e la bellezza della sua campagna natale con una nuova acutezza: la separazione quasi sempre acuisce le nostre percezioni ed era del tutto naturale che i paesaggi di Normandia e dell’Ile-de-France, a cui era legata tutta la sua vita, divenissero non solo oggetto di studio, ma anche di adorazione. Vi si immerse in una sorta di estasi, abbandonandosi interamente all’impulso creativo e le 16. tele che produsse in quello stato d’animo sono un inno alla natura della sua terra natale. Il 1874 rappresenta una data importante nella storia dell’arte francese, poiché fu in quell’anno che gli artisti, rifiutati dalle istituzioni del proprio Paese, iniziarono la loro lotta per essere riconosciuti, per avere il diritto ad allestire mostre e prendere contatto con il pubblico che avrebbero tentato di portare verso i propri ideali e principi, rifiutando di porsi alle mercé dei suoi gusti e delle sue richieste. Questa lotta non aveva precedenti, perché in tutta la storia dell’arte francese sino alla nascita degli impressionisti non c’erano mai state mostre collettive al di fuori dei Salon. I romantici degli anni Venti-Trenta e i realisti della metà del secolo, nonostante condividessero ideologia ed estetica, non avevano mai formato nuove organizzazioni in grado di opporsi all’establishment artistico ufficiale. Persino gli immediati predecessori degli impressionisti, i pittori della scuola di Barbizon, benché fossero molto vicini sia nella vita sia nel lavoro, non realizzarono mai mostre collettive. Gli impressionisti furono dei pionieri nell’abbattere tradizioni consolidate e Monet, come sempre, era in prima linea. A dire il vero, dobbiamo osservare che la decisione di allestire una mostra indipendente non fu presa all’improvviso. Sia prima sia dopo la rivoluzione del 1848, gli artisti pensarono a vari progetti di mostre al di fuori del Salon, e durante il Secondo Impero tali idee si consolidarono, ma progetti, discussioni e sogni sono cosa ben diversa dalla loro realizzazione. La prima mostra degli impressionisti si inaugurò il 15 aprile 1874, in Boulevard des Capucines, 35. Trenta artisti parteciparono con 160 opere: Monet con nove, Renoir con sette, Pissarro e Sisley con cinque ciascuno, Degas con dieci e Berthe Morisot con nove.7 Erano in mostra oli, acquerelli e pastelli, di cui quattro di Monet. Negli anni successivi avrebbe esposto un numero maggiore di opere: alla seconda esposizione (1876) partecipò con diciotto, alla terza (1877) con trenta e alla quarta (1879) con ventinove. Non prese parte alla quinta (1880) e alla sesta (1881) esposizione, ma inviò trentacinque quadri alla settima (1882) e dall’ottava in poi rimase assente. L’importanza della presenza di un dato artista, naturalmente, non stava solo nel numero di opere esposte. Erano essenziali i suoi meriti artistici, le qualità programmatiche e la conformità ai principi estetici del nuovo movimento. Sotto questo profilo Monet fu sempre tra le figure più importanti. Alla prima mostra il pubblico vide La colazione, respinta dalla giuria del Salon nel 1868; Boulevard des Capucines (1873, W., 292), che ora è custodito al Museo Pushkin di Mosca, e il paesaggio che aveva dipinto a Le Havre nel 1872, Impressione. Levar del sole (Parigi, Musée Marmottan; W., I, 263). Fu quest’ultimo dipinto a dare a Louis Leroy, critico della rivista “Charivari”, lo spunto per denominare “impressionisti” i partecipanti alla mostra, nella sua recensione satirica.